ORDINANZA N. 128
ANNO 2015
Commento alla decisione di
Gugliemo Leo
per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dalla Corte d’assise d’appello di Milano nel procedimento penale a carico di D.U.R. ed altri, con ordinanza del 28 luglio 2014, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 aprile 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che la Corte d’assise d’appello di Milano, con ordinanza del 28 luglio 2014 (r.o. n. 211 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 630, 5° comma cod. pen. e della ulteriore circostanza attenuante ordinaria introdotta nell’art. 630 cod. pen. dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68/2012»;
che, come riferisce il giudice rimettente, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Milano aveva proposto appello avverso la sentenza di condanna, emessa l’8 maggio 2013 dal Giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale, nei confronti di una pluralità di persone imputate del reato di cui all’art. 630 cod. pen., per aver segregato una donna per tre giorni al fine di estorcerle la promessa di non farsi più vedere o sentire da uno dei coimputati, dal quale aspettava un figlio;
che, con la sentenza impugnata, il Giudice dell’udienza preliminare aveva derubricato il reato contestato agli imputati in quello meno grave di cui all’art. 605 cod. pen. e determinato la pena riconoscendo, sia la continuazione con altri reati contestati sia, in taluni casi, le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva;
che, nel suo atto di appello, il pubblico ministero aveva sostenuto l’erroneità di tale derubricazione e aveva chiesto la condanna degli imputati per il reato previsto dall’art. 630 cod. pen.;
che, ad avviso della Corte rimettente, l’impugnazione del pubblico ministero le avrebbe imposto di pervenire a un «giudizio di mera equivalenza fra circostanze di opposto segno, qualora la Corte [avesse ritenuto] sussistente il delitto di cui all’art. 630 cod. pen. anche con le specifiche attenuanti che alla norma competono», perché, rientrando tale reato tra quelli indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, sarebbe stata applicabile la recidiva prevista dall’art. 99, quinto comma, cod. pen.;
che la questione concernente il limite posto al giudizio di comparazione tra le circostanze sarebbe rilevante, «non solo per la richiesta del PG a proposito della specifica circostanza attenuante per l’imputato G., ma anche per la astratta possibilità che [la Corte d’assise d’appello], attese le modalità di esecuzione, la durata ed altri fattori emergenti nella consumazione dell’eventualmente ritenuto delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, debba decidere di applicare la circostanza attenuante di natura oggettiva discendente dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 68/2012»;
che tale questione sarebbe non manifestamente infondata, in riferimento ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, espressi dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., per le ragioni indicate, sia nella citata pronuncia di questa Corte n. 68 del 2012, sia «in quella, nella quale è stata proposta questione parzialmente sovrapponibile alla presente e accolta dalla Corte costituzionale, con la recentissima sentenza n. 106/2014»;
che, infatti, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti relative all’art. 630 cod. pen., ponendo l’accento esclusivamente sulle condizioni del reo, comporterebbe che, anche in presenza di una recidiva aspecifica, l’imputato «sarebbe irragionevolmente attinto dalla stessa gravissima pena in editto prevista [per] chi ha posto in essere un comportamento ben più grave del suo, contrastando ciò anche con la finalità rieducativa della pena che implica un costante principio di proporzione tra qualità e quantità di sanzione e offesa»;
che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 9 dicembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata;
che, ad avviso della difesa dello Stato, la maggiore severità della «disciplina […] della recidiva reiterata nel caso di realizzazione di un delitto di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a, non è irragionevole in quanto limitata a fattispecie specifiche, caratterizzate da notevole allarme sociale, [e indicative] del perdurare della capacità a delinquere del reo», e dipende da una scelta legislativa non in contrasto con i principi costituzionali, essendo finalizzata a sanzionare più severamente, sia pure comprimendo gli spazi di discrezionalità del giudice, chi abbia continuato a commettere reati nonostante le precedenti condanne;
che la questione, comunque, sarebbe inammissibile, perché la Corte rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità prospettati;
che, infatti, il giudice a quo mostrerebbe di aderire all’opzione ermeneutica secondo cui anche la recidiva obbligatoria di cui all’art. 99, quinto comma, cod. pen. rientrerebbe nell’ambito di operatività del divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., mentre in senso contrario deporrebbe, ad avviso della difesa erariale, il tenore letterale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., che fa riferimento al solo quarto comma dell’art. 99 cod. pen.
Considerato che la Corte d’assise d’appello di Milano dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 630, 5° comma cod. pen. e della ulteriore circostanza attenuante ordinaria introdotta nell’art. 630 cod. pen. dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68/2012»;
che la questione è manifestamente inammissibile per mancanza di motivazione sulla rilevanza;
che nel giudizio a quo gli imputati – a cui era stato contestato il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione – sono stati condannati per un diverso titolo di reato (art. 605 cod. pen.);
che questa mutata qualificazione giuridica è stata contestata dal pubblico ministero con l’atto di appello;
che la Corte rimettente ha ritenuto che l’eventuale condanna per il delitto di cui all’art. 630 cod. pen. avrebbe comportato l’applicazione della recidiva prevista dall’art. 99, quinto comma, cod. pen. e il conseguente divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti previste dallo stesso art. 630 cod. pen.;
che, quindi, ad avviso del giudice a quo, la «richiesta del PG», da un lato, e l’«astratta possibilità» di dover decidere se applicare l’art. 630 cod. pen. e le relative circostanze attenuanti, dall’altro, renderebbero rilevante la questione, imponendo un «giudizio di mera equivalenza» fra tali circostanze e la recidiva;
che la Corte rimettente non spiega perché la norma censurata dovrebbe trovare applicazione nel caso sottoposto al suo esame, considerato che la sentenza impugnata ha condannato gli imputati per sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) e, che, quindi, la configurabilità della diversa e più grave fattispecie prevista dall’art. 630 cod. pen. (sequestro di persona a scopo di estorsione) è meramente ipotetica, così come ipotetica è l’applicazione delle circostanze attenuanti speciali previste dall’art. 630 cod. pen.;
che la formulazione della questione in termini meramente ipotetici si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza;
che, inoltre, la questione è manifestamente inammissibile anche perché, nel formulare il quesito di costituzionalità, il giudice a quo ha erroneamente individuato la disposizione da censurare;
che la Corte rimettente, infatti, ha sottoposto a scrutinio di costituzionalità una norma inconferente rispetto all’oggetto delle proprie censure, avendo denunciato come contrario ai parametri costituzionali evocati l’art. 99, quinto comma, cod. pen., come modificato dall’art. 4 della legge n. 251 del 2005, che si limita a introdurre un’ipotesi di recidiva obbligatoria, quando, invece, il rilevato vulnus costituzionale sarebbe scaturito, semmai, dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., come modificato dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, che pone il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata prevista dal quarto comma dell’art. 99 cod. pen.;
che, peraltro, appare dubbia l’applicabilità del censurato limite al giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto, quando non ricorra la recidiva del quarto comma dell’art. 99 cod. pen., ma esclusivamente quella del successivo quinto comma, oggetto della questione in esame;
che l’inesatta identificazione della norma da censurare, per costante giurisprudenza costituzionale, comporta la manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis, ordinanze n. 358 del 2010, n. 198 e n. 42 del 2007);
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d’assise d’appello di Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2015.