SENTENZA N. 120
ANNO 2013
Commento alla decisione di
Marta Mazzotta
(per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 63 e 70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento vertente tra Boccellino Giovanni ed altri e Nespoli Vincenzo ed altro, con ordinanza del 14 marzo 2012 iscritta al n. 262 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 aprile 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto in fatto
1. – In un giudizio promosso (con ricorso depositato il 5 dicembre 2011) da cittadini elettori nei confronti del Sindaco di Afragola – per accertare la sussistenza in capo a questo della causa di incompatibilità tra tale carica e quella di senatore della Repubblica italiana e dichiararne la decadenza dalla prima – il Tribunale ordinario di Napoli, prima sezione civile, con ordinanza emessa il 14 marzo 2012, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), «in combinato disposto con l’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000, nella parte in cui il suddetto articolo 63, nel sancire le cause di incompatibilità, non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di Sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, non consentendo così l’esercizio dell’azione popolare, per la lesione degli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione nonché del principio di ragionevolezza in riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 della L. n. 53/1960 [recte: n. 60/1953] come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale».
Il rimettente espone che l’elezione a sindaco del convenuto era avvenuta nella tornata elettorale del 13 e 14 aprile 2008 e nel successivo turno di ballottaggio del 28 e 29 aprile 2008 (ed era stata convalidata l’11 giugno 2008), mentre il medesimo rivestiva anche la carica di parlamentare nazionale in quanto eletto al Senato della Repubblica nella XVI legislatura, in data 13 aprile 2008 (proclamato il 24 aprile 2008, con convalida in data 1° luglio 2008), con conseguente contemporanea assunzione delle due cariche.
Ciò premesso – esaminato il quadro normativo vigente in tema di incompatibilità tra cariche pubbliche e di modalità di contestazione e di accertamento, in particolare con riguardo alle cariche di parlamentare e di sindaco –, il Collegio rileva che nel decreto legislativo n. 267 del 2000, tra le disposizioni che prevedono le cause di ineleggibilità ed incompatibilità, anche sopravvenute, non si rinviene alcuna previsione che sancisca l’ineleggibilità del parlamentare a sindaco e l’incompatibilità tra le due cariche, giacché un riferimento ai profili di interferenza tra dette cariche si trova solo nell’art. 62, che disciplina (con previsione coincidente a quella contenuta nell’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante «Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati», e negli artt. 2 e 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, recante «Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica») il diverso caso in cui la accettazione della candidatura a parlamentare comporta la decadenza dalla carica di sindaco di un Comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti.
Richiamate analiticamente le argomentazioni contenute nella sopra citata sentenza di questa Corte n. 277 del 2011, nel respingere le eccezioni del convenuto di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e decadenza dall’azione, il Tribunale osserva, da un lato, che – se va considerato che l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco, enucleata da detta sentenza, non ricade direttamente sull’ambito applicativo del decreto legislativo n. 267 del 2000, ove è disciplinata l’azione popolare – non può non considerarsi che la mancata possibilità di esercitarla, conseguente a questa assenza normativa, determinerebbe una disarmonia ed un disequilibrio del sistema, così da causare una sperequazione tra il diritto di elettorato passivo rispetto al diritto di elettorato attivo, «atteso che la valutazione di una incompatibilità ricadente su due diverse cariche elettive (parlamentare e sindaco) si troverebbe ad essere parzialmente sottratta all’ordinario sistema di accertamento e contestazione previsto per una delle due (sindaco)»; laddove, comunque, la domanda proposta in giudizio non verterebbe in materia coperta dalla riserva di autodichia di cui all’art. 66 Cost., giacché «la qualità di parlamentare non è in nessun caso suscettibile di subire riflessi giuridici, diretti o indiretti, dalla decisione che l’A.G.O. è tenuta ad assumere nel merito dell’azione popolare esperita in relazione alla carica di Sindaco». Dall’altro lato, il Tribunale rileva che secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, l’azione elettorale si colloca su un piano di assoluta autonomia rispetto alla delibera consiliare di convalida dell’elezione, involgendo posizioni di diritto soggettivo perfetto; e che pertanto i pieni poteri di cognizione del giudice ordinario, comprendenti anche quello di correggere il risultato delle elezioni, non sono influenzati da eventuali provvedimenti del consiglio comunale, né il relativo procedimento amministrativo può incidere sulla proponibilità dell’azione giudiziaria, che prescinde sia dalla esistenza di un deliberato consiliare sia dalla correlativa impugnativa di esso.
Escluso che la censurata lacuna normativa possa essere colmata in via di applicazione estensiva o analogica, ovvero di interpretazione costituzionalmente orientata (atteso il principio di tassatività delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità), il rimettente osserva, dunque, come la mancata previsione nel decreto legislativo n. 267 del 2000 della incompatibilità (legislativamente prevista, sia pure in altra legge, in ragione della richiamata sentenza n. 277 del 2011) tra la carica di sindaco di un Comune con più di 20.000 abitanti e di parlamentare, non consentendo tra l’altro la utilizzabilità dell’azione popolare, si ponga in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., «sotto il profilo della ragionevolezza, per la violazione del principio generale secondo cui un soggetto non può assumere e mantenere durante il proprio mandato la carica di parlamentare e di sindaco tra le quali è stata sancita una incompatibilità ex lege ex artt. 2, 3 e 4 della legge n. 60/1953 come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale, senza che sia consentito ai cittadini elettori di sottoporre questa situazione al vaglio della giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000, come previsto per tutte le altre ipotesi di incompatibilità dettate ex lege per il Sindaco»; e con il «principio di eguaglianza specificamente sancito in materia elettorale dall’art. 51 Cost.»; b) con l’art. 67 Cost., «nella parte in cui viene in evidenza una possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali, e segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione, ed organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato» e di imparzialità nell’esercizio delle funzioni; c) con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di parlamentare nazionale può ripercuotersi negativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni cumulativamente esercitate, come ripetutamente affermato dalla Corte (di cui cita le sentenze n. 143 del 2010, n. 44 del 1997 e n. 235 del 1988).
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità della sollevata questione, in ragione del fatto che – prevista dall’art. 62 del decreto legislativo n. 267 del 2000 la decadenza (azionabile ai sensi del successivo art. 70) dalle cariche elettive ricoperte per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20 mila abitanti ed i presidenti di Provincia che accettino la candidatura a deputato o senatore – il rimettente muoverebbe dall’erroneo presupposto che la mancata previsione nell’impugnato art. 63 della incompatibilità tra le cariche de quibus precluderebbe la possibilità per il cittadino di far valere la decadenza in oggetto. La difesa erariale rileva viceversa che, nel caso in esame, le conseguenze della contemporaneità dell’incarico parlamentare con quello di sindaco sarebbero già previste e disciplinate con la decadenza, che ben può essere fatta valere (come è stata concretamente esercitata) con l’azione prevista dal citato art. 70.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale ordinario di Napoli, prima sezione civile – chiamato a pronunciarsi su una azione popolare promossa da cittadini elettori nei confronti del Sindaco di Afragola, per accertare la sussistenza in capo ad esso della causa di incompatibilità (per contemporanea assunzione all’esito delle rispettive elezioni tenutesi entrambe nel mese di aprile del 2008) tra tale carica e quella di senatore della Repubblica italiana e dichiararne la decadenza dalla prima – censura dell’articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), «in combinato disposto con l’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000, nella parte in cui il suddetto articolo 63, nel sancire le cause di incompatibilità, non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di Sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, non consentendo così l’esercizio dell’azione popolare, per la lesione degli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione nonché del principio di ragionevolezza in riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 della L. n. 53/1960 [recte: n. 60/1953] come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale», «nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti».
Secondo il rimettente – escluso che la censurata lacuna normativa possa essere colmata nel giudizio a quo mediante applicazione estensiva o analogica, ovvero interpretazione costituzionalmente orientata, stante il principio di tassatività delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità –, la norma impugnata si pone in contrasto: a) con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, «sotto il profilo della ragionevolezza, per la violazione del principio generale secondo cui un soggetto non può assumere e mantenere durante il proprio mandato la carica di parlamentare e di sindaco tra le quali è stata sancita una incompatibilità ex lege […] senza che sia consentito ai cittadini elettori di sottoporre questa situazione al vaglio della giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art.70 del D.Lgs. n. 267/2000, come previsto per tutte le altre ipotesi di incompatibilità dettate ex lege per il Sindaco»; e con il «principio di eguaglianza specificamente sancito in materia elettorale»; b) con l’art. 67 Cost., «nella parte in cui viene in evidenza una possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali, e segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione, ed organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato» e di imparzialità nell’esercizio delle funzioni; c) con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di parlamentare nazionale può ripercuotersi negativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni cumulativamente esercitate.
2. – L’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel presente giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, eccepisce l’inammissibilità della sollevata questione, in ragione di una dedotta erroneità della premessa da cui muove il rimettente, secondo cui la mancata previsione (nell’impugnato art. 63 della incompatibilità) tra le cariche de quibus verrebbe a precludere la possibilità per il cittadino di far valere la decadenza in oggetto. Il rimettente, infatti, non avrebbe considerato che le conseguenze della contemporaneità dell’incarico parlamentare con quello di sindaco sarebbero già previste e disciplinate, con la specifica decadenza sancita dal precedente art. 62, che ben potrebbe essere fatta valere con l’azione popolare.
2.1. – L’eccezione non è fondata.
Essa si basa sull’assunto (privo di fondamento normativo) in base al quale il rimettente (anziché proporre l’incidente di costituzionalità) avrebbe dovuto applicare per la definizione della fattispecie sottoposta al suo giudizio il rimedio disciplinato dall’art. 62 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (azionabile anch’esso con la generale azione di cui all’art. 70, la quale dunque, in tesi, non rimarrebbe preclusa al cittadino elettore). Detto articolo dispone che, «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e dall’articolo 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, l’accettazione della candidatura a deputato o senatore comporta, in ogni caso, per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e per i presidenti delle province la decadenza dalle cariche elettive ricoperte». Dalla lettura dell’inequivoco disposto normativo emerge viceversa con chiarezza che la norma richiamata dalla difesa dello Stato regola gli effetti derivanti dalla accettazione di una candidatura a parlamentare nazionale da parte di colui il quale (all’atto della candidatura medesima) sia già sindaco di un grande Comune (ovvero presidente di Provincia).
È vero che la previsione della decadenza dalla carica locale già rivestita in ragione della semplice candidatura (svincolata nella sua immediata operatività da qualunque incidenza della successiva elezione alla carica nazionale) risulta finalizzata a realizzare in anticipo (ed «in ogni caso») l’effetto preclusivo di un eventuale cumulo di cariche. Ed è altrettanto vero che – rammentato che costituisce principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale quello secondo cui la eleggibilità costituisce la regola, mentre la ineleggibilità rappresenta una eccezione; sicché le norme che disciplinano quest’ultima sono di stretta interpretazione, analogamente a quanto avviene per le cause di incompatibilità, introducendo le une e le altre limitazioni al diritto di elettorato passivo (sentenza n. 283 del 2010) – il censurato art. 63 si riferisce a fattispecie di incompatibilità affatto differente rispetto a quella regolata dal richiamato all’art. 62, che quindi costituisce norma inconferente e non applicabile. Ciò, a meno di non attribuire ad essa (con opzione ermeneutica che smentirebbe radicalmente il menzionato consolidato orientamento) un generale effetto decadenziale derivante dalla mera candidatura al Parlamento nazionale (non caratterizzato dal peculiare rapporto di priorità temporale tra la carica locale già rivestita e quella cui il soggetto aspira), così estendendone inammissibilmente la portata limitativa del diritto di elettorato passivo anche alla fattispecie che ha dato origine al giudizio a quo, in cui (secondo la prospettazione, non contestata) le cariche oggetto del contenzioso sono state conseguite pressoché contemporaneamente, e comunque senza che si sia verificata in concreto il presupposto richiesto dalla disposizione evocata di una accettazione da parte del convenuto della candidatura alle elezioni del Senato, intervenuta in un momento successivo alla elezione del medesimo a Sindaco del Comune di Afragola.
La sottolineata eterogeneità delle fattispecie porta pertanto ad escludere che le lamentate conseguenze della contemporaneità della assunzione dell’incarico parlamentare con quello di sindaco avrebbero potuto essere ovviate dal rimettente attraverso il rimedio di cui all’art. 62 del d.lgs. n. 267 del 2000.
2.2. – Non assume, inoltre, rilevanza ai fini della decisione del presente scrutinio quanto sancito dall’art. 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale prevede che, «Fermo restando quanto previsto dalla legge 20 luglio 2004, n. 215, e successive modificazioni, le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo di cui all’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004, sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, fermo restando quanto previsto dall’articolo 62 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. […]». Come evidenziato dallo stesso rimettente, la espressa posticipazione alla prossima legislatura della operatività della nuova previsione di incompatibilità del parlamentare successivamente eletto sindaco rende la nuova normativa priva di incidenza, ratione temporis, sulla sollevata questione; laddove le eventuali problematiche derivanti dalla duplice regolamentazione della medesima materia troveranno evidentemente soluzione nei giudizi a quibus secondo le generali regole della successione di leggi nel tempo.
Altrettanto è a dirsi quanto alle vicende di fatto sopravvenute rispetto alla proposizione dell’odierno scrutinio di costituzionalità, quali la cessazione del mandato parlamentare ricoperto dal convenuto a seguito della intervenuta conclusione della XVI legislatura: infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, tali mutamenti non sono idonei ad esplicare effetti sul giudizio incidentale, in quanto questo, una volta iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente, non è suscettibile di essere influenzato da successive vicende di fatto concernenti il rapporto dedotto nel processo che lo ha occasionato, come previsto dall’art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel testo approvato il 7 ottobre 2008 (sentenze n. 274 del 2011 e n. 227 del 2010).
3. – Nel merito, la questione è fondata.
3.1. – Va premesso che – sebbene formalmente risulti censurato l’art. 63 del decreto legislativo n. 267 del 2000 «in combinato disposto con l’art. 70» dello stesso testo unico degli enti locali – nella sostanza, per il rimettente, la denunciata impossibilità di avvalersi dell’azione popolare in mancanza di una previsione che sancisca l’incompatibilità tra le cariche de quibus, non deriva dal dettato dell’art. 70 (che, quale norma processuale, in sé non produce alcuno dei vizi lamentati, trattandosi di un generale rimedio giurisdizionale, utilizzabile per rimuovere tutti i casi in cui siano state violate le regole di ineleggibilità, incompatibilità e incandidabilità previste dall’intero capo II del titolo III del decreto legislativo n. 267 del 2000), ma costituisce un mero effetto della lacuna normativa che il rimettente ravvisa sussistere nella incompleta previsione, appunto, dell’art. 63, richiedendo di colmarla attraverso l’estensione ad essa del dictum di cui alla sentenza n. 277 del 2011.
3.2. – Così individuato il thema decidendum, anche in rapporto al petitum formulato dal rimettente (che, depurato dai richiami di valenza meramente argomentativa, va individuato nella richiesta di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 63 del decreto legislativo n. 267 del 2000, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti), questa Corte rileva, in primo luogo, che nella specie la sollevata questione risulta diretta ad accertare non se debba essere (ri)affermata l’incompatibilità tra l’ufficio di parlamentare nazionale e la carica di sindaco di un Comune di grandi dimensioni. Piuttosto (una volta riconosciuta, con la sentenza n. 277 del 2011, tale causa di incompatibilità attraverso la dichiarazione di incostituzionalità diretta a rimediare ad una omissione presente nel plesso normativo delle leggi sulle incompatibilità parlamentari) che tale previsione – ove si presenti rispetto ad una fattispecie che il rimettente (mediante motivazione non implausibile né contestata) afferma essere regolata dal differente sistema di leggi sull’ordinamento degli enti locali, che deve trovare applicazione nel giudizio a quo in ragione della domanda azionata dai cittadini elettori – venga formalmente ad essere estesa anche a questo, stante la eadem ratio fondata sul naturale carattere bilaterale della causa di incompatibilità, attesa la medesima necessità di rimediare ad una omissione, già ritenuta incostituzionale dalla Corte rispetto ad altra legge (sentenza n. 67 del 2012).
Orbene, nella sentenza n. 277 del 2011 – premesso che l’art. 7, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), sancisce che: «Non sono eleggibili: […] c) i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti»; e che, a sua volta, l’art. 5 del decreto legislativo 2 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), dispone che: «Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361» – questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60, recante le regolamentazione delle «Incompatibilità parlamentari» (censurati in quanto nulla disponevano, in termini di incompatibilità, per il caso in cui la identica causa di ineleggibilità fosse sopravvenuta rispetto alla elezione a parlamentare), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Trattandosi in quel contesto decisionale di «verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore (che evidentemente produce in sé una indubbia incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo) di escludere l’eleggibilità alla Camera o al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale», questa Corte ha innanzi tutto sottolineato, sotto il profilo sistematico, che la valutazione della mancata previsione della causa di incompatibilità in oggetto deve muoversi non solo sul versante della diversità di ratio e di elementi distintivi proprí, per causa ed effetti, delle cause di ineleggibilità rispetto a quelle di incompatibilità (le prime tradizionalmente intese a limitare lo jus ad officium, onde evitare lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis; le altre incidenti sullo jus in officio, per scongiurare l’insorgere di conflitti di interessi: sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988).
Deve, viceversa, essere condotta – in ossequio alla esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalità intrinseca altrimenti lesa – alla stregua di un criterio più propriamente teleologico, nel cui contesto va evidenziato «il naturale carattere bilaterale dell’ineleggibilità», il quale inevitabilmente «finisce con il tutelare, attraverso il divieto a candidarsi in determinate condizioni, non solo la carica per la quale l’elezione è disposta, ma anche la carica, il cui esercizio è ritenuto incompatibile con la candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997).
Ed ha quindi affermato, in primo luogo, che «tale profilo finalistico non può trovare attuazione se non attraverso l’affermazione della necessità che il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003)»; in secondo luogo, che – poiché in ultima analisi le cause di ineleggibilità e di incompatibilità si pongono quali strumenti di protezione non soltanto del mandato elettivo, ma anche del pubblico ufficio che viene ritenuto causa di impedimento del corretto esercizio della funzione rappresentativa – il potere discrezionale del legislatore di introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo tra le due cariche «trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione (sentenza n. 143 del 2010)».
Sulla base di tali argomentazioni, anche nella specie va ribadito che, in assenza di una causa normativa (enucleabile all’interno della legge impugnata ovvero dal più ampio sistema in cui la previsione opera) idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità e di incompatibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione.
Tanto più, allorquando «la regola della esclusione “unidirezionale” viene in concreto fatta dipendere, quanto alla sua effettiva operatività, dalla circostanza – meramente casuale – connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali ed alla priorità o meno della assunzione della carica elettiva “pregiudicante” a tutto vantaggio della posizione del parlamentare; da ciò la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo» (sentenza n. 277 del 2011; nonché sentenza n. 67 del 2012).
3.3 – Pertanto, la sussistenza di un’identica situazione di incompatibilità derivante dal cumulo tra la carica di parlamentare nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore a ventimila abitanti – in assenza di un peculiare motivo (enucleabile all’interno delle disposizioni impugnate ovvero nel più ampio sistema in cui esse operano) idoneo ad attribuirne ragionevole giustificazione ed a prescindere dal momento di assunzione delle cariche medesime – porta (stante l’assoluta identità di ratio) alla declaratoria di illegittimità costituzionale della mancata specifica previsione di tale incompatibilità nella norma impugnata.
3.4. – Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura formulati dal rimettente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013.