ORDINANZA N. 172
ANNO 2011
[ELG:COLLEGIO]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo MADDALENA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
[ELG:PREMESSA]
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promossi dalla Corte suprema di cassazione con due ordinanze depositate il 21 aprile 2010, iscritte al n. 196 e al n. 253 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 e n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione del Comune di Milano nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato Irma Marinelli per il Comune di Milano e l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.
[ELG:FATTO]
[ELG:DIRITTO]
Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettando l’appello proposto dal Comune di Locate Triulzi, aveva affermato il diritto del Comune di Milano all’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (ICI), per gli anni 1995 e 1996, relativa a alcuni immobili – posseduti da quest’ultimo Comune e siti nel territorio del primo – destinati a «provvedere alle esigenze abitative dei non abbienti», la Corte suprema di cassazione, con ordinanza depositata il 21 aprile 2010 (r.o. n. 196 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, questioni di legittimità della lettera a) del comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), secondo la quale: «Sono esenti dall’imposta: a) gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonché dai comuni, se diversi da quelli indicati nell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all’articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali»;
che il giudice rimettente precisa, in punto di fatto, che: a) il Comune di Locate Triulzi ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata sulla base di due motivi, contestando sia la prova dell’inserimento degli immobili nel patrimonio indisponibile del Comune di Milano sia la loro destinazione a compiti istituzionali del medesimo Comune; b) il Comune di Milano, con ricorso incidentale, «ha fra l’altro eccepito la illegittimità costituzionale dell’art. 7 comma 1 del D. Lgs. 504/92, unitamente all’art. 4, comma 7 della legge delega 421/92, in relazione agli artt. 2, 3 primo e secondo comma, 31, 38 e 97 Cost., nella parte in cui non prevedono esenzioni e agevolazioni dall’ICI sugli immobili posseduti dai Comuni al di fuori del proprio territorio e destinati ad Edilizia Residenziale Pubblica, non essendo né legittimo né ragionevole che gli Enti Pubblici Territoriali non godano della medesima agevolazione prevista per gli Enti non territoriali senza scopo di lucro, in relazione ad immobili destinati ad attività sociali, assistenziali e recettive, nonché del trattamento piú favorevole riconosciuto ad Enti Pubblici Economici strumentali, in presenza del medesimo presupposto oggettivo»;
che il rimettente ritiene l’eccezione del Comune di Milano «non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 38 della Costituzione»;
che, al riguardo, il giudice a quo premette, in punto di diritto, che: a) il riferimento operato dalla norma censurata agli immobili «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali» è interpretato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione – interpretazione «strettamente aderente alla lettera della legge» e che costituisce ormai diritto vivente – nel senso che detti compiti sono solo quelli «che comportano la destinazione degli immobili all’attività istituzionale “diretta” dell’Ente locale (cioè sostanzialmente ad uffici dell’Ente stesso), con implicita esclusione delle altre funzioni istituzionali comunali»; b) tale esclusione riguarda anche le funzioni svolte dai comuni nei «settori organici dei servizi alla persona e alla comunità», di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e nella «gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali», di cui all’art. 112 del medesimo d.lgs. n. 267 del 2000; c) nell’ambito di detti servizi pubblici rientra anche «l’assegnazione e gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che fanno parte del patrimonio pubblico», in quanto attività consistenti «nella predisposizione di interventi […] diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista degli alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti […] mediante un procedimento […] di concessione/assegnazione di beni facenti parte del patrimonio pubblico»; d) che tale patrimonio è, «quindi, analogo, a quello degli IACP – i quali tuttavia, a differenza dei Comuni – sono enti commerciali»; e) che detti Istituti autonomi per le case popolari (IACP) usufruiscono attualmente, «dopo una iniziale riduzione dell’imposta al 50% ex art. 8 comma 4 del D. Lgs. 504/92» – introdotta «a seguito» della sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 1996 – «dell’esenzione totale dall’ICI per effetto dell’art. 1 comma 3 del D. L. 27 maggio 2008 n. 93 (conv. nella Legge n. 126/2008) con decorrenza dal 1° gennaio 2008»;
che, sulla base di tali premesse, la Corte suprema di cassazione afferma che «nella logica del sistema complessivamente rivolto alla creazione di alloggi destinati ad edilizia residenziale pubblica», si è venuta a creare «una palese discrepanza ed irragionevolezza fra l’assoggettamento alla imposta, nella sua totalità, degli immobili costituiti dai Comuni per fini sociali senza scopo di lucro, e soggetti a concessione/assegnazione con modalità pubblicistiche […] indipendentemente dalla loro ubicazione […] e immobili destinati agli stessi fini, ma posseduti da Enti commerciali»;
che, secondo il rimettente, ciò integra un contrasto, «oltre che con l’art. 3 Cost., con l’art. 2 Cost., che richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale nei confronti dei cittadini e con l’art. 38 Cost. che tutela il diritto delle persone non abbienti all’assistenza sociale»;
che, in punto di rilevanza delle questioni, la Corte suprema di cassazione afferma di ritenere «l’eccezione» del Comune di Milano «rilevante ai fini della decisione della causa»;
che si è costituito nel giudizio il Comune di Milano, chiedendo, «in via principale», che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate;
che, ad avviso del Comune, in effetti, la disposizione denunciata va interpretata – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente – nel senso che gli immobili, posseduti da un Comune e siti nel territorio di un altro Comune, destinati a edilizia residenziale pubblica, si devono considerare «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali» dell’ente, con la conseguenza che ad essi spetta l’esenzione dall’ICI;
che il Comune di Milano fonda tale esegesi sui seguenti argomenti: a) la disposizione denunciata non richiede, in base al suo tenore letterale, che l’immobile sia «direttamente ed immediatamente utilizzato dall’ente pubblico», ma soltanto che esso sia destinato, in via esclusiva, ai compiti istituzionali; b) lo svolgimento di detti compiti ben può avvenire tramite un utilizzo non diretto dell’immobile; c) ciò avviene, appunto, con riferimento agli immobili destinati al compito istituzionale del Comune – riconosciuto come tale anche dall’art. 4 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n. 12 (Misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 1985, n. 118 – di fornire una abitazione ai cittadini che non sono in grado di reperirne una a prezzi di mercato, concedendola in locazione dietro corresponsione di un canone determinato in ragione del reddito dell’assegnatario; d) la norma denunciata, letta anche alla luce dell’art. 4, comma 1, secondo periodo, del d. lgs. n. 502 del 1994 – secondo il quale l’ICI «non si applica» per gli immobili posseduti dal Comune nel proprio territorio – «riconosc[e] che l’attività istituzionale dei Comuni può essere svolta per mezzo di immobili siti nel territorio di altri Comuni»; e) l’opposta interpretazione renderebbe di fatto inapplicata la disposizione censurata «poiché è logico che ogni Comune stabilisca i propri uffici nell’ambito del proprio territorio»; f) l’esenzione dall’INVIM già prevista dalla lettera c) del secondo comma dell’art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili) – per la spettanza della quale la giurisprudenza richiedeva la destinazione diretta degli immobili «all’esercizio delle attività istituzionali» degli enti menzionati dalla norma di agevolazione («enti di cui alla lettera c dell’art. 2 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598») – aveva «natura e contenuto ben diversi» rispetto all’esenzione dall’ICI prevista dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992;
che, nell’ipotesi in cui la disposizione denunciata dovesse essere interpretata nel senso fatto proprio dal giudice rimettente, il Comune di Milano chiede, «in via subordinata», che la questione sia dichiarata fondata;
che, ad avviso della parte costituita, tenuto conto del quadro normativo – in particolare, delle agevolazioni in materia di ICI previste dagli artt. 7, comma 1, lettere i) e g), e 8, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992 e dall’art. 1, comma 3, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, nonché degli incentivi che il legislatore ha sempre riconosciuto alle «attività svolte dai Comuni e dagli altri Enti Territoriali diversi dallo Stato, anche sotto il profilo tributario», in ragione dei compiti, pure di rilievo costituzionale, ad essi attribuiti – l’esclusione dall’esenzione dall’imposta, come da qualsiasi altra agevolazione, per gli immobili di proprietà comunale siti nel territorio di un altro Comune e destinati a edilizia residenziale pubblica, si palesa come «irragionevole e arbitraria» perché: a) differenzia, senza giustificazione, il trattamento fiscale dei Comuni «rispetto ad altri soggetti possessori di immobili destinati ad attività identiche o simili, tra cui anche gli IACP»; b) equipara il regime dell’ICI per gli immobili di proprietà comunale, vincolati per legge alla destinazione all’utilizzazione per fini di edilizia residenziale pubblica, a quello degli «immobili liberamente utilizzati dai privati per fini speculativi e commerciali e in regime di piena libertà e di libera concorrenza»;
che, secondo il Comune di Milano, la norma censurata, non prevedendo «alcuna forma di agevolazione o di esenzione» a favore dell’ente pubblico territoriale – con l’effetto che l’ICI «assorbirebbe gran parte delle risorse destinate a un servizio pubblico volto al soddisfacimento del bisogno primario abitativo» – oltre che essere irragionevole, víola anche gli artt. 2 e 38 Cost.;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili «e/o» non fondate;
che, secondo la difesa dello Stato, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost. sono inammissibili per difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine al contrasto della norma denunciata con i suddetti parametri, «meramente enunciati in via generale»;
che, quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., essa sarebbe «inammissibile ed infondata» perché: a) «non può chiedersi alla Consulta una pronuncia additiva la quale operi in sostanza come una vera e propria modifica normativa», anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 113 del 1996, concernente la materia dell’esenzione dall’ICI per gli immobili posseduti dagli IACP; b) il rimettente ha omesso di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata, intendendola nel senso che, tra gli immobili posseduti dai comuni «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali», sono compresi anche gli immobili comunali destinati esclusivamente a edilizia residenziale pubblica, interpretazione tanto piú possibile alla luce dell’art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 93 del 2008 e della risoluzione del Ministero dell’economia e delle finanze 5 giugno 2008, n. 12/DF;
che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettando l’appello proposto dal Comune di Milano, aveva negato il diritto del medesimo Comune all’esenzione dall’ICI, per gli anni «1994 e 1995» (recte: 1993 e 1994), relativa ad alcuni immobili posseduti nel territorio del Comune di Locate Triulzi e destinati a provvedere ad esigenze di edilizia residenziale pubblica, la Corte suprema di cassazione, con ordinanza depositata lo stesso 21 aprile 2010 (r.o. n. 253 del 2010), ha sollevato questioni di legittimità identiche – sia quanto all’oggetto che in ordine ai parametri – a quelle sollevate nel giudizio r.o. n. 196 del 2010;
che il giudice rimettente precisa, in punto di fatto, che: a) la Commissione tributaria regionale aveva escluso la spettanza dell’esenzione dall’ICI per le unità immobiliari «in quanto non destinate a finalità istituzionali dirette del Comune appellante, le cui funzioni […] erano soltanto quelle di regolare l’assegnazione degli alloggi, senza obbligo, per lo stesso Comune di realizzare gli alloggi stessi»; b) il Comune di Milano ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata sulla base di sei motivi, censurandola, con i primi cinque, per la «operata differenziazione fra costruzione e assegnazione degli alloggi», con il sesto, per violazione dell’art. 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 504 del 1992, «in relazione all’art. 8 comma 4 del D. Lgs. 504/92 e 12 delle preleggi», in quanto erroneamente ritenuto non applicabile ad immobili di proprietà di un ente pubblico territoriale e destinati all’assolvimento «di compiti istituzionali di natura pubblicistica di interesse collettivo»; c) «tale argomentazione» ha portato il Comune di Milano «ad eccepire, in via incidentale, la illegittimità costituzionale dell’art. 7 comma 1 del D. Lgs. 504/92, unitamente all’art. 4, comma 7 della legge delega 421/92, in relazione agli artt. 2, 3 primo e secondo comma, 31, 38 e 97 Cost., nella parte in cui non prevedono esenzioni e agevolazioni dall’ICI sugli immobili posseduti dai Comuni al di fuori del proprio territorio e destinati ad Edilizia Residenziale Pubblica» d) il Comune di Locate Triulzi non si è costituito;
che il rimettente ritiene «l’eccezione» del Comune di Milano «rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 38 della Costituzione»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo svolge argomentazioni identiche a quelle esposte nell’ordinanza introduttiva del giudizio r.o. n. 196 del 2010;
che anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili «e/o» non fondate;
che, secondo la difesa erariale – le cui deduzioni coincidono solo in parte con quelle presentate nel giudizio r.o. n. 196 del 2010 – l’inammissibilità deriverebbe: a) quanto alle questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., dal difetto di motivazione in ordine alla violazione dei parametri evocati; b) quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., parimenti, dal difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, perché il rimettente costruisce la questione sull’identità tra la situazione degli IACP e quella dei comuni – quando operano nel settore dell’edilizia residenziale pubblica – e sulla coincidenza tra il concetto di compito istituzionale e quello di pubblico servizio, affermazioni che non motiva; c) quanto a tutte le questioni sollevate: c.1) dal fatto che il rimettente chiede alla Corte costituzionale «una pronuncia additiva la quale operi in sostanza come una vera e propria modifica normativa»; c.2) dal fatto che, in presenza di «pronunce discordanti […] della Corte di cassazione», il rimettente ha omesso di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, intendendola nel senso che tra gli immobili posseduti dai comuni «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali» sono compresi anche gli immobili comunali destinati a edilizia residenziale pubblica;
che l’infondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. deriverebbe, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, dalla diversità delle situazioni poste a raffronto dal rimettente, resa palese: a) dal fatto che, mentre la realizzazione di interventi di edilizia agevolata costituisce il fine istituzionale degli IACP, l’assegnazione e la gestione di alloggi di edilizia residenziale pubblica da parte dei comuni è frutto di una scelta amministrativa che, «pur attuata nel campo dei “servizi pubblici”, non costituisce un “fine istituzionale”» – cioè un fine «non solo diretto ma anche necessario dell’attività dell’Ente», il cui perseguimento «rientra nel potere-dovere del Comune che è dunque vincolato» – ma solo un fine generale, «di natura discrezionale, ovviamente consentit[o], ma non obbligatorio»; b) mentre il Comune è un ente territoriale «dotato di confini propri entro i quali può realizzare i propri fini non direttamente istituzionali», gli IACP, in quanto enti non territoriali, «nella realizzazione del proprio fine istituzionale, devono operare sul territorio di altri Enti territoriali»;
che, pertanto, non è irragionevole che, in relazione ad una attività che non può «qualificarsi sic et simpliciter come rientrante nei “fini istituzionali”», il Comune sia soggetto all’ICI, al pari di altri soggetti per i quali le medesime attività non sono inquadrabili nelle finalità istituzionali, come pure che, in tali casi, non si pervenga «a depauperare le entrate del Comune ospitante», consentendo, al contempo, «al Comune ospite di continuare a fruire dei servizi e delle attività gestionali comunali senza pagarle»;
che, in prossimità della data fissata per la discussione in udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato, in entrambi i giudizi, delle memorie illustrative, di analogo contenuto, con le quali rinnova la richiesta che le questioni siano dichiarate inammissibili «e/o» infondate;
che la difesa dello Stato, nel ribadire quanto scritto nel proprio atto di intervento, svolge alcune considerazioni in ordine alle deduzioni del Comune di Milano, evidenziando, in particolare che: a) tra l’art. 25 del d.P.R. n. 643 del 1972 e la disposizione censurata non vi è «quella ontologica differenza adombrata da controparte, tale per cui solo nel primo caso condizione per ottenere l’esenzione era che l’immobile fosse utilizzato direttamente dall’Ente proprietario per i suoi fini istituzionali»; b) l’accoglimento delle questioni, da un canto, comporterebbe la riduzione del gettito dell’ICI per il Comune nel cui territorio si trova l’immobile, dall’altro, consentirebbe «al Comune ospite di continuare a fruire dei servizi e delle attività gestionali comunali senza pagarle», effetti entrambi irragionevoli «considerato che nulla osta a che ogni Comune realizzi le proprie esigenze abitative entro i propri confini»; c) l’«equiparazione» chiesta dal rimettente non considera «come il Comune sia un ente territoriale, dotato di confini propri entro i quali può realizzare i propri fini non direttamente istituzionali, laddove gli IACP sono Enti non territoriali che pertanto necessariamente, nella realizzazione del proprio fine istituzionale, devono operare sul territorio di altri Enti territoriali»; d) l’esistenza di «pronunce discordanti rese dalla stessa sezione tributaria della Corte di Cassazione» (che si è pronunciata in materia anche con la sent. n. 14094 del 2010, successiva all’ordinanza di rimessione), dimostra che «la questione sembra richiedere piú che una pronuncia additiva della Consulta un intervento chiarificatore dello stesso giudice di legittimità».
Considerato che, nel corso di due giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione delle sentenze emesse in grado di appello con le quali la Commissione tributaria regionale della Lombardia si era pronunciata in modo difforme in ordine al diritto del Comune di Milano di beneficiare dell’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (ICI), per gli anni 1995 e 1996 (r.o. n. 196 del 2010), nonché 1993 e 1994 (r.o. n. 253 del 2010), in relazione ad alcuni immobili da esso posseduti, destinati a edilizia residenziale pubblica ed ubicati nel territorio del Comune di Locate Triulzi, la Corte suprema di cassazione, con ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione – questioni di legittimità della lettera a) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421);
che, in forza della disposizione denunciata, «Sono esenti dall’imposta: a) gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonché dai comuni, se diversi da quelli indicati nell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all’articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali»;
che il giudice a quo muove dall’assunto che gli immobili destinati ad edilizia residenziale pubblica, posseduti da un Comune ai sensi degli artt. 1 e 3 del d.lgs. n. 504 del 1992 ed ubicati nel territorio di un altro Comune, non beneficiano dell’esenzione dall’ICI, perché non possono essere considerati direttamente ed immediatamente adibiti allo svolgimento dei compiti istituzionali del Comune stesso, come invece esige, ai fini dell’esenzione, la locuzione «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali», quale interpretata dalle costanti pronunce della Corte di cassazione, integranti diritto vivente;
che, secondo il giudice rimettente, la disposizione denunciata, cosí intesa, si pone in contrasto con: a) l’art. 3 Cost., perché comporta un’ingiustificata disparità di trattamento fiscale tra gli immobili posseduti dai Comuni e destinati ad edilizia residenziale pubblica, i quali, secondo il menzionato “diritto vivente”, sono soggetti all’ICI se ubicati nel territorio di altri Comuni, e gli immobili posseduti dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), aventi la medesima destinazione, i quali invece, a decorrere dal 1° gennaio 1997, usufruivano della riduzione dell’imposta del 50 per cento prevista dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992, come sostituito dall’art. 3, comma 55, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e, a decorrere dal 1° gennaio 2008, beneficiano dell’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 1, comma 3, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126; b) l’art. 2 Cost., «che richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale nei confronti dei cittadini»; c) l’art. 38 Cost., «che tutela il diritto delle persone non abbienti all’assistenza sociale»;
che, in considerazione dell’identità delle questioni sollevate, i giudizi promossi con le due ordinanze di rimessione devono essere riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi;
che la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in entrambi i giudizi, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., per difetto di motivazione in ordine alla violazione di tali parametri, «meramente enunciati in via generale»;
che l’eccezione è fondata;
che, in effetti, il giudice a quo si limita ad evocare i suddetti parametri ed a riportarne, parafrasandolo, il contenuto, senza indicare le ragioni della denunciata illegittimità costituzionale, tanto da rendere le questioni prive di motivazione e, quindi, manifestamente inammissibili;
che la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità anche delle questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost., per difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, in quanto il giudice rimettente non ha fornito alcuna giustificazione dell’affermazione secondo cui la situazione degli IACP sarebbe identica a quella dei Comuni, per ciò che attiene al possesso di immobili destinati ad edilizia residenziale pubblica;
che l’eccezione non è fondata;
che il rimettente espone in modo adeguato le ragioni della dedotta ingiustificata disparità di trattamento, affermando che la disciplina denunciata contrasta con l’omogeneità delle situazioni poste a raffronto; omogeneità che sarebbe evidenziata dal fatto che sia gli immobili posseduti dai Comuni e destinati a edilizia residenziale pubblica sia quelli posseduti dagli IACP ed aventi la stessa destinazione sono utilizzati per raggiungere il medesimo fine, di pubblico interesse, di soddisfare le esigenze abitative dei cittadini meno abbienti;
che non è fondata neppure l’ulteriore eccezione prospettata dalla difesa dello Stato, secondo cui le questioni sono inammissibili perché il rimettente domanda alla Corte costituzionale «una pronuncia additiva la quale operi in sostanza come una vera e propria modifica normativa»;
che, in realtà, il giudice a quo chiede a questa Corte non una «modifica normativa», ma l’estensione delle agevolazioni in tema di ICI previste per gli immobili posseduti dagli IACP agli immobili posseduti dai Comuni e destinati anch’essi a edilizia residenziale pubblica; estensione che, secondo la sua prospettazione, sarebbe imposta dalla stessa ratio dell’agevolazione prevista a favore degli IACP;
che, nel merito, le questioni sollevate in riferimento all’art. 3 Cost. sono manifestamente infondate;
che, al riguardo, va premesso che la rimettente Corte di cassazione, nel richiamare il “diritto vivente” costituito dalle proprie pronunce in materia, ha inteso farne proprie le argomentazioni, evidenziando – implicitamente, ma chiaramente – l’impossibilità di pervenire ad una diversa interpretazione della disposizione denunciata;
che, in effetti, la Corte di cassazione – contrariamente a quanto riferito nella memoria depositata dall’Avvocatura generale dello Stato – ha costantemente affermato che l’esenzione dall’ICI prevista dalla censurata lettera a) del comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992 non spetta in relazione agli immobili destinati a edilizia residenziale pubblica posseduti da un Comune ed ubicati nel territorio di un altro Comune, perché essi non sono – come invece richiesto dalla locuzione «destinati esclusivamente ai compiti istituzionali» – direttamente e immediatamente destinati ai compiti istituzionali dell’ente (sentenze n. 14094 del 2010; n. 20577 del 2005; n. 142 del 2004; in senso analogo, sentenza n. 21571 del 2004);
che il rimettente, come visto, argomenta il ritenuto contrasto con l’art. 3 Cost. sulla base del duplice assunto che: a) la situazione degli immobili destinati a edilizia residenziale pubblica posseduti dai Comuni è omogenea a quella degli immobili posseduti dagli IACP ed aventi la medesima destinazione; b) le due situazioni, negli anni dal 1993 al 1996 – periodi di imposta in ordine ai quali si controverte nei giudizi a quibus –, sono ingiustificatamente trattate in modo diverso dal legislatore, perché solo gli immobili posseduti dagli IACP godevano di agevolazioni fiscali;
che, a prescindere da ogni valutazione sulla correttezza dell’assunto circa l’omogeneità delle situazioni poste a raffronto dal rimettente, va rilevato che il secondo di detti assunti è errato;
che il rimettente invoca quali tertia comparationis le agevolazioni in tema di ICI relative agli immobili posseduti dagli IACP, previste, secondo quanto afferma lo stesso ricorrente: a) dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992, come sostituito dall’art. 3, comma 5, della legge n. 662 del 1996, il quale stabiliva una riduzione dell’imposta del 50 per cento in favore degli «alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari»; b) dall’art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 93 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008, in forza del quale, «a decorrere dall’anno 2008» (comma 1, del medesimo articolo 1), si applica, in favore dei medesimi alloggi, la totale esenzione dall’imposta in luogo della suddetta riduzione del 50 per cento;
che, tuttavia, tali agevolazioni sono applicabili solo per periodi d’imposta successivi a quelli rilevanti nei giudizi a quibus – anni dal 1993 al 1996 –, perché: a) l’agevolazione di cui all’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992, come sostituito dall’art. 3, comma 5, della legge n. 662 del 1996, si applica a decorrere dal 1° gennaio 1997 (comma 217 del medesimo art. 3); b) l’esenzione di cui all’art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 93 del 2008 si applica – come riconosciuto dallo stesso rimettente – a decorrere dall’anno 2008;
che pertanto, negli anni dal 1993 al 1996, gli immobili posseduti dagli IACP non godevano delle agevolazioni fiscali indicate dal rimettente, con conseguente palese insussistenza della denunciata disparità di trattamento rispetto agli immobili posseduti dai Comuni.
[ELG:DISPOSITIVO]
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale della lettera a) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevate dalla Corte suprema di cassazione, in riferimento agli artt. 2 e 38 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della medesima lettera a) del comma 1 dell’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992, sollevate dalla Corte suprema di cassazione, in riferimento all’art. 3 Cost., con le suddette ordinanze indicate in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2011.
[ELG:FIRME]
F.to:
Paolo MADDALENA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2011.
[ELG:ALLEGATO]