SENTENZA N. 231
ANNO 2013
Commento alla
decisione di
I. Francesco Liso, La
decisione della Corte costituzionale sull’articolo 19 della legge n. 300/1970,
per g.c. della Rivista telematica Federalismi.it
II.
Franco Carinci, Il
buio oltre la siepe: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231, per g.c. del Forum
di Quaderni costituzionali
III.
Stefano Rossi, Fiat
lux: note su Corte cost., 23 luglio 2013, n.
231, per g.c. del Forum
di Quaderni costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
-
Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
-
Giuseppe TESAURO ”
-
-
Giuseppe FRIGO ”
-
Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
-
Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
-
Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
-
Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma,
lettera b), della legge 20 maggio
1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), promossi dal Tribunale ordinario di Modena con ordinanza del 4
giugno 2012, dal Tribunale ordinario di Vercelli con ordinanza del 25 settembre
2012 e dal Tribunale ordinario di Torino con ordinanza del 12 dicembre 2012,
rispettivamente iscritte ai nn. 202 e 287 del
registro ordinanze 2012 e al n. 46 del registro ordinanze 2013, pubblicate
nella
Visti gli atti di costituzione della FIOM - Federazione
Impiegati Operai Metalmeccanici - Federazioni Provinciali di Modena, di
Vercelli e Valsesia e di Torino, della Case New Holland
Italia s.p.a., della Maserati s.p.a.,
della Ferrari s.p.a., della Fiat Group Automobiles s.p.a., e della
Abarth & C. s.p.a. ed altri, nonché gli atti di
intervento della CGIL - Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Filcams-CGIL Federazione Italiana Lavoratori Commercio,
Alberghi, Mense e Servizi e Filcams-CGIL di Milano e
Provincia, della FNSI - Federazione nazionale della stampa italiana, della
Unione Industriale della Provincia di Torino e del Presidente del Consiglio dei
ministri (fuori termine nel giudizio iscritto al r.o. n. 287 del 2012);
udito nell’udienza
pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati
Franco Scarpelli e Amos Andreoni per la CGIL
-Confederazione Generale Italiana del Lavoro, per la Filcams-Cgil
- Federazione Italiana Lavoratori Commercio, Alberghi, Mense e Servizi, e per Filcams-CGIL di Milano e Provincia, Bruno Del Vecchio per
la FNSI - Federazione nazionale della stampa italiana, Paolo Tosi per l’Unione
Industriale della Provincia di Torino, Vittorio Angiolini, Piergiovanni
Alleva e Franco Focareta per la FIOM - Federazione
Impiegati Operai Metalmeccanici - Federazioni Provinciali di Modena, di
Vercelli e Valsesia e di Torino,
Ritenuto in
fatto
1.– Nel corso di più giudizi civili
riuniti, promossi ai sensi art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme
sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), di
seguito anche Statuto dei lavoratori, nei confronti di società del Gruppo FIAT
(Case New Holland Italia s.p.a.,
Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a.),
su ricorso della FIOM (Federazione impiegati operai metalmeccanici) della
Provincia di Modena – alla quale le resistenti avevano disconosciuto il diritto
a costituire rappresentanze sindacali aziendali (e, conseguentemente, ad
avvalersi delle prerogative di cui al Titolo III del predetto Statuto), in
ragione della mancata sottoscrizione del contratto collettivo, applicato nelle
rispettive unità produttive, da parte di essa ricorrente, che pure aveva
attivamente partecipato alla correlativa negoziazione – l’adito Tribunale
ordinario di Modena, dopo aver rilevato in premessa che i diritti in
contestazione risultavano effettivamente riservati alle sole organizzazioni
"firmatarie” dei contratti in questione, per testuale dettato dell’articolo 19,
primo comma, lettera b), dello
Statuto dei lavoratori, a suo avviso non suscettibile di interpretazione
adeguatrice in senso estensivo, ha ritenuto, per ciò, rilevante e, in
riferimento agli artt. 2, 3 e 39 Cost., non manifestamente infondata, ed ha
quindi sollevato, con l’ordinanza in epigrafe (r.o. n. 202 del 2012), questione
di legittimità costituzionale del predetto articolo 19.
Secondo il rimettente, il criterio selettivo
ivi dettato – nella parte, appunto, in cui legittima l’esclusione dal godimento
dei diritti in azienda di un sindacato, pur effettivamente rappresentativo, per
il solo fatto che non abbia sottoscritto il contratto applicato in quella unità
produttiva – si porrebbe, infatti, in contrasto con gli evocati parametri
costituzionali:
– per l’irragionevolezza «nell’attuale
condizione di rottura dell’unità sindacale» di una soluzione imperniata «sul
dato formale della sottoscrizione del contratto applicato e sganciato da
qualsiasi raccordo con la misura del consenso dei rappresentati»;
– per la negativa incidenza sulla
decisione dell’associazione sindacale in ordine alla sottoscrizione del
contratto collettivo, che ne risulta «condizionata non solo dalla finalità di
tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria
della contrattazione collettiva, bensì anche dalla prospettiva di ottenere
(firmando) o perdere (non firmando) i diritti del Titolo III»;
– per la irragionevole difformità di
trattamento, che ne consegue, «tra associazioni sindacali dotate tutte di pari
capacità rappresentativa, e tutte partecipanti nella stessa misura alle
trattative volte alla stipula del contratto collettivo, e che tuttavia non
godono all’interno dell’azienda delle stesse prerogative a tutela degli
interessi dei lavoratori da esse rappresentati solo in ragione del dissenso
espresso avverso la stipula di contratti aziendali».
1.1.– Nel giudizio
innanzi alla Corte si è costituita la FIOM-Federazione provinciale di Modena,
sostenendo l’ammissibilità e la fondatezza nel merito della proposta questione,
facendo proprie le argomentazioni addotte dal rimettente ed affermando, in
particolare, che per rappresentare efficacemente i lavoratori, e proprio per volerne
essere rappresentativo, il sindacato non deve solo firmare, ma talora astenersi
dal sottoscrivere il contratto collettivo. Storicamente – aggiunge la FIOM –
«ormai la contrattazione collettiva ha perso il carattere acquisitivo che ha
avuto per molto tempo. Oggi, non solo negli accordi gestionali delle situazioni
di crisi, ma anche nei rinnovi nazionali la stessa contrattazione collettiva ha
sovente un prevalente contenuto ablativo, e la forza del sindacato si manifesta
non tanto nella capacità di acquisire nuovi diritti ad ogni tornata
contrattuale, come è avvenuto per tanto tempo, quanto nella capacità di
resistere alle sempre più pressanti ed estese richieste di flessibilità
avanzate dalle imprese».
1.2.– Si sono costituite
anche Case New Holland Italia s.p.a.,
Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a., eccependo preliminarmente l’inammissibilità della proposta questione, sia
sotto il profilo della riproposizione di questione identica a quella già decisa
da questa Corte con la sentenza n. 244 del
1996, sia riguardo al profilo della «perplessità» e «indecifrabilità» della
motivazione dell’ordinanza di rimessione; ed aggiungendo che, ove si tratti di
richiesta demolitoria, la questione in oggetto sarebbe comunque inammissibile
per difetto di rilevanza; e che «qualora poi il petitum sia di carattere
additivo, l’ordinanza omette di indicare in maniera sufficientemente
circostanziata il verso della pretesa addizione, ossia il contenuto normativo
che sarebbe necessario aggiungere alla disposizione indubbiata».
Nel merito, le società
costituite ne deducono, «in via del tutto subordinata», l’infondatezza, sia in relazione al prospettato vizio di
ragionevolezza, sia in relazione al cosidetto
cambiamento di scenario sindacale, in quanto «il dato costituzionale e quello
giurisprudenziale convergono nel senso che la capacità rappresentativa del
sindacato ai fini dell’attivazione della normativa di sostegno non è un fattore
esclusivamente aprioristico, bensì una qualità che trova la sua compiuta
realizzazione nella vicenda contrattuale. Ciò vuol dire che ai fini
dell’utilizzo delle misure di sostegno in azienda non è sufficiente l’astratta
testimonianza degli interessi dei lavoratori iscritti, ma anche l’assunzione di
una concreta responsabilità contrattuale».
1.3.– È intervenuto nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente la irrilevanza, e, quindi, la inammissibilità
della questione, atteso che l’eventuale
declaratoria di illegittimità dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori
determinerebbe il venir meno del criterio della sottoscrizione dei contratti
quale criterio selettivo per l’accesso ai diritti di cui al Titolo III dello
Statuto ma, in assenza di un diverso criterio selettivo, non darebbe titolo
all’associazione sindacale ricorrente di godere di quei diritti.
Nel merito, l’Autorità intervenuta
ritiene infondata la questione.
Sostiene che «la previsione di
particolari requisiti di rappresentatività ai fini del riconoscimento dei
diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori, contenuta
nelle lettere a) e b) del primo comma dell’art. 19, nella
sua formulazione originaria, trovava la propria ratio nell’esigenza di selezionare – attraverso puntuali indici
normativi – un sindacato che, per il fatto di essere più rappresentativo di un
altro, risultava meritevole di una speciale tutela e, conseguentemente,
risultava maggiormente titolato a vedersi riconoscere le prerogative di cui
allo Statuto dei lavoratori. Come già evidenziato dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 492 del 4 dicembre 1995, tale esigenza permane anche dopo
il referendum abrogativo e la finalità della norma nella sua nuova formulazione
rimane quella di garantire la suddetta selezione da operarsi sulla base
dell’unico parametro della sottoscrizione di contratti collettivi di lavoro
applicati nell’unità produttiva. Tale parametro consente di valorizzare
l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla
formazione della disciplina contrattuale collettiva quale indicatore di
maggiore rappresentatività direttamente conseguibile da ogni organizzazione
sindacale in base ai propri atti concreti ed oggettivamente verificabili.».
1.4.– Hanno depositato
memoria ad adiuvandum
1.5.– Con successiva
memoria,
1.6.– Anche
In detto atto, le tre
costituite Federazioni sottolineano, tra l’altro, come l’assetto imposto per la
contrattazione collettiva dall’art. 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148
– nel dare sostegno ad una contrattazione "separata”, per ciascuna singola
azienda – aggravi i vizi di incostituzionalità denunciati dai rimettenti.
1.7.– Ulteriore memoria è
stata depositata dalla CGIL e da Filcams nazionale e Filcams di Milano e provincia, per ribadire il rispettivo
interesse al proprio intervento ad adiuvandum anche in ragione dei numerosi segnalati casi
di organizzazioni, ad esse aderenti, che, pur essendo maggioritarie in azienda
per numero di aderenti, vengono escluse dalla titolarità dei diritti sindacali
sol perché non firmatarie dei contratti ivi applicati.
Con riguardo al
recentissimo Accordo interconfederale del 31 maggio 2013 – che ha posto alla
base, sia della titolarità dei diritti sindacali, sia dell’obbligo a trattare,
la regola della democrazia bilanciando il criterio associativo con quello
elettivo, esattamente al pari di quanto già realizzato da tempo nel settore
pubblico (artt. 42 e 43 del d.lgs. n. 165 del 2001) – gli intervenienti hanno
poi sottolineato come esso sia «tuttavia limitato al solo ordinamento
intersindacale facente capo a CGIL-CISL-UIL-Confindustria, con (momentanea?)
esclusione del terziario e degli altri settori (bancari, assicurativi, ecc.) e
soprattutto con la conferma della inefficacia di tale Accordo nei confronti
delle imprese dissenzienti non associate alla Confindustria come la FIAT».
2.– Ha dubitato della
legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970 anche il
Tribunale ordinario di Vercelli (ordinanza r.o. n. 287 del 2012), ravvisando il
vulnus, ad opera della norma
censurata, agli artt. 2, 3 e 39 Cost., con
motivazioni sostanzialmente analoghe e, in parte, testualmente riproduttive di
quelle svolte nella ordinanza del Tribunale ordinario di Modena, cui ha fatto adesivamente rinvio.
2.1.– Si è costituita nel
relativo giudizio
2.2.– Si è costituita
anche
2.3.– È intervenuto nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, svolgendo le medesime
argomentazioni di cui all’atto di intervento nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Modena.
2.4.– Ha depositato «atto
di intervento e deduzioni»
2.5.– Con memoria
depositata il 10 giugno 2013, FIAT Group s.p.a.,
premessa la inammissibilità dell’intervento ad
adiuvandum della FNSI, ha ulteriormente e
diffusamente argomentato, in subordine alla eccepita inammissibilità delle
questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Vercelli, la non fondatezza
delle stesse.
Nella prospettiva della
norma di riferimento – ha, tra l’altro, sostenuto – «non è sufficiente il
consenso come tale (peraltro scollegato dallo specifico processo negoziale,
perché dedotto da indici storici e presuntivi); è anche indispensabile,
beninteso al fine dell’accesso alle misure di sostegno, che il consenso venga
bensì utilizzato per sollecitare le soluzioni contrattuali le più favorevoli
possibili agli interessi dei quali si è portatori, ma senza sottrarsi alla
dialettica con le altre parti ed al naturale esito compositivo cui è destinata
a mettere capo. Allo stesso modo non può essere sufficiente la mera
partecipazione alle trattative che non si saldi con un concreto ed effettivo
risultato contrattuale».
2.6.– Anche
3.– A sua volta, il
Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza di rimessione in data 12
dicembre 2012 (r.o. n. 46 del 2013), emessa, nel corso di più giudizi riuniti,
tra la FIOM di Torino e varie società del Gruppo FIAT (Abarth & C. s.p.a. ed altre tredici), ha sollevato analoghe questioni
di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 39 Cost.,
dell’art. 19, primo comma, lettera b),
della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui limita la costituzione delle
rappresentanze sindacali aziendali alle sole associazioni firmatarie di
contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.
Rileva anche detto
giudice l’anacronismo del disposto in esame, sulla base sia del mutato contesto
delle relazioni sindacali che dell’evoluzione del quadro normativo.
3.1.– Si è costituita
3.2.– Anche
3.3.– È intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, reiterando le eccezioni di
inammissibilità e di infondatezza della questione già formulate in relazione
alle precedenti ordinanze di rinvio.
3.4.– Ha depositato
altresì «atto di intervento» l’Unione industriale della Provincia di Torino
che, previamente motivato il proprio interesse alla soluzione della questione
sollevata dal Tribunale di Torino, ne ha eccepito la inammissibilità e, in
subordine, la non fondatezza, con prospettazione adesiva a quella delle società
convenute nel giudizio a quo.
3.5.– In prossimità
dell’udienza, hanno depositato memoria, oltre alla FIOM di Torino, che ha
ribadito le argomentazioni svolte nel precedente giudizio, anche
3.6.– Altra memoria è
stata depositata dalla Unione industriale della Provincia di Torino. La quale
ha, a sua volta, ribadito il proprio interesse rispetto alla sollevata
questione di costituzionalità.
Considerato
in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Modena ha
sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), nel testo risultante dall’abrogazione parziale disposta – in
esito al referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5
aprile 1995, pubblicato nella
1.1.– La rilevanza della questione è
motivata dal rimettente in ragione del fatto che, nei giudizi (riuniti) innanzi
a lui pendenti, il sindacato ricorrente (FIOM) aveva denunciato il
comportamento antisindacale delle controparti imprenditoriali (varie società
del gruppo FIAT), le quali avevano disconosciuto la sua legittimazione a
costituire rappresentanze sindacali, nelle rispettive unità produttive, in
conseguenza, appunto, della mancata sottoscrizione del contratto collettivo,
ivi applicato, da parte di esso sindacato, che pure aveva attivamente
partecipato alle trattative che ne avevano preceduto la conclusione.
1.2.– In punto di non manifesta
infondatezza del così proposto quesito, il Tribunale a quo, muovendo dalla considerazione che la partecipazione al
negoziato è un dato che evidenzia l’effettiva forza contrattuale e, di
riflesso, la capacità rappresentativa del sindacato, ne inferisce la
«intrinseca irragionevolezza» del criterio selettivo della sottoscrizione del
contratto, espresso dalla disposizione denunciata, «nel [l’attuale] momento in
cui, applicato a fattispecie concrete, porta ad un risultato che contraddice il
presupposto a dimostrazione del quale il criterio stesso era stato elaborato».
Risultato cui, appunto, si perverrebbe nei processi a quibus, nei quali, alla luce di quel criterio, «dovrebbe
riconoscersi maggior forza rappresentativa alle associazioni firmatarie del
contratto […], anziché alla FIOM [che non lo ha sottoscritto], laddove in fatto
è incontestato il contrario».
1.3.– La soluzione di una lettura
estensiva della espressione "associazioni firmatarie”, nel senso della sua
riferibilità anche ad organizzazioni che abbiano comunque partecipato al
processo contrattuale – cui, in analoghe controversie, altri giudici di merito
sono pervenuti, in funzione di una "interpretazione adeguatrice” al dettato
costituzionale della disposizione in esame – non è, preliminarmente, ritenuta
condivisibile dal Tribunale rimettente, per l’univocità del dato testuale che
inevitabilmente vi si opporrebbe.
Da qui la conclusione che la reductio ad legitimitatem
della norma denunciata, in quella delineata direzione estensiva, non possa
altrimenti avvenire che attraverso un intervento (evidentemente additivo) di
questa Corte.
1.4.– Non ignora, peraltro, il
rimettente la sentenza
n. 244 del 1996, e la ordinanza n. 345
del 1996, di questa Corte, che hanno, rispettivamente, escluso la
fondatezza, e dichiarato poi la manifesta infondatezza, di identiche questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, in
riferimento ai medesimi parametri (artt. 3 e 39 Cost.) ora nuovamente evocati.
Ma ritiene che quelle pronunzie – legate ad un diverso contesto, connotato
dalla unitarietà di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione dei
contratti collettivi applicati in azienda, nel quale «ragionevolmente quella
sottoscrizione poteva essere assunta a criterio misuratore della forza del
sindacato e della sua rappresentatività» – vadano ora «ripensate alla luce dei
mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anni»,
caratterizzate dalla rottura della unità di azione delle organizzazioni
maggiormente rappresentative e dalla conclusione di contratti collettivi
"separati”.
Lo scenario delle attuali relazioni
sindacali risulterebbe, inoltre, ulteriormente, e profondamente, alterato dal
nuovo sistema contrattuale, definito «autoconcluso ed
autosufficiente», instaurato dalle società del Gruppo FIAT, le quali, uscite
dal sistema confindustriale e recedute dal Contratto Collettivo Nazionale di
Lavoro per i metalmeccanici, hanno stipulato, nelle rispettive aziende, un
separato contratto collettivo specifico di primo livello, sottoscritto appunto
solo da associazioni sindacali diverse dalla ricorrente.
Sarebbe mutato anche il quadro normativo
di riferimento, in ragione della copiosa legislazione che ha elevato la
contrattazione collettiva a fonte integrativa, suppletiva o derogatoria, della
propria disciplina, in correlazione, sempre, ad un parametro di effettiva, e
comparativamente maggiore, rappresentatività dei sindacati stipulanti.
Ed, appunto, alla luce di tali nuovi
dati di sistema e di contesto, il criterio selettivo di cui alla lettera b) del primo comma del denunciato art.
19 verrebbe ora a «tradire la ratio stessa
della disposizione dello Statuto, volta ad attribuire una finalità promozionale
e incentivante all’attività del sindacato quale portatore di interesse del
maggior numero di lavoratori, che trova una diretta copertura costituzionale
nel principio solidaristico espresso dall’art. 2 Cost., nonché nello stesso
principio di uguaglianza sostanziale, di cui al secondo comma dell’art. 3 della
Costituzione».
Si porrebbe, inoltre, quel criterio, in
insanabile contrasto con il precetto dell’art. 39 Cost., incidendo
negativamente sulla libertà di azione del sindacato, la cui decisione di
sottoscrivere o no un contratto collettivo ne risulterebbe inevitabilmente
«condizionata non solo dalla finalità di tutela degli interessi dei lavoratori,
secondo la funzione regolativa propria della contrattazione collettiva, bensì
anche dalla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) i
diritti del Titolo III, facenti capo direttamente all’associazione sindacale,
potendo le due esigenze, come nella fattispecie in esame, entrare in conflitto,
e dovendosi inoltre valutare la necessità, ai fini della sottoscrizione, del
consenso e della collaborazione di parte datoriale». Con l’ulteriore
conseguenza che, «in ipotesi estrema, ove la parte datoriale decidesse di non
firmare alcun contratto collettivo, non vi sarebbe nell’unità produttiva alcuna
rappresentanza sindacale».
2.– Sostanzialmente la stessa questione,
con coincidenti argomentazioni, è stata sollevata anche dal Tribunale ordinario
di Vercelli e dal Tribunale ordinario di Torino.
3.– I giudizi promossi da dette tre
ordinanze, avendo il medesimo oggetto, vanno riuniti e decisi con unica
sentenza.
4.– In via preliminare, deve essere
confermata l’ordinanza adottata nel corso dell’udienza pubblica, ed allegata
alla presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili gli
interventi adesivi spiegati dalla CGIL, FILCAMS di Milano e Provincia e dalla
Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) nei giudizi di cui,
rispettivamente, all’ordinanza del Tribunale ordinario di Modena ed a quella
del Tribunale ordinario di Vercelli, nonché l’intervento ad opponendum dell’Associazione Unione
industriale della Provincia di Torino, nel giudizio relativo all’ordinanza del
Tribunale di detta città.
5.– È ancora preliminare l’esame delle
eccezioni di inammissibilità della questione formulate da tutte le società
resistenti nei giudizi a quibus e dal
Presidente del Consiglio.
5.1.– Ad avviso delle predette
resistenti, l’odierna questione sarebbe, infatti, inammissibile perché identica
a quella già decisa, nel senso della non fondatezza, con la sentenza di questa
Corte n. 244 del 1996; ovvero per incertezza e perplessità del petitum che
comunque, se additivo, «omette[rebbe] di indicare in
maniera sufficientemente circostanziata il "verso” della pretesa addizione» e,
se demolitorio, renderebbe la questione stessa priva di rilevanza.
Argomento, quest’ultimo, fatto valere
anche dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale «l’eventuale
declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 19, lettera b), dello Statuto dei lavoratori determinerebbe
il venir meno del criterio della sottoscrizione dei contratti quale criterio
selettivo per l’accesso ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in
assenza di un diverso criterio selettivo, non darebbe titolo all’associazione
sindacale di godere di quei diritti».
Con riguardo, poi, alle sole ordinanze
dei Tribunali ordinari di Vercelli e di Torino, le società resistenti nei
rispettivi processi promossi ai sensi dell’art. 28 della citata legge n. 300
del 1970 hanno ulteriormente eccepito il «difetto di motivazione in punto di
(pretesa) non manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale sotto i profili enunciati», per essersi detti giudici limitati a
motivare per relationem
all’ordinanza del Tribunale ordinario di Modena.
5.2.– Nessuna delle prospettate
eccezioni può essere accolta.
In primo luogo, non è esatto che
l’esistenza di una precedente pronuncia di non fondatezza (ed anche di
manifesta infondatezza) di una questione (ove pur) identica a quella riproposta
dal giudice a quo sia, come si
eccepisce, ostativa all’ammissibilità di quest’ultima, potendo un tal
precedente unicamente, invece, rilevare nella successiva fase di esame del
merito della questione stessa, alla luce degli eventuali nuovi profili
argomentativi a suo supporto offerti dal rimettente.
Non è poi sostenibile che il petitum della
odierna questione sia incerto o perplesso, poiché ciò che i giudici a quibus chiedono ora a questa Corte –
in ragione della prospettata incostituzionalità dell’art. 19, primo comma,
lettera b), della legge n. 300 del
1970 – non è una decisione demolitoria, che effettivamente darebbe luogo ad un
vuoto normativo colmabile solo dal legislatore, bensì, inequivocabilmente, una
pronuncia additiva che consenta (ciò che, appunto, altri giudici di merito
hanno ritenuto di poter direttamente desumere in via di interpretazione
sistematica, evolutiva o, comunque, costituzionalmente adeguata della norma
stessa) di estendere la legittimazione alla costituzione di rappresentanze
aziendali anche ai sindacati che abbiano attivamente partecipato alle
trattative per la stipula di contratti collettivi applicati nell’unità
produttiva, ancorché non li abbiano poi sottoscritti (per ritenuta loro non
idoneità a soddisfare gli interessi dei lavoratori).
E, in tal senso, il "verso” della addictio
richiesta – e che, in relazione ai parametri evocati, si prospetta come
obbligata – si sottrae, evidentemente, anche alla eccezione di non
sufficientemente circostanziata sua indicazione.
L’inammissibilità non può essere,
infine, riferita neppure alle sole ordinanze dei Tribunali di Vercelli e di
Torino. Le quali, lungi dall’essere motivate solo per relationem alla precedente ordinanza
del Tribunale di Modena, nel condividerne il petitum, richiamano puntualmente,
e sviluppano anche ulteriormente, le argomentazioni che lo sorreggono.
6.– Nel merito, le questioni sono
fondate.
6.1.– L’articolo 19, primo comma,
lettera b), dello Statuto dei
lavoratori è stato ripetutamente sottoposto all’esame di questa Corte.
Le prime pronunce hanno riguardato la
versione originaria di detto articolo, anteriore al referendum del 1995, ossia
quella per la quale «Rappresentanze sindacali aziendali possono essere
costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative
sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle
predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali
o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva».
I dubbi di legittimità costituzionale
investivano, in quel contesto, la mancata attribuzione ad ogni associazione
sindacale esistente nel luogo di lavoro della possibilità di costituire
rappresentanze sindacali aziendali.
Nell’affermare la razionalità del
disegno statutario, con i due livelli di protezione accordata alle
organizzazioni sindacali (libertà di associazione, da un lato, e selezione dei
soggetti collettivi fondata sul principio della loro effettiva
rappresentatività, dall’altro),
6.2.– A partire dalla seconda metà degli
anni ottanta si è sviluppato, però, un dibattito critico in vista di una
esigenza di revisione del meccanismo selettivo della "maggiore
rappresentatività” previsto ai fini della costituzione delle rappresentanze nei
luoghi di lavoro.
Ed è stata proprio questa Corte a
segnalare, con un monito al legislatore, l’ormai ineludibile esigenza di
elaborare nuove regole che conducessero a un ampliamento della cerchia dei
soggetti chiamati ad avere accesso al sostegno privilegiato offerto dal Titolo
III dello Statuto dei lavoratori, oltre ai sindacati maggiormente
rappresentativi (sentenza
n. 30 del 1990).
L’invito al legislatore è stato ribadito
nella sentenza
n. 1 del 1994, che ha dato ingresso ai due quesiti referendari che in
quell’occasione la Corte era chiamata ad esaminare: il primo, "massimalista”,
volto ad ottenere «l’abrogazione di tutti i criteri di maggiore
rappresentatività adottati dall’art. 19, nelle lettere a e b», e il secondo,
"minimalista”, mirante all’abrogazione dell’indice presuntivo di
rappresentatività previsto dalla lettera a)
e all’abbassamento al livello aziendale della soglia minima di verifica della
rappresentatività effettiva prevista dalla lettera b).
In quella decisione, nella
consapevolezza dei profili di criticità che avrebbero potuto annidarsi nel
testo risultante dall’eventuale conformazione referendaria, nuovamente, questa
Corte sottolineò che, comunque «il legislatore potrà intervenire dettando una
disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, improntata a modelli di
rappresentatività sindacale compatibili con le norme costituzionali e in pari
tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo e alle
nuove spinte aggregative degli interessi collettivi dei lavoratori».
6.3.– Come è noto, in occasione del
referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1995 e
tenutosi l’11 giugno 1995, ottenne il quorum
solo "il quesito minimalista”, dando luogo all’attuale art. 19, che attribuisce
il potere di costituire rappresentanze aziendali alle sole associazioni
sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva di
qualunque livello essi siano, dunque anche di livello aziendale.
Nel commentare la normativa "di
risulta”, non si mancò di sottolineare come questa – pur coerente con la ratio referendaria di allargare il più possibile
le maglie dell’agere sindacale anche a soggetti nuovi che
fossero realmente presenti ed attivi nel panorama sindacale – rischiasse, però,
nella sua accezione letterale, di prestare il fianco ad una applicazione sbilanciata:
per un verso, in eccesso, ove l’espressione «associazioni firmatarie» fosse
intesa nel senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente
adesiva, del contratto a fondare la titolarità dei diritti sindacali in azienda
(con virtuale apertura a sindacati di comodo); e, per altro verso, in difetto,
ove interpretata, quella espressione, come ostativa al riconoscimento dei
diritti in questione nei confronti
delle associazioni che, pur connotate da una azione sindacale sorretta da ampio
consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non sottoscrivere il contratto
applicato in azienda. E ciò con il risultato, nell’un caso e nell’altro, di una
alterazione assiologica e funzionale della norma stessa, quanto al profilo del
collegamento, non certamente rescisso dall’intervento referendario, tra
titolarità dei diritti sindacali ed effettiva rappresentatività del soggetto
che ne pretende l’attribuzione.
6.4.– Le pronunzie di questa Corte, nel
quinquennio successivo al referendum – sentenza n. 244 del
1996, ordinanze
n. 345 del 1996, n. 148 del 1997
e n. 76 del 1998
– hanno fornito indicazioni, per quanto in concreto sottoposto al suo esame, solo con riguardo al
primo dei due sottolineati punti critici.
E, per questo aspetto, l’art. 19, «pur
nella versione risultante dalla prova referendaria», ha superato il vaglio di
costituzionalità sulla base di una esegesi costituzionalmente orientata, che ha
condotto ad una sentenza interpretativa di rigetto. In virtù della quale, dalla
premessa che «la rappresentatività del sindacato non deriva da un
riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattizia», bensì dalla
«capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro come controparte
contrattuale», la Corte ha inferito che «Non è perciò sufficiente la mera
adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una
partecipazione attiva al processo di formazione del contratto», e che «nemmeno
è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di
un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno
per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via
integrativa, a livello aziendale di un contratto nazionale o provinciale già
applicato nella stessa unità produttiva» (sentenza n. 244 del
1996).
In questi termini, la Corte ha ritenuto
che l’indice selettivo di cui alla lettera b),
del primo comma, dell’art. 19 dello
Statuto dei lavoratori «si
giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalità pratica, per
la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione della forza di
un sindacato, e, di riflesso, della sua rappresentatività, tipicamente proprio
dell’ordinamento sindacale».
6.5.– Nell’attuale mutato scenario delle
relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali, quale diffusamente
descritto ed analizzato dai giudici a
quibus, l’altro (speculare) profilo di contraddizione (per sbilanciamento
in difetto) – teoricamente, per quanto detto, già presente nel sistema della
lettera b) del primo comma, dell’art.
19, ma di fatto sin qui oscurato dalla esperienza pratica di una perdurante
presenza in azienda dei sindacati confederali – viene invece ora compiutamente
ad emersione. E si riflette nella concretezza di fattispecie in cui, come
denunciato dai rimettenti, dalla mancata sottoscrizione del contratto
collettivo è derivata la negazione di una rappresentatività che esiste, invece,
nei fatti e nel consenso dei lavoratori addetti all’unità produttiva.
In questa nuova prospettiva si richiede,
appunto, una rilettura dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, che ne riallinei il contenuto
precettivo alla ratio che lo
sottende.
6.6.– L’aporia indotta dalla esclusione
dal godimento dei diritti in azienda del sindacato non firmatario di alcun
contratto collettivo, ma dotato dell’effettivo consenso da parte dei
lavoratori, che ne permette e al tempo stesso rende non eludibile l’accesso alle
trattative, era già stata del resto rilevata; e dalle riflessioni svolte in
proposito era scaturita anche la sollecitazione ad una interpretazione
adeguatrice della norma in questione, alla stregua della quale, superandosi lo
scoglio del suo tenore letterale, che fa espresso riferimento ai sindacati
"firmatari”, si ritenesse condizione necessaria e sufficiente, per soddisfare
il requisito previsto dall’art. 19, quella di aver effettivamente partecipato
alle trattative, indipendentemente dalla sottoscrizione del contratto.
Interpretazione di cui si è sostenuta la coerenza con la richiamata
giurisprudenza costituzionale in materia di irrilevanza, ai fini dell’art. 19,
primo comma, lettera b), dello
Statuto dei lavoratori, della mera sottoscrizione del contratto collettivo non
preceduta dalla effettiva partecipazione alle trattative.
I Tribunali rimettenti, a differenza di
quanto ritenuto da altri giudici di merito, hanno escluso, però, la possibilità
della richiamata interpretazione adeguatrice, reputata incompatibile con il
testo dell’art. 19, e perciò hanno sollevato le questioni di legittimità
costituzionale all’odierno esame, al fine di conseguire, attraverso una
pronuncia additiva, quel medesimo risultato di estensione della titolarità dei
diritti sindacali, sulla base della nozione di "effettività dell’azione
sindacale”, alle organizzazioni che abbiano partecipato alle trattative,
ancorché non firmatarie del contratto.
7.– La Corte giudica corretta questa
opzione ermeneutica, risultando effettivamente univoco e non suscettibile di
una diversa lettura l’art. 19, tale, dunque, da non consentire l’applicazione
di criteri estranei alla sua formulazione letterale.
Ma alla luce di una siffatta testuale
interpretazione la disposizione in oggetto non sfugge alle censure sollevate
dai rimettenti.
Infatti, nel momento in cui viene meno
alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro
rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece
in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a
livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non
potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della
sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in
collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost.
Risulta, in primo luogo, violato l’art.
3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel
criterio, e della disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra
sindacati. Questi ultimi infatti nell’esercizio della loro funzione di
autotutela dell’interesse collettivo – che, in quanto tale, reclama la garanzia
di cui all’art. 2 Cost. – sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non
già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale)
della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione
alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante
attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla
conclusione di un contratto con la stessa.
E se, come appena dimostrato, il modello
disegnato dall’art. 19, che prevede la stipulazione del contratto collettivo
quale unica premessa per il conseguimento dei diritti sindacali, condiziona il
beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con l’impresa, o quanto
meno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione
sindacale, risulta evidente anche il vulnus
all’art. 39, primo e quarto comma, Cost., per il contrasto che, sul piano
negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione della
organizzazione sindacale.
La quale, se trova, a monte, in ragione
di una sua acquisita rappresentatività, la tutela dell’art. 28 dello Statuto nell’ipotesi
di un eventuale, non giustificato, suo negato accesso al tavolo delle
trattative, si scontra poi, a valle, con l’effetto legale di estromissione
dalle prerogative sindacali che la disposizione denunciata automaticamente
collega alla sua decisione di non sottoscrivere il contratto. Ciò che si
traduce, per un verso, in una forma impropria di sanzione del dissenso, che
innegabilmente incide, condizionandola, sulla libertà del sindacato in ordine
alla scelta delle forme di tutela ritenute più appropriate per i suoi
rappresentati; mentre, per l’altro verso, sconta il rischio di raggiungere un
punto di equilibrio attraverso un illegittimo accordo ad excludendum.
8.– Va, pertanto, dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella
parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere
costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie
dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque
partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali
rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
9.– L’intervento additivo così operato
dalla Corte, in coerenza con il petitum dei
giudici a quibus e nei limiti di rilevanza
della questione sollevata, non affronta il più generale problema della mancata
attuazione complessiva dell’art. 39 Cost., né individua – e non potrebbe farlo
– un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini del
riconoscimento della tutela privilegiata di cui al Titolo III dello Statuto dei
lavoratori in azienda nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato
nell’unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per
impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale.
Ad una tale evenienza può astrattamente
darsi risposta attraverso una molteplicità di soluzioni. Queste potrebbero
consistere, tra l’altro, nella valorizzazione dell’indice di rappresentatività
costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo
a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia
di sbarramento, o nell’attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello
Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale
e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente,
oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere
rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l’opzione
tra queste od altre soluzioni.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19,
primo comma, lettera b), della legge
20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la
rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di
associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi
applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione
relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori
dell’azienda.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Depositata in
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