ORDINANZA N. 124
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 5-bis, comma 10, della legge della Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite straordinarie e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali), e dell’articolo 103, comma 13, della legge della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), promosso dal Consiglio di Stato nei giudizi riuniti tra il Comune di Erbusco ed altra e Le Porte Franche s.c. a r.l. ed altri, con ordinanza del 29 novembre 2011, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di costituzione della Le Porte Franche s.c. a r.l. ed altri;
udito nell’udienza pubblica del 23 aprile 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Ettore Ribolzi e Mariano Protto per Le Porte Franche s.c. a r.l. ed altri.
Ritenuto che, nel corso di più giudizi riuniti di appello avverso sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia – che avevano accolto le impugnazioni proposte da operatori di due centri polifunzionali e commerciali (ubicati rispettivamente nei territori dei Comuni di Erbusco e Corte Franca) riguardo ai provvedimenti con i quali i Comuni competenti avevano negato l’autorizzazione all’apertura generalizzata degli esercizi nei giorni festivi, in ragione della non inclusione del territorio di detti Comuni nel novero degli «àmbiti territoriali a forte attrattività» per i quali è invece prevista la deroga al generale divieto di apertura festiva e domenicale –, il Consiglio di Stato, con ordinanza emessa il 29 novembre 2011, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 97, 103, 113 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5-bis, comma 10, della legge della Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite straordinarie e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali), riprodotto dall’articolo 103, comma 13, della legge della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), anch’esso censurato;
che – rilevato che i territori di entrambi i Comuni interessati erano stati originariamente qualificati «ad economia prevalentemente turistica», e quindi ammessi a godere della deroga all’obbligo di chiusura domenicale prevista dall’art. 12 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) – il rimettente osserva che la Regione Lombardia, con la legge regionale 28 febbraio 2007, n. 30 (Normativa in materia di orari degli esercizi commerciali), ha modificato la legge regionale n. 22 del 2000, eliminando ogni riferimento, nella regolamentazione delle aperture domenicali, ai Comuni ad economia prevalentemente turistica e limitando le deroghe (sempre consentite agli esercizi commerciali di vendita al dettaglio in sede fissa aventi superficie fino a 250 metri quadrati) ai soli «ámbiti territoriali a forte attrattività», così definiti in modo puntuale dal censurato comma 10 dell’art. 5-bis con un elenco che comprende, alla lettera b), i «Comuni rivieraschi dei laghi lombardi di cui all’allegato A della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio)»;
che la norma in questione, peraltro, è stata abrogata dall’art. 155, comma 1, lettera f), della legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), ed è stata integralmente trasfusa nell’art. 103 di detta ultima legge, il cui comma 13 disciplina appunto le aperture degli esercizi ubicati nei territori dei Comuni a forte attrattività;
che – dedotta l’impossibilità di seguire l’interpretazione costituzionalmente orientata attribuita dal giudice di primo grado alle norme censurate, e sottolineato il carattere puntuale e tassativo della individuazione dei territori per i quali è consentita, in via generale, l’apertura al pubblico nelle giornate domenicali e festive – il rimettente ritiene che le norme censurate suscitino dubbi di costituzionalità, «nella parte in cui fissa[no] un elenco tassativo che non lascia spazio all’individuazione amministrativa di ulteriori situazioni qualificate», così escludendo l’operatività nei Comuni in causa dalla deroga all’obbligo di chiusura festiva degli esercizi in questione;
che, in particolare, il rimettente rimarca la diversità della odierna tematica rispetto a quella su cui è intervenuta la sentenza di questa Corte n. 288 del 2010 (allora riguardante il regime generale delle aperture domenicali e festive, rimessa alla discrezionalità del Comune interessato, nel rispetti della competenza regionale in materia di commercio), osservando che la normativa regionale qui impugnata, ponendosi in linea di discontinuità rispetto alla legge nazionale che demandava ad un’indagine amministrativa concreta l’individuazione dei Comuni ad economia prevalentemente turistica esonerati dalla regola della chiusura domenicale e festiva, ha sostituito la nozione statale dei Comuni ad economia prevalente turistica con quella degli ambiti territoriali a forte attrattività, accedendo ad una aprioristica tipizzazione legislativa;
che, da ciò, il rimettente deduce la violazione: a) degli artt. 3 e 97 Cost., poiché – una volta sancito, a livello nazionale come in campo regionale, il principio secondo cui gli esercizi commerciali operanti in bacini territoriali caratterizzati da una speciale attrattività debbono godere dell’esenzione dalla generale regola della chiusura festiva onde corrispondere alla più intensa domanda di mercato – è illogica e foriera di immotivate sperequazioni la fissazione (con una legge-provvedimento) di una presunzione juris et de jure, che finisce per vincolare il potere sindacale di fissazione del calendario di apertura degli esercizi commerciali e, soprattutto, per sostituirsi alle statuizioni provvedimentali previste dall’art. 12 del decreto legislativo n. 114 del 1998, senza il supporto di una specifica istruttoria finalizzata ad analizzare le realtà territoriali e ad effettuare una ponderazione comparativa di interessi in relazione a criteri orientativi previamente definiti; b) degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto l’invasione legislativa della sfera amministrativa si riflette negativamente sulla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive incise; c) degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., poiché l’introduzione di una normativa regionale di fatto più restrittiva di quella previgente, che si distacchi in peius dai parametri di riferimento dettati dal decreto legislativo n. 114 del 1998, determina un’irragionevole lesione del principio di tutela della libertà di iniziativa economica collegata all’incisione delle scelte organizzative degli operatori economici e si riflette negativamente sui livelli di tutela della concorrenza (invadendo la competenza riservata alla legislazione statale), in quanto finisce per deprimere le potenzialità competitive degli esercizi commerciali siti in Comuni che, pur essendo a forte attrattività turistica secondo i parametri della legge nazionale, non sono compresi nel numerus clausus dei bacini territoriali presi in considerazione dal legislatore regionale;
che, con un unico atto, si sono costituite nel presente giudizio le società operatrici del centro polifunzionale sito nel comune di Erbusco, che concludono chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate, sulla base di argomentazioni conformi a quelle svolte dal Collegio rimettente; e che, in una memoria illustrativa (ribadite le rassegnate conclusioni e le relative argomentazioni a sostegno) sottolineano come il sopravvenuto art. 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 abbia fatto venire meno le limitazioni relative agli orari ed ai giorni di apertura degli esercizi commerciali individuati nella legislazione regionale ad esso precedente, oltre che nel decreto legislativo n. 114 del 1998, sicché ogni norma regionale che preveda tali limiti deve ritenersi implicitamente abrogata, secondo la regola desumibile dall’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62.
Considerato che il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 5-bis, comma 10, della legge della Regione Lombardia 3 aprile 2000, n. 22 (Disciplina delle vendite straordinarie e disposizioni in materia di orari degli esercizi commerciali) – rubricato «Orari delle attività di vendita al dettaglio in sede fissa», secondo cui, «Nel rispetto dei limiti di cui ai commi 2, 3 e 11, l’apertura al pubblico nelle giornate domenicali e festive è consentita negli ambiti territoriali a forte attrattività, così individuati: […] b) i comuni rivieraschi dei laghi lombardi di cui all’allegato A della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (legge per il governo del territorio), con esclusione dei capoluoghi di provincia e limitatamente ai laghi in cui è presente un servizio pubblico di navigazione di linea per il trasporto di persone e cose; […]» –, nonché dell’articolo 103, comma 13, della legge della Regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere) in cui (a seguito della abrogazione della legge regionale n. 22 del 2000, ai sensi dell’art. 155, comma 1, lettera f, della legge regionale n. 6 del 2010), è stato trasfuso il testo dell’art. 5-bis, comma 10;
che, in sintesi, il rimettente fonda le proprie censure sul presupposto che la normativa regionale impugnata – nel sostituire la nozione statale dei Comuni «ad economia prevalente turistica» con quella degli «ámbiti territoriali a forte attrattività» – determinerebbe una aprioristica tipizzazione legislativa, ponendosi in linea di discontinuità rispetto all’art. 12 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), che viceversa demandava ad un’indagine amministrativa l’individuazione dei Comuni ad economia prevalentemente turistica, esonerati dalla regola della chiusura domenicale e festiva;
che ciò, secondo il rimettente, provocherebbe la violazione: a) degli artt. 3 e 97 Cost., per illogicità della fissazione (con una legge-provvedimento) di una presunzione juris et de jure, che finisce per vincolare il potere sindacale di fissazione del calendario di apertura degli esercizi commerciali e, soprattutto, per sostituirsi alle statuizioni provvedimentali previste dal menzionato art. 12 del decreto legislativo n. 114 del 1998, senza il supporto di una specifica istruttoria finalizzata ad analizzare le realtà territoriali e ad effettuare una ponderazione comparativa di interessi in relazione a criteri orientativi previamente definiti; b) degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto l’invasione legislativa della sfera amministrativa si riflette negativamente sulla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive incise; c) degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., per l’introduzione di una normativa regionale più restrittiva di quella previgente, che determinerebbe un’irragionevole lesione del principio di tutela della libertà di iniziativa economica collegata all’incisione delle scelte organizzative degli operatori economici, riflettendosi negativamente sui livelli di tutela della concorrenza e finendo per deprimere le potenzialità competitive degli esercizi commerciali siti in Comuni che, pur essendo a forte attrattività turistica secondo i parametri della legge nazionale, non sono compresi nel numerus clausus dei bacini territoriali presi in considerazione dal legislatore regionale;
che, dopo la proposizione della odierna questione (sollevata con ordinanza emessa il 29 novembre 2011), è sopravvenuta la previsione del comma 1 dell’art. 31 del decreto-legge 6 dicembre del 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che – nel disporre che, «in materia di esercizi commerciali, all’articolo 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse le parole: “in via sperimentale” e dopo le parole “dell’esercizio” sono soppresse le seguenti “ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte”» – ha radicalmente riformulato il dettato di tale ultima norma, la quale (ponendo le regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale), nel testo attualmente vigente, è dunque venuta a stabilire che, «ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio [..]»;
che tale previsione rappresenta il momento finale della evoluzione della disciplina degli orari degli esercizi commerciali e della chiusura domenicale e festiva, che ha subíto rilevanti modifiche ad opera del legislatore statale, già intervenuto con l’art. 35, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, inserendo la lettera d-bis) nel comma 1 dell’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, che, in aggiunta all’elenco degli àmbiti normativi per i quali è espressamente escluso che lo svolgimento di attività commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni, aveva indicato anche la disciplina degli orari e della chiusura domenicale o festiva degli esercizi commerciali, sia pure solo in via sperimentale e limitatamente agli esercizi ubicati nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte;
che, dunque, l’eliminazione (ad opera dello ius superveniens) dal testo della norma novellata del riferimento ai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte estende la liberalizzazione della disciplina degli orari degli esercizi commerciali e della chiusura domenicale e festiva a tutte le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59);
che, infatti, sulla base della modifica operata dal menzionato art. 31 del decreto-legge n. 201 del 2011 – in attuazione di un principio dinamico di liberalizzazione, finalizzato alla creazione di un mercato più aperto all’ingresso di nuovi operatori, anche a beneficio dei consumatori, attraverso misure coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza (sentenze n. 27 del 2013 e n. 299 del 2012) – oggi dette attività commerciali non possono più incontrare limiti o prescrizioni relativi agli orari di apertura e chiusura e alle giornate di chiusura obbligatoria;
che compete al rimettente (cui, pertanto, occorre restituire gli atti) verificare se la motivazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione, prospettata nell’ordinanza di rimessione, resti valida alla luce del novum normativo e della incidenza di questo sulla definizione del giudizio principale (ordinanza n. 59 del 2012).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Consiglio di Stato rimettente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013.