SENTENZA N. 161
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, commi 1 e 2;
6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; 11, commi 8 e 9, e 15, commi 3 e 4, della legge della
Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni
Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende
Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», promosso dal Presidente del Consiglio
dei ministri con ricorso notificato il 12-15 settembre 2011, depositato in
cancelleria il 20 settembre 2011, ed iscritto al n. 95 del registro ricorsi
2011.
Visti gli
atti di costituzione della Regione Abruzzo;
udito
nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi
l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico Tedeschini
per
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso
notificato il 12-15 settembre 2011 e depositato il 20 settembre 2011, previa
deliberazione del 1° settembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in
via principale l’articolo 5, commi 1 e 2; l’art. 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7;
l’art. 11, commi 8 e 9, e l’art. 15, commi 3 e 4, della legge della Regione
Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche
di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di
Servizi alla Persona (ASP)», pubblicata sul Bollettino
Ufficiale della Regione Abruzzo
n. 43 del 13 luglio 2011, deducendo la violazione degli artt. 117, terzo comma,
e 97, terzo comma, della Costituzione.
La legge regionale
prevede e disciplina la trasformazione delle Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficienza (IPAB) in Aziende pubbliche di servizi alla persona
(ASP) o in soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato senza scopo
di lucro, stabilendo l’estinzione delle Istituzioni per le quali risulti
accertata l’impossibilità di detta trasformazione.
1.1.— Il ricorrente ha
anzitutto lamentato la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. da parte
degli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della legge regionale abruzzese.
La prima norma
consente alle IPAB, fino alla loro trasformazione in ASP, di modificare, in
deroga al divieto sancito dal comma precedente dello stesso art. 5, la propria
dotazione organica, limitatamente all’individuazione di eventuali profili
professionali previsti da specifiche normative, qualora sussistano effettive
esigenze connesse con il regolare svolgimento delle attività statutarie.
L’art. 15, comma
Entrambe le impugnate
disposizioni, limitandosi a far salva, con clausola dal ricorrente considerata
inadeguata, la «compatibilità con le disposizioni di bilancio», consentirebbero
rispettivamente ad IPAB ed ASP di incrementare la dotazione organica senza
raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti
comunque riconducibili al sistema delle autonomie. In particolare, risulterebbe
violato il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica
espresso «dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008» [recte: decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria», convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133], che impone specifici
limiti e divieti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e
con qualsivoglia tipologia contrattuale. Risulterebbe così violato l’art. 117,
terzo comma, Cost.
1.2.— Il ricorrente ha
altresì dedotto l’illegittimità costituzionale di alcuni commi dell’art. 6
della stessa legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011: a) il comma 3, che
prevede che l’estinzione delle IPAB comporti il trasferimento alle ASP – e,
fino alla loro costituzione, al Comune o ai Comuni ove siano ubicate le
strutture attraverso cui le Istituzioni perseguivano i loro fini – delle
situazioni giuridiche pregresse, del personale dipendente di ruolo e dei
patrimoni delle prime; b) il comma 4, secondo cui, fino all’istituzione delle ASP,
il personale dipendente di ruolo delle IPAB è temporaneamente assegnato, in
posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune
affidatario delle procedure di estinzione; c) il comma 5, alla stregua del
quale con il provvedimento di estinzione tutti gli adempimenti di ricognizione
delle situazioni giuridiche in essere, compresi quelli relativi al personale,
sono affidati al Sindaco del Comune sede dell’Istituzione estinta, in qualità
di organo liquidatore; d) il comma 6, che dispone il trasferimento ai singoli
Comuni, con obbligo di successivo trasferimento al patrimonio indisponibile
dell’ASP territorialmente competente, delle strutture destinate ad attività
socio-assistenziali e socio-educative appartenenti ad Istituzioni intraregionali aventi sede legale in altra Regione,
comprese quelle realizzate in regime di convenzione con l’impiego dei fondi
pubblici derivanti dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno; e) il comma
7, che disciplina il procedimento attraverso cui i Comuni acquisiscono al loro
patrimonio le strutture delle Istituzioni in considerazione.
Ad avviso del
ricorrente anche tali disposizioni, assegnando, seppure temporaneamente, ai
Comuni nuove strutture e nuovo personale senza operare il necessario raccordo
con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti
riconducibili al sistema delle autonomie, si porrebbero in contrasto con il
principio in materia di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art.
76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, violando così l’art. 117,
terzo comma, Cost.
1.3.— Il ricorrente ha
inoltre denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1 e 2,
6, commi 3, 4, 5, 6 e 7, e 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo
n. 17 del 2011 per violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost., in quanto dette
norme prevederebbero il generico trasferimento dalle
IPAB alle ASP e, fino alla costituzione di queste ultime, ai Comuni di tutto il
personale, anche non selezionato con pubblico concorso, senza specificare i
requisiti e le modalità dell’originaria assunzione.
1.4.— Il Presidente
del Consiglio dei ministri, infine, ha prospettato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 11, commi 8 e 9, della medesima legge regionale, i
quali prevedono rispettivamente che al presidente dell’Azienda competa
un’indennità determinata in misura percentuale su quella spettante ai direttori
generali delle Aziende unità sanitarie locali dell’Abruzzo e che a ciascuno dei
componenti del consiglio di amministrazione ne sia riconosciuta una pari al
sessanta per cento di quella spettante al presidente.
Tali previsioni si
porrebbero in contrasto con il principio di coordinamento della finanza
pubblica espresso dall’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo cui la
partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti che
comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche nonché la
titolarità dei predetti enti è onorifica e può dar luogo esclusivamente al
rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora
già previsti, i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a
seduta giornaliera. In tal modo risulterebbe violato l’art. 117, terzo comma,
Cost.
2.— Con atto
depositato il 21 ottobre 2011 si è costituita in giudizio
2.1.— In via
preliminare essa ha eccepito la parziale inammissibilità dell’impugnativa per
esser stato erroneamente indicato il parametro interposto, individuato
nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008 invece che, correttamente, del
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.
2.2.—
2.2.1.— Anzitutto,
secondo la resistente la disposizione richiamata quale parametro interposto –
come evincibile anche dalla sua rubrica: «Spese di personale per gli enti
locali e delle camere di commercio» – si applicherebbe solamente a detti enti e
non anche alle IPAB di natura pubblica (ossia quelle non costituite in
associazioni o fondazioni di diritto privato) ed alle ASP, che andrebbero
annoverate tra gli enti pubblici non economici. Sul punto, peraltro, il ricorso
sarebbe affetto da eccessiva genericità, non essendo stati chiariti i motivi di
riconduzione delle Istituzioni e delle Aziende agli enti locali, estendendo
loro i limiti ed i divieti di assunzione per questi ultimi previsti.
2.2.2.— In secondo luogo, a dire della
Regione, quand’anche si ritenesse riferibile ad IPAB ed ASP il dettato del
citato art. 76, comma 7, la sua applicazione non sarebbe impedita dal mancato
esplicito richiamo allo stesso da parte della legge regionale censurata (si
cita la sentenza
di questa Corte n. 43 del 2011), che, anzi, all’art. 5, comma 2, subordina
la deroga al disposto del precedente comma 1 del medesimo articolo proprio al
«rispetto delle norme di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001,
n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), come modificato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112,
convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e di cui al D.L. 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122». Il
ricorso, peraltro, peccherebbe di eccesiva genericità, estendendo in via
generale il divieto di assunzione di personale, senza alcun riferimento al
regime differenziato previsto dalla disposizione statale, che invece distingue
in ragione delle percentuali d’incidenza del costo del personale sulla spesa
corrente sostenuta dall’ente.
2.3.—
2.3.1.— Quanto alle
censure mosse agli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della legge regionale n. 17
del 2011, dopo aver ribadito l’inapplicabilità soggettiva dell’art. 76, comma 7
– per essere esclusivamente riferito ad enti locali e camere di commercio – e,
comunque, la sua mancata violazione alla stregua del contenuto effettivo della
norma interposta, ha sostenuto che dovrebbero trovare applicazione l’art. 4,
comma 3, del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 (Riordino del sistema
delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’articolo
10 della L. 8 novembre 2000, n. 328), ai sensi del quale «l’attuazione del
riordino non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro col
personale dipendente», e l’art. 5 dello stesso decreto, che nell’ambito del
processo di riordino prevede, per il caso di estinzione, l’assegnazione del
patrimonio delle IPAB ad altre Istituzioni del territorio o ai Comuni competenti.
A dire della Regione, l’acquisizione temporanea del patrimonio e del personale
sarebbe dunque adempimento obbligatorio alla luce della disciplina statale, con
conseguente annoverabilità delle spese nella
categoria economica dei costi per "le estinzioni delle IPAB” e non in quella
dei costi sostenuti per il personale, cui solo si riferirebbe l’art. 76, comma
7. Tale norma, inoltre, stabilendo il divieto per gli «enti nei quali
l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese
correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale», prevederebbe dei limiti di applicabilità
al divieto di assunzione, fissato in relazione ad una verifica concreta
dell’incidenza delle spese di personale, con la conseguenza che, entro detti
limiti, le norme impugnate sarebbero perfettamente legittime. Ne discenderebbe
ulteriormente che, al più, esse potrebbero essere censurate nella parte in cui
non richiamano tale limite di applicabilità. Ciò, tuttavia, non renderebbe le
questioni fondate, sia perché lo stesso comma 2 dell’art. 5 della legge
regionale consente la deroga al comma 1 solo «nel rispetto delle norme di cui
al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
come modificato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 e di cui al D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122», sia, comunque, perché il
mancato espresso richiamo nella norma regionale delle specifiche disposizioni
statali non implicherebbe la loro inapplicabilità (nella memoria di
costituzione si citano le sentenze n. 43 del 2011
e n. 45 del 2010).
2.3.2.— In ordine
all’art. 6, commi da
2.3.3.— In relazione
alla dedotta violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. da parte degli artt.
5, commi 1 e 2; 6, commi da
2.3.4.— Quanto
all’art. 11, commi 8 e 9,
2.4.— In prossimità
dell’udienza
Considerato
in diritto
1.— Con ricorso notificato il 12-15
settembre 2011 e depositato il 20 settembre 2011, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha impugnato in via principale l’articolo 5, commi 1 e 2; l’art.
6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; l’art. 11, commi 8 e 9, e l’art. 15, commi 3 e 4,
della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino
delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina
delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», in riferimento agli
artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. ed alle norme interposte
costituite dall’art. 76, comma 7, del decreto legislativo n. 12 del 2008 [recte: decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria», convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133] e dall’art. 6, comma 2,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge
30 luglio 2010, n. 122.
Detta legge, secondo quanto disposto dal
d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207 (Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche
di assistenza e beneficenza, a norma dell’articolo 10 della L. 8 novembre 2000,
n. 328), prevede e disciplina la trasformazione delle Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficienza (IPAB) in Aziende pubbliche di servizi alla persona
(ASP) o in soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato senza scopo
di lucro, stabilendo l’estinzione delle istituzioni per le quali risulti
accertata l’impossibilità della trasformazione.
1.1.— Il ricorrente ha anzitutto
lamentato la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. da parte degli artt.
5, comma 2, e 15, comma 4, della stessa legge della Regione Abruzzo n. 17 del
2011.
La prima norma consente alle IPAB, fino
alla loro trasformazione in ASP, di modificare, in deroga al divieto sancito
dal comma precedente dello stesso art. 5, la propria dotazione organica,
limitatamente all’individuazione di eventuali profili professionali previsti da
specifiche normative, qualora sussistano effettive esigenze connesse con il
regolare svolgimento delle attività statutarie.
La seconda, in deroga a quanto disposto
dal precedente comma 3, consente alle ASP, una volta costituite, in sede di
prima applicazione della legge e fino all’approvazione del regolamento che
determinerà le dotazioni organiche, di superare eventuali carenze di personale,
connesse con effettive esigenze di assicurare il regolare svolgimento di
attività statutarie, mediante specifiche selezioni, secondo quanto previsto
dall’art. 5, comma 2.
Entrambe le menzionate disposizioni,
limitandosi a far salva, con clausola dal ricorrente considerata inadeguata, la
«compatibilità con le disposizioni di bilancio», consentirebbero ad IPAB ed ASP
di incrementare la dotazione organica senza raccordo con la normativa statale
in materia di spesa di personale degli enti comunque riconducibili al sistema
delle autonomie. In particolare, risulterebbe violato il principio di
contenimento della spesa pubblica sancito dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n.
12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, principio in
materia di coordinamento della finanza pubblica che impone specifici limiti e
divieti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale.
1.2.— Il ricorrente ha altresì dedotto
l’illegittimità costituzionale di alcuni commi dell’art. 6 della medesima legge
regionale n. 17 del 2011: a) il comma 3, il quale prevede che l’estinzione
delle IPAB comporti il trasferimento alle ASP e, fino alla loro costituzione,
al Comune o ai Comuni ove siano ubicate le strutture attraverso cui le
Istituzioni perseguivano i loro fini, delle situazioni giuridiche pregresse,
del personale dipendente di ruolo e dei patrimoni; b) il comma 4, secondo cui,
fino alla costituzione delle ASP, il personale dipendente di ruolo delle IPAB è
temporaneamente assegnato, in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione
organica, al Comune affidatario delle procedure di estinzione; c) il comma 5,
alla stregua del quale con il provvedimento di estinzione tutti gli adempimenti
di ricognizione delle situazioni giuridiche in essere, compresi quelli relativi
al personale, sono affidati al Sindaco del Comune sede dell’Istituzione
estinta, in qualità di organo liquidatore; d) il comma 6, che dispone il
trasferimento ai singoli Comuni, con obbligo di successivo trasferimento al
patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture
destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative appartenenti ad
Istituzioni infraregionali aventi sede legale in
altra Regione, comprese quelle realizzate in regime di convenzione con
l’impiego dei fondi pubblici derivanti dall’intervento straordinario nel
Mezzogiorno; e) il comma 7, che disciplina il procedimento attraverso cui i
Comuni acquisiscono al loro patrimonio le strutture delle Istituzioni in
considerazione.
Ad avviso del ricorrente anche tali
disposizioni, assegnando, seppure temporaneamente, ai Comuni nuove strutture e
nuovo personale senza operare il necessario raccordo con la normativa statale
in materia di spesa di personale degli enti riconducibili al sistema delle
autonomie, si porrebbero in contrasto con il principio in materia di
coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del d.lgs.
n. 12 [recte:
d.l. n. 112] del 2008, violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.
1.3.— Il ricorrente ha inoltre
denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi
3, 4, 5, 6 e 7; 15, commi 3 e 4, della legge regionale per violazione dell’art.
97, terzo comma, Cost. perché dette norme prevedono il generico trasferimento
dalle IPAB alle ASP e, fino alla costituzione di queste ultime, ai Comuni di
tutto il personale, anche non selezionato con pubblico concorso, e ciò senza
specificare i requisiti e le modalità dell’originaria assunzione.
1.4 — Viene, infine, prospettata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 8 e 9, della medesima legge
regionale n. 17 del 2011, secondo cui al presidente dell’Azienda compete
un’indennità determinata in misura percentuale su quella spettante ai direttori
generali delle Aziende unità sanitarie locali dell’Abruzzo ed a ciascuno dei componenti
del consiglio di amministrazione una pari al sessanta per cento di quella
spettante al presidente.
Tali previsioni si porrebbero in
contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica espresso
dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, secondo cui: «la partecipazione
agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque
ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità dei
predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle
spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già
previsti, i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a
seduta giornaliera. La violazione di quanto previsto dal presente comma
determina responsabilità erariale e gli atti adottati dagli organi degli enti e
degli organismi pubblici interessati sono nulli». Risulterebbe in tal modo
violato l’art. 117, terzo comma, Cost.
2.— Con atto depositato il 21 ottobre
2011 si è costituita in giudizio
2.1.— In via preliminare essa ha
eccepito la parziale inammissibilità dell’impugnativa per essere stato
erroneamente indicato il parametro interposto, individuato nell’art. 76, comma
7, del d.lgs. n. 12 del 2008 invece che, correttamente, del d.l. n. 112 del
2008, convertito in legge n. 133 del 2008.
2.2.— Nel merito la difesa regionale ha
sostenuto che la disposizione richiamata quale parametro interposto si
applicherebbe solamente ad enti locali e camere di commercio, come specificato
nella stessa rubrica della disposizione, e non anche alle IPAB di natura
pubblica (ossia quelle non costituite in associazioni o fondazioni di diritto
privato) ed alle ASP, che andrebbero annoverate tra gli enti pubblici non
economici. Sul punto, peraltro, il ricorso sarebbe affetto da eccessiva
genericità, non essendo stati chiariti i motivi di riconduzione delle
Istituzioni e delle Aziende agli enti locali, estendendo loro i limiti ed i
divieti di assunzione per questi ultimi previsti.
Secondo la resistente, quand’anche si
ritenesse riferibile ad IPAB ed ASP il dettato del citato art. 76, comma 7, la
relativa applicazione non sarebbe impedita dal suo mancato espresso richiamo ad
opera della normativa regionale censurata.
Quanto, in particolare, agli artt. 5,
comma 2, e 15, comma 4,
In ordine all’art. 6, commi da
2.3.— Quanto agli artt. 5, commi 1 e 2;
6, commi da
2.4.— Per quel che concerne l’art. 11,
commi 8 e 9, la resistente ha evidenziato che il presupposto del divieto
sancito dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 consiste nella ricezione
di contributi a carico delle finanze pubbliche e che nessuna norma della legge
impugnata prevederebbe l’erogazione di contributi o
finanziamenti pubblici a favore delle ASP. La norma interposta, peraltro, non
potrebbe trovare applicazione nella fattispecie in quanto non si riferisce agli
enti previsti dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
nel cui novero rientrerebbero le ASP quali enti pubblici non economici
regionali.
3.— In punto di fatto va rilevato che il
ricorso è stato notificato il 12 settembre 2011, dunque oltre il termine di
sessanta giorni previsto per l’impugnazione delle leggi regionali, che è
scaduto l’11 settembre 2011. La data in questione, tuttavia, è coincisa con una
domenica e, pertanto, il ricorso risulta tempestivo. Infatti, a norma dell’art.
22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), nei procedimenti davanti alla Corte
si osservano, in quanto applicabili, le norme del regolamento per la procedura
innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. I procedimenti
giurisdizionali davanti al Consiglio di Stato sono disciplinati, ora, dal
codice del processo amministrativo, approvato dall’art. 1 del d.lgs. 2 luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), il
quale, all’art. 52, comma 3, prevede che «Se il giorno di scadenza è festivo il
termine fissato dalla legge o dal giudice per l’adempimento è prorogato di
diritto al primo giorno seguente non festivo». Tale regola si applica dunque ai
giudizi davanti alla Corte costituzionale, sia per effetto del rinvio dinamico
contenuto nel citato art. 22 della legge n. 87 del 1953, sia perché – essendo
espressa anche dall’art. 155, quarto comma, del codice di procedura civile — la
stessa costituisce ormai principio generale dell’ordinamento (sentenza n. 85 del
2012).
4.— Quanto all’eccezione di
inammissibilità sollevata dalla Regione Abruzzo circa l’inesatta individuazione
del parametro interposto da parte del ricorrente, essa non può essere accolta.
In effetti, la norma interposta alla
quale si correlano le questioni non è contenuta nell’art. 76, comma 7, del
d.lgs. n. 12 del 2008, erroneamente invocato dal Presidente del Consiglio,
bensì nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n.
133 del 2008. Nel caso in esame, tuttavia, l’inesatta indicazione non ha
impedito alla Regione convenuta di identificare con chiarezza la consistenza
delle questioni di legittimità sollevate e di svolgere pertinenti difese,
risultando agevolmente enucleabile il parametro con il quale le norme censurate
contrasterebbero (sentenza
n. 533 del 2002).
Questa Corte ritiene, pertanto, di dover
procedere all’esame nel merito delle questioni.
5.— Preliminarmente occorre prendere
atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 76, comma 7 («È
fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o
superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a
qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti
possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della
spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Ai fini del computo
della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute
anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che
sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara,
ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale
aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività
nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni
amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente
periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari. Per gli
enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35
per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 20 per
cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e
dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni
per turn-over che consentano l’esercizio delle funzioni fondamentali previste
dall’articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42»), del
d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del
L’articolato ius superveniens non ha comportato,
tuttavia, rilevanti modifiche ai termini delle questioni sollevate dal
Presidente del Consiglio dei ministri poiché nelle formulazioni normative
succedutesi nel tempo permane – con modalità applicative tutte inconciliabili
con alcune delle norme regionali impugnate – la regola limitativa delle
assunzioni di personale, invocata dal ricorrente e contestata, quanto alla sua
applicabilità alla fattispecie in esame, dalla Regione. Ne consegue che la
questione risulta del pari pertinente, sia in riferimento alla precedente che
alle intermedie ed alla vigente formulazione dell’art. 76, comma 7.
6.— Nel merito, la ricorrente prospetta
tre diversi gruppi di questioni di legittimità costituzionale: il primo ed il
terzo presentano come riferimento l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
risulterebbero violati i principi di coordinamento della finanza pubblica espressi
da due distinte norme interposte, individuate rispettivamente nell’art. 76,
comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008 (della
cui complessa evoluzione si è dato conto precedentemente), e nell’art. 6, comma
2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 112 del 2010. Il
secondo inerisce alla pretesa violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. in
quanto non sarebbero state rispettate le regole di accesso all’impiego pubblico
mediante concorso.
7.— Le questioni relative agli impugnati
artt. 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7 e 15, comma 4, della legge regionale n.
17 del 2011 sono fondate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed
alla norma interposta invocata.
7.1.— L’art. 76, comma 7, del d.l. n.
112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, dispone che, quando le spese
di personale per gli enti locali e per le camere di commercio superano il 50
per cento (al momento della proposizione del ricorso la norma prevedeva il 40
per cento) delle spese correnti, gli enti in questione non possono procedere a
nuove assunzioni, a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipologia contrattuale;
quando invece l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per
cento delle spese correnti, sono consentite deroghe parziali in relazione al turn-over.
Tale disposizione ha natura di principio
di coordinamento della finanza pubblica, come già riconosciuto dalla
giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 148 del 2012
e n. 108 del
2011).
L’impugnato art. 5, comma 2, della
stessa legge regionale prevede una deroga implicita al principio espresso dal
comma 1 del medesimo art. 5, secondo cui le Istituzioni sottoposte al riordino,
fino alla trasformazione in ASP ovvero in fondazioni o associazioni, non
possono procedere all’ampliamento della dotazione organica né all’assunzione di
personale a tempo indeterminato per i posti vacanti in organico. In
particolare, la disposizione riconosce alle IPAB la possibilità di assunzione
in presenza di condizioni del tutto diverse e non compatibili con quelle
specificate dalla norma interposta: oltre all’introduzione della fattispecie
derogatoria inerente a profili professionali previsti da specifiche normative,
collega la menzionata deroga al semplice presupposto che l’assunzione comporti
invarianza di spesa rispetto a quella sostenuta nell’esercizio precedente alla
data di entrata in vigore della legge regionale stessa e al fatto che la nuova
spesa risulti compatibile con le disponibilità di bilancio.
Preso atto dell’inconciliabilità tra le
due disposizioni, non superabile nemmeno attraverso un’interpretazione
sistematica delle norme impugnate, dirimente ai fini del decidere appare la
riconducibilità o meno delle Istituzioni sottoposte al riordino all’ambito
soggettivo di applicazione della disciplina contenuta nell’art. 76, comma 7.
Sulla natura delle IPAB esiste in
dottrina ed in giurisprudenza uno storico dibattito, via via
alimentato e condizionato dalle modifiche normative succedutesi nella
disciplina delle stesse. Anche questa Corte ha avuto modo di rilevare la
peculiarità di detti enti (sentenza n. 173 del
1981) e del loro regime giuridico, caratterizzato dall’intrecciarsi «di una
intensa disciplina pubblicistica con una notevole permanenza di elementi
privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto ad
altre istituzioni pubbliche» (sentenza n. 195 del
1987), giungendo ad affermare che «devesi convenire con quella dottrina che
parla di una assoluta tipicità di questi particolari enti pubblici, in cui
convivono forti poteri di vigilanza e tutela pubblica con un ruolo
ineliminabile e spesso decisivo della volontà dei privati, siano essi i
fondatori, gli amministratori o la base associativa» (sentenza n. 396 del
1988).
L’importanza rivestita in un lungo arco
temporale da tali Istituzioni di natura pubblica, la rilevanza degli statuti e
delle tavole di fondazione, peraltro notevolmente eterogenei, ed i poteri di
vigilanza e di tutela pubblica inducono ad affermare un’indubbia peculiarità di
questo genere di soggetti, non catalogabili in precise categorie di enti
pubblici. In questa sede, tuttavia, è utile sottolineare come l’evidenziata
peculiarità delle IPAB non impedisca la riconducibilità delle stesse alle
regole degli enti locali, quanto alla specifica disciplina della spesa ed, in
particolare, di quella – di carattere rigido – concernente il personale. La
disposizione interposta costituita dall’art. 76, comma 7, si riferisce
all’intero complesso delle funzioni amministrative ascrivibili alle competenze
delle autonomie locali, come testimonia l’inserimento, nel calcolo degli oneri
del personale, della spesa sostenuta anche dalle società partecipate che
integrano, sotto questo profilo, l’attività degli enti azionisti.
Nella prospettiva della finanza pubblica
allargata, d’altronde, la presenza di enti già impegnati nel settore dei
servizi sociali – nel quale operano parallelamente agli enti locali – e per di
più soggetti ad un riordino che ne determina l’integrazione funzionale a
livello infraregionale, comporta la necessità di un
coordinamento complessivo onde evitare che il riordino possa diventare
occasione per il superamento di quei limiti di spesa di personale, che il
legislatore vede con notevole preoccupazione nel particolare momento storico in
cui cade il riassetto.
Proprio la natura finanziaria
strutturale dei principi richiamati nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del
2008 induce a ritenere che agli stessi parametri sia soggetta la gestione delle
IPAB, soprattutto nel momento transitorio del trapasso dalle vecchie
Istituzioni alle nuove Aziende.
Per questi motivi, la questione
sollevata dal Presidente del Consiglio in merito all’art. 5, comma 2, della
legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011 deve ritenersi fondata, con
conseguente accoglimento del ricorso sul punto.
7.2.— Analoghe considerazioni riguardano
la censura sollevata nei confronti dell’art. 15, comma 4, della legge regionale
impugnata, secondo cui in sede di prima applicazione, e comunque fino
all’approvazione del regolamento delle costituende ASP, queste ultime possono
procedere a selezioni di personale in presenza di carenze correlate ad effettive
esigenze di assicurare il regolare svolgimento delle attività statutarie.
Poiché, per quel che riguarda le modalità attuative, l’art. 15, comma 4,
richiama l’art. 5, comma 2, precedentemente esaminato, dall’illegittimità di
quest’ultimo deriva quella della norma in esame, sebbene essa si riferisca ad
un ente, l’ASP, diverso dalle IPAB. Anche in questo caso non si rinviene
un’univoca classificazione di tale nuova tipologia di aziende, che mutuano
caratteri misti e peculiari sia dalle disciolte Istituzioni che dal contesto programmatorio ed operativo in cui vengono inserite. Le
accomuna alle IPAB la natura di ente pubblico, le differenzia certamente da
esse il carattere imprenditoriale dell’attività esercitata, improntata a
criteri di economicità anche se non rivolta a fini di lucro. Nondimeno, le
stesse ragioni sistematiche che inducono a ricomprendere la gestione delle IPAB
nel complesso della finanza pubblica allargata ed a sottoporle a coordinamento
riguardano anche le ASP, per le quali si accentua l’integrazione nella
programmazione e nella gestione dei servizi sociali su base locale nonché
l’esigenza che detta integrazione si ispiri a criteri di efficienza ed
economicità. Ciò comporta la conseguente preclusione normativa ad un loro
utilizzo che possa concretarsi in strumento elusivo dei limiti di spesa
corrente ed, in particolare, di quella rigida di personale, il cui contenimento
il legislatore concepisce come misura strutturale per il risanamento dei conti
pubblici nella loro consolidata consistenza.
Anche il regime delle assunzioni delle
ASP deve dunque rispettare i limiti prescritti dall’art. 76, comma 7, del d.l.
n. 112 del 2008, risultando conseguentemente illegittima la prescrizione
contenuta nell’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata.
7.3.— Ad analoga conclusione si perviene
con riguardo ai commi 3 e 4 dell’art. 6 della medesima legge.
Dette disposizioni, con riferimento al
caso di estinzione delle IPAB, prescrivono che, fino alla costituzione delle
ASP, il personale dipendente ed i patrimoni delle Istituzioni siano assegnati
temporaneamente ai Comuni nei quali risultano ubicate le strutture attraverso
cui esse perseguivano i loro fini istituzionali; ciò con l’obbligo di
successivo conferimento alle ASP territorialmente competenti (art. 6, comma 3).
In particolare, fino alla costituzione delle Aziende il personale dipendente di
ruolo delle Istituzioni estinte è assegnato, in via temporanea ed in posizione
soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle
procedure di estinzione (art. 6, comma 4).
Secondo
L’assunto non è condivisibile.
La posizione soprannumeraria, infatti, non
può evitare l’incremento degli oneri del personale e la violazione delle
percentuali in relazione alle quali l’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del
2008 fissa i limiti strutturali per la gestione di detta categoria di spesa. Né
può ritenersi che la temporanea assegnazione al Comune, pur in difetto di
specifica previsione, debba avvenire nei limiti di compatibilità con le
percentuali indicate dal parametro interposto, come dedotto dalla Regione,
atteso che le norme regionali nulla dispongono per il caso in cui ciò non sia
possibile a causa dell’eccessivo numero di unità di personale eventualmente
interessate, implicitamente disponendone il transito integrale, quale che sia
il contingente coinvolto.
Nel caso in esame non è revocabile in
dubbio la piena operatività dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001,
che dispone il subentro delle Aziende in tutti i rapporti attivi e passivi
delle disciolte od estinte IPAB, e dell’art. 4, comma 3, dello stesso decreto,
secondo cui l’attuazione del riordino non costituisce causa di risoluzione del
rapporto di lavoro con il personale dipendente: non è in contestazione la
volontà del legislatore statale di salvaguardare i livelli occupazionali,
garantendo la continuità dei rapporti di lavoro. Anzi, il principio di
continuità invocato dalla Regione non riguarda soltanto i rapporti di lavoro
con il personale delle IPAB estinte, ma la stessa gestione dei servizi che il
legislatore assegna alle istituende ASP.
Tuttavia, mentre la successione nei
rapporti attivi e passivi viene sancita dal legislatore statale per quel che
concerne il passaggio alle nuove Aziende, analoga previsione manca con
riferimento ai Comuni, cui è semplicemente assegnato un ruolo gestionale nelle
operazioni amministrative propedeutiche alla creazione ed al subentro delle
ASP.
Il principio di successione e di
mantenimento dei rapporti di lavoro può pertanto essere invocato soltanto in
riferimento al subentro delle ASP e non in ordine al transito temporaneo nei
Comuni, non contemplato dalla normativa statale.
Poiché, dunque, l’assegnazione
temporanea del personale al Comune come momento attuativo del processo di
riordino delle Istituzioni non trova fondamento legittimante nel d.lgs. n. 207
del 2001, il relativo onere non attiene ai rapporti di successione passiva e
deve essere considerato quale mero fattore di incremento della spesa di
personale, finendo in tal modo per collidere con i rigorosi precetti contenuti
nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e con le percentuali
costituenti parametro di contenimento della spesa pubblica per la categoria in
esame. Pertanto, l’art. 6, commi 3 e 4, della legge impugnata è
costituzionalmente illegittimo per contrasto con la suddetta norma interposta
e, dunque, con l’art. 117, terzo comma, Cost.
7.4.— I commi 6 e 7 dell’art. 6 non
presentano profili di diretta interferenza con la norma interposta invocata
dall’Avvocatura dello Stato poiché dispongono il trasferimento ai Comuni, con
obbligo di successivo conferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente
competente, delle strutture già destinate ad attività socio-assistenziali e
socio-educative delle Istituzioni infraregionali
aventi sede legale in altra Regione.
Tuttavia, trasferire al Comune strutture
prive del personale che le utilizza renderebbe improduttiva e disfunzionale
l’operazione, anche in considerazione del rilievo che nessuna norma autorizza
il Comune stesso a gestioni stralcio, in attesa del subentro delle ASP. In tal
modo, anche il principio di continuità dei servizi invocato dalla Regione non
sarebbe salvaguardato, risultando assolutamente inutile ed irragionevole il
passaggio temporaneo di tali cespiti patrimoniali nella sfera giuridica
dell’ente locale. Pertanto, in considerazione dell’inscindibile connessione
funzionale esistente tra i commi 3 e 4 dell’art. 6 afferenti al personale e le
due disposizioni in esame, l’illegittimità costituzionale dei primi deve
estendersi in via consequenziale alle seconde, ai sensi dell’art. 27 della
legge n. 87 del 1953 (ex plurimis, sentenza n. 131 del
2012).
Restano assorbite le ulteriori censure
formulate con riguardo alle norme in esame.
8.— Quanto alle residue questioni di
legittimità costituzionale proposte in riferimento agli artt. 97, terzo comma,
e 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112
del 2008, nessuna di esse è fondata.
8.1.— In particolare, l’art. 5, comma 1,
e l’art. 15, comma 3, entrambi impugnati, sanciscono il divieto di ampliamento
delle dotazioni organiche e di assunzione di personale a tempo indeterminato
per posti vacanti in organico, sia per le IPAB sottoposte a riordino che per le
istituende ASP.
Alla stregua di tale contenuto normativo
non è configurabile una violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost., unico
parametro invocato con riguardo a dette norme.
8.2.— Neanche le censure proposte nei
confronti dell’art. 6, comma 5, sono fondate, né in riferimento all’art. 97,
terzo comma, Cost. né in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione, infatti, si limita a
disciplinare e specificare gli adempimenti propedeutici al riordino già
elencati all’art. 4, comma 1, della medesima legge regionale n. 17 del 2011.
Tali incombenti consistono in una serie di operazioni indispensabili al
riordino, quali la ricognizione delle situazioni giuridiche pendenti; dei saldi
di tesoreria; del patrimonio mobiliare ed immobiliare; del personale già in
servizio.
Non è dato vedere sotto quale
prospettiva dette prescrizioni, finalizzate a raggiungere gli scopi previsti
dalla normativa statale e da quella regionale, risultino lesive del principio
di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del
d.l. n. 112 del 2008 e del dettato dell’art. 97, terzo comma, Cost.
Anche in relazione all’esposta censura
la questione deve dunque essere dichiarata non fondata.
9.— La questione sollevata nei confronti
dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del
Quest’ultima disposizione afferma in
modo incontrovertibile il principio di gratuità della partecipazione ad organi
di enti che «comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche».
Essa si inquadra nelle misure di
coordinamento della finanza pubblica ed assume una posizione autonoma e
distinta dalle altre norme di analoga natura contenute nel medesimo art.
Pur inserendosi in un contesto autonomo
e distinto, sia sotto il profilo soggettivo che funzionale, dai restanti commi
dell’articolo precedentemente evocato dalle richiamate sentenze, il parametro
interposto di cui all’art. 6, comma 2, prima parte, del d.l. n. 78 del 2010 è
anch’esso infatti norma di coordinamento della finanza pubblica ed, in quanto
tale, indefettibile riferimento per la legislazione regionale. Detta norma si
ispira alla finalità di contenimento dei costi della politica e degli apparati
amministrativi così come il successivo comma 3 del medesimo art. 6, ma si
differenzia da quest’ultimo sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.
Per quel che riguarda il profilo soggettivo,
occorre rilevare come la prima parte del comma 2 («A decorrere dalla data di
entrata in vigore del presente decreto la partecipazione agli organi
collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono
contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei
predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle
spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già
previsti i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a
seduta giornaliera») si riferisca in generale agli enti fruitori di contributi
a carico delle finanze pubbliche mentre l’ultimo periodo ne delimita l’ambito
in senso negativo, escludendo espressamente l’operatività della norma nei confronti
degli «enti previsti nominativamente dal decreto legislativo n. 300 del 1999 e
dal decreto legislativo n. 165 del 2001, e comunque alle università, enti e
fondazioni di ricerca e organismi equiparati, alle camere di commercio, agli
enti del Servizio sanitario nazionale, agli enti indicati nella tabella C della
legge finanziaria ed agli enti previdenziali ed assistenziali nazionali, alle
ONLUS, alle associazioni di promozione sociale, agli enti pubblici economici
individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze su proposta
del Ministero vigilante, nonché alle società».
Le ASP, in quanto enti infraregionali connotati da una gestione di tipo
imprenditoriale delle proprie risorse secondo criteri di economicità (art. 6,
comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001 ed art. 7, comma 1, della legge regionale
impugnata), non rientrano tra gli enti esclusi dall’applicazione del principio
di gratuità, non essendo comprese nelle tipologie individuate per relationem
mediante i richiami normativi operati dalla norma interposta e neppure tra
quelli espressamente menzionati.
Anche sotto l’aspetto oggettivo, la
fattispecie in esame rientra nella prescrizione dell’art. 6, comma 2, prima
parte, del d.l. n. 78 del
Diversi elementi, sia testuali che
conseguenti all’interpretazione sistematica delle norme in materia, inducono a
ritenere il contrario.
Anzitutto occorre rilevare come nella
locuzione generale di enti «che comunque ricevono contributi a carico delle
finanze pubbliche» rientrino non solo quelli che ricevono erogazioni
finanziarie bensì tutti quelli che ricevono qualunque beneficio in risorse
pubbliche, in grado di incrementare le componenti attive del bilancio dell’ente
destinatario o di diminuirne quelle passive. In proposito non v’è dubbio che le
costituende ASP ricevano diversi cespiti di natura pubblica, sia di carattere
finanziario che patrimoniale. Il decreto legislativo di riordino n. 207 del
2001, infatti, prevede all’art. 4, comma 1, che «Le istituzioni riordinate in
aziende di servizi o in persone giuridiche private a norma del presente decreto
legislativo conservano i diritti e gli obblighi anteriori al riordino. Esse
subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi delle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, dalle quali
derivano». Pertanto sia i cespiti immobiliari che i contributi ed i
finanziamenti già attribuiti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nelle
operazioni di successione.
Inoltre, le operazioni di trasformazione
delle IPAB in ASP sono incentivate dal legislatore nel rispetto della finalità
di attuare il processo di riorganizzazione: così gli atti relativi al riordino
sono ad esempio esenti dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali (art.
4, comma 4, del d.lgs. n. 207 del 2001).
Con riguardo all’aspetto strettamente
finanziario non può ignorarsi come esse acquisiscano le dotazioni di cassa
delle preesistenti IPAB, alle quali hanno indubbiamente concorso i contributi
regionali ad esse precedentemente spettanti per effetto delle leggi della
Regione Abruzzo 2 ottobre 1998, n. 110, recante «Norme sulle Istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.)
aventi sede ed operanti nel territorio regionale» (art. 9, commi 1 e 2: «1.
L’erogazione di tali contributi rimane
confermata fino al completamento del riordino delle Istituzioni (art. 21, comma
4, della legge regionale impugnata). A sua volta, il d.lgs. n. 207 del 2001
dispone che le Regioni definiscano «le risorse regionali eventualmente
disponibili per potenziare gli interventi e le iniziative delle istituzioni
nell’ambito della rete dei servizi» (art. 2, comma 2, lettera c) e che, per «incentivare e potenziare
la prestazione di servizi alla persona nelle forme dell’azienda pubblica di
servizi alla persona» stabiliscano «i criteri per la corresponsione di
contributi ed incentivi alle fusioni di più istituzioni» (art. 19, comma 1),
eventualmente anche disciplinando procedure semplificate di fusione ed
istituendo forme di incentivazione mediante iscrizione nel proprio bilancio di
un apposito fondo cui destinare una quota delle risorse di cui all’art. 4 –
rubricato «Sistema di finanziamento delle politiche sociali» – di cui alla
legge n. 328 del 2000 (art. 19, comma 2).
La stessa legge regionale n. 17 del 2011
prevede l’inserimento delle ASP nel sistema integrato di interventi e servizi
sociali realizzato sul territorio regionale (art. 1, comma 3) e la legge n. 328
del 2000 precisa che «la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali si avvale di un finanziamento plurimo a cui concorrono, secondo
competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi
bilanci» gli enti locali, le Regioni e lo Stato (art. 4, comma 1).
Inoltre, l’art. 6, comma 1, del d.lgs.
n. 207 del 2001 prevede che l’ASP «informa la propria attività di gestione a
criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di
bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, in
questi compresi i trasferimenti» effettuati dalle pubbliche amministrazioni,
mentre l’art. 14, comma 1, lettera e),
dello stesso decreto prevede la redazione di un piano di valorizzazione del
patrimonio immobiliare anche attraverso eventuali dismissioni, evidentemente
produttive di corrispettivi finanziari.
Dal punto di vista più specificamente
patrimoniale l’art. 7, commi 4, 6 e 7, della legge regionale n. 17 del 2011
prevede che i Comuni, nella fase di costituzione delle ASP, assicurino «il
necessario apporto patrimoniale», sia in sede di confluenza nei nuovi soggetti
degli organismi comunali preposti ai servizi alla persona (comma 4), sia in
caso di partecipazione volontaria (comma 6), sia in caso di conferimento alle
ASP di beni già trasferiti ai Comuni a seguito di pregresse estinzioni (comma
7).
Sotto il profilo sistematico non è
altresì indifferente, ai fini della qualificazione della natura pubblica delle
risorse gestite dalle ASP, il regime di controllo e vigilanza sulle aziende
stesse, attribuito al competente servizio dell’assessorato regionale (art. 18
della legge regionale) ed il potere sostitutivo della Regione, di cui all’art.
19 della stessa legge impugnata.
Alla luce delle esposte ragioni deve
ritenersi che al presidente e ai consiglieri di amministrazione delle ASP si
applichi l’art. 6, comma 2, prima parte, del decreto-legge n. 78 del 2010,
convertito in legge n. 122 del 2010, e che, pertanto, l’esercizio delle loro
cariche sia gratuito, potendosi dar luogo esclusivamente al rimborso delle
spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente. Ne deriva l’illegittimità
dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del 2011 — in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. – che prevede la corresponsione di
un’indennità agli organi suddetti, con conseguente accoglimento del ricorso
anche sotto questo profilo.
per questi motivi
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7,
15, comma 4, e 11, commi 8 e 9, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno
2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla
Persona (ASP)»;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma
1, 6, comma 5, e 15, comma 3, della medesima legge della Regione Abruzzo n. 17
del 2011, promosse, in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo
comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2012.