SENTENZA N. 7
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo GROSSI
Presidente
- Giorgio LATTANZI
Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8,
comma 3, del decreto-legge
6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dal Consiglio di
Stato nel procedimento vertente tra la Cassa nazionale di previdenza ed
assistenza a favore dei dottori commercialisti - CNPADC ed altri e il Ministero
dell’economia e delle finanze ed altro, con ordinanza
del 4 giugno 2015, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2015 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti l’atto di
costituzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei
dottori commercialisti - CNPADC, nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 22 novembre 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato
Aristide Police per la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei
dottori commercialisti - CNPADC e l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1.– Con ordinanza iscritta al n. 208 del
registro ordinanze del 2015, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale
delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7
agosto 2012, n. 135 – con particolare riguardo al primo, terzo e quarto periodo
della disposizione – per violazione degli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione.
La questione trae origine dall’appello della
Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti
(CNPADC) e da due iscritti alla Cassa in proprio, sigg. W.A.
e R.G., proposto contro la sentenza del Tar Lazio – Roma n. 6103 del 18 giugno
2013, che aveva rigettato il ricorso avverso i provvedimenti applicativi
dell’art. 8 cit.
La norma censurata impone alle Casse di
previdenza privatizzate di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509
(Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di
enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), in forza della
loro inclusione nell’elenco redatto dall’Istituto nazionale di statistica
(ISTAT), ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n.
196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), di adottare interventi di
razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da
assicurare risparmi corrispondenti al 5 per cento per il 2012 ed al 10 per
cento a partire dal 2013, nonché di riversare annualmente i risparmi di spesa,
così conseguiti sui propri consumi intermedi, al bilancio dello Stato.
In punto di rilevanza, osserva il
Consiglio di Stato che gli atti impugnati sarebbero applicativi dell’art. 8,
comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, per la parte in cui assoggettano anche la
CNPADC al regime di versamento previsto dalla predetta norma; nella misura in
cui determinano l’imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante,
troverebbero il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa
della cui costituzionalità si dubita e, dunque, il problema della loro
legittimità non discenderebbe dalla presenza di eventuali vizi di legittimità,
bensì dalla legittimità costituzionale del loro fondamento normativo.
Né, secondo il rimettente, la questione
apparirebbe ex se risolvibile
affermando o negando la natura pubblicistica delle Casse di previdenza, posto
che il legislatore avrebbe "legificato” i predetti elenchi
e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimità costituzionale
avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non ci si potrebbe che
limitare a prendere atto di tale scelta legislativa.
Secondo il Consiglio di Stato non
sarebbe dirimente la questione della natura della personalità giuridica (di
diritto pubblico o privato) delle Casse di previdenza (ovvero della loro
assimilazione, nominativamente disposta, alle amministrazioni pubbliche) ma,
piuttosto, assumerebbe rilievo la provenienza, da soggetti privati, della
contribuzione destinata a costituire le risorse per il futuro trattamento
pensionistico agli iscritti alla Cassa di previdenza, nonché il fatto che la
disposizione impugnata non incida su trasferimenti a carico della finanza
pubblica, nella specie non presenti, bensì imponga un prelievo percentualmente
determinato sulla misura dei c.d. consumi intermedi, che avrebbero parimenti la
loro fonte nelle somme percepite dai propri iscritti e la cui disponibilità
dovrebbe essere mantenuta nella piena ed autonoma determinazione della Cassa
medesima.
Tanto premesso, il Consiglio di Stato
ritiene che l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, imponendo un versamento
obbligatorio in favore dello Stato di parte delle somme frutto dei contributi
versati dagli iscritti, finirebbe con il distrarre dette somme, in dotazione
alla Cassa, dalla loro causa tipica e dalla ragione, normativamente prevista,
che ne legittima l’imposizione. La distrazione dal perseguimento delle finalità
che sono alla base dell’imposizione coattiva integrerebbe la violazione
dell’art. 23 Cost., in quanto il potere impositivo attribuito alle Casse
previdenziali verso i propri iscritti sarebbe legato al perseguimento delle
predette finalità e non potrebbe essere vanificato destinando parte delle
risorse ad esigenze generali di finanza pubblica.
La disposizione impugnata violerebbe
altresì gli artt. 35, 36 e 38, comma 2, Cost., poiché, sottraendo parte dei
contributi alle Casse, il legislatore inciderebbe sulla misura del trattamento
pensionistico, da intendersi anche come «retribuzione differita» e
contravverrebbe all’esigenza di assicurare mezzi adeguati per le esigenze
connesse alla vecchiaia del lavoratore; più in generale, inciderebbe sulla
finalità di tutela del lavoro, costituzionalmente garantita.
Inoltre, l’art. 8, comma 3 cit., si
porrebbe in conflitto con gli artt. 2, 3 e 97 Cost., in quanto il prelievo ivi
previsto inciderebbe, in modo non ragionevole, sulla autonomia dell’ente,
impedendo al medesimo di poter disporre delle somme derivanti da contribuzioni
dei propri iscritti, per destinarle ad esigenze strumentali alla realizzazione
delle finalità previdenziali. Esso inciderebbe, altresì, sul principio di buon
andamento delle amministrazioni pubbliche, posto che non realizzerebbe alcuna
economicità dell’azione amministrativa, e determinerebbe altresì una
distrazione di somme dalla loro finalità tipica.
Infine, secondo il giudice a quo, la norma impugnata violerebbe gli
artt. 3 e 53 Cost. in quanto, dovendosi ritenere che i contributi versati dagli
iscritti siano assimilabili ai tributi, il prelievo corrispondente al
versamento imposto alla Cassa, stabilito in una percentuale fissa in relazione
alla spesa per consumi intermedi dell’anno 2010, non terrebbe in considerazione
né la capacità contributiva del soggetto, né qualsivoglia criterio di
progressività, in ciò determinando altresì sia una disparità di trattamento tra
soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione, indipendentemente
dalla loro soggettiva capacità contributiva, sia una palese irragionevolezza
della previsione.
2.– È intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l’inammissibilità o, comunque,
l’infondatezza delle questioni.
Rammenta la difesa erariale che l’art.
8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, fa parte di una serie di misure tese alla
razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica contenute nel suddetto
decreto-legge, che ha esteso anche agli enti pubblici non territoriali gli
obiettivi comuni di contenimento della spesa.
L’ambito di applicazione soggettivo
delle suddette disposizioni sarebbe quindi stabilito dall’art. 1, comma 2,
della legge 196 del 2009, nel testo modificato dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, il
quale prevede che «ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di
finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l’anno 2011,
gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell’elenco oggetto del
comunicato dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio
2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica
italiana n. 171, nonché, a decorrere dall’anno 2012, gli enti e i soggetti
indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell’elenco oggetto del
comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari
data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 228, le Autorità
indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni».
Secondo l’interveniente, il legislatore
in tal modo avrebbe stabilito che tutte le amministrazioni pubbliche, così come
individuate dall’elenco ISTAT cui la legge rinvia, siano destinatarie delle disposizioni
in materia di contenimento della spesa pubblica. L’inclusione di un ente
nell’elenco ISTAT – e, di conseguenza, la sua qualificazione a tali fini quale
«pubblica amministrazione» – costituirebbe il presupposto per la soggezione
all’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012. A tali obblighi sarebbero dunque
tenuti tutti gli enti per il solo fatto di essere compresi nel predetto elenco.
Poiché con l’art. 1, comma 2, della
legge n. 196 del 2009, il legislatore avrebbe sostanzialmente recepito, in via
legislativa, il predetto elenco ISTAT, ne discenderebbe che, da un canto, ogni
modificazione del suddetto elenco non potrebbe che avvenire attraverso una
legge di approvazione; dall’altro, che ogni questione relativa alla legittimità
o meno dell’inclusione di un ente in tale elenco, essendo rimessa alla
discrezionalità del legislatore, non potrebbe che essere censurata nella forme
del giudizio di legittimità costituzionale.
Secondo la difesa erariale, pertanto,
non sarebbe possibile censurare la legge che assoggetta la CNPADC ai tagli di
spesa previsti dalle disposizioni sulla c.d. spending review contenute nel d.l. n. 95 del
2012, se non dopo aver censurato la legge che, includendo la CNPADC all’interno
dell’elenco ISTAT, le avrebbe conferito la qualifica di pubblica
amministrazione. Poiché, difatti, l’art. 8, comma 3, del d.l. 6 luglio 2012 non
viene contestato da un punto di vista «oggettivo» (vale a dire con riferimento
alle misure di contenimento dallo stesso previste), bensì da un punto di vista
«soggettivo» (lamentando la CNPADC di essere stata inclusa tra i destinatari di
dette misure) e poiché l’ambito di applicazione soggettivo delle misure
previste nell’ambito della c.d. spending review viene individuato, per relationem, tramite il rinvio
all’elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni, sarebbe evidente – secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri – che contestare la legittimità
costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 significherebbe
censurare la legittimità costituzionale della qualificazione della Cassa come
pubblica amministrazione, che però non è oggetto di doglianza da parte del
giudice a quo.
Secondo la difesa erariale, pertanto,
contrariamente a quanto ritenuto dal Consiglio di Stato, la questione relativa
alla natura pubblica o privata della Cassa non potrebbe essere considerata
priva di rilevanza ai fini della valutazione da effettuarsi in ordine alla
fondatezza della questione di costituzionalità della disposizione impugnata.
Poiché, difatti, a mente dell’art. 1, comma 1, della legge 196 del 2009, «[l]e
amministrazioni pubbliche concorrono al perseguimento degli obiettivi di
finanza pubblica "…definiti in ambito nazionale in
coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione europea…”
e ne condividono le conseguenti responsabilità», l’inserimento delle Casse di
previdenza nell’elenco ISTAT le avrebbe necessariamente gravate dell’obbligo di
contribuire alle manovre di bilancio ed ai provvedimenti di contenimento della
spesa pubblica.
Rammenta ulteriormente la difesa
erariale, che lo stesso Consiglio di Stato, in una precedente decisione
(sentenza n. 6014 del 28 novembre 2012), avrebbe affermato che l’inclusione
nell’elenco ISTAT delle stesse «non è, infatti, frutto di una valutazione
arbitraria dell’Amministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla
qualificazione pubblica degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in
coerenza con i princìpi desumibili dall’art. 81 della
Costituzione e con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della
Costituzione».
Osserva il Presidente del Consiglio dei
ministri che, anche se si dovessero qualificare come privati i contributi
versati alla Cassa dagli iscritti, la questione di legittimità costituzionale
sarebbe comunque infondata in quanto l’art. 8, comma 3, cit., richiederebbe
come unico requisito, per l’assoggettamento alle misure di contenimento
previste nell’ambito della c.d. spending review, la natura di pubblica amministrazione del
destinatario, tanto che sarebbe bastato considerare che la CNPADC fosse una pubblica
amministrazione per concludere nel senso della infondatezza.
In ogni caso, secondo la difesa
erariale, il giudice a quo sarebbe
comunque incorso in errore, anche nel considerare private le risorse gestite
dal fondo. A giudizio dell’interveniente, invece, tali risorse deriverebbero la
propria natura da quella pubblica della Cassa e dalle funzioni da essa svolte,
sicché i due aspetti della vicenda non potrebbero essere singolarmente
considerati, in quanto l’uno (la funzione previdenziale pubblica svolta dalla
Cassa con conseguente vincolo di destinazione sulle somme da essa gestite),
influirebbe inevitabilmente sull’altro (natura della prestazione).
A riprova della natura pubblica delle
risorse della Cassa, secondo la Presidenza del Consiglio dei ministri, vi
sarebbe l’obbligatorietà dei contributi, il potere di esazione dei medesimi e,
infine, l’impossibilità per gli iscritti di poter liberamente disporre di
quanto versato.
Con riferimento alla denunciata
violazione dell’art. 23 e degli artt. 3 e 53 Cost., obietta il Presidente del
Consiglio dei ministri che, con l’introduzione dell’obbligo di versare allo
Stato i risparmi di spesa conseguiti dalle Casse professionali, non si sarebbe
inteso introdurre un tributo, in quanto si tratterebbe di disposizioni rivolte
a tutte le amministrazioni pubbliche, affinché contribuiscano al consolidamento
del processo di razionalizzazione e revisione della spesa e, quindi, non vi
sarebbe alcuna prestazione patrimoniale imposta, ma solo una redistribuzione
delle risorse di finanza pubblica. Procedendo dal presupposto che la CNAPDC è
un’amministrazione pubblica, sarebbe evidente, per la Presidenza del Consiglio
dei ministri, che non sarebbe ipotizzabile né una violazione dell’art. 3 Cost.,
in quanto la Cassa è colpita dai tagli di spesa come tutte le altre
amministrazioni, né dell’art. 23 Cost., in quanto non si sarebbe in presenza di
una prestazione patrimoniale, ma di una misura trasversale che incide sul
patrimonio di ciascuna amministrazione. Né, tanto meno, secondo la difesa
erariale sarebbe configurabile una violazione dell’art. 53 Cost., in quanto non
verrebbe in rilievo il principio di capacità contributiva dei singoli iscritti
alla Cassa, non trovandosi in presenza di un tributo, ma di una operazione di
redistribuzione della finanza pubblica.
Neppure, secondo l’interveniente, la
norma impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 35, 36, 38, comma
secondo, Cost., in quanto non vi sarebbero ragioni perché la finalità
(pubblica), svolta delle casse previdenziali tramite l’accantonamento
obbligatorio di una quota di reddito professionale, avrebbe dovuto condurre ad
esentare la Cassa, rispetto a quanto previsto per le altre pubbliche
amministrazioni, dall’obbligo di versamento del risparmio per consumi intermedi
a favore dell’Erario, misura che rientrerebbe tra gli interventi correttivi di
finanza pubblica, coinvolgenti anche gli enti privatizzati.
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, ad escludere la violazione degli artt. 35, 36 e 38 Cost.,
influirebbe, inoltre, il fatto che, allo stato, non vi sarebbe prova alcuna che
le norme sospettate di incostituzionalità possano aver inciso sulle prestazioni
a favore dei liberi professionisti iscritti alle Casse, tanto che la stessa
CNPADC, nelle proprie difese, avrebbe prospettato come mera eventualità, che,
per effetto delle disposizioni della c.d. spending review, possa esservi un depauperamento
del monte delle contribuzioni dei professionisti iscritti alla Cassa. Quindi,
la disposizione impugnata non avrebbe direttamente inciso sulle prestazioni a
favore dei liberi professionisti iscritti alle Casse, dato che non sarebbe
stata dimostrata alcuna decurtazione delle prestazioni previdenziali loro
assicurate in base alle norme vigenti.
Infine, osserva il Presidente del Consiglio
dei ministri che la pretesa violazione dei princìpi
costituzionali invocati, non deriverebbe dal d.l. n. 95 del 2012, che individua
solo l’ambito di applicazione soggettiva delle misure di tagli alla spesa
pubblica, facendo riferimento alla nozione di «pubblica amministrazione», ma
dagli elenchi ISTAT che hanno disposto la suddetta equiparazione. Si
tratterebbe di restrizioni di spesa imposte soprattutto ai soggetti che
beneficiano di contributi e finanziamenti pubblici, necessarie per garantire il
rispetto del principio del pareggio di bilancio sancito dall’art. 81 Cost.,
anche alla luce degli impegni assunti dall’Italia con le autorità europee.
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, quindi, nel valutare la conformità alla Costituzione della norma
censurata, si dovrebbero tenere a mente anche le ragioni che hanno spinto il
legislatore a predisporre una disciplina tanto rigorosa, e quindi si imporrebbe
di ponderare adeguatamente l’art. 81 Cost. con gli altri parametri
costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato, nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza, posta la
necessità di individuare un punto di equilibrio dinamico e non prefissato, in
anticipo tra tutti i vari diritti tutelati dalla Costituzione.
3.– Si è costituita in giudizio anche la
Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori
Commercialisti, svolgendo argomentazioni a sostegno dell’accoglimento della
questione di legittimità costituzionale sollevata.
Secondo la parte, l’art. 8, comma 3, secondo
periodo, del d.l. n. 95 del 2012, si rivelerebbe incostituzionale perché, con
esso, il legislatore avrebbe introdotto una forma di surrettizio prelievo
tributario – destinato ai soli enti previdenziali privatizzati – del tutto
svincolato dal rispetto dei noti parametri di ragionevolezza e progressività,
attraverso il quale le risorse private devolute alla gestione della CNPADC e
destinate all’erogazione di trattamenti previdenziali ed assistenziali sono
trasferite all’erario, per non meglio specificate esigenze finanziarie
pubbliche.
Evidenzia che gli enti previdenziali
privatizzati a mente del d.lgs. n. 509 del 1994 non beneficiano di alcun
trasferimento e/o finanziamento pubblico e non godono di alcuna garanzia da
parte dello Stato, per quanto attiene ad un’eventuale situazione di grave
disavanzo, essendo, anzi, previsto il ricorso alla liquidazione coatta
amministrativa laddove sia impossibile ripristinare l’originario equilibrio
economico-finanziario.
Rammenta, inoltre, che la Corte
Costituzionale, nella sentenza [recte: ordinanza]
n. 214 del 1999, ha sottolineato come il d.lgs. n. 509 del 1994 abbia
introdotto un «nuovo sistema autofinanziato conseguente alla privatizzazione».
Un conto sarebbe, quindi, la rilevanza pubblicistica che connota sia la
funzione che l’attività della Cassa, ed un altro l’origine e la natura delle
risorse in sé considerate.
In sostanza, l’assenza di un contributo
pubblico escluderebbe la natura pubblica del patrimonio.
Con riferimento alla violazione degli
artt. 3, 35, 36, 38 e 97 Cost., la parte sostiene che il legislatore, con la
norma impugnata, non abbia operato un ragionevole bilanciamento dei valori
costituzionali (sentenza
n. 70 del 2015) della tutela, anche futura, dei lavoratori e delle esigenze
di risanamento delle finanze pubbliche e sarebbe, comunque, discriminatoria, in
quanto colpirebbe esclusivamente alcune categorie di lavoratori per il solo
fatto di esercitare professioni regolamentate con obbligo d’iscrizione ai
relativi enti previdenziali. Evidenzia, che i consumi intermedi non
costituiscono una spesa per l’erario, ma sarebbero espressione della autonomia
gestionale, organizzativa e contabile riconosciuta dal d.lgs. n. 509 del 1994
agli enti previdenziali privatizzati, quale corollario dell’obbligo dei
medesimi di attenersi ad una rigorosa gestione economico-finanziaria tale da
assicurare l’equilibrio di bilancio, pena la liquidazione coatta
amministrativa, senza poter accedere a finanziamenti pubblici.
Ne deriverebbe, quindi, secondo la
medesima, la violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la norma impugnata
colpisce il patrimonio vincolato della Cassa, formato da versamenti dei privati
destinati all’erogazione di prestazioni previdenziali ed assistenziali,
costituzionalmente garantite dall’art. 38 Cost.
La norma impugnata violerebbe
ulteriormente gli artt. 3 e 97 Cost., perché il prelievo imposto inciderebbe in
misura strutturale sulla capacità della Cassa di perseguire efficacemente le
finalità attribuite dalla legge, sebbene la Corte (sentenza n. 178 del
2015) abbia riconosciuto che «l’emergenza economica», pur potendo
giustificare interventi eccezionali, non consenta di introdurre misure
strutturali.
Considerato
in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe il
Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti
per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini
nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore
bancario), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7
agosto 2012, n. 135, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97
della Costituzione, nella parte in cui applica anche alla Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti (CNPADC) un prelievo
commisurato alle spese per consumi intermedi dell’esercizio 2010.
L’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012
stabilisce che: «Ferme restando le misure di contenimento della spesa già
previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle
spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti
e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia
finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)
ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché
alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società
e la borsa (Consob) con esclusione delle regioni, delle province autonome di
Trento e di Bolzano, degli enti locali, degli enti del servizio sanitario
nazionale, e delle università e degli enti di ricerca di cui all’allegato n. 3,
sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a
decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno
2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta
riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la
disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche
costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non
ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di
razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da
assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente;
le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito
capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno.
Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il presente comma
non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle province
autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali».
1.1.– Secondo il rimettente la norma violerebbe gli
artt. 35, 36 e 38, secondo comma, Cost., in quanto, per esigenze di finanza
pubblica, distrarrebbe somme destinate a finalità previdenziali, con ciò
incidendo sulla misura del trattamento pensionistico inteso come «retribuzione
differita», tenuto anche conto delle particolari caratteristiche del sistema
mutualistico introdotto per la Cassa in questione dal decreto legislativo 30
giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della
legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone
giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e
assistenza).
Il Consiglio di Stato ritiene inoltre che siano
violati gli artt. 2, 3 e 97 Cost. poiché il prelievo imposto dal censurato art.
8, comma 3, inciderebbe in modo non ragionevole sull’autonomia dell’ente, sulla
disponibilità e sulla destinazione di somme derivanti dalle contribuzioni dei
propri iscritti. Infatti, mentre il prelievo risponderebbe a logica per le
amministrazioni pubbliche finanziate dallo Stato, per la CNPADC, che deve
gestire la previdenza in regime di autofinanziamento, esso sarebbe
irragionevole e contrario alle finalità statutarie della Cassa stessa. Il
prelievo contrasterebbe altresì con il principio di buon andamento di cui
all’art. 97 Cost., considerato che determinerebbe la distrazione di somme dalla
loro finalità tipica ed una sostanziale riduzione del finanziamento delle
prestazioni pensionistiche, piuttosto che realizzare una maggiore economicità
dell’azione amministrativa.
Inoltre, secondo il rimettente, la disposizione
impugnata violerebbe anche gli artt. 3 e 53 Cost. Ciò in quanto il prelievo
imposto dalla norma in questione, essendo determinato in misura percentuale su
quanto complessivamente speso dall’ente per consumi intermedi nell’anno 2010,
non sarebbe progressivo e non terrebbe in alcun conto la capacità contributiva
del soggetto, determinando in tal modo una disparità di trattamento tra
soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione.
Infine, secondo il rimettente la
disposizione impugnata violerebbe l’art. 23 Cost., in quanto, nel prevedere il
versamento obbligatorio di una parte dei contributi previdenziali dei privati
iscritti all’ente, distrarrebbe dette somme dalla loro causa tipica.
1.2.– È intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l’inammissibilità o comunque
l’infondatezza delle questioni.
A suo avviso la questione di legittimità
costituzionale sollevata dal giudice a
quo sarebbe inammissibile in ragione della consequenzialità tra iscrizione
nell’elenco predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e debenza del prelievo. Evidenzia in proposito che il giudice
rimettente non avrebbe impugnato l’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre
2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica): tale disposizione,
includendo la CNPADC nell’elenco ISTAT, costituirebbe il presupposto del
prelievo a favore dell’Erario, sicché la prescrizione impugnata realizzerebbe,
in ragione di detta propedeutica iscrizione, un regime unitario di
partecipazione agli obiettivi di finanza pubblica per tutti gli enti
appartenenti al consolidato delle pubbliche amministrazioni.
Nel merito, la difesa erariale rileva
che, nell’ambito delle misure tese alla razionalizzazione e riduzione della
spesa pubblica, il d.l. n. 95 de 2012 sulla cosiddetta spending review avrebbe esteso agli enti pubblici
non territoriali gli obiettivi di contenimento tra i quali quelli contenuti
nell’art. 8, comma 3, di detto decreto.
Secondo l’intervenuto, il legislatore
avrebbe individuato quali destinatari delle disposizioni in materia di
contenimento della spesa pubblica tutte le amministrazioni pubbliche comprese
nell’elenco ISTAT cui la legge rinvia. L’inclusione di un ente nell’elenco
ISTAT – e, pertanto, la sua qualificazione quale pubblica amministrazione –
costituirebbe il presupposto per la soggezione all’art. 8, comma 3, d.l. n. 95
del 2012.
Ad avviso della difesa erariale non
sarebbe possibile censurare la legge che assoggetta la CNPADC alle riduzioni di
spesa previste dal decreto sulla spending review se non dopo aver censurato la legge che,
includendo il predetto ente all’interno dell’elenco ISTAT, lo qualifica come
pubblica amministrazione. La CNPADC invece non avrebbe impugnato tale
normativa.
Il Presidente del Consiglio rileva inoltre che
anche le risorse gestite dal fondo avrebbero natura pubblica. Tale connotazione
deriverebbe, oltre che dal carattere pubblicistico delle funzioni svolte dalla
Cassa, dal fatto: a) che i contributi
degli iscritti non sono volontari ma imposti da specifica normativa; b)
che gli enti privatizzati hanno un potere autoritativo
di esazione dei contributi; c) che gli iscritti non hanno facoltà di
disporre liberamente di quanto versato.
Da ciò discenderebbe che l’art. 8, comma 3, del
d.l. n. 95 del 2012 non violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto i tagli di spesa
colpirebbero tutte le amministrazioni pubbliche inserite nell’elenco ISTAT.
Secondo il Presidente del Consiglio, la norma
impugnata non si porrebbe neppure in contrasto con gli artt. 35, 36 e 38,
secondo comma, Cost., in considerazione della natura pubblica della CNPADC e
dei fondi di cui essa dispone. Ciò giustificherebbe anche il versamento
obbligatorio dei risparmi all’Erario per la realizzazione di interventi
correttivi di finanza pubblica da parte dello Stato, ipotesi non lesiva dei
precetti contenuti negli artt. 38 e 97 Cost.
Infine, secondo l’intervenuto non sarebbe stata
fornita prova degli effetti negativi ipoteticamente prodotti dalla norma
impugnata, in quanto i professionisti iscritti alla Cassa non avrebbero subito
decurtazioni delle prestazioni previdenziali loro assicurate dalle norme
vigenti.
2.– Ai fini della presente decisione
sono necessarie alcune premesse.
L’elenco delle amministrazioni pubbliche
appartenenti al conto economico consolidato previsto dall’art. 1, comma 3,
della legge n. 196 del 2009 – come modificato dal decreto-legge 2 marzo 2012,
n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di
accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
26 aprile 2012, n. 44 – è stato istituito in attuazione di precisi obblighi
comunitari sulla base di norme classificatorie e definitorie
proprie del sistema statistico nazionale ed europeo, ai sensi del regolamento
CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996 modificato dal Regolamento UE
549/2013 relativo al «Sistema Europeo dei Conti Nazionali e Regionali
nell’Unione Europea» (SEC2010). I criteri utilizzati per la classificazione
sono di natura statistico-economica. Tale regolamento è servente alla
definizione delle politiche dell’Unione europea ed al monitoraggio delle
economie degli Stati membri e dell’Unione economica e monetaria (UEM), i quali
«richiedono informazioni comparabili, aggiornate e affidabili sulla struttura
dell’economia e l’evoluzione della situazione economica di ogni Stato membro o
regione» (considerando n. 1 del regolamento UE n. 549/2013).
La Commissione utilizza gli aggregati
dei conti nazionali e regionali, raccolti attraverso tali informazioni, per i
fini amministrativi dell’Unione e, in particolare, per i calcoli di bilancio.
Dunque, il sistema europeo dei conti, disciplinato dai richiamati regolamenti,
prevede una metodologia finalizzata al monitoraggio della convergenza economica
ed al conseguimento di uno stretto coordinamento delle politiche finanziarie
europee.
La CNPADC è classificata, secondo
l’allegato A (Capitolo 2 «Unità e insiemi di unità» – I settori istituzionali –
Amministrazioni pubbliche S.13) del regolamento UE n. 549/2013, nel
sottosettore S.1314, afferente agli «Enti di previdenza e assistenza sociale»
(2.117), il quale «comprende le unità istituzionali centrali, di Stati federati
e locali, la cui attività principale consiste nell’erogare prestazioni sociali
che rispondono ai seguenti due criteri: a) in forza di disposizioni legislative
o regolamentari determinati gruppi della popolazione sono tenuti a partecipare
al regime o a versare contributi; b) le amministrazioni pubbliche sono
responsabili della gestione dell’istituzione per quanto riguarda la fissazione
o l’approvazione dei contributi e delle prestazioni, a prescindere dal loro
ruolo di organismo di sorveglianza o di datore di lavoro».
Nell’ambito delle procedure di
convergenza verso gli obiettivi europei di contenimento della spesa pubblica,
l’inserimento in tale elenco ha comportato per l’ente previdenziale la
sottoposizione ai pertinenti vincoli di riduzione della spesa. Tuttavia, a
differenza della maggior parte degli enti pubblici e dei soggetti inseriti
nell’elenco, la CNPADC non gode di finanziamenti pubblici che – anzi – sono
vietati dalla legge istitutiva: «Gli enti trasformati continuano a svolgere le
attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle
categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati
originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e
della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti
pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi
e la fiscalizzazione degli oneri sociali» (art. 1, comma 3, d.lgs. n. 509 del
1994).
È altresì utile un’ulteriore premessa
circa la natura giuridica della CNPADC e la sua sostanziale irrilevanza
nell’ambito del thema decidendum.
La trasformazione della Cassa operata
dal d.lgs. n. 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell’ente e
sulle modalità organizzative delle sue funzioni, non ha modificato il carattere
pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza, che
mantiene non solo una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico di
assicurare dette prestazioni sociali a particolari categorie di lavoratori, ma
acquisisce un ruolo rilevante in ambito europeo attraverso l’inclusione delle
risultanze del relativo bilancio nel calcolo del prodotto nazionale lordo ai
prezzi di mercato (PNLpm), mediante le uniformi
regole di contabilizzazione del sistema europeo dei conti economici integrati.
Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «dal quadro così
tracciato [dalla riforma] emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato
immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza
ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una
modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione
giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un
corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine
previdenziale. L’esclusione di un intervento a carico della solidarietà
generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto
implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili
pubblici di carattere finanziario» (sentenza n. 248 del
1997).
3.– Tanto premesso, l’eccezione di
inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, argomentata in ragione della
mancata considerazione della iscrizione nell’elenco ISTAT e delle conseguenze
che ne deriverebbero automaticamente in punto di debenza
del prelievo, non può essere accolta.
Secondo la difesa dello Stato, il fatto
che la CNPADC sia stata individuata dalla legge quale componente dell’elenco
ISTAT, nonché risulti destinataria delle disposizioni in materia di
contenimento della spesa pubblica, costituirebbe indefettibile presupposto per
la soggezione dell’ente previdenziale all’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del
2012 e, conseguentemente, il giudice rimettente avrebbe compiuto una sorta di aberratio ictus, nel
censurare la legge che prevede il prelievo ai danni della CNPADC stessa anziché
l’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, come modificato dal d.l. n. 16
del 2012, il quale, includendo il predetto ente nell’elenco ISTAT,
comporterebbe l’automatica applicazione del prelievo a favore dell’Erario.
Nella prospettazione del giudice
rimettente, al contrario, non è contestata la legittimità dell’inclusione della
CNPADC nell’elenco delle amministrazioni ISTAT e neppure la legittimità della
prima parte della disposizione, laddove vengono dettate norme finalizzate alla
riduzione della spesa per consumi intermedi.
Infatti, se da un lato egli menziona
l’intero comma 3, compresa la parte riferita agli enti che non ricevono
trasferimenti dal bilancio dello Stato e la prescrizione afferente ad
interventi di razionalizzazione della spesa, dall’altro chiarisce che la
questione riguarda «gli atti impugnati, nella misura in cui determinano
l’imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, trovan[d]o il loro diretto e completo presupposto nella
previsione normativa della cui costituzionalità si dubita, e, dunque, il
problema della loro legittimità (in parte
qua) non discende dalla presenza di eventuali vizi di legittimità, bensì
dalla legittimità costituzionale del loro fondamento normativo».
Pertanto, l’eccezione d’inammissibilità
non può essere accolta, dal momento che l’ordinanza di rimessione si limita a
dubitare della legittimità costituzionale del prelievo operato dal legislatore
statale nei confronti della CNPADC, tema che costituisce l’oggetto del presente
giudizio.
4.– Venendo al merito, la questione di
legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost.
con riguardo alla sola prescrizione inerente all’imposizione del versamento
annuale nelle casse dello Stato, è fondata.
Per quanto di seguito meglio
specificato, la scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio
statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere
impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non è
conforme né al canone della ragionevolezza, né alla tutela dei diritti degli
iscritti alla Cassa, garantita dall’art. 38 Cost., né al buon andamento della
gestione amministrativa della medesima.
4.1.– Sotto il profilo della
ragionevolezza, l’art. 3 Cost. risulta violato per l’incongrua scelta di
sacrificare l’interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale.
L’esame del contesto legislativo rivela
come la disposizione censurata operi in deroga all’ordinario regime di
autonomia della Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi
degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali.
Prescindendo dall’indagine sulla natura
del contributo, e tenuto conto che le politiche statali possono, in particolari
contingenze, incidere anche sull’autonomia finanziaria di un ente pubblico, nel
caso in esame la compressione di un principio di sana gestione finanziaria,
come quello inerente alla natura mutualistica degli enti privatizzati di cui
all’art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994, non risulta proporzionato
all’alternativa di assicurare un prelievo generico a favore del bilancio dello
Stato. Mentre l’interesse della CNPADC è specificamente riferibile alla
missione istituzionale di gestire ed assicurare nel tempo le prestazioni
previdenziali agli associati, quello dello Stato è – per obiettiva
conformazione della norma impugnata – circoscritto alla generica copertura del
complesso della spesa. Nella ponderazione delle due finalità non appare
ragionevole il sacrificio – a beneficio di un generico interesse dello Stato ad
arricchire, in modo peraltro marginale, le proprie dotazioni di entrata – di
quella della CNPADC, che è collegata intrinsecamente alla necessaria
autosufficienza della gestione pensionistica.
In particolare, con riguardo al
bilanciamento tra le esigenze istituzionali della Cassa e quelle del bilancio
statale, non può essere condiviso l’assunto dell’Avvocatura generale dello
Stato secondo cui l’interesse dell’ente previdenziale a mantenere parte delle
risorse acquisite attraverso la contribuzione degli iscritti sarebbe recessivo
rispetto all’esigenza di prelevare dette risorse «per garantire il rispetto del
principio del pareggio di bilancio sancito dall’art. 81 Cost. anche alla luce
degli impegni assunti dal nostro Paese con le autorità europee».
La difesa statale desume un’arbitraria
correlazione eziologica tra l’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, la
prima parte dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, non contestata dal
giudice rimettente, e la seconda parte del medesimo comma 3 dell’art. 8:
l’iscrizione nell’elenco ISTAT della CNPADC non comporterebbe soltanto la
considerazione di quest’ultima nel complesso macroeconomico della finanza
pubblica da coordinare attraverso l’imposizione di economie della spesa per
beni intermedi, ma anche il prelievo di tali economie a beneficio dello Stato.
Al contrario, come già premesso, tale rapporto di causalità tra le citate
disposizioni non sussiste. È di tutta evidenza che la prima parte della norma
impugnata provvede in modo costituzionalmente legittimo ad assicurare –
attraverso il risparmio e l’accantonamento della percentuale di spesa
pertinente a ciascuno dei soggetti rientranti nel sistema europeo dei conti
nazionali e regionali dell’Unione europea-SEC 2010 –
il coordinamento della finanza pubblica allargata per il raggiungimento degli
obiettivi concordati in sede europea, mentre la seconda parte introduce un
finanziamento a favore dell’Erario.
Pertanto, è la sola disposizione
dell’art. 8, comma 3, impugnata dal rimettente a porre in essere un prelievo
indebito nei confronti della CNPADC – il quale determina, nella situazione
economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata ad una
speculare plusvalenza a favore del bilancio dello Stato – mentre quella che
impone la riduzione degli oneri per beni intermedi, oltre al coordinamento
finalizzato al rispetto dei vincoli europei, costituisce di per sé anche un
meccanismo idoneo a rendere più efficiente la gestione pensionistica nella
misura in cui riduce le spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio
alla naturale destinazione delle prestazioni previdenziali.
A parte il fatto che nella manovra di
finanza pubblica il contestato prelievo assume valore neutro, dal momento che
il saldo complessivo delle risorse disponibili nel consolidato pubblico risulta
invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma del legislatore
statale (consistente nel trasferimento di risorse della CNPADC al proprio
bilancio), del tutto distinta dall’adempimento degli obblighi di riduzione
della spesa concordati in sede europea.
Se, in astratto, non può essere
disconosciuta la possibilità per lo Stato di disporre, in un particolare
momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli
enti che – come la CNPADC – sostanzialmente si autofinanziano attraverso i
contributi dei propri iscritti, non è invece conforme a Costituzione articolare
la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un
ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al
rigido principio dell’equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e
prestazioni rese.
Alla luce di tali considerazioni
risultano capovolte anche le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato, secondo
cui la fattispecie normativa in esame sarebbe il portato di un’«adeguata
ponderazione» delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica di cui
all’art. 81 Cost. con «gli altri parametri costituzionali richiamati dal
Consiglio di Stato […] nel rispetto dei princìpi di
proporzionalità e ragionevolezza […] in relazione alla pari necessità di
rispetto dell’art. 81 Cost. ed alla luce della necessità di individuare un
punto di equilibrio dinamico e non prefissato in anticipo tra tutti i vari
diritti tutelati dalla Carta costituzionale».
Una valutazione in termini di
proporzionalità e di adeguatezza tra i dialettici interessi in gioco può essere
realizzata solo all’interno del quadro legislativo della materia «secondo
determinazioni discrezionali del legislatore, le quali devono essere basate sul
ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi
costituzionali coinvolti nell’attuazione graduale di quei principi, compresi
quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie
e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n. 119 del
1991). Infatti, se il costante orientamento di questa Corte è nel senso che
il legislatore conserva piena libertà di scelta tra sistemi previdenziali di
tipo mutualistico – caratterizzati dalla corrispondenza fra rischio e
contribuzione e da una rigorosa proporzionalità fra contributi e prestazioni
previdenziali – e sistemi di tipo solidaristico – caratterizzati, di regola,
dall’irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni
previdenziali – una volta scelta con chiarezza la prima delle due opzioni, il
bilanciamento degli interessi in gioco deve avvenire tenendo conto della soluzione
normativa prevista dal d.lgs. n. 509 del 1994.
Nel caso in esame, quest’ultima è nel
senso di realizzare modalità di finanziamento del sistema pensionistico della
CNPADC attraverso la capitalizzazione dei contributi versati da ciascun
lavoratore prima della quiescenza. Tali contributi sono gestiti dalla Cassa
attraverso criteri di autonomia delineati dal legislatore secondo
accantonamenti a basso rischio, cosicché, al momento del pensionamento, ogni
lavoratore ritira il proprio montante contributivo, cioè quanto versato sino
alla quiescenza, maggiorato dai cosiddetti coefficienti di trasformazione.
Questa scelta si contrappone al sistema dell’Istituto nazionale di previdenza
per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), ora confluito nell’Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS), nel quale il pagamento delle
pensioni viene effettuato utilizzando i contributi correntemente versati dai
lavoratori in servizio e dai relativi datori di lavoro, senza che si effettui
alcun accantonamento dei contributi stessi.
Negli anni ’90 il legislatore italiano
ha ritenuto che i due sistemi potessero coesistere in ragione delle specifiche
peculiarità. Risulta, quindi, evidente come in quello in esame esista un
collegamento chiaro ed indefettibile fra volume dei contributi versati e
livello delle prestazioni rese, legame che comporta un forte richiamo alla
responsabilità del gestore, dalla cui buona amministrazione dipende in sostanza
il mantenimento di un sistema che non può altrimenti finanziarsi.
In definitiva, se in Costituzione non
esiste un vincolo a realizzare un assetto organizzativo autonomo basato sul
principio mutualistico, occorre tuttavia evidenziare che, una volta scelta tale
soluzione, il relativo assetto organizzativo e finanziario deve essere
preservato in modo coerente con l’assunto dell’autosufficienza economica,
dell’equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e
prestazioni.
4.2.– Sotto il profilo del buon
andamento di cui all’art. 97 Cost., non può essere ignorato che la riforma
della CNPADC, avvenuta in attuazione del portato normativo del d.lgs. n. 509
del 1994, è ispirata dall’esigenza di percorrere una strada alternativa di tipo
mutualistico rispetto alla soluzione «generalista» della previdenza dei dipendenti
pubblici rappresentata dal sistema INPDAP, ora accorpato all’INPS.
Tale alternativa consiste
sostanzialmente nell’autonomia finanziaria comportante l’assoluto divieto di
contribuzione da parte dello Stato, nonché la ricerca di equilibri di lungo
periodo sul piano previdenziale, finanziario ed economico.
In definitiva, si tratta di un sistema
progettato e finalizzato all’equilibrio di lungo periodo di cui è connotato
sintomatico «la previsione di una riserva legale, al fine di assicurare la
continuità nell’erogazione delle prestazioni, in misura non inferiore a cinque
annualità dell’importo delle pensioni in essere. Ferme restando le riserve
tecniche esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto,
all’eventuale adeguamento di esse si provvede, nella fase di prima
applicazione, mediante accantonamenti pari ad una annualità per ogni biennio»
(art. 1, comma 4, lettera c, della
legge n. 509 del 1994).
In tale contesto, le spese di gestione della
CNPADC devono essere ispirate alla logica del massimo contenimento e della
massima efficienza, dal momento che il finanziamento di tale attività
strumentale grava sulle contribuzioni degli iscritti, cosicché ogni spesa
eccedente al necessario finisce per incidere negativamente sul sinallagma
macroeconomico tra contribuzioni e prestazioni.
Secondo tale prospettiva – come già
rilevato – le misure di contenimento della spesa per i beni intermedi stabilite
dall’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 sono utili non solo ad assicurare
pro quota la partecipazione della
Cassa al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, ma anche a
preservare da un’eccessiva espansione della spesa corrente una parte delle
risorse naturalmente destinate alle prestazioni previdenziali, salvaguardando
il buon andamento dell’ente in conformità agli obiettivi della riforma del
1994.
Se la prima parte dell’art. 1, comma 3,
appare, dunque, un efficace strumento di coordinamento della finanza pubblica,
la seconda parte – nel destinare detto risparmio all’Erario – collide anche con
l’art. 97 Cost., in quanto sottrae alla CNPADC risorse intrinsecamente
destinate alla previdenza degli iscritti. E, nel caso di specie, non è tanto
l’entità del prelievo – peraltro esiguo in rapporto alla dimensione delle
entrate dello Stato – a determinare la non conformità a Costituzione, quanto
l’astratta configurazione della norma, che aggredisce, sotto l’aspetto
strutturale, la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si
articola «la naturale missione» della CNPADC di preservare l’autosufficienza
del proprio sistema previdenziale.
4.3.– Con riguardo alla violazione
dell’art. 38 Cost., non sono condivisibili le argomentazioni dell’Avvocatura
dello Stato, secondo cui il prelievo non colpirebbe le situazioni previdenziali
degli iscritti, ma si limiterebbe ad incidere sul bilancio della Cassa.
Occorre a tal proposito ricordare che –
per effetto della riforma del 1994 – le posizioni previdenziali degli iscritti
sono collettivamente e singolarmente condizionate dalla regola per cui la
prestazione deve essere resa solo attraverso la contribuzione capitalizzata del
destinatario e non attraverso l’impiego delle contribuzioni versate dagli altri
iscritti in attività. Ciò con assoluta esclusione – a differenza della
previdenza dei pubblici dipendenti – di qualsiasi contribuzione a carico dello
Stato nel momento in cui il flusso finanziario proveniente dai versamenti
contributivi non risulti sufficiente al pagamento delle prestazioni dovute.
In sostanza, in un sistema ispirato –
pur nell’ambito del meccanismo contributivo – alla capitalizzazione dei
contributi degli iscritti, l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare
quegli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza
previdenziale autonoma. Questa Corte ha affermato che la scelta di dotare le
Casse di previdenza di un sistema di solidarietà endocategoriale
basato sulla comunanza di interessi degli iscritti – cosicché ciascuno di essi
concorre con il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si
giova l’intera categoria – e di vincolare in tal senso la contribuzione di
detti soggetti, costituisce soluzione del tutto ragionevole e idonea a
«prevenire situazioni di crisi finanziaria e dunque di garantire l’erogazione
delle prestazioni [. È] stato così sancito il vincolo d’una riserva legale a
copertura per almeno cinque anni delle pensioni in essere (art. 2, comma 2, del
decreto legislativo n. 509 del 1994) e, più recentemente in sede di riforma del
sistema pensionistico generale, è stata prevista l’obbligatorietà della
predisposizione di un bilancio tecnico attuariale per un arco previsionale di
almeno quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335)».
Pertanto, «[l]a solidarietà endocategoriale che il
legislatore si è preoccupato di non far venire improvvisamente meno», è
finalizzata ad «assicurare l’idonea provvista di mezzi: considerazione,
quest’ultima, tanto più valida ora, in un sistema dichiaratamente
autofinanziato», in cui «tale previsione "assicura lo strumento meglio idoneo
all’attuazione di finalità schiettamente pubbliche […]”. Tanto può affermarsi
anche con riguardo agli scopi previdenziali perseguiti [dalle Casse
previdenziali autonome] nel quadro della già richiamata solidarietà interna ai
professionisti, a vantaggio dei quali l’ente è stato istituito: la comunanza
d’interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con il
proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova l’intera
categoria, di talché il vincolo può dirsi presupposto prima ancora che imposto»
(sentenza n. 248
del 1997).
Considerate le complesse problematiche
alla base della deficienza strutturale dei meccanismi di finanziamento della
previdenza dei dipendenti pubblici, l’alternativo sistema, voluto dal
legislatore per gli enti privatizzati in un periodo ormai risalente, merita di
essere preservato da meccanismi – quali il prelievo a regime in esame – in
grado di scalfirne gli assunti di base. Ciò anche in considerazione del fatto
che detti assunti ne hanno, comunque, garantito la sopravvivenza senza
interventi di parte pubblica per un ragguardevole periodo di tempo. In
proposito non può essere sottovalutato come la tutela degli equilibri
finanziari della CNPADC sia intrinsecamente funzionale alla garanzia delle
posizioni previdenziali degli associati, a sua volta riconducibile all’art. 38
Cost.
5.– In definitiva, subordinare le
esigenze di coerenza dell’ordinamento previdenziale, disegnato dal d.lgs. n.
509 del 1994 in senso mutualistico e successivamente perfezionato attraverso
l’applicazione del sistema contributivo, ad un meccanismo di prelievo di
importo marginale (anche per il carattere di neutralità finanziaria nell’ambito
della manovra complessiva) non risulta coerente né in grado di superare i test
di ragionevolezza precedentemente richiamati.
Infatti, proprio una ponderazione delle
esigenze di equilibrio della finanza pubblica tende inevitabilmente verso la
soluzione di non alterare la regola secondo cui i contributi degli iscritti
alla CNPADC devono assicurarne l’autosufficienza della gestione e la resa delle
future prestazioni, in presenza di un chiaro divieto normativo all’intervento riequilibratore dello Stato.
Per quanto considerato, l’art. 8, comma
3, del d.l. n. 95 del 2012 deve essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost. nella parte in cui
prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale
norma siano versate annualmente dalla CNPADC ad apposito capitolo di entrata
del bilancio dello Stato.
6.– Restano assorbite le ulteriori
censure sollevate dal giudice rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma
3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella
parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi
previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza
per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello
Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2016.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria l'11 gennaio 2017.