SENTENZA N. 281
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, nel procedimento vertente tra F.F. e l’U.T.G. ed altri, con ordinanza del 19 settembre 2012, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un giudizio promosso per ottenere l’annullamento di un provvedimento di revoca della patente di guida – adottato nei confronti di un soggetto cui era stata applicata, per reati concernenti gli stupefacenti, una pena a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, con sentenza emessa anteriormente all’entrata in vigore del testo dell’art. 120 del decreto-legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) – l’adito Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, premessane la rilevanza, ha sollevato due gradate questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 1 e 2 del predetto art. 120:
– la prima, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui «fa derivare automaticamente dalla condanna il divieto di conseguire la patente di guida e la consequenziale revoca di quella eventualmente posseduta»;
– la seconda, per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui «opera anche un riferimento alle condanne “patteggiate” antecedenti all’entrata in vigore della L. n. 94/2009 cit.».
2. – Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi è stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– L’art. 120 del decreto-legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nei denunciati suoi commi 1 e 2, come sostituiti dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), testualmente dispone che:
«1. Non possono conseguire la patente di guida [….] le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 [Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza], fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi […].
2. […] se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida […]».
2.− Con la prima delle due questioni di legittimità costituzionale della riferita normativa, sollevate con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale rimettente, in relazione ai parametri costituzionali che sospetta violati, rispettivamente, argomenta, quanto all’art. 3 Cost., che, se è pur vero che il diniego o la revoca trova ragione in una valutazione legislativa di disvalore sociale correlata alla natura della condanna, «è l’automatismo applicativo ad apparire non ragionevole»; e, quanto, all’art. 27, terzo comma, Cost., che, con la privazione della patente di guida, «si vanifica l’effetto rieducativo della pena giacché l’inibizione di un effettivo inserimento sociale e soprattutto lavorativo ricondurrebbe plausibilmente il reo sulla via del crimine». Aggiunge il Tribunale che, a suo avviso, il vulnus ai precetti richiamati potrebbe essere superato solo da una pronuncia «sostanzialmente additiva» di questa Corte, che, indipendentemente dai provvedimenti riabilitativi di competenza del giudice penale, consentisse all’autorità amministrativa di valutare, senza vincolo di automatismo, «la possibilità di superare per avvenuta emenda il giudizio morale negativo» che la norma denunciata riferisce all’autore dei reati in questione.
2.1.− In questi esatti (e testuali) termini la questione era già stata prospettata, in altro giudizio, dallo stesso Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, ed è stata dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza di questa Corte n. 169 del 2013.
Ad identico esito va incontro anche l’odierno reiterato quesito.
Come già, infatti, osservato nella richiamata ordinanza n. 169, a prescindere dalla non pertinenza del riferimento all’art. 27 Cost., che attiene esclusivamente alle sanzioni penali, è comunque, assorbente, in limine, in senso preclusivo all’esame della questione, la natura non obbligata dell’intervento additivo auspicato (da ultimo sentenze n. 134 del 2012, n. 117 e n. 6 del 2011, e n. 256 del 2010) ed il carattere, per di più, assolutamente indeterminato del petitum (sentenza n. 301 del 2012 per tutte).
E ciò in quanto – rispetto alle «condizioni per la riabilitazione» fissate dall’art. 179 del codice penale («prove effettive e costanti di buona condotta» per almeno un triennio dal giorno in cui è stata eseguita o si è estinta la pena principale, ed adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato) e, quindi, a valutazione che, nella logica dell’istituto della riabilitazione, competono alla giurisdizione penale – il rimettente neppure adombra quali, oggettivamente o (e in che misura) solo temporalmente diverse, siano, a suo avviso, le condizioni di quella «emenda» la cui valutazione vorrebbe affidare all’autorità amministrativa (ed al successivo controllo del giudice amministrativo) ai fini del rilascio, o dell’esclusione della revoca, del titolo abilitativo a soggetti condannati per reati in materia di stupefacenti.
Il che, per altro verso, comporta anche il carattere meramente ipotetico e virtuale della rilevanza della questione sollevata nel giudizio a quo, considerato che il rimettente, anche in questo caso, non indica quale sia in concreto la condizione del ricorrente che potrebbe dar luogo, in tesi, alla prefigurata emenda, suscettibile di condurre all’annullamento dell’impugnato provvedimento di revoca della patente.
3.– La seconda questione attiene alla portata retroattiva della disciplina in esame.
Il rimettente ritiene, al riguardo, violato il precetto dell’art. 24 Cost., in termini di vulnus alla «tutela dell’affidamento dell’imputato». Ma ciò, coerentemente, in relazione al solo profilo della (non esclusa) operatività di detta normativa «anche con riferimento alle condanne “patteggiate” antecedenti alla entrata in vigore della L. n. 94/2009»; non dubitando, per il resto, della legittimità della scelta del legislatore del 2009 di rendere la misura del diniego o revoca della patente di guida immediatamente applicabile nei confronti di soggetti condannati, in via ordinaria, per reati in materia di stupefacenti, sulla base di sentenze anche anteriori alla entrata in vigore della legge stessa.
3.1.– Tale seconda questione – formulata in via subordinata, e non alternativa, e, per tal profilo, quindi, ammissibile (ordinanze n. 22 e n. 21 del 2008, n. 449 del 2007) – è, nei limiti della sua prospettazione, fondata.
Con riguardo alle sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (equiparate «a una pronuncia di condanna» dal successivo articolo 445, comma 1 bis, secondo periodo), questa Corte ha già avuto, infatti, occasione di precisare che «la componente negoziale propria dell’istituto del patteggiamento, resa evidente anche dalla facoltà concessa al giudice di verificare la volontarietà della richiesta o del consenso (articolo 446, comma 5, del codice di procedura penale), postula certezza e stabilità del quadro normativo che fa da sfondo alla scelta compiuta dall’imputato e preclude che successive modificazioni legislative vengano ad alterare in pejus effetti salienti dell’accordo suggellato con la sentenza di patteggiamento» (sentenza n. 394 del 2002).
Il nuovo testo dell’art. 120, commi 1 e 2, come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge n. 94 del 2009, con riguardo ai reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), ha innovato la disciplina che l’imputato aveva avuto presente nel ponderare l’opportunità di addivenire al patteggiamento, ed ha retroattivamente attribuito al consenso a suo tempo prestato l’ulteriore significato di una rinunzia alla patente di guida.
E ciò, appunto, ne comporta il denunciato contrasto con il diritto di difesa, sia per l’inadempimento, che ne consegue, rispetto al negozio (processuale) ex art. 444 cod. proc. pen., sia per il vulnus all’affidamento qualificato dell’imputato circa gli effetti delle proprie scelte.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale del predetto art. 120, commi 1 e 2, del nuovo codice della strada, nella parte in cui opera con riferimento a sentenze pronunziate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., anche antecedenti all’entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui si applica anche con riferimento a sentenze pronunziate, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), n. 94 del 2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2013.