SENTENZA N. 140
ANNO 2013
Commenti alla decisione di
I. Guglielmo Leo, Sulla disciplina sanzionatoria del furto di armi: un intervento chiarificatore da parte della Corte costituzionale, per g.c. della Rivista telematica Diritto penale contemporaneo)
II. Andrea Bonomi, Alcuni spunti sulle “tipologie” decisorie adottate dalla Corte costituzionale a seguito dell'accertamento dell'erroneità del presupposto interpretativo fatto proprio dal giudice a quo: non fondatezza “nei sensi di cui in motivazione”, inammissibilità interpretativa, manifesta infondatezza e non fondatezza semplice (… alla luce della sentenza n. 140 del 2013 Corte cost.), per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine pubblico), come sostituito dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena nel procedimento penale a carico di M.G. con ordinanza del 18 giugno 2012, iscritta al n. 279 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 aprile 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza depositata il 18 giugno 2012 (r.o. n. 279 del 2012), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine pubblico), come sostituito dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), nella parte in cui prevede l’applicazione della pena della reclusione da cinque a dodici anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 per i delitti di cui all’articolo 624-bis del codice penale aggravati ai sensi del comma 1 del citato art. 4 della legge n. 533 del 1977.
Il giudice rimettente riferisce di procedere, in sede di giudizio abbreviato, nei confronti di una persona accusata del reato di cui agli artt. 624-bis e 625, primo comma, numero 2, cod. pen. e all’art. 4 della legge n. 533 del 1977, per avere sottratto dall’abitazione della persona offesa tre fucili.
Ricostruiti gli interventi legislativi che hanno investito la norma censurata e la disciplina codicistica del delitto di furto, il giudice rimettente sottolinea come l’art. 624-bis cod. pen. punisca a titolo di autonoma fattispecie incriminatrice il furto mediante introduzione in luogo destinato ad abitazione, condotta, questa, che in precedenza costituiva un’ipotesi aggravata del furto semplice. La norma tutelerebbe anche l’inviolabilità del domicilio, data l’ampiezza del concetto di privata dimora, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, concetto in cui sarebbero ricomprese strutture tali da far ritenere che il titolare della facoltà di disporne intenda garantirsi la riservatezza, con correlata facoltà di esclusione dei terzi (studi professionali, esercizi commerciali e pertinenze dell’abitazione, quali l’autorimessa e la cantina).
Secondo il rimettente, l’art. 4 della legge n. 533 del 1977 disciplinerebbe un’ipotesi di aggravante speciale del furto giustificata dalla particolare pericolosità dell’azione in relazione all’oggetto della condotta (armi, munizioni ed esplosivi) e al luogo di svolgimento della stessa; però l’interpretazione del rinvio operato dal terzo comma dell’art. 4 citato sarebbe problematica. Infatti, se interpretato come meramente quoad poenam, il riferimento all’art. 624-bis cod. pen. sarebbe ambiguo, risultando difficilmente ipotizzabile un furto che avvenga in abitazione e, al tempo stesso, anche nei luoghi indicati dal citato art. 4 (armerie, depositi o altri locali adibiti a custodia di armi); perciò, per coerenza di sistema, tale riferimento dovrebbe riguardare solo le cose sottratte (armi, munizioni ed esplosivi), facendo ritenere che «se il furto in abitazione ha ad oggetto – come nel caso in esame – armi munizioni o esplosivi, il trattamento sanzionatorio dovrà essere inasprito in ragione della maggiore pericolosità dell’oggetto della condotta».
Ciò posto, secondo il giudice rimettente emergerebbe un profilo di irrazionalità del sistema sanzionatorio, perché il furto di armi in abitazione sarebbe punito allo stesso modo del furto di armi in armeria, «parificando in termini di gravità (aspetto escluso dalla ratio legis del 1977) l’elemento relativo al luogo di svolgimento della condotta». Inoltre, attraverso il richiamo alla pena di cui al secondo comma, operato dal terzo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977, si determinerebbe «l’irragionevole asimmetria sanzionatoria», in ragione della quale il furto di armi in abitazione sarebbe punito in misura di gran lunga maggiore del furto di armi in armeria. Nel 2001 il legislatore, enucleando una fattispecie autonoma di reato, avrebbe evidenziato una maggiore gravità della condotta di chi si introduce in un luogo di privata dimora al fine di sottrarre una cosa mobile altrui, ma, nonostante tale modifica nella struttura della fattispecie e nel trattamento sanzionatorio, non si sarebbe potuto dubitare che l’ipotesi di cui all’art. 4 della legge n. 533 del 1977 avesse conservato intatta la ragione giustificatrice di un inasprimento sanzionatorio: «oggetto della condotta e luogo di svolgimento della stessa imponevano ragionevolmente una pena più alta».
Secondo il rimettente, l’«improvvido inserimento» del terzo comma dell’art. 4 citato avrebbe irragionevolmente alterato una coerente scala di valori, determinando un trattamento sanzionatorio del furto di armi in appartamento più grave di quello previsto per il furto di armi in armerie. La norma impugnata determinerebbe «una sostanziale disparità di trattamento poiché punisce il furto in abitazione di armi con pena molto più grave della ipotesi di furto di armi in armeria». Tale disparità, osserva ancora il rimettente, assumerebbe maggior ampiezza considerando che, nel caso di specie, sarebbe preclusa l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche.
La norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la rilevante differenza del trattamento sanzionatorio non troverebbe una adeguata giustificazione, perché il bene giuridico protetto è il medesimo e gli elementi differenziali (luogo di svolgimento della condotta e oggetto della stessa) dovrebbero comportare una pena diversa e meno grave rispetto a quella prevista nelle ipotesi del primo e del secondo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977.
Sarebbe violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost., perché «l’irrogazione di pene sproporzionate al grado di effettivo disvalore dei fatti comprometterebbe la finalità rieducativa della pena».
2.− È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, una coerente lettura della norma impugnata indurrebbe a ricomprendere nell’alveo applicativo del terzo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977 «le ipotesi in cui i furti aventi ad oggetto le res indicate dal legislatore nel comma 1 del citato articolo 4 avvengano in luoghi destinati, in tutto od in parte, a privata abitazione o nelle pertinenze di essa» e sarebbe evidente la riconducibilità dell’opzione sanzionatoria nell’ambito delle scelte di politica criminale proprie del legislatore; scelte censurabili solo nell’ipotesi di illogica o irragionevole disparità di trattamento tra condotte aventi il medesimo disvalore giuridico. La condotta sanzionata dal terzo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977 rappresenterebbe – secondo il legislatore intervenuto con la legge n. 128 del 2001 – un maggior disvalore rispetto a quella prevista dal primo comma, trattandosi di condotta avente sì il medesimo oggetto (armi, munizioni od esplosivi), ma realizzata in luoghi differenti (ossia in luoghi destinati a privata dimora e non in armerie, depositi o altri locali adibiti alla custodia di armi).
Come emergerebbe con chiarezza dalle valutazioni di politica criminale poste a fondamento dell’art. 624-bis cod. pen., il legislatore avrebbe inteso proprio colpire con maggiore severità le condotte destinate ad incidere su un bene ritenuto particolarmente meritevole di tutela, quale l’inviolabilità dei luoghi adibiti a privata dimora. Quanto alla asserita violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., l’Avvocatura dello Stato osserva che il giudice rimettente non avrebbe dato conto della compromissione della finalità rieducativa della pena, il che renderebbe inammissibile il profilo di censura.
Inoltre, il giudice rimettente non avrebbe operato una valutazione bilanciata degli interessi costituzionalmente protetti implicati nella fattispecie. La norma denunciata costituirebbe attuazione (e mirerebbe alla tutela) del diritto inviolabile alla libertà personale (art. 13 Cost.), di cui il diritto all’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.) sarebbe esplicazione.
Considerato in diritto
1.− Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine pubblico), come sostituito dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), nella parte in cui prevede l’applicazione della pena della reclusione da cinque a dodici anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 ai delitti di cui all’articolo 624-bis del codice penale aggravati ai sensi del comma 1 del citato art. 4 della legge n. 533 del 1977.
La norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., determinando «una sostanziale disparità di trattamento poiché punisce il furto in abitazioni di armi con pena molto più grave della ipotesi di furto di armi in armeria», e con l’art. 27, terzo comma, Cost., perché «l’irrogazione di pene sproporzionate al grado di effettivo disvalore dei fatti comprometterebbe la finalità rieducativa della pena».
2.– La questione non è fondata.
3.– Nella sua versione originaria, l’art. 4, comma 1, della legge n. 533 del 1977 stabiliva che se il fatto previsto dall’art. 624 cod. pen. era commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di essi, si applicava la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da lire centomila a lire quattrocentomila; se concorreva, inoltre, taluna delle circostanze previste dall’art. 61, o dall’art. 625, numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 7, cod. pen., la pena era della reclusione da cinque a dodici anni e della multa da lire duecentomila a lire seicentomila.
Dopo alcune modifiche relative alla pena pecuniaria comminata e al regime di procedibilità, l’intero testo dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977 è stato sostituito dall’art. 10 della legge n. 128 del 2001, in collegamento con la trasformazione, ad opera di quest’ultima legge, di due fattispecie di furto aggravato, previste dall’art. 625, primo comma, numeri 1 e 4, cod. pen., in autonome figure di reato – il furto in abitazione e il furto con strappo – delineate nel nuovo art. 624-bis cod. pen.
Il citato art. 4, comma 1, nel testo precedente alla sostituzione, prevedeva, come si è visto, un’ulteriore aggravante nel caso di concorso di taluna delle circostanze di cui all’«articolo 625, numeri 1, 2, 3, 4, 5, e 7, del codice penale» e, una volta sostituite con la nuova figura delittuosa le due fattispecie aggravate dei numeri 1 e 4 dell’art. 625, il legislatore ha interamente riformulato l’impugnato art. 4 riferendo al nuovo art. 624-bis cod. pen. l’aggravamento originariamente collegato alle soppresse circostanze dell’introduzione in un luogo destinato ad abitazione (art. 625, primo comma, numero 1, cod. pen.) e dello “strappo” (art. 625, primo comma, numero 4, cod. pen.). È chiaro, quindi, che, per quanto riguarda la questione di legittimità costituzionale in oggetto, le innovazioni introdotte con la sostituzione dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977 non hanno sostanzialmente modificato le fattispecie originariamente previste, e di conseguenza non si può affermare, come fa il giudice rimettente, che «l’improvvido inserimento del comma 3 del citato art. 4 ha irragionevolmente alterato» la precedente «coerente scala di valori».
4.– Nel sollevare la questione, il giudice rimettente muove dal presupposto interpretativo secondo cui, «se vuole darsi coerenza al sistema», il rinvio operato dall’art. 4, comma 3, della legge n. 533 del 1977 «deve ritenersi riferito al solo oggetto della condotta (armi munizioni ed esplosivi)», sicché «se il furto in abitazione ha ad oggetto – come nel caso in esame – armi munizioni o esplosivi il trattamento sanzionatorio dovrà essere inasprito in ragione della maggiore pericolosità dell’oggetto della condotta». In altri termini, secondo il giudice a quo, nel caso di furto in abitazione, la pena prevista dal comma 2 dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977, richiamato dal comma 3, troverebbe applicazione in relazione al solo oggetto materiale della condotta (armi, munizioni ed esplosivi), quand’anche esso non si trovi collocato nei luoghi indicati nel comma 1.
Lo stesso rimettente, tuttavia, non sembra riconoscere nella tesi prospettata l’unica praticabile e, per sostenerla, si limita a rilevare che sarebbe difficilmente ipotizzabile un furto che possa avvenire al tempo stesso in un’abitazione e in uno dei luoghi indicati dall’art. 4, cioè in un’armeria, in un deposito o in un altro locale adibito a custodia di armi. Non è questo però un argomento che possa far superare le indicazioni che in senso contrario si traggono dalla chiara lettera della legge.
Il comma 3 dell’art. 4 citato stabilisce che la pena prevista dal comma 2 del medesimo articolo si applica ai delitti dell’art. 624-bis cod. pen. aggravati ai sensi del comma 1 e l’interpretazione coordinata delle disposizioni richiamate dall’art. 4, comma 3, della legge n. 533 del 1977 impone la conclusione che, ai fini dell’integrazione della fattispecie de qua, è necessario che il furto sia «commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di armi» (art. 4, comma 1, della legge n. 533 del 1977) e «mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa» (art. 624-bis cod. pen.). L’interpretazione del giudice rimettente, che amputa la norma dell’elemento previsto – congiuntamente all’indicazione dell’oggetto materiale della condotta – dal primo comma dell’art. 4 della legge n. 533 del 1977, non trova alcun riscontro nel chiaro tenore della disposizione censurata.
Né in senso diverso può argomentarsi rilevando, come fa il rimettente, che sarebbero difficilmente ipotizzabili fattispecie concrete riconducibili alla disposizione in questione. Infatti, sono stati prospettati vari esempi in cui la stessa potrebbe trovare applicazione, come quello del locale dell’abitazione di un collezionista destinato alla custodia delle armi collezionate o quello dell’armeria che costituisce anche dimora dell’armiere, o anche quello della introduzione in un luogo di privata dimora per raggiungere un locale adibito alla custodia delle armi; ma, indipendentemente da questo rilievo, è da aggiungere che in nessun caso l’asserita difficoltà potrebbe giustificare un’interpretazione come quella del giudice a quo, che determina un ampliamento della portata della fattispecie circostanziale, incompatibile con l’inequivoca lettera del dettato legislativo.
L’erroneità del presupposto interpretativo dal quale muove il rimettente comporta la non fondatezza della questione (ex plurimis, sentenza n. 310 del 2008; ordinanza n. 321 del 2008).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 8 agosto 1977, n. 533 (Disposizioni in materia di ordine pubblico), come sostituito dall’articolo 10, comma 3, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2013.