SENTENZA N.
209
ANNO 2011
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
-
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli articoli 5, commi 3, lettera c), e 4,
lettera c), 26, comma 3, 43, commi 2, lettera c), e 6, secondo
periodo, della legge della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante
«Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di
impatto ambientale (VIA) e di valutazione di incidenza», promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 19
aprile 2010, depositato in cancelleria il 29 aprile 2010 ed iscritto al n. 69
del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il Giudice
relatore
uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Lucia Bora per
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso spedito per la notifica il 19 aprile 2010 e depositato il
successivo 29 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in
riferimento all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera s), della
Costituzione, gli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c),
26, comma 3, 43, commi 2, lettera c), e 6, secondo periodo, della legge
della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di
valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale
(VIA) e di valutazione di incidenza».
Il ricorrente ritiene che le norme regionali impugnate violino i parametri
costituzionali indicati, in quanto sarebbero in contrasto con la direttiva 19
giugno 2001, n. 2001/41/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
recante ventunesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio
concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di
immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi, per
quanto riguarda le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche
per la riproduzione) e con la direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE
(Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati), come modificata ed integrata dalla
direttiva 3 marzo 1997, n. 97/11/CE (Direttiva del Consiglio che modifica la
direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati) e dalla direttiva 26 maggio 2003, n.
2003/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede la partecipazione
del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia
ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE
relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia).
Le norme impugnate sarebbero, inoltre, in contrasto con la normativa
nazionale di recepimento di tali direttive dettata dallo Stato, nell’esercizio
della propria competenza legislativa esclusiva in materia di tutela
dell’ambiente, con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale).
1.1. – L’impugnato art. 5, comma 3, lettera c), della legge reg. n.
10 del 2010 prevede che l’effettuazione della VAS sia subordinata alla
preventiva valutazione, svolta dall’autorità competente secondo le disposizioni
di cui all’articolo 22, della significatività degli effetti ambientali «per i
piani e programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, e per le loro
modifiche, che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione di
progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA, di cui agli
allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006; rientrano in questa
fattispecie solo i piani e programmi, e le relative modifiche, elaborati per
settori diversi da quelli elencati al comma 2, lettera a)».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, questa disposizione,
nella parte in cui limita la procedura di verifica di assoggettabilità a VAS ai
soli piani e programmi (e relative modifiche) che presiedono alla approvazione
di progetti sottoposti a VIA (o a verifica di assoggettabilità a VIA) ai sensi
degli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006, violerebbe l’art. 117,
primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto restringerebbe
«l’ambito di applicazione del combinato disposto dei commi 1 e 3-bis»
dell’art. 6 «del citato d.lgs. che fanno riferimento indistinto a tutti i piani
ed i programmi che presiedono all’approvazione di progetti di qualsiasi genere
(e non solo di quelli sottoposti o assoggettabili a VIA e, ancor meno, a quelli
previsti dagli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006)».
Per il ricorrente, in particolare, «ricondurre la parola "progetti” ai
soli progetti di cui agli allegati II, III e IV del d.lgs. n. 152 del 2006,
come ha indicato il legislatore regionale, rappresenta una restrizione
illegittima dell’ambito di applicazione della normativa statale in materia di
VAS». Ne sarebbero conferma, sul piano letterale, la circostanza che, ove il
legislatore statale avesse voluto davvero una siffatta restrizione, lo avrebbe
fatto «in via espressa, come accaduto nel caso di cui al comma 2 dell’art. 6
del d.lgs. n. 152 del 2006».
Il ricorrente richiama, poi, la Relazione della Commissione europea al
Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato
delle Regioni del 14 settembre 2009, dalla quale risulterebbe confermata la
sottoposizione alla procedura di assoggettabilità a VAS anche di piani e
programmi che definiscono il quadro per successive autorizzazioni relativamente
a progetti non sottoposti a VIA.
1.2. – L’impugnato art. 5, comma 4, lettera c), della legge reg. n.
10 del 2010 prevede che, «in applicazione del principio di non duplicazione
delle valutazioni», non siano sottoposti a VAS né a verifica di
assoggettabilità, tra gli altri, «i piani regolatori dei porti di cui alla
legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale),
per i quali è necessaria la VIA o la verifica di assoggettabilità a VIA per
effetto delle norme vigenti, a condizione che non prevedano varianti o modifiche
ai piani e programmi sovraordinati; in caso contrario
la VAS o la verifica di assoggettabilità si applica a tali varianti o
modifiche».
Per il Presidente del Consiglio dei ministri questa disposizione
violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., poiché,
in base al combinato disposto dell’art. 5, comma 4, della legge n. 84 del 1994
e dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, i piani regolatori portuali sarebbero
sottoposti ad entrambe le procedure di VAS e di VIA.
Secondo la difesa erariale, a seguito del recepimento nell’ordinamento
nazionale della disciplina comunitaria in tema di VAS da parte del d.lgs. n.
152 del 2006, i piani regolatori portuali sarebbero interessati da entrambi i
procedimenti, «rientrando tra i piani e programmi che possono avere impatti
significativi sull’ambiente e, nel caso abbiano contenuti tali da potere essere
considerati come progetti ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, anche
nell’ambito di applicazione della disciplina in materia di VIA». In particolare,
la sottoposizione a VAS di tali piani sarebbe desumibile dai commi 1 e 2
dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006.
1.3. – L’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 10 del 2010 prevede che «il
proponente, ove necessario alla luce del parere motivato, predispone in
collaborazione con l’autorità competente, una proposta di revisione del piano o
programma da sottoporre all’approvazione dell’autorità procedente. A tal fine
il proponente informa l’autorità competente sugli esiti delle indicazioni
contenute nel parere motivato, ovvero se il piano o programma sia stato
soggetto a revisione o se siano state indicate le motivazioni della non
revisione».
Per il Presidente del Consiglio dei ministri questa disposizione, nella
parte in cui consente al proponente di informare l’autorità competente circa le
motivazioni della non revisione del piano o programma in conformità al parere
motivato, violerebbe l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s),
Cost., in quanto dall’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, «sebbene
non esplicitamente affermato», sembrerebbe desumibile che il parere motivato
dell’autorità competente sia non solo obbligatorio ma anche vincolante per
l’autorità procedente e, conseguentemente, che esso obblighi alla revisione del
piano o del programma.
1.4. – L’art. 43, comma 2, lettera c), della legge regionale
impugnata prevede che siano sottoposti alla procedura di verifica di
assoggettabilità, ai sensi dell’art. 48, «i progetti concernenti modifiche a
opere o impianti che siano ricompresi nelle tipologie di cui agli allegati A1,
A2, A3, B1, B2 e B3, realizzati, in fase di realizzazione, o autorizzati,
qualora dette modifiche possano avere effetti negativi significativi
sull’ambiente. Nei casi in cui il proponente, non ravvisando la possibilità di
tali effetti, non richieda l’attivazione della procedura di verifica, è
necessario che una dichiarazione in merito, adeguatamente motivata, a firma di
tecnico con idonea qualifica, sia allegata alla richiesta di autorizzazione
alla realizzazione dell’opera. Sia il proponente, sia l’amministrazione
competente al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’opera,
possono in ogni caso richiedere all’autorità competente di esprimersi
preventivamente circa la sussistenza delle condizioni di cui sopra».
La difesa erariale richiama la sentenza n. 120 del
2010 della Corte costituzionale, la quale ha chiarito che, sebbene la
procedura di verifica di assoggettabilità a VIA sia «praticabile in ipotesi
contraddistinte da parametri suscettibili di apprezzamenti opinabili», si
possono comunque «riscontrare, all’interno del sistema normativo, elementi che
contribuiscono a formare un parametro di valutazione il più possibile
oggettivo, in modo da ridurre il margine di opinabilità insito nella formula
prognostica suddetta». Sulla scorta di tale premessa, la Corte ha escluso che –
al fine di stabilire se siano oggetto di verifica di assoggettabilità alla
procedura di VIA «le varianti di tracciato concordate con i proprietari dei
fondi interessati e le amministrazioni interessate» – il consenso dei
proprietari interessati e delle amministrazioni possa costituire valida ragione
giustificativa, dato che i primi sono motivati da logiche individuali e le seconde
sono istituzionalmente preposte alla cura di interessi (in primo luogo
attinenti al governo del territorio) non necessariamente coincidenti con la
tutela ambientale.
Per il Presidente del Consiglio dei ministri la norma impugnata violerebbe
l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., in quanto sarebbe
in contrasto con la normativa di cui alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del
2006 (ed, in particolare, con l’art. 20 di tale decreto), che, nel disciplinare
la procedura di assoggettabilità a VIA, non prevede una fase preliminare a
siffatta procedura, «libera da ogni forma di pubblicità ed informazione per il
pubblico».
1.5. – L’art. 43, comma 6, della legge reg. n. 10 del 2010 dispone che «le
domande di rinnovo di autorizzazione o concessione relative all’esercizio di
attività per le quali all’epoca del rilascio non sia stata effettuata alcuna
valutazione di impatto ambientale e che attualmente rientrino nel campo di
applicazione delle norme vigenti in materia di VIA, sono soggette alla
procedura di VIA, secondo quanto previsto dalla presente legge. Per le parti di
opere o attività non interessate da modifiche, la procedura è finalizzata
all’individuazione di eventuali misure idonee ad ottenere la migliore
mitigazione possibile degli impatti, tenuto conto anche della sostenibilità
economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività esistente. Tali
disposizioni non si applicano alle attività soggette ad autorizzazione
integrata ambientale (AIA)».
Per il ricorrente, questa disposizione, limitatamente al suo secondo
periodo (cioè ai casi in cui oggetto della procedura siano «le parti di opere o
attività non interessate da modifiche»), violerebbe l’art. 117, primo e secondo
comma, lettera s), Cost., in quanto «la limitazione delle finalità della
procedura di VIA ivi disposta, seppur apprezzabile sotto il profilo
economico-finanziario, risulta contraria "all’effetto utile” della direttiva
85/337/CEE».
La difesa erariale richiama, al riguardo, la sentenza n. 67 del
2010 della Corte costituzionale nella parte in cui questa ha affermato che
le garanzie sottese ad una domanda di rinnovo «riposano, appunto, sulla necessità
di verificare se l’attività estrattiva a suo tempo assentita risulti ancora
aderente allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della "proroga”
o del "rinnovo” del provvedimento di autorizzazione». Nella pronunzia citata la
Corte ha anche precisato che, «proprio in tema di autorizzazioni "postume”, la
giurisprudenza della Corte di giustizia europea appare ispirata a criteri
particolarmente rigorosi (sentenza
3 luglio 2008, procedimento C-215/06), essendosi ribadito che, "a livello
di processo decisionale è necessario che l’autorità competente tenga conto il
prima possibile delle eventuali ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi
tecnici di programmazione e di decisione, dato che l’obiettivo consiste
nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, piuttosto che
nel combatterne successivamente gli effetti”».
Secondo il ricorrente, in via generale, la finalità che il legislatore
persegue quando assoggetta a rinnovo un’attività già autorizzata ovvero data in
concessione, sarebbe proprio quella di consentire all’amministrazione di
valutare nuovamente se l’interesse del privato a proseguire l’attività sia
ancora compatibile con la tutela dei vari interessi pubblici compresenti. Il
ricorrente ritiene, pertanto, che in tale ipotesi, contrariamente a quanto
previsto dalla norma regionale impugnata, l’amministrazione possa negare la
prosecuzione dell’attività privata al fine di tutelare un interesse primario ed
assoluto, quale quello alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
2. –
2.1. – In ordine alla questione formulata in riferimento all’art. 5, comma
3, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010,
Nella disposizione impugnata, pertanto, la Regione, considerando
significativi per l’ambiente i progetti sottoposti a VIA e a verifica di VIA,
avrebbe correttamente mutuato l’espressione già utilizzata al comma 2, lettera a),
dello stesso art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, e si sarebbe limitata a
chiarire in modo univoco le modalità applicative dell’art. 6, comma 3-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006 rispetto
alla generica (e potenzialmente ambigua) espressione («impatti significativi
per l’ambiente») utilizzata dalla norma statale.
2.2. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 5, comma
4, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010,
Secondo la difesa regionale, la norma impugnata si riferirebbe solo ai
piani regolatori portuali di interesse statale e sarebbe meramente recettiva
della disciplina statale dettata dall’art. 5, comma 4, della legge n. 84 del
1994, che prevede la sottoposizione a VIA (e non anche a VAS) di tale piano,
sulla scorta del suo carattere sostanzialmente progettuale.
Ad escludere la sottoposizione a VAS del piano regolatore portuale di
interesse statale, secondo la difesa regionale, vi sarebbero pertanto il
principio di specialità (che imporrebbe la applicazione della norma speciale
costituita dall’art. 5 della legge n. 84 del
2.3. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 26, comma
3, della legge reg. n. 10 del 2010,
La difesa regionale sottolinea, in particolare, come la disciplina statale
in materia, con l’adozione del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4
(Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n.
152, recante norme in materia ambientale), abbia abbandonato l’iniziale
configurazione della VAS, sulla falsa riga della VIA, quale processo
decisionale autonomo (sostanzialmente autorizzatorio
e di controllo esterno) teso ad una valutazione di
compatibilità/incompatibilità del piano o del programma, a favore di una
configurazione, più aderente alla direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione
degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), come procedura a
supporto della decisione, preordinata a garantire che i profili ambientali
siano valutati e ponderati già durante l’elaborazione dei piani e dei
programmi, ed anteriormente alla loro approvazione.
2.4. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 43, comma
2, lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010,
A parere della difesa regionale, il richiamo, operato dal ricorrente, alla
sentenza n. 120
del 2010 della Corte costituzionale non sarebbe pertinente, attesa
l’assoluta eterogeneità di contenuto tra la norma oggi impugnata e quella
giudicata dalla Corte con la sentenza citata (art. 4, comma 4, della legge
della Regione Puglia 9 ottobre 2008, n. 25, recante «Norme in materia di
autorizzazione alla costruzione ed esercizio di linee e impianti elettrici con
tensione non superiore a 150.000 volt»). In particolare, nel caso deciso con la
sentenza n. 120
del 2010 non sarebbe stata esaminata la previsione di una fase preliminare
alla verifica di assoggettabilità a VIA, ma «l’aprioristica esenzione
dall’obbligo di munirsi di titolo abilitativo per "le varianti di tracciato
concordate con i proprietari dei fondi interessati e le amministrazioni
interessate”».
Per la Regione, «l’interpretazione della difesa erariale, tesa a
prefigurare un obbligo generale di attivazione delle procedure di verifica di
assoggettabilità per i casi di modifica in questione, non trova quindi
riscontro nella disciplina comunitaria e statale, ponendosi, anzi, in contrasto
con i principi di non duplicazione e semplificazione dei procedimenti di
valutazione ambientale».
2.5. – In ordine alla questione proposta in riferimento all’art. 43, comma
6, della legge reg. n. 10 del 2010,
Secondo la difesa regionale, tale principio non sarebbe stato codificato
dalla disciplina statale in materia di VIA ed, anzi, nel d.lgs. n. 152 del 2006
sussisterebbero specifiche disposizioni di senso opposto (artt. 208 e 210). La
resistente sostiene altresì che, là dove una VIA avvenga a posteriori,
come nel caso riguardato dalla disposizione regionale impugnata, in riferimento
ad un’opera già esistente, non possa che limitarsene l’oggetto, tenendo conto
delle situazioni nel frattempo verificatesi. In particolare, «ove la
realizzazione dell’impianto esistente sia stata a suo tempo legittimamente
autorizzata, non si potrà non tener nella dovuta considerazione l’intangibilità
dei diritti quesiti (tra i quali vi è certamente anche quello relativo alla
localizzazione e costruzione preesistente), a meno di non voler attribuire un
generale effetto retroattivo allo ius superveniens, in violazione del
principio fissato dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale».
La difesa regionale richiama, al riguardo, la sentenza
della Corte di giustizia 7 gennaio 2004, in causa 201/02, punti 64-70, la
quale, in tema di VIA postuma, ha affermato che «il diritto interno non può
stabilire per l’omessa VIA rimedi più gravosi rispetto a quelli previsti per
situazioni analoghe o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario».
3. – In prossimità dell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale
ribadisce e sviluppa ulteriormente gli argomenti già svolti nel ricorso.
3.1. – Per quanto attiene alla questione relativa all’art. 5, comma 3,
lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente contesta come
puramente letterale la tesi interpretativa proposta dalla difesa regionale e
rimarca come la VAS, alla luce di una interpretazione teleologica e sistematica
della relativa disciplina statale, sia obbligatoria per tutti i piani e
programmi che possano avere un impatto significativo sull’ambiente (art. 6,
comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006) e, quindi, non solo per quelli relativi a
progetti sottoposti a VIA o a procedura di assoggettabilità a VIA (per i quali,
peraltro, l’art. 6, comma 2, lettera a, del d.lgs. n. 152 del 2006
prevede una presunzione assoluta di significativo impatto ambientale, là dove
il piano sia riferito a determinati settori), ma anche per tutti gli altri
ritenuti tali sulla scorta di una valutazione da effettuare, volta per volta,
nelle forme e nei termini previsti dall’art. 6, comma 3-bis, del d.lgs.
n. 152 del 2006.
3.2. – In merito alla questione relativa all’art. 5, comma 4, lettera c),
della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente contesta la tesi proposta dalla
difesa regionale, rilevando come non possa applicarsi il principio di
specialità tra la legge n. 84 del 1994 e il d.lgs. n. 152 del 2006.
Inoltre, non avrebbe alcun rilievo la circostanza che l’art. 5 della legge
n. 84 del 1994 sottoponga solo a VIA (e non anche a VAS) il piano regolatore
portuale, dato che la VAS è stata introdotta solo successivamente, con la
direttiva n. 2001/42/CE, e si coordinerebbe con la VIA, senza essere
alternativa a quest’ultima (stante anche la diversità di oggetto).
Il ricorrente richiama, poi, la novella legislativa costituita dall’art.
6, comma 3-ter, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 2,
comma 3, del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 (Modifiche ed
integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in
materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n.
69), secondo il quale «per progetti di opere e interventi da realizzarsi
nell’ambito del Piano regolatore portuale, già sottoposti ad una valutazione
ambientale strategica, e che rientrano tra le categorie per le quali è prevista
la Valutazione di impatto ambientale, costituiscono dati acquisiti tutti gli
elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore
portuale. Qualora il Piano regolatore portuale ovvero le rispettive varianti
abbiano contenuti tali da essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale
nella loro interezza secondo le norme comunitarie, tale valutazione è
effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla Parte Seconda del
presente decreto ed è integrata dalla valutazione ambientale strategica per gli
eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si conclude con un unico
provvedimento».
La difesa statale osserva, altresì, come il riferimento alla preventiva
sottoposizione a VAS dei piani regolatori portuali, contenuto nella normativa
sopra richiamata, dimostri che, «nell’ottica del legislatore, è sempre stato
previsto lo svolgimento di tale procedura per i suddetti piani».
3.3. – Per quanto attiene alla questione relativa all’art. 26, comma 3,
della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente richiama la lettera di costituzione
in mora dell’8 ottobre 2009 della Commissione europea, la quale ha posto in
evidenza che l’art. 8 della direttiva n. 2001/42/CE «stabilisce l’obbligo di
prendere in considerazione, in fase di preparazione del piano e del programma e
prima della sua adozione o dell’avvio della relativa procedura legislativa, sia
il rapporto ambientale che i risultati della consultazione». Pertanto,
«nell’applicare l’art. 8 gli Stati membri possono decidere come prendere in
considerazione, ma non se prendere in considerazione, il rapporto ambientale e
gli esiti delle consultazioni nella preparazione del piano o programma».
L’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 andrebbe letto in
conformità ai principi comunitari, non nel senso (ritenuto dalla Regione) che
l’autorità procedente possa valutare discrezionalmente se sia opportuno o meno
modificare il piano in conformità al parere motivato espresso a seguito della
VAS, ma piuttosto nel senso che la revisione del piano debba comunque essere
effettuata in tutti i casi in cui la procedura di VAS lo imponga, in ragione
del suo esito totalmente o parzialmente sfavorevole.
Secondo la difesa statale, questo secondo significato, già enucleabile dal
precedente testo dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, emergerebbe
con maggiore chiarezza dal nuovo testo della stessa disposizione, introdotto
dall’art. 13 del d.lgs. n. 124 (recte 128) del 2010, secondo cui
«l’autorità procedente, in collaborazione con l’autorità competente, provvede,
prima della presentazione del piano o programma per l’approvazione e tenendo
conto delle risultanze del parere motivato di cui al comma 1 e dei risultati
delle consultazioni transfrontaliere, alle opportune revisioni del piano o
programma».
3.4. – In merito alla questione relativa all’art. 43, comma 2, lettera c),
della legge reg. n. 10 del
Questa lettura, già enucleabile dal precedente testo dell’art. 20 del
d.lgs. n. 152 del 2006, emergerebbe con maggiore chiarezza dal nuovo testo
della stessa disposizione introdotto dall’art. 2, comma 17, del d.lgs. n. 128
del 2010, secondo il quale il proponente deve trasmettere, per la verifica di
assoggettabilità a VIA, i progetti «inerenti le modifiche o estensioni dei
progetti elencati nell’allegato II che possano produrre effetti negativi e
significativi sull’ambiente». Sempre per l’Avvocatura generale (che richiama,
quale argomento a favore di tale tesi la motivazione della sentenza n. 127 del
2010 della Corte costituzionale), sarebbe chiaro che tale possibilità debba
essere concretamente valutata dall’autorità competente.
3.5. – Infine, in relazione alla questione concernente l’art. 43, comma 6,
della legge reg. n. 10 del 2010, il ricorrente ribadisce gli argomenti già
svolti, richiamando le sentenze della Corte costituzionale n. 167 del 2009,
n. 190 del 2001,
n. 196 del 1998
e n. 356 del
1994, in ordine alla possibilità che l’amministrazione, in sede di rinnovo
o proroga, consideri prevalente l’interesse alla conservazione dell’ambiente
rispetto a quello del privato alla prosecuzione dell’attività economica.
4. – In prossimità dell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 anche
In ordine alla questione relativa all’art. 43, comma 6, peraltro, la
difesa regionale sviluppa ulteriori argomenti nel senso della infondatezza.
Secondo la resistente, dalla interpretazione letterale di varie
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 – vengono richiamati gli artt. 5, comma
1, lettera b), 6, comma 5, 7, comma 5, 20 e 23 – e dalla specifica
disciplina dettata in materia di impianti di gestione dei rifiuti di cui agli
artt. 208 e 210 del medesimo decreto legislativo, emergerebbe come la procedura
di valutazione di impatto ambientale si applichi ai nuovi progetti ed alle
modifiche sostanziali, mentre non trovi applicazione ai rinnovi di
autorizzazione o di concessione che non comportino modifiche sostanziali.
Tale tesi ermeneutica sarebbe confermata dalla sentenza
della Corte di giustizia 7 gennaio 2004, in causa 201/02, che, a parere
della Regione Toscana, escluderebbe espressamente l’applicazione retroattiva
della VIA, limitandone l’obbligo ai soli casi nei quali il rinnovo contiene
nuove statuizioni e prescrizioni o regola varianti funzionali importanti.
La difesa regionale richiama sul punto anche alcune pronunzie dei giudici
amministrativi, dalle quali si desumerebbe la incompatibilità ontologica di una
valutazione di impatto ambientale "postuma”, essendo la VIA per sua natura e
configurazione normativa un mezzo preventivo di tutela dell’ambiente ispirato
ai principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale.
A fronte di tale quadro – che nella realtà applicativa regionale ha
determinato difficoltà interpretative –
Statuendo l’obbligatorietà della VIA in tutti i casi di rinnovo di
autorizzazione o concessione, la Regione avrebbe inteso assicurare proprio il
rispetto dell’effetto utile della direttiva n. 85/337/CEE, mentre, disponendo
che, per le parti di opere o attività non interessate da alcuna modifica, la
VIA sia volta ad individuare e prescrivere le misure idonee ad ottenere la
migliore mitigazione degli impatti, tenuto conto anche della sostenibilità
economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività esistente, il
legislatore regionale si sarebbe limitato a tenere conto delle situazioni nel
frattempo verificatesi e del carattere postumo della VIA.
D’altronde, la considerazione delle fattispecie esistenti, a parere della
Regione Toscana, costituirebbe un principio codificato. In particolare, esso
sarebbe desumibile dalla previsione dell’art. 28 del d.lgs. n. 152 del 2006,
secondo cui, qualora dalle attività realizzate risultino impatti negativi
ulteriori e diversi o più significativi rispetto a quelli valutati in sede di
VIA, l’autorità competente può apporre condizioni ulteriori per la prosecuzione
dell’attività, mentre, ove dall’esecuzione dei lavori o dall’esercizio
dell’attività possano derivare gravi ripercussioni negative, non
preventivamente valutate, sulla salute pubblica e sull’ambiente, può essere
ordinata la sospensione dei lavori o delle attività realizzate, nelle more
delle determinazioni correttive da adottare.
Inoltre, in virtù dell’art. 29 del medesimo decreto legislativo, se non
vengono osservate le prescrizioni impartite in sede di VIA tali da incidere
sugli esiti e sulle risultanze finali della verifica e della valutazione,
l’autorità competente impone al proponente l’adeguamento dell’opera o
dell’intervento, stabilendone tempi e modalità, mentre la demolizione è
prevista solo nel caso di opere realizzate senza VIA.
La difesa della resistente riporta, poi, ampi brani della sentenza n. 120 del
2010 della Corte costituzionale, sostenendo che da questa pronuncia – la
quale afferma il principio della obbligatorietà della VIA in caso di rinnovo di
una autorizzazione o di una concessione – si ricavi anche il principio secondo
cui, riguardo agli impianti esistenti, la sottoposizione a VIA è necessaria
solo per le modifiche dei progetti che comportino effetti negativi apprezzabili
per l’ambiente. Non sussisterebbe, in particolare, alcun contrasto tra la
disposizione regionale impugnata e i principi espressi in questa sentenza,
posto che quest’ultima non riguarderebbe il caso disciplinato dalla norma in
esame.
La norma regionale impugnata, in definitiva, nell’affermare la necessità
di VIA in tutti i casi di rinnovo, sulla scorta della sentenza
della Corte di giustizia 7 gennaio 2004, in causa 201/02, si sarebbe
limitata a «declinare» il procedimento di VIA alle peculiarità della
fattispecie.
Per
5. – In data 4
gennaio 2011,
L’Avvocatura
generale dello Stato ha aderito alla suddetta istanza.
6. – In data 30
maggio 2011,
La resistente
sottolinea, altresì, che le suddette norme non hanno mai ricevuto alcuna
applicazione pratica in quanto si riferiscono a piani e programmi che vengono
adottati all’inizio della legislatura, e l’adozione di siffatti piani e
programmi, al momento dell’entrata in vigore della legge reg. n. 69 del 2010,
non era ancora avvenuta.
Pertanto, la
difesa regionale chiede che, con riferimento alle norme sopra indicate, sia
dichiarata cessata la materia del contendere.
L’unica norma
non interessata dalle modifiche suddette è quella di cui all’art. 43, comma
7. – In data 14
giugno 2011, l’Avvocatura generale dello Stato, preso atto delle modifiche
operate dalla legge reg. n. 69 del
La difesa
statale insiste, invece, affinché sia dichiarato costituzionalmente illegittimo
l’art. 43, comma 6, della predetta legge.
8. –
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento
all’articolo 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione,
gli artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3,
43, commi 2, lettera c), e 6, secondo periodo, della legge della Regione
Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di valutazione
ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di
valutazione di incidenza».
2. – Nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, la legge della Regione Toscana 30 dicembre 2010, n. 69
(Modifiche alla legge regionale 12 febbraio 2010, n. 10 – Norme in materia di
valutazione ambientale strategica "VAS”, di valutazione di impatto ambientale
"VIA” e di valutazione di incidenza) ha modificato le disposizioni di cui agli
artt. 5, commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, 43,
comma 2, lettera c), della legge reg. Toscana n. 10 del 2010, nelle
parti che erano oggetto dell’impugnativa statale.
Il Presidente
del Consiglio dei ministri – ritenuto che alla luce delle modifiche operate
sono venute meno le ragioni che avevano portato alla proposizione del ricorso –
ha depositato in data 14 giugno 2011 un formale atto di rinuncia al ricorso
stesso, limitatamente alle questioni promosse nei confronti degli artt. 5,
commi 3, lettera c), e 4, lettera c), 26, comma 3, e 43, comma 2,
lettera c), della legge reg. n. 10 del 2010. Alla predetta rinuncia ha
aderito
Pertanto, ai
sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio in relazione
alle sole questioni sopra indicate (ex plurimis,
ordinanze n. 168
e n. 148 del
2011).
3. – L’art. 43, comma 6, della legge reg. Toscana n. 10 del 2010
stabilisce che «le domande di rinnovo di autorizzazione o di concessione
relative all’esercizio di attività per le quali all’epoca del rilascio non sia
stata effettuata alcuna valutazione di impatto ambientale e che attualmente
rientrino nel campo di applicazione delle norme vigenti in materia di VIA sono
soggette alla procedura di VIA, secondo quanto previsto dalla presente legge.
Per le parti di opere o attività non interessate da modifiche, la procedura è
finalizzata all’individuazione di eventuali misure idonee ad ottenere la
migliore mitigazione possibile degli impatti, tenuto conto anche della
sostenibilità economico-finanziaria delle medesime in relazione all’attività
esistente. Tali disposizioni non si applicano alle attività soggette ad
autorizzazione integrata ambientale (AIA)».
A parere del ricorrente, il secondo periodo della citata disposizione –
che si riferisce ai casi in cui oggetto della procedura siano le parti di opere
o attività non interessate da modifiche – violerebbe l’art. 117, primo e
secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la limitazione della
finalità della procedura di VIA ivi disposta, seppur apprezzabile sotto il
profilo economico-finanziario, risulterebbe contraria all’«effetto utile» della
direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la
valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e
privati).
4. – La questione non è fondata.
4.1. – La disposizione impugnata disciplina la cosiddetta "VIA postuma”,
cioè regolamenta l’ipotesi in cui la valutazione di impatto ambientale non
fosse necessaria quando è stata rilasciata l’autorizzazione o la concessione
per l’esercizio di una attività, ma lo sia divenuta al momento del rinnovo
dell’autorizzazione o concessione.
Il comma 6 dell’art. 43 della legge regionale in oggetto contiene, nel
primo periodo, una previsione generale, in virtù della quale, nell’ipotesi
sopra indicata, le attività in parola sono soggette a procedura di VIA, in base
a quanto prescritto dalla medesima legge regionale.
Il secondo periodo di tale disposizione (oggetto delle odierne censure)
distingue, all’interno di una complessiva attività o opera, le parti che non
sono interessate da modifiche da quelle che lo sono, prescrivendo per le prime
una VIA "depotenziata”, tanto da vanificare – secondo il ricorrente – l’effetto
della procedura stessa.
Infine, il terzo periodo del comma 6 dell’art. 43 prevede che le
disposizioni di cui sopra non si applichino alle attività soggette ad
autorizzazione integrata ambientale (AIA), circoscrivendo, in questo modo,
l’ambito di operatività della norma censurata alle sole attività per le quali
non vige l’obbligo di sottoposizione all’AIA.
5. – Si deve segnalare innanzitutto che né la direttiva n. 85/337/CEE, né
il cosiddetto Codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
recante «Norme in materia ambientale») disciplinano espressamente l’ipotesi di
rinnovo di autorizzazione o concessione riguardanti un’attività avviata in un
momento in cui non era prescritto l’obbligo di sottoposizione a VIA. Pertanto,
la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale sono state chiamate a dare
risposta al quesito se sia possibile – stante il carattere preventivo della
VIA, riguardante piani e progetti – estendere l’obbligo di effettuarla ad opere
per le quali tale valutazione non era necessaria al momento della loro
realizzazione.
5.1. – La Corte di giustizia dell’Unione europea – in un caso diverso da
quello oggetto dell’odierna questione di legittimità costituzionale,
trattandosi di opere progettate nel 1997 e non assoggettate a VIA secondo i
criteri della direttiva – ha precisato che, in mancanza di VIA preventiva, per
opere effettuate tuttavia dopo l’entrata in vigore della direttiva di cui
sopra, il diritto comunitario non osta alla possibilità, concessa da una
normativa nazionale, di regolarizzare ex post operazioni o atti non
conformi alle prescritte procedure, a condizione però che la regolarizzazione
«non offra agli interessati l’occasione di aggirare le norme comunitarie o di disapplicarle,
e che rimanga eccezionale» (sentenza
3 luglio 2008, in causa C-215/06). La valutazione postuma di opere o
attività, che avrebbero dovuto essere assoggettate a VIA – in quanto rientranti
nelle previsioni della normativa comunitaria per la tipologia e per i tempi
della loro realizzazione – deve essere rigorosa, onde non consentire che dalla
violazione dell’obbligo imposto dalla direttiva derivi un trattamento più
favorevole per gli interessati inadempienti. VIA preventiva e VIA "postuma”
devono essere pertanto perfettamente simmetriche e di pari ampiezza e
approfondimento.
5.2. – Nello stesso senso si è espressa questa Corte, con riferimento ad
un’ipotesi diversa da quella sopra esaminata, là dove ha affermato la necessità
«di verificare se l’attività […] a suo tempo assentita risulti ancora aderente
allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della "proroga” o del
"rinnovo” del provvedimento di autorizzazione» (sentenza n. 67 del
2010). Occorre mettere in rilievo che, nel caso risolto da tale ultima
pronuncia, si era in presenza di una legge regionale che prorogava automaticamente,
alla scadenza, le autorizzazioni in essere, escludendo così, in via generale e
astratta, ogni valutazione dell’autorità amministrativa sulle singole
situazioni.
Peraltro, questa Corte – dopo aver ricordato che, ai sensi dell’art. 20,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n.
152 del 2006, riguardo agli impianti esistenti, la VIA può proporsi solo per
«modifiche dei progetti elencati negli allegati che comportino effetti negativi
apprezzabili per l’ambiente» – ha affermato che «si pone la necessità della VIA
ogni volta che si debba procedere al rinnovo dell’autorizzazione» (sentenza n. 120 del
2010).
5.3. – Da ultimo, la Corte di giustizia dell’Unione europea è tornata
sull’argomento, con una serie di statuizioni rilevanti per il presente
giudizio.
Coerentemente al carattere preventivo della VIA, quale emerge dalla
direttiva n. 85/337/CEE, la Corte ha affermato che «il rinnovo di
un’autorizzazione esistente a gestire un aeroporto, in assenza di lavori o di
interventi di modifica della realtà fisica del sito, non può essere qualificato
come "progetto” ai sensi dell’art. 1, n. 2, secondo trattino, della direttiva
85/337», e che, con il termine «costruzione», si fa riferimento «alla realizzazione
di opere prima inesistenti oppure alla modifica, in senso fisico, di opere
preesistenti».
La Corte inoltre ha avuto cura di formulare la seguente precisazione:
«nell’ipotesi in cui risultasse che, a partire dall’entrata in vigore della
direttiva 85/337, lavori o interventi fisici che debbono essere considerati
progetto ai sensi di questa direttiva siano stati realizzati sul sito
dell’aeroporto senza che il loro impatto ambientale sia stato oggetto di
valutazione in una fase anteriore al procedimento di autorizzazione,
spetterebbe al giudice del rinvio tenerne conto nella fase del rilascio
dell’autorizzazione di gestione e di garantire l’effetto utile della direttiva
vegliando a che la detta valutazione sia realizzata almeno in questa fase del procedimento»
(sentenza
17 marzo 2011, in causa C-275/09).
6. – Alla luce dei principi stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria e
di questa Corte, occorre procedere alla verifica del loro rispetto da parte
della disposizione impugnata.
6.1. – Il primo periodo del citato art. 43, comma 6, (non impugnato dal
ricorrente) prescrive, in via generale, l’assoggettamento a VIA delle domande
di rinnovo di autorizzazione o concessione relative all’esercizio di attività
per le quali all’epoca del rilascio non sia stata effettuata alcuna valutazione
di impatto ambientale e che attualmente rientrino nel campo di applicazione
delle norme vigenti in materia di VIA. La norma si fa carico dell’esigenza di
imporre la valutazione, sempre e comunque, dell’intera opera o attività già in
essere.
Il presupposto di tale prescrizione deve essere cercato nella necessità,
emergente dalla giurisprudenza comunitaria, di "vegliare” a che l’effetto utile
della direttiva n. 85/337/CEE sia comunque raggiunto, senza tuttavia rimettere
in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le
attività ab antiquo esistenti. Ciò
sarebbe contrario al ragionevole bilanciamento che deve esistere tra
l’interesse alla tutela ambientale ed il mantenimento della localizzazione
storica di impianti e attività, il cui azzeramento – con rilevanti conseguenze
economiche e sociali – sarebbe l’effetto possibile di un’applicazione
retroattiva degli standard di
valutazione divenuti obbligatori per tutti i progetti successivi al 3 luglio
1988, data di scadenza del termine di attuazione della suddetta direttiva, già
definita «spartiacque» dalla sentenza n. 120 del
2010 di questa Corte.
6.2. – Il secondo periodo (impugnato dal ricorrente) del medesimo comma 6
dell’art. 43 disciplina le conseguenze della VIA effettuata in presenza di
modifiche all’opera o all’attività preesistente alla direttiva. Dalla
disposizione in questione – da interpretare in stretta connessione con quella
contenuta nel primo periodo – si deducono tre distinte regole: a) la VIA, in occasione del rinnovo
della autorizzazione o concessione, deve essere effettuata sempre sull’intera
opera o attività; b) siffatta
valutazione mira a realizzare gli effetti tipici di tale procedura con
riferimento alle modifiche intervenute successivamente all’entrata in vigore
della direttiva comunitaria e non assoggettate preventivamente a VIA; c) la stessa, con riguardo alle parti di
opere o attività non interessate da modifiche, è rivolta alla «individuazione
di eventuali misure idonee ad ottenere la migliore mitigazione possibile degli
impatti, tenuto conto anche della sostenibilità economico-finanziaria delle
medesime in relazione all’attività esistente».
Se si considera che, nel silenzio delle norme scritte, la giurisprudenza
comunitaria ha richiesto la VIA "postuma”, in occasione dell’autorizzazione
alla gestione, solo sulle modifiche intervenute successivamente alla scadenza
del termine di recepimento della direttiva e non assoggettate, per qualsiasi
motivo, a valutazione preventiva, si ricava la conclusione che la disposizione
censurata nel presente giudizio non limita in modo illegittimo un controllo a
tutela dell’ambiente prescritto dalla normativa comunitaria, quale interpretata
dalla Corte di giustizia.
Essa aggiunge, a completamento della valutazione sulle modifiche,
necessaria e indispensabile nella sua pienezza, una verifica ulteriore anche
sulle parti non interessate dalle modifiche stesse, in coerenza con la
previsione del periodo precedente, che impone la VIA su tutta l’opera o
attività, anche nell’ipotesi di rinnovo dell’autorizzazione o concessione. La
prospettiva di quest’ultima valutazione non è l’eventuale cessazione
dell’attività, ma la mitigazione dell’impatto ambientale, tenuto conto
dell’effetto combinato del tempo trascorso e delle modifiche apportate.
Il legislatore regionale ha ritenuto necessaria una valutazione globale
dell’opera, al momento del rinnovo dell’autorizzazione o concessione, ma ha non
irragionevolmente distinto tra effetti della procedura sulle modifiche ed
effetti della stessa sulle parti dell’opera o attività preesistenti e non
incise dalle modifiche.
6.3. – Tale disposizione deve essere interpretata alla luce di quanto ha
statuito la Corte di giustizia sulla necessità che la valutazione sulle
modifiche sia effettuata «tenuto conto, all’occorrenza, dell’effetto cumulativo
dei diversi lavori e interventi realizzati a partire dall’entrata in vigore di
tale direttiva» (sentenza
17 marzo 2011, in causa C-275/09). Sarebbe infatti inammissibile, perché
elusiva dell’effetto utile della direttiva, una VIA frazionata per ciascun
intervento modificativo, che potrebbe portare a risultati ben diversi – in
ipotesi più favorevoli agli esercenti l’attività controllata – rispetto ad una
valutazione globale sull’incidenza complessiva di tutte le modifiche
effettuate.
La considerazione degli effetti cumulativi, in conformità alla
giurisprudenza comunitaria, può condurre all’impossibilità di distinguere le
parti dell’opera o dell’attività modificate da quelle non interessate dalle
modifiche, nell’ipotesi che queste ultime siano così rilevanti da alterare la
fisionomia complessiva dell’opera o dell’attività, già in essere prima
dell’entrata in vigore della direttiva. In tal caso, infatti, si tratterebbe di
opera nuova, con la conseguenza che non esisterebbero parti scorporabili,
secondo la previsione della disposizione censurata. Quest’ultima deve essere
interpretata infatti come prescrizione condizionata alla praticabilità, fisica
e giuridica, dello scorporo delle parti modificate da quelle non modificate. In
tutti i casi in cui tale scorporo non sia possibile, si verificherebbe quanto
la Corte di giustizia ha voluto inibire, vale a dire l’artificioso
frazionamento delle valutazioni di impatto.
6.4. – La garanzia che l’organicità della VIA venga osservata si fonda
sulla prescrizione del primo periodo del comma 6 dell’art. 43, là dove prevede
che, al momento del rinnovo, si proceda in ogni caso a VIA sull’intera opera o
attività. Resta esclusa pertanto l’eventualità che venga sottratta alle
autorità competenti la valutazione dell’intera opera o attività. Saranno dunque
tali autorità a distinguere le parti che non hanno subito alcuna influenza da
quelle invece realmente modificate, con gli effetti diversi previsti dalla
norma censurata. Saranno ugualmente le autorità valutatrici a decidere se le
modiche apportate, per quantità e qualità, rendano impossibile, o comunque
artificiosa, la suddetta distinzione, con la conseguenza che risulterà
applicabile solo il primo periodo del comma 6, mancando i presupposti, di fatto
e di diritto, per applicare il secondo.
Un ragionevole bilanciamento degli interessi in campo – la tutela
dell’ambiente e l’iniziativa economica privata – entrambi costituzionalmente
protetti, giustifica l’intento di non travolgere e azzerare opere o attività da
lungo tempo legittimamente localizzate, senza tuttavia consentire che tale status
acquisito possa trasmettersi ad interventi di modifica successivi, da
assoggettare a VIA. È necessario pertanto individuare accuratamente gli effetti
globali delle innovazioni, in modo da distinguere le situazioni nelle quali
residuano parti in alcun modo incise dalle modificazioni dai casi in cui lo
"scorporo” porterebbe ad una elusione dell’effetto utile della direttiva.
Peraltro, come già sottolineato, il terzo periodo del comma 6 dell’art. 43
esclude che la disposizione in esame trovi applicazione nei confronti delle
attività soggette ad autorizzazione integrata ambientale.
In tale contesto ermeneutico, la norma impugnata si sottrae alle censure
di illegittimità costituzionale formulate dal ricorrente nel presente giudizio.
per questi motivi
dichiara estinto il giudizio in ordine alle questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 5, commi 3, lettera c), e 4,
lettera c), 26, comma 3, 43, comma 2, lettera c), della legge
della Regione Toscana 12 febbraio 2010, n. 10, recante «Norme in materia di
valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale
(VIA) e di valutazione di incidenza», promosse, in riferimento all’art. 117,
primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 43, comma 6, secondo periodo, della legge della
Regione Toscana n. 10 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, primo e
secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio
2011.
F.to:
Depositata in