SENTENZA N. 186
ANNO 2013
Commento alla decisione di
Edmondo Cacace
(per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– Legge di stabilità 2011), come modificato dall’articolo 17, comma 4, lettera
e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio
2011, n. 111, promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Campania,
sezione staccata di Salerno, con due ordinanze del 7 settembre 2011 e con una
ordinanza dell’11 ottobre 2011, dal Tribunale amministrativo regionale della
Campania, sede di Napoli, con ordinanza del 14 dicembre 2011, dal Tribunale
ordinario di Napoli con ordinanza del 21 novembre 2011, dal Tribunale ordinario
di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con due ordinanze del 12 dicembre
2011 e del 24 maggio 2012, ciascuna rispettivamente iscritta ai nn. 16, 17, 18,
50, 58, 137 e 189 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 8, n. 14, n. 16, n. 28 e n. 38, prima serie
speciale, dell’anno 2012.
Visti gli atti di costituzione di A. M. ed altri, della
Azienda Sanitaria Locale Salerno di Salerno (già Asl 111 - Salerno 1), di B.
R., del Centro Antidiabete Emotest S.r.l. ed altra, nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato Alfonso Celotto per A. M. ed altri,
Maria D’Elia per l’Azienda Sanitaria Locale Salerno di Salerno (già Asl 111 -
Salerno 1), Roberto Buonanno per R. B. e per il Centro Antidiabete Emotest S.r.l.
ed altra e l’avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1.− Con quattro ordinanze di
contenuto sostanzialmente identico, delle quali due depositate in data 7
settembre 2011, una in data 11 ottobre 2011 e l’ultima in data 14 dicembre 2011
(recanti rispettivamente i nn. 16, 17, 18 e 50 del registro ordinanze 2012), il
Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede staccata di Salerno e,
quanto all’ultima ordinanza, sede di Napoli, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma primo, 24,
commi primo e secondo, 41 e 111, comma secondo, della Costituzione, dell’art.
1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2011), nella parte in cui, nella sua originaria formulazione, prevede che,
nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dei
disavanzi sanitari, sottoscritto ai sensi della legge 30 dicembre 2004, n. 311
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– Legge finanziaria 2005), non possono essere intraprese o proseguite azioni
esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31
dicembre 2011.
Il rimettente riferisce di essere
chiamato a giudicare in ordine a quattro distinti giudizi di ottemperanza
fondati su numerosi decreti ingiuntivi, emessi nei confronti di aziende
sanitarie, ospedaliere e locali, aventi sede nella Regione Campania, divenuti
esecutivi per mancata opposizione.
Il rimettente, pur riscontrata la
astratta azionabilità in sede di ottemperanza amministrativa dei titoli
costituiti dai ricordati provvedimenti monitori, rileva che, in concreto, osta
alla procedibilità della azione per l’esecuzione del giudicato il dettato
dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010.
1.1.− Infatti, dato atto che la
Regione Campania, con deliberazione del 20 marzo 2007, ha approvato, onde
riequilibrare la condizione di dissesto finanziario in cui si trovavano gli
enti del Servizio sanitario regionale, un piano di rientro, oggetto di accordo
con lo Stato, e che il Governo nazionale, con deliberazione del 24 luglio 2009,
ha nominato il Presidente della Giunta regionale campana commissario ad acta
per l’attuazione del detto piano, il rimettente rileva che, date le descritte
premesse, dovendosi applicare il citato art. 1, comma 51, della legge n. 220 del
2010, le azioni esecutive introdotte dovrebbero essere dichiarate
improcedibili.
Tale conclusione, però, appare al
rimettente tale da far ipotizzare, in maniera non manifestamente infondata, la
violazione degli artt. 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, 41 e 111,
comma secondo, Cost.
Al fine di dimostrare tale assunto, il
TAR rimettente rammenta che, già con la legge 23 dicembre 2009, n. 191
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– Legge finanziaria 2010), il legislatore nazionale aveva escluso la
possibilità di intraprendere o proseguire le azioni esecutive nei confronti
delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere situate nelle Regioni che avevano
sottoscritto piani di rientro del disavanzo sanitario. Oltre a tale blocco,
previsto per la durata di un anno dalla entrata in vigore della legge, era,
altresì, previsto che i pignoramenti eventualmente già eseguiti non avessero
efficacia nei confronti dei debitori né dei loro tesorieri, potendo costoro disporre
dei beni eventualmente vincolati.
Prosegue il rimettente osservando che, a
brevissima distanza dalla sua entrata in vigore, la predetta disposizione fu
modificata − in occasione della conversione in legge del decreto-legge 30
dicembre 2009, n. 194 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative), intervenuta con la legge 26 febbraio 2010, n. 25 − nel
senso che, fermo il resto, la impossibilità di procedere ad azioni esecutive
era stata ridotta da 12 a soli 2 mesi.
Pertanto, a decorrere dal 1° marzo 2010
era stato ripristinato il diritto dei creditori di agire in executivis per la
soddisfazione dei loro diritti; tuttavia, la situazione di grave disagio
finanziario regionale ha presto indotto il legislatore statale ad intervenire
nuovamente: infatti, con l’art. 11, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività
economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,
è stata reintrodotta, al fine di agevolare il raggiungimento dei risultati
indicati nel piano di rientro, la inibitoria delle azioni esecutive nei
confronti delle aziende del comparto sanitario sino al 31 dicembre 2010.
La nuova disposizione peraltro differiva
sostanzialmente rispetto alle precedenti in quanto, diversamente da queste, non
prevedeva lo svincolo dei beni già sottoposti a pignoramento.
In un momento ancora successivo,
continua il rimettente, il legislatore è intervenuto con la disposizione ora
censurata che non solo reitera il blocco delle azioni esecutive sino al 31
dicembre 2011 − data questa, osserva lo stesso rimettente, ulteriormente
differita al 31 dicembre 2012 per effetto del sopravvenuto art. 17, comma 4,
lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15
luglio 2011, n. 111 − ma reintroduce anche lo svincolo delle somme già
staggite.
1.2.− Passando ad esaminare i
profili di non manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale proposta, il rimettente rileva che la disposizione censurata −
introducendo una disciplina che nega al creditore la soddisfazione concreta ed
effettiva dei propri diritti − si pone in contrasto con gli artt. 24,
commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost.
Precisa il rimettente che, per effetto
del citato art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, è stata resa «inutile
la possibilità riconosciuta ai creditori di agire in giudizio al fine di
ottenere il soddisfacimento delle obbligazioni dagli stessi vantate nei
confronti delle aziende sanitarie e ospedaliere delle Regioni soggette a
commissariamento». Ciò tanto più ove si consideri che la predetta disposizione,
rendendo inefficaci i pignoramenti già eseguiti, consente ai debitori, in
aperto contrasto con l’art. 24 Cost., di rientrare nella piena disponibilità
dei beni sino a quel momento vincolati alla soddisfazione dei creditori
esecutanti.
1.2.1.− La medesima disposizione
sarebbe, d’altro canto, in contrasto con l’art. 111 Cost. poiché altererebbe le
condizioni di parità fra i litiganti, ponendo la parte pubblica in una
posizione di ingiustificato privilegio, incidendo, altresì, sulla ragionevole
durata del processo.
Né varrebbe a smentire l’assunto il fatto
che si tratta di disposizione avente una limitata efficacia nel tempo; infatti,
per un verso, il legislatore ha provveduto già a reiterare la disposizione
prolungandone nel tempo gli effetti e, per altro verso, anche la «mera
sospensione del diritto di azione a tutela del proprio credito» può avere
effetti pregiudizievoli sulla situazione giuridica e patrimoniale del
creditore.
Egualmente irrilevante sarebbe la
circostanza che l’eventuale pronunzia che dichiari inammissibile l’azione
esecutiva non ne pregiudicherebbe la riproposizione una volta venuta meno la
disciplina inibitoria, posto che lo scrutinio sulla ragionevole durata del
processo va svolto in funzione del tempo necessario per il soddisfacimento
della pretesa sostanziale, essendo necessario «considerare la durata
complessiva della vicenda giudiziaria».
In tal senso il rimettente richiama
anche i principi formatisi un seno alla Unione europea e consacrati sia nel
Trattato di Lisbona che nella cosiddetta Carta di Nizza.
1.2.2.− Con riferimento alla
violazione dell’art. 3 Cost. il rimettente rileva che l’improcedibilità delle
azioni esecutive è stabilita dalla disposizione censurata in considerazione
della adozione di atti amministrativi «aventi natura previsionale e
programmatica» e, pertanto, a contenuto generico.
La posizione di chi operi nella Regione
Campania è, di conseguenza, del tutto sperequata rispetto a quella di chi,
invece, operi in Regioni ove il divieto di esperimento delle azioni esecutive
non è previsto; né, osserva il rimettente, siffatto divieto è caratterizzato da
«ragionevolezza ed adeguatezza» rispetto allo scopo dichiarato di riequilibrare
la situazione finanziaria degli enti debitori: infatti i debiti in questione
rimangono, comunque, in carico all’ente, costituendo la massa passiva del suo
bilancio.
Nel bilanciamento degli interessi,
quello del privato di ricevere quanto a lui dovuto e quello pubblico teso al
ristabilimento finanziario della azienda sanitaria, il primo viene sacrificato
senza «una reale contropartita, in favore del secondo».
1.2.3.− Infine il rimettente,
quanto al dedotto contrasto con l’art. 41 Cost., osserva che il soggetto
imprenditore che intrattenga rapporti economici con le amministrazioni del
comparto sanità, non potendo fare affidamento sulla puntualità del suo debitore
nell’adempimento delle sue obbligazioni, non può programmare la sua attività
d’impresa ed è costretto, onde far fronte alle proprie scadenze, a ricorrere ad
onerosi finanziamenti bancari.
A tal riguardo il rimettente richiama
ampiamente la disciplina, di ispirazione comunitaria, volta a contrastare i
ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali.
1.3.− Con riferimento alla
rilevanza della questione il TAR della Campania rileva che, sulla sola base
della censurata disciplina, i giudizi a quibus dovrebbero essere tutti
dichiarati inammissibili.
2.− In ciascuno dei giudizi è
intervenuto, con comparsa di identico contenuto, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per l’infondatezza della questione.
La difesa pubblica, ricostruite le
ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre misure volte a garantire
l’effettiva responsabilità regionale in materia di spesa sanitaria, fra le
quali vi è l’esistenza di un piano di rientro dai disavanzi, e illustrata
brevemente la disciplina ed il contenuto di quest’ultimo, volto, fra l’altro, a
conseguire una attendibile certezza della situazione relativa all’esposizione
debitoria regionale in ambito sanitario, precisa che la disposizione della cui
legittimità costituzionale si dubita ha l’obbiettivo di «garantire una
temporanea quiete del contenzioso», sì da permettere la ricostruzione delle
posizioni debitorie da ristorare integralmente per poter, quindi, raggiungere
il fine strutturale di razionalizzare la spesa e regolarizzare i pagamenti.
2.1.− Con riferimento alle singole
censure, la difesa erariale esclude la violazione dell’art. 3 Cost. contestando
che la disposizione censurata abbia la natura di legge provvedimento, essendo,
invece, caratterizzata, «per quanto in misura ridotta», dai requisiti della
generalità ed astrattezza. Peraltro, aggiunge l’Avvocatura dello Stato, non
sussistendo alcun divieto di emanare leggi aventi un contenuto provvedimentale,
lo scrutinio sulla loro ragionevolezza va svolto in termini concreti e non in
astratto.
Nella specie, tale scrutinio conduce ad
un risultato positivo in quanto la norma si è resa necessaria per consentire, a
fronte dell’eccezionale gravità del dissesto finanziario regionale, il
risanamento del disavanzo attraverso l’adozione di specifici piani di rientro.
La procedura, finalizzata alla
soddisfazione di tutti i creditori, è incompatibile con l’esperimento di azioni
esecutive individuali, in quanto sarebbe impossibile garantire la par condicio creditorum se si consentisse a
ciascun creditore di agire per soddisfare il proprio credito.
La disposizione impugnata, eccezionale e
temporanea, persegue, perciò, il duplice fine di consentire il risanamento
dell’ente garantendone i compiti istituzionali e di assicurare il pagamento dei
debiti nel rispetto della par condicio fra i creditori.
Segnala l’interveniente difesa
l’analogia con la disciplina fallimentare, chiarendo come lo scopo della norma
sia di «deviare» la soddisfazione del credito vantato nei confronti delle
aziende sanitarie dalla procedura esecutiva individuale alla speciale procedura
di risanamento. In tale modo, lungi dal violare il principio di eguaglianza, lo
verrebbe ad attuare, come già affermato dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale.
Neppure sarebbero violati gli artt. 24,
commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost. poiché, per un verso, l’art.
1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 consentirebbe la soddisfazione di
tutti i creditori e non solo di quelli che per primi hanno agito in executivis, e, per altro verso, come
detto, la sospensione delle azioni esecutive da essa prevista ha durata
limitata nel tempo. A tale riguardo viene ricordata la giurisprudenza della
Corte costituzionale con la quale è stata riconosciuta la legittimità della
normativa che ha disposto la sospensione «per un periodo transitorio ed
essenzialmente limitato» della esecuzione degli sfratti.
Quanto, infine, alla lamentata
violazione dell’art. 41 Cost., la difesa pubblica ne esclude la sussistenza,
osservando che la disciplina censurata si limita a regolamentare l’ipotesi,
riconducibile al normale rischio di impresa, della insolvenza del debitore,
indirizzandosi verso l’instaurazione di un regime di spesa che consenta il
risanamento della condizione di quest’ultimo.
In tal modo, precisa, non pregiudica ma,
anzi, garantisce l’esercizio del diritto di impresa, che, invece, verrebbe
pregiudicato proprio dal protrarsi della situazione di dissesto.
3.− Si sono costituite in
giudizio, limitatamente alla ordinanza rubricata al n. 18 del registro
ordinanze 2012, le numerose parti ricorrenti nel giudizio a quo, che,
riportandosi, spesso in maniera assolutamente testuale, al contenuto
dell’ordinanza di rimessione, ne sollecitano l’accoglimento delle conclusioni.
In via subordinata sollecitano una pronunzia a carattere interpretativo nella
quale sia precisato che, essendo il blocco delle azioni esecutive finalizzato a
consentire la regolare attuazione del piano di rientro predisposto dalla
Regione, esso dovrebbe essere limitato ai debiti contratti sino alla data del
31 dicembre 2009, data in riferimento alla quale deve essere compiuta la
ricognizione della situazione debitoria onde predisporre il piano di rientro.
Sarebbe, infatti, ad avviso delle costituite parti private, del tutto
irragionevole consentire alle aziende sanitarie campane di contrarre ulteriori
debiti, il cui pagamento potrebbe avvenire solo dopo il 1° gennaio 2013. Il
bilanciamento degli interessi si avrebbe, invece, tenendo separati i debiti
maturati sino al dissesto, il cui pagamento rimane sospeso, da quelli, quali i
crediti vantati dalle concludenti parti private, successivi alla dichiarazione
di dissesto.
3.1.− In relazione al giudizio
scaturito dalla medesima ordinanza di rimessione si è costituita in giudizio
anche la Azienda sanitaria locale Salerno di Salerno, chiedendo che sia
dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale
della disposizione censurata.
La difesa della Azienda, svolta una
ampia ricostruzione della normativa pertinente ed illustrate le operazioni
intraprese − sia, in generale, nella Regione Campania sia, in
particolare, da essa Azienda − onde ripianare la situazione di dissesto,
provvedendo alla soddisfazione delle posizioni creditorie, osserva, con
specifico riferimento alla questione di legittimità costituzionale in esame,
che è del tutto compatibile coi principi costituzionali la previsione,
temporanea ed eccezionale, da parte del legislatore della sospensione delle
procedure esecutive nei confronti delle aziende sanitarie delle Regioni già
commissariate, al fine di permettere la soddisfazione dei debiti su di esse
gravanti secondo modalità tali da non pregiudicare lo svolgimento delle loro essenziali
funzioni. Ciò in quanto deve ritenersi prevalente l’interesse allo svolgimento
del piano di rientro, finalizzato all’ordinato pagamento dei debiti gravanti
sugli enti sanitari, che, invece, potrebbe essere turbato dall’esperimento
delle singole azioni esecutive.
4.− Con ordinanza depositata il 21
novembre 2011 (recante il n. 58 del registro ordinanze 2012), anche il
Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97
e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 51,
della legge n. 220 del 2010.
Adito in sede di opposizione ai sensi
dell’art. 617 del codice di procedura civile avverso l’ordinanza con la quale è
stata dichiarata la improcedibilità di una esecuzione intrapresa nei confronti
di una azienda sanitaria locale di Napoli, il giudice rimettente ricorda,
innanzitutto, le disposizioni normative precedenti a quella ora censurata ed
aventi analogo contenuto, fra le quali in particolare l’art. 25, comma 2, della
legge della Regione Campania 19 gennaio 2009, n. 1 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annulale e pluriennale della Regione Campania – Legge
finanziaria per l’anno 2009), oggetto di pronunzia di illegittimità
costituzionale con sentenza della
Corte costituzionale n. 123 del 2010, ed illustra il contesto normativo che
le riguarda, con particolare attenzione alla normativa in materia di ripiano
dal disavanzo finanziario del servizio sanitario. Individua, quindi, nella
esigenza di assicurare la realizzazione del piano di rientro dal disavanzo
sanitario con salvezza delle funzioni istituzionali svolte dalla azienda
sanitaria la ratio della disposizione censurata. Ciò, aggiunge il rimettente, è
possibile solo impedendo l’attivazione di procedure esecutive singolari che,
invece, se intraprese, sottrarrebbero risorse destinate ai compiti sanitari.
4.1.− Passando a scrutinare il
modo col quale tale intento è stato perseguito dal legislatore, il Tribunale di
Napoli osserva che l’effetto della disciplina in esame sulle procedure
esecutive in corso non è quello di una mera sospensione di esse ma è tale da
determinarne una chiusura anticipata in assenza di soddisfazione per il
creditore. Le dette procedure, infatti, o sono chiuse con pronunzia di
inammissibilità, se introdotte successivamente alla entrata in vigore della
legge n. 220 del 2010, ovvero lo sono con pronunzia di improcedibilità, se a
tale data già pendenti.
Riprova di quanto sopra è data dal fatto
che la legge prevede anche la inefficacia dei pignoramenti già eseguiti,
circostanza questa che impedirebbe in radice la prosecuzione della azione
esecutiva allo scadere del termine indicato dalla disposizione censurata,
essendo venuto meno il vincolo sul bene asservito alla procedura.
4.2.− Ritiene il rimettente che,
pertanto, la detta disposizione violi l’art. 24 Cost. Ricordato che le garanzie
poste da tale norma costituzionale riguardano anche il processo di esecuzione,
il rimettente osserva che il divieto di azioni esecutive previsto dall’art. 1,
comma 51, della legge n. 220 del 2010 contrasta con la stessa sia nella parte
in cui «dispensa dalla aggressione esecutiva» l’intero patrimonio del debitore
e non specifici beni aventi una destinazione funzionale al perseguimento di
interessi primari, sia nella parte in cui esso, stante la reiterazione dei
provvedimenti legislativi che lo prevedono, ha una considerevole estensione
temporale, tale da escluderne la natura meramente transitoria, sia nella parte
in cui è soggetto alla sola condizione che l’esecuzione sia rivolta in danno di
un’azienda sanitaria avente sede in una delle Regioni commissariate ai sensi
della legge n. 311 del 2004.
A tal proposito, il rimettente rileva
come in passato disposizioni di contenuto analogo prevedevano non solo che il
vincolo di impignorabilità riguardasse determinati beni necessari per lo
svolgimento di funzioni definite di primaria importanza e che esso fosse
preceduto da uno specifico provvedimento amministrativo col quale erano quantificati
i beni necessari per la soddisfazione delle predette funzioni, ma anche che
esso fosse assoggettato alla condizione del riscontro dell’effettivo utilizzo
dei beni per gli scopi prestabiliti, venendo meno ove i beni fossero stati
utilizzati per finalità diverse da quelle salvaguardate dalla legge.
La mancanza di meccanismi di verifica e
controllo analoghi a quelli ora indicati rende arbitrario il sacrificio
attualmente imposto al creditore della azienda sanitaria, potendo questa, senza
incorrere in sanzioni, destinare le sue risorse finanziarie ad impieghi diversi
dalla estinzione dei debiti secondo il piano di rientro.
Ancora più evidente sarebbe la
violazione dell’art. 24 Cost. nell’ipotesi di pignoramenti già eseguiti prima
della vigenza della legge n. 220 del 2010, dato che in tale ipotesi il
creditore, a seguito della, per lui infruttuosa, chiusura della procedura,
subirebbe anche il danno patrimoniale connesso alle spese processuali
inutilmente anticipate.
4.3.− Riguardo alla violazione
dell’art. 3 Cost., il rimettente segnala, per un verso, la discriminazione
consistente nel diverso trattamento normativo gravante sui creditori delle
aziende sanitarie ubicate in Regioni commissariate rispetto a quello
applicabile ai creditori delle analoghe aziende ubicate in altre Regioni e, per
altro verso, la più favorevole condizione in cui si trovano, rispetto alla
generalità delle aziende sanitarie, quelle ubicate nelle Regioni commissariate,
godendo di «una sorta di immunità totale dall’espropriazione forzata correlata
ad un mero status soggettivo», non potendosi, peraltro, escludere che, sebbene
compresa in una Regione commissariata, la singola azienda sanitaria, pur
beneficiaria del blocco dei pignoramenti, non sia in difficoltà finanziarie.
Siffatto privilegio, prosegue il
rimettente, appare ancor più ingiustificato ove si consideri che le aziende
sanitarie già beneficiano del più favorevole regime di pignorabilità limitata
dei loro beni stabilito dall’art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio
1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67.
4.4.− Quanto alla violazione
dell’art. 111 Cost., essa sarebbe ravvisabile nella rottura del principio di
«parità delle armi», che è resa palese dall’ingiustificato privilegio a favore
dell’ente esecutato, e del principio di «ragionevole durata del processo»,
posto che l’effetto della norma censurata è di differire la concreta
realizzazione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio.
4.5.− Infine, con riferimento alla
violazione dell’art. 41 Cost., il Tribunale rimettente osserva che la
incertezza sulla effettività, sostanziale e temporale, della soddisfazione dei
propri diritti, derivante dall’applicazione della disposizione censurata, priva
il soggetto imprenditore, e tale è per lo più il creditore delle aziende
sanitarie, della possibilità di pianificare la propria attività commerciale e
di esercitare correttamente, in un sistema concorrenziale, la libera iniziativa
economica.
A tal riguardo il rimettente richiama la
normativa, di fonte comunitaria, tesa a contrastare i ritardi nei pagamenti
nelle transazioni commerciali, in quanto elemento distorsivo del mercato
concorrenziale.
4.6.− Ciò detto riguardo alla non
manifesta infondatezza della questione, in relazione alla sua rilevanza nel
giudizio a quo, il rimettente rileva che solo in caso di accoglimento della
questione di legittimità costituzionale sollevata la opposizione agli atti
esecutivi, oggetto del giudizio medesimo, potrà essere accolta, dovendo, in
caso contrario, essere rigettata.
5.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri è intervenuto, col patrocinio della Avvocatura generale dello
Stato, anche in questo giudizio, ribadendo le difese già svolte in relazione
agli incidenti di costituzionalità sollevati in sede di giudizio di
ottemperanza dal TAR della Campania, sede staccata di Salerno.
6.− Il Tribunale ordinario di
Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con ordinanza depositata in data 12
dicembre 2011 (recante il n. 137 del registro ordinanze 2012), ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24,
comma primo, 111 e 117, comma primo, Cost., dell’art. 1, comma 51, della legge
n. 220 del 2010, così come modificato ed integrato a seguito della entrata in
vigore dell’art. 17 del decreto-legge n. 98 del 2011, nella parte in cui
prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di
rientro dal disavanzo sanitario, sottoscritto ai sensi della legge n. 311 del
2004, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti
delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2012.
Il rimettente riferisce di essere
chiamato a decidere in ordine ad una procedura esecutiva avente ad oggetto
un’espropriazione presso terzi, in danno di una Azienda sanitaria locale della
Campania.
Precisa il rimettente che, pur avendo il
terzo pignorato reso positivamente la propria dichiarazione, egli non aveva
potuto procedere alla assegnazione della somma al creditore in quanto, nelle
more del giudizio, era entrata in vigore la disposizione legislativa censurata,
la quale prevedeva la perdita degli effetti, sino al 31 dicembre 2012, dei
pignoramenti eseguiti in danno delle aziende sanitarie ed ospedaliere aventi
sede in una delle Regioni sottoposte ai piani di rientro per il disavanzo
sanitario e commissariate.
6.1.− Tale disposizione, ad avviso
del rimettente, rilevante ai fini della decisione che egli deve assumere nel
giudizio a quo, si caratterizza per essere in contrasto con diversi parametri
costituzionali.
Rileva, infatti, il rimettente che
attraverso il divieto delle azioni esecutive in tal modo introdotto, il
legislatore avrebbe violato gli artt. 2 e 111 Cost., secondo la letture che di
essi è stata data dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 23726 del 2007.
Osserva il giudice a quo che, sebbene il
legislatore abbia formalmente inserito solamente un divieto ad tempus di
intraprendere e proseguire azioni esecutive, in realtà egli, in considerazione
della rilevante durata di tale divieto e della dipendenza economica dei
creditori dalla soddisfazione del loro diritto, ha determinato una soppressione
del medesimo diritto sostanziale, secondo il principio, ricavabile dalla ricordata
sentenza della Corte di cassazione n. 23726 del 2007, in base al quale la
negazione del diritto di agire in giudizio per la soddisfazione della propria
posizione soggettiva si identifica necessariamente con la negazione del diritto
sostanziale.
Poiché l’art. 1, comma 51, della legge
n. 220 del 2010 reprime il diritto sostanziale del creditore al soddisfacimento
della sua pretesa e compromette l’effettività della tutela giuridica che
l’ordinamento è tenuto ad apprestare, esso si pone in contrato con gli artt. 2
e 111 Cost.
Parimenti evidente sarebbe, secondo il
Tribunale rimettente, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
realizzata attraverso il contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la
legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata
a Roma il 4 novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione
stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), il quale garantisce il giusto
processo con tutte le sue articolazioni.
Rileva, infatti, il giudice a quo che la
violazione dell’art. 6 della CEDU non si ha solo in quanto siano irragionevoli
le modalità tecniche di esercizio dei poteri processuali, ma anche allorchè «la
configurazione stessa delle posizioni giuridiche sostanziali sia tale da
pregiudicarne la tutela».
Poiché l’art. 1, comma 51, della legge
n. 220 del 2010, disposizione non suscettibile di essere interpretata in senso
conforme alla citata norma internazionale, determina, come detto,
l’annullamento del diritto sostanziale vantato, minando l’effettività della sua
tutela giuridica, esso, confliggendo con la ricordata disposizione della CEDU,
sarebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.
La disposizione censurata sarebbe,
altresì, in contrasto con l’art. 3 Cost., espressivo del principio di
eguaglianza, prevedendo un regime normativo differenziato in favore delle
Aziende sanitarie quanto al procedimento esecutivo, laddove la Corte
costituzionale, con le sentenze n. 211 del 2003,
n. 69 del 1998
e n. 285 del 1995,
ha affermato e ribadito che «le posizioni giuridiche delle unità sanitarie
locali e degli enti locali sono del tutto omogenee», e che «qualsiasi diversità
di disciplina […] è senza dubbio lesiva dei principi di eguaglianza e di
ragionevolezza».
Sarebbe, poi, «di palmare evidenza» la
violazione dell’art. 24 Cost. derivante dalla previsione, contenuta nella
disposizione censurata, secondo la quale non possono essere proseguite la
azioni esecutive già intraprese. Infatti, per effetto della norma in questione,
la azione esecutiva già intrapresa sarebbe destinata a concludersi
traumaticamente in ragione di «fatti, attività e comportamenti niente affatto
riconducibili al creditore».
Infine, sarebbe violato l’art. 111
Cost., anche alla luce dei principi di cui all’art. 6 della CEDU, in quanto,
venendo modificate le regole del processo durante il suo svolgimento, sarebbero
alterate le condizioni di parità delle parti, con conseguenze irragionevoli
sulle posizioni di queste, quali l’attribuzione del costo del processo
esecutivo a carico del creditore procedente.
7.− È intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione.
La difesa pubblica, ricostruite le
ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre misure volte a garantire
l’effettiva responsabilità regionale in materia di spesa sanitaria, fra le
quali vi è l’istituto del piano di rientro dai disavanzi, e illustrata
brevemente la disciplina ed il contenuto di quest’ultimo, volto, fra l’altro, a
conseguire una attendibile certezza dello stato della esposizione debitoria
regionale in ambito sanitario, precisa che la disposizione della cui
legittimità costituzionale si dubita si inscrive in un ordito normativo
caratterizzato da aspetti di assoluta specialità e straordinarietà (individuati
nei profili di fiscalità aggiuntiva destinata al finanziamento del servizio
sanitario regionale in dissesto, nel blocco del turn over del personale
regionale, nel divieto di effettuare spese non obbligatorie ed altro ancora)
finalizzati al risanamento strutturale della finanza regionale nel rispetto dei
vincoli finanziari di fonte comunitaria.
7.1.− Con riferimento alle singole
censure, la difesa erariale esclude la violazione dell’art. 2 Cost. in quanto la
disposizione censurata si limita a differire il soddisfacimento delle pretese
creditorie − tramite il meccanismo della sospensione delle azioni
esecutive, onde consentire la predisposizione di un piano che individui tempi e
modalità di pagamento − ma non ha l’effetto di precluderlo. Non vi è poi
alcuna violazione del principio di buona fede in quanto la Corte costituzionale
già ha affermato che la esperibilità delle singole azioni esecutive può cedere
il passo ad una procedura di tipo concorsuale.
La temporaneità dell’accesso alla tutela
esecutiva, derivante da una ponderazione fra la tutela del credito e quella
della salute, esclude anche la violazione dell’art. 111 Cost.
Quanto alla violazione dell’art. 3
Cost., essa può escludersi in ragione dei motivi eccezionali che hanno condotto
alla adozione della norma censurata. Trattandosi, infatti, di una procedura
finalizzata a soddisfare tutti i creditori delle aziende sanitarie, essa, come
tutte le procedure concorsuali, non è compatibile con lo svolgimento delle
procedure individuali.
Analoga normativa, aggiunge la
Avvocatura pubblica, finalizzata al risanamento economico dell’Ente Ordine
Mauriziano, è stata ritenuta dalla Corte costituzionale compatibile con la
Costituzione con la sentenza n. 355 del
2006.
Neppure sarebbero violati gli artt. 24,
commi primo e secondo, e 111, comma secondo, Cost., poiché, per un verso,
l’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010 consentirebbe la soddisfazione
di tutti i creditori e non solo di quelli che per primi hanno agito in executivis, e, per altro verso, come
detto, la sospensione delle azioni esecutive da esso prevista ha durata
limitata nel tempo. A tal riguardo è ricordata la giurisprudenza della Corte
costituzionale con la quale è stata riconosciuta la legittimità della normativa
che ha disposto la sospensione «per un periodo transitorio ed essenzialmente
limitato» della esecuzione degli sfratti.
8.− Si è, altresì, costituito in
giudizio il creditore procedente nel giudizio a quo, R. B., il quale, dopo aver
ampiamente argomentato, ha concluso per l’accoglimento della questione di
legittimità costituzionale.
9.− Con altra ordinanza, sempre
emessa dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, ma
redatta da altro giudice di quell’Ufficio, e depositata in data 24 maggio 2012
(recante il n. 189 del registro ordinanze 2012), è stata sollevata, nel corso
di un giudizio di opposizione avverso l’ordinanza con la quale era stata dichiarata
la improcedibilità di un’esecuzione mobiliare presso terzi, questione di
legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma 51, della legge n. 220
del 2010, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 111 Cost.
Il rimettente, illustrati i precedenti
interventi normativi aventi contenuto analogo alla disposizione censurata,
rileva che la ratio di questa è il blocco delle azioni esecutive quale misura
che dovrebbe consentire la realizzazione dei piani di rientro dai disavanzi
sanitari predisposti dalle Regioni commissariate al fine non solo di ottenere
il riequilibrio finanziario del settore sanitario, ma anche di assicurare la
riorganizzazione dei relativi servizi nel rispetto della tutela della salute e
delle modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie.
Ritiene, tuttavia, il rimettente che le
modalità attuative di tali intenti confliggano con diversi principi
costituzionali.
9.1.− In primo luogo il rimettente
dubita della ragionevolezza dell’intervento nella parte in cui esso prevede che
«l’esonero dall’aggressione esecutiva» riguardi le aziende sanitarie ed
ospedaliere per il solo fatto che esse appartengono a Regioni in situazione di
dissesto sanitario, senza che esso sia subordinato alla verifica dell’inizio
della procedura prevista dalla legge per il ripianamento dei disavanzi, ovvero
alla adozione di un piano di ricognizione dei debiti. Di tal che l’esenzione
permarrebbe anche nell’ipotesi in cui l’azienda destinasse il proprio
patrimonio, non più oggetto di vincolo pignoratizio, a fini diversi dal
soddisfacimento dei crediti pregressi.
Per altro verso il rimettente dubita
della compatibilità della disposizione censurata con l’art. 24 Cost. in quanto
essa prevede la sanzione della inammissibilità o della improcedibilità della
procedure esecutive, con conseguente loro chiusura con provvedimento definitivo
non satisfattivo delle ragioni del creditore, e non la sola sospensione di
esse. Sempre con riguardo al medesimo parametro il rimettente osserva che
contrasta col diritto di azione, tutelato dall’art. 24 Cost., sia il fatto che
la dispensa dalla azione esecutiva non riguardi singoli beni, ma l’intero
patrimonio delle aziende sanitarie debitrici, sia il fatto che essa si
protragga per un considerevole periodo di tempo, sia che essa abbia come presupposto
soggettivo la mera appartenenza della azienda sanitaria ad una delle Regioni
commissariate.
Rileva ancora il rimettente che la
chiusura «per edictum principis» della procedura esecutiva comporta l’inutile
assoggettamento definitivo del creditore procedente agli esborsi già affrontati
per il compimento degli atti processuali eseguiti.
Con riguardo alla violazione del
principio di uguaglianza, il Tribunale rimettente osserva che la disposizione
censurata crea una ingiustificata discriminazione rispetto al trattamento
riservato ai creditori di aziende sanitarie ubicate in Regioni non
commissariate. Peraltro essa determina anche uno status privilegiato in favore
delle aziende sanitarie aventi sede in Regioni commissariate, senza che sia
eseguita una verifica sul fatto che esse stesse si trovino in difficoltà
finanziaria. Ciò appare tanto più ingiustificato in quanto tale trattamento si
cumula col particolare regime di impignorabilità di cui le aziende sanitarie
godono per effetto dell’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 9 del 1993.
In relazione alla prospettata violazione
dell’art. 111 Cost., il Tribunale di Napoli osserva che la disposizione
censurata, vietando le azioni esecutive, viola sia il principio di parità delle
armi fra i contraddittori, attribuendo un ingiustificato privilegio alla
pubblica amministrazione esecutata, sia quello di ragionevole durata del
processo, tenuto conto che questa va valutata in funzione del tempo occorrente
per la realizzazione del bene per il quale si è invocata la tutela
giurisdizionale.
Infine, con riferimento alla rilevanza
della questione, il rimettente osserva che, vertendosi nel giudizio a quo sulla
correttezza della ordinanza con cui è stata dichiarata la improcedibilità di
un’azione esecutiva ai sensi della disposizione censurata, all’accoglimento
della questione di legittimità costituzionale conseguirebbe l’annullamento
della detta ordinanza che, viceversa, resterebbe integra nel caso in cui la
questione fosse dichiarata infondata.
10.− È intervenuto in giudizio,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del
Consiglio dei ministri, concludendo per l’infondatezza della questione sulla
base delle argomentazioni già svolte nelle precedenti comparse di costituzione.
11.− Si sono, infine, costituiti
in giudizio due creditori procedenti, la Centro Diabete Emotest s.r.l. e la
Micron s.a.s., concludendo per la fondatezza della questione di legittimità
costituzionale conformemente a quanto argomentato dalla parte privata nel precedente
giudizio (ordinanza n. 137 del registro ordinanze 2012).
12.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri, in relazione a tutti i giudizi nei quali è intervenuto, ha
depositato, in prossimità della udienza di discussione della questione,
altrettante memorie illustrative, aventi il medesimo contenuto.
In esse l’Avvocatura dello Stato,
ribadendo quanto già riportato nei singoli atti di intervento in giudizio,
rivendica la ragionevolezza della disposizione censurata − funzionale al
superamento dello stato di dissesto finanziario in cui, relativamente al
sistema sanitario, versano le Regioni nelle quali la disposizione medesima è
applicabile, e strumentale all’ordinata verifica dei crediti vantati nei
confronti delle Regioni stesse – nonché la sua conformità ai principi di cui
agli artt. 24 e 111 Cost. Afferma, in particolare con riferimento al principio
di ragionevole durata del processo, che questo deve ritenersi violato allorché
la dilatazione dei tempi processuali non è sorretta da alcuna logica giustificazione,
circostanza che in questo caso non ricorre, posto che la particolare disciplina
di cui alla norma censurata trova fondamento nella ricordata esigenza di
riordino della gestione della sanità regionale nelle Regioni commissariate.
Infine, neppure può riscontrarsi la
violazione dell’art. 41 Cost., atteso che, per espresso disposto
costituzionale, la libertà di iniziativa economica incontra il limite di non
potere essere svolta in contrasto con l’utilità sociale, utilità che, invece,
col risanamento della sanità regionale, costituisce il fine della disposizione
censurata.
12.1.− In prossimità della data di
discussione della questione hanno presentato una memoria illustrativa anche le
parti private costituitesi nel giudizio di legittimità costituzionale (recante
il n. 16 del registro ordinanze 2012) scaturito da una delle ordinanze di
rimessione depositate dalla sezione staccata di Salerno del TAR della Campania.
In essa dette parti, richiamando i
contenuti dei loro precedenti scritti difensivi, insistono per la dichiarazione
di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, evidenziandone,
in particolare, i profili di irragionevolezza e di contrasto sia col principio
di uguaglianza sia con l’art. 24 Cost. In via subordinata sollecitano una pronunzia
della Corte costituzionale che chiarisca che la sospensione delle azioni
esecutive concerne i soli debiti anteriori al 31 dicembre 2009.
12.2.− Hanno altresì depositato
memorie illustrative le due parti private rispettivamente costituitesi nei due
giudizi di legittimità costituzionale introdotti con le due ordinanze di
rimessione adottate dalla sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale
ordinario di Napoli (recanti, rispettivamente, il n. 137 e il n. 189 del
registro ordinanze 2012).
Nella prima di esse viene, in
particolare, messa in luce la circostanza che la norma censurata è stata,
ulteriormente, modificata a seguito della entrata in vigore dell’art. 6-bis del
decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo
sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute),
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
Tale evenienza viene sottolineata dalla
parte privata onde porre in luce l’avvenuto aggravamento della condizione di
illegittimità costituzionale in cui, sulla base dei medesimi parametri
originariamente evocati, versa la disposizione censurata.
Nelle seconda di dette memorie
illustrative, oltre a richiamare la nuova subentrata modifica normativa e a
segnalarne la inidoneità a rimuovere i già sussistenti vizi di legittimità
costituzionale che, anzi, sono da questa aggravati, si segnala il rischio di
dovere corrispondere ingenti indennità in cui la amministrazione pubblica si
trova a causa della ingiustificata durata dei processi esecutivi, il cui
svolgimento è bloccato per effetto della norma censurata.
1.− Nel corso di numerosi giudizi,
aventi ad oggetto la esecuzione di provvedimenti giurisdizionali divenuti
definitivi, in fase di svolgimento sia di fronte ad organi della giurisdizione
amministrativa − nelle forme del giudizio di ottemperanza − sia di
fronte ad organi della giurisdizione ordinaria − nelle forme del processo
di esecuzione – il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sia sede
di Napoli che sede staccata di Salerno, e il Tribunale ordinario di Napoli, sia
nella sua sede metropolitana sia nella sezione distaccata di Pozzuoli, hanno
sollevato, con sette ordinanze, aventi, peraltro, in sostanza contenuto
largamente coincidente, questione di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2011).
1.1.− In particolare: sia il TAR
della Campania (con quattro ordinanze, recanti rispettivamente i nn. 16, 17, 18
e 50 del registro ordinanze 2012) che il Tribunale ordinario di Napoli (con una
ordinanza recante il n. 58 del registro ordinanze 2012) dubitano della
legittimità costituzionale della disposizione sopra ricordata, nella parte in
cui prevede che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano
di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritto ai sensi della legge 30
dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2005), non possono essere
intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie
locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2012 ed i pignoramenti e le prenotazioni
a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende
sanitarie di cui sopra, effettuati prima della data di entrata in vigore del
decreto-legge 25 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, non producono effetti sino
al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale.
1.2.− Ad avviso del predetti
organi giudiziari la disposizione in questione sarebbe in contrasto con:
a) l’art. 3 della Costituzione, in
quanto determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra i soggetti
che vantano crediti nei confronti delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni
commissariate ed i soggetti che, invece, vantano crediti nei confronti delle
aziende sanitarie ubicate altrove, ed in quanto sacrificherebbe
irragionevolmente, essendo lo strumento da essa previsto non idoneo al
risanamento del dissesto finanziario del sistema sanitario regionale,
l’interesse del creditore a ricevere la propria pretesa finanziaria rispetto a
quello pubblico, volto a ristabilire l’ordine nei conti dell’azienda sanitaria;
b) l’art. 24 Cost., poiché «elide la
possibilità della soddisfazione concreta ed effettiva dei diritti del
creditore» (ordinanza n. 58 del registro ordinanze 2012) secondo le norme del
diritto comune, prevedendo, altresì, l’inefficacia dei pignoramenti già
eseguiti alla data della sua entrata in vigore;
c) l’art. 41 Cost., in quanto,
attraverso il meccanismo di blocco delle azioni esecutive, non consentirebbe al
creditore dell’azienda sanitaria, trattandosi in prevalenza di imprenditori
commerciali, di programmare la propria attività di impresa, rispettando le
scadenze dei pagamenti cui è tenuto, senza dovere ricorrere ad onerosi prestiti
e finanziamenti bancari;
d) l’art. 111 Cost., in quanto, da un
lato altererebbe la condizione di parità fra le parti, ponendo
l’amministrazione in una posizione di ingiustificato privilegio, e dall’altro,
inciderebbe sulla ragionevole durata del processo.
1.3.− Il Tribunale ordinario di
Napoli, questa volta, però, nella sezione distaccata di Pozzuoli, con due
ordinanze (aventi rispettivamente il n. 137 e il n. 189 del registro ordinanze
2012), redatte dalla stessa sezione, ma in diversa composizione, dubita della
legittimità costituzionale della medesima norma di legge poiché sarebbe in
contrasto, secondo la prima delle due ordinanze con:
e) l’art. 2 Cost., in quanto, reprimendo
il diritto sostanziale del creditore al soddisfacimento della sua pretesa,
comprometterebbe l’effettività della tutela giuridica che l’ordinamento è
tenuto ad apprestare;
f) l’art. 24 Cost., poiché, per effetto
della norma in questione, la azione esecutiva già intrapresa sarebbe destinata
a concludersi traumaticamente in ragione di «fatti, attività e comportamenti
niente affatto riconducibili al creditore»;
g) l’art. 111 Cost., in quanto, essendo
modificate le regole del processo nel corso di esso, sarebbero alterate le
condizioni di parità delle parti, con conseguenze irragionevoli sulle posizioni
delle medesime, quali l’attribuzione del costo del processo esecutivo a carico
del creditore procedente;
h) l’art. 117, primo comma, Cost., in
quanto sarebbe violato l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata
a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848 (Ratifica ed esecuzione della convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952), il quale garantisce il giusto processo in tutte le
sue articolazioni;
secondo l’altra ordinanza:
i) l’art. 3 Cost. per gli stessi motivi
già illustrati sub a);
l) l’art. 24 Cost., sia in quanto
prevede la sanzione della inammissibilità o della improcedibilità della
procedure esecutive, con conseguente loro chiusura con provvedimento definitivo
non satisfattivo delle ragioni del creditore che non si limita alla sola
sospensione di esse, sia in quanto la dispensa dalla azione esecutiva non
riguarda singoli beni, ma l’intero patrimonio delle aziende sanitarie
debitrici, sia in quanto detta sospensione si protrae per un considerevole
periodo di tempo, avendo come presupposto soggettivo la mera appartenenza della
azienda sanitaria ad una delle Regioni commissariate, sia, infine, poiché la
chiusura «per edictum principis» della procedura esecutiva comporta l’inutile
definitiva perdita da parte del creditore procedente degli esborsi già
affrontati per il compimento degli atti processuali eseguiti;
m) l’art. 111 Cost. per gli stessi
motivi già illustrati sub d);
2.− Attesa l’identità dell’oggetto
dei diversi incidenti di legittimità costituzionale, i relativi giudizi debbono
essere riuniti per essere congiuntamente decisi con un unico provvedimento.
3.− Prima di esaminare la
fondatezza o meno dei diversi dubbi formulati dai giudici a quibus, questa
Corte deve dare conto della circostanza − già evidenziata in talune delle
memorie illustrative prodotte in prossimità della udienza di trattazione da
alcune delle costituite parti private e, comunque, dibattuta nel corso della
udienza medesima – che la norma oggetto del quesito di costituzionalità, già
modificata nel corso dei giudizi a quibus, come segnalato dagli stessi
rimettenti, è stata ulteriormente modificata successivamente alla proposizione
della quaestio ora in discussione.
È, infatti, in particolare, intervenuto
l’art. 6-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti
per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela
della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n.
189, il quale, rispettivamente, alle lettere a) e b) del comma 2, ha modificato
il censurato art. 1, comma 51, della legge 220 del 2010.
3.1.− Mentre le modificazioni
apportate al primo periodo della disposizione censurata hanno una finalità meramente
chiarificatrice del suo contenuto normativo – si è, infatti, precisato che non
possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive «anche ai sensi
dell’art. 112 del codice del processo amministrativo», con ciò chiarendosi
definitivamente che nel novero delle azioni esecutive oggetto di blocco vi sono
anche i giudizi di ottemperanza di fronte al giudice amministrativo – ovvero di
mera proroga – sino al «31 dicembre 2013» – del medesimo contenuto normativo,
il secondo periodo è stato integralmente sostituito dalla disposizione
sopravvenuta.
Infatti, laddove, nel testo della
disposizione censurata vigente al momento della proposizione degli incidenti di
legittimità costituzionale, si leggeva: «I pignoramenti e le prenotazioni a
debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente
comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime,
effettuati prima della entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono
effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti
del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per
le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite
durante il suddetto periodo», ora, a seguito della modifica normativa
introdotta, si legge: «I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse
finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende
sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della
entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, sono estinti di diritto dalla data
di entrata in vigore della presente disposizione. Dalla medesima data cessano i
doveri di custodia sulle predette somme, con obbligo per i tesorieri di
renderle immediatamente disponibili, senza previa pronuncia giurisdizionale,
per garantire l’espletamento delle finalità indicate nel primo periodo».
Si tratta, a questo punto, di valutare,
da parte di questa Corte, se le introdotte modificazioni normative siano tali
da giustificare, così come in molteplici occasioni disposto allorché siano
intervenute variazioni nel testo normativo oggetto di dubbio (ex multis, ordinanza n. 281
del 2012), la restituzione degli atti ai giudici rimettenti affinché questi
valutino la perdurante rilevanza e la non manifesta infondatezza della
questione, ovvero se si debba provvedere, come anche in talune circostanze
deciso da questa Corte (sentenze n. 167 del 2013,
n. 326 e n. 40 del 2010,
ordinanza n. 270
del 2012), a trasferire la questione, originariamente proposta riguardo ad
una determinata formulazione della norma, anche sulla formulazione successiva.
3.2.− Per ciò che concerne le due
modifiche apportate al primo periodo dell’art. 1, comma 51, della legge 220 del
2010 − trattandosi, come sopra accennato, in un caso di una integrazione
volta solo a chiarire il contenuto della norma (cioè ad annoverare, così come
peraltro generalmente riconosciuto, il giudizio amministrativo di ottemperanza
fra le azioni esecutive) e, nell’altro, di un differimento del termine della
sua efficacia – essendo il contenuto previgente della norma integralmente
ricompreso in quello ora vigente non vi sono dubbi in ordine alla estensione
anche su quest’ultimo della questione sollevata dai giudici a quibus.
Per ciò che attiene alla integrale
sostituzione del secondo periodo dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del
2010 ritiene questa Corte che la possibilità di estensione anche alla nuova
formulazione della norma l’incidente di costituzionalità riposa nel fatto che
lo ius novum inserito in questa,
lungi dal modificare sostanzialmente il contenuto precettivo della norma
oggetto di dubbio, nel senso di andare ad elidere od attenuare i punti di
criticità segnalati dai rimettenti − salva ed impregiudicata allo stato
la fondatezza o meno delle doglianze provenienti dai giudici a quibus − rende, viceversa, ancor
più stridenti i punti di contrasto ipotizzati dai rimettenti.
Invero − premessa la indiscussa
applicabilità ai giudizi a quibus
della versione attualmente vigente della norma censurata, trattandosi di
innovazione riferibile ai processi esecutivi già in corso per i quali, in
entrambe le formulazioni, essa impone la cessazione del giudizio, elemento
questo che rende sicuramente tuttora rilevante il dubbio di costituzionalità
avanzato dai giudici a quibus −
rileva questa Corte che, in sostanza, i rimettenti lamentano che, per effetto
dell’art. 1, comma 51, della legge n. 220 del 2010, non sia possibile porre in
esecuzione i titoli esecutivi ottenuti, anche a seguito del passaggio in
giudicato di provvedimenti giurisdizionali, nei confronti delle aziende
sanitarie ed ospedaliere in quanto «non possono essere intraprese o proseguite
azioni esecutive» nei confronti di tali enti e in quanto i pignoramenti e le
prenotazioni e debito già operate nei confronti di tali soggetti sono
inefficaci e non comportano vincoli a carico di tali enti.
3.3.− Risulta, quindi, di chiara
evidenza che la innovazione legislativa introdotta, comportando non, come nella
precedente versione, la sola inefficacia dei pignoramenti e delle prenotazioni
a debito operate nel corso delle procedure esecutive in questione e la assenza
di vincoli sui beni bloccati, ma direttamente la loro estinzione di diritto e
l’obbligo dei tesorieri degli enti sanitari di porre a disposizione «senza
previa pronuncia giurisdizionale» le somme già oggetto di pignoramento, onde
realizzare le finalità del risanamento finanziario, non apre nuovi profili
valutativi rispetto alla normativa precedente, prevedendo, semmai, contenuti
normativi che, sia pur nel medesimo senso orientati, estremizzano le soluzioni
già presenti nella previgente disciplina.
La mancanza, pertanto, di una anche
minima discontinuità fra la norma censurata e quella sopravvenuta, che, anzi,
come detto, costituisce una, in sé coerente, evoluzione dei principi contenuti
in quella precedente, consente, ove non si voglia vanificare di fatto il
principio di effettività della tutela giurisdizionale in sede costituzionale,
il trasferimento della questione di legittimità costituzionale sulla versione
ora vigente della disposizione impugnata, fermo restando che il giudizio
riguarda anche la precedente versione.
D’altra parte, non può trascurarsi che
un’eventuale restituzione degli atti al giudice rimettente, ove questa non sia
giustificata dalla necessità che sia nuovamente valutata la perdurante
rilevanza nel giudizio a quo e la non manifesta infondatezza della quaestio a
suo tempo sollevata, potrebbe condurre, proprio in aperto contrasto col
principio di effettività della tutela giurisdizionale che non può essere
disgiunta dalla sua tempestività, ad un inutile dilatamento dei tempi dei
giudizi a quibus, soggetti per due volte alla sospensione conseguente al
promovimento dell’incidente di legittimità costituzionale, e ad una duplicazione
dello stesso giudizio di costituzionalità, con il rischio di vulnerare il
canone di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Cost.
4.− La questione è fondata.
4.1.− Questa Corte ha più volte
affermato che un intervento legislativo − che di fatto svuoti di
contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto
debitore − può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie
qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto
periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004
e n. 310 del
2003) e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che
incidono sui giudizi pendenti, determinandone l’estinzione, siano
controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta,
garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione
giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure
estinte (sentenze n.
277 del 2012 e n. 364 del 2007).
Viceversa, la disposizione ora
censurata, la cui durata nel tempo, inizialmente prevista per un anno, già è
stata, con due provvedimenti di proroga adottati dal legislatore, differita di
ulteriori due anni sino al 31 dicembre 2013, oltre a prevedere, nella attuale
versione, la estinzione delle procedure esecutive iniziate e la contestuale
cessazione del vincolo pignoratizio gravante sui beni bloccati ad istanza dei
creditori delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni commissariate, con
derivante e definitivo accollo, a carico degli esecutanti, della spese di
esecuzione già affrontate, non prevede alcun meccanismo certo, quantomeno sotto
il profilo di ordinate procedure concorsuali garantite da adeguata copertura
finanziaria, in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali sottostanti
ai titoli esecutivi inutilmente azionati.
4.2.− Essa, pertanto, si pone, in
entrambe le sue versioni, in contrasto con l’art. 24 Cost. in quanto, in
conseguenza della norma censurata, vengono vanificati gli effetti della tutela
giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori delle aziende sanitarie
procedenti nei giudizi esecutivi.
Costoro non soltanto si trovano, in
alcuni casi da più di un triennio, nella impossibilità di trarre dal titolo da
loro conseguito l’utilità ad esso ordinariamente connessa, ma debbono, altresì,
sopportare, in considerazione della automatica estinzione (o, nella versione
precedente, della inefficacia) delle procedure esecutive già intraprese e della
liberazione dal vincolo pignoratizio dei beni già asserviti alla procedura, i
costi da loro anticipati per l’avvio della procedura stessa.
4.3.− Né, nel caso che interessa,
si verifica la condizione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rende
legittimo il blocco delle azioni esecutive, cioè la previsione di un meccanismo
di risanamento che, come detto, canalizzi in una unica procedura concorsuale le
singole azioni esecutive, con meccanismi di tutela dei diritti dei creditori
che non si rinvengono nei piani di rientro cui la disposizione fa riferimento,
sicché la posizione sostanziale dei creditori trovi una modalità sostitutiva di
soddisfazione.
La disposizione in esame, infatti, non
contiene la disciplina di tale tipo di procedura né identifica le risorse
finanziarie da cui attingere per il suo eventuale svolgimento.
Va, altresì, considerata la circostanza
che, con la disposizione censurata, il legislatore statale ha creato una
fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due
posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde
economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con
violazione del principio della parità delle parti di cui all’art. 111 Cost.
4.4.− Non può, infine, valere a
giustificare l’intervento legislativo censurato il fatto che questo possa
essere ritenuto strumentale ad assicurare la continuità della erogazione delle
funzioni essenziali connesse al servizio sanitario: infatti, a presidio di tale
essenziale esigenza già risulta da tempo essere posta la previsione di cui all’art.
1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in
materia sanitaria e socio assistenziale), convertito, con modificazioni, dalla
legge 18 marzo 1993, n. 67, in base alla quale è assicurata la impignorabilità
dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini della erogazione dei
servizi sanitari.
Gli ulteriori profili di illegittimità
costituzionale dedotti dai rimettenti restano assorbiti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1,
comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), sia
nel testo risultante a seguito delle modificazioni già introdotte dall’art. 17,
comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo, attualmente
vigente, risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 6-bis,
comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2013.