ORDINANZA N. 107
ANNO 2010
Commenti alla decisione di
I. Alfonso Vuolo, Il crollo di un altro antico feticcio (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)
II. Patrizia Vipiana, La prima pronuncia della Corte costituzionale sul merito di un’istanza di sospensiva delle leggi, (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sull’istanza di sospensione proposta nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa alla disciplina di attuazione) promosso dalla Regione Lazio con ricorso notificato e depositato in cancelleria l’11 marzo 2010 ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2010.
Visti l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di intervento rispettivamente di Caravale Mario ed altri, del Movimento difesa del cittadino (MDC) ed altro e di Perugia Maria Cristina ed altro;
udito nella camera di consiglio del 18 marzo 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli per Caravale Mario ed altri, Gianluigi Pellegrino per il Movimento difesa del cittadino (MDC) ed altro, Luca Di Raimondo per Perugia Maria Cristina ed altro, Federico Sorrentino per la Regione Lazio e gli avvocati dello Stato Michele Dipace e Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto che, con ricorso depositato l’11 marzo 2010 (iscritto al r.r. n. 43 del 2010), la Regione Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 48, 72, quarto comma, 77, 102, 104, 111 e 122, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 54 del 6 marzo 2010;
che la stessa Regione Lazio ha presentato, con il ricorso in epigrafe, istanza cautelare di sospensione dell’efficacia delle impugnate disposizioni, ai sensi dell’art. 35, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87;
che, al riguardo, la difesa regionale considera «evidente il grave ed irreparabile pregiudizio che deriverebbe all’interesse pubblico al regolare svolgimento delle elezioni regionali nel caso in cui le consultazioni del 28-29 marzo 2010 si svolgessero sulla base di norme suscettibili di declaratoria d’incostituzionalità»;
che la Regione Lazio ritiene di aver interesse a coltivare il ricorso non solo in quanto asseritamente lesivo della propria competenza a disciplinare, nel dettaglio, la materia delle elezioni regionali ex art. 122, primo comma, Cost., ma anche in quanto l’impugnato decreto-legge parrebbe concretamente volto ad interferire con le già indette elezioni del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale;
che con la sentenza n. 196 del 2003, invero, questa Corte avrebbe statuito che «la potestà legislativa in tema di elezione dei Consigli regionali spetta ormai alle Regioni» e
che, in ossequio al principio di continuità, le disposizioni legislative dello Stato continuano a trovare applicazione nelle materie di competenza regionale sino a quando non saranno intervenute le disposizioni dettate dai legislatori regionali;
che, pertanto, resterebbe ferma la preclusione al legislatore statale di intervenire con disposizioni di dettaglio nelle materie di competenza concorrente;
che le previsioni di dettaglio poste da queste leggi non potrebbero essere modificate, a causa del sopravvenuto trasferimento della competenza legislativa alle Regioni, e non potrebbero neppure essere interpretate autenticamente, dal momento che tale tecnica è «un aspetto del potere di legiferare»;
che la Regione Lazio ha esercitato, con la legge 13 gennaio 2005, n. 2 (Disposizioni in materia di elezione del Presidente della Regione e del Consiglio e di ineleggibilità e di incompatibilità dei componenti della Giunta e del Consiglio regionale), la competenza attribuitale dall’art. 122, primo comma, Cost., a seguito dell’adozione della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), che ha dettato i princìpi fondamentali in materia;
che l’art. 1 della citata legge regionale, stabilendo che «per quanto non espressamente previsto, sono recepite la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), e successive modificazioni e integrazioni», avrebbe posto in essere un rinvio recettizio, tale da rendere la disciplina in oggetto immune da successivi mutamenti normativi in ambito statale;
che, inoltre, secondo la difesa regionale, l’impugnato decreto-legge sarebbe privo della dichiarata portata interpretativa, essendo al contrario idoneo ad innovare le disposizioni di cui alla legge n. 108 del 1968, con conseguente e ancor più marcata lesione delle attribuzioni regionali vantate in materia;
che, secondo la Regione, ricorrente l’impugnato decreto-legge violerebbe, altresì, gli artt. 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111 Cost., avendo il legislatore statale posto in essere un esercizio abnorme della potestà di interpretazione autentica, al solo fine di interferire con giudizi pendenti in vista della riammissione di liste escluse dalla competizione elettorale, contravvenendo al principio di ragionevolezza, vulnerando la funzione giurisdizionale e le garanzie del giusto processo, e ledendo l’eguaglianza del voto;
che, infine, per la ricorrente il denunciato decreto-legge avrebbe violato gli artt. 72, quarto comma, e 77, secondo comma, Cost., dal momento che, per un verso, in materia elettorale sussisterebbe una riserva di assemblea tale da legittimare solo l’intervento di leggi formali e che, d’altro canto, a fronte della vigenza protratta da più di quarant’anni della legge asseritamente interpretata, difetterebbero i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che soli legittimano il ricorso allo strumento del decreto-legge;
che si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che, «previo rigetto della domanda di sospensiva», il ricorso sia dichiarato «inammissibile o comunque infondato»;
che l’Avvocatura eccepisce, anzitutto, la carenza di legittimazione della Giunta regionale a proporre il ricorso, atteso che, ai sensi dell’art. 45 della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo statuto della Regione Lazio), la «Giunta dimissionaria ai sensi dell’art. 19, comma 4, dell’articolo 43, comma 2, dell’art. 44, comma 1, resta in carica, presieduta dal Presidente della Regione ovvero dal Vicepresidente nei casi di rimozione, decadenza, impedimento permanente e morte del Presidente, limitatamente all’ordinaria amministrazione, fino alla proclamazione del Presidente della Regione neoeletto»;
che, prosegue l’Avvocatura, «a seguito delle dimissioni del Presidente della Regione, gli organi regionali sono entrati in prorogatio»;
che, per tale motivo, la Giunta dovrebbe limitarsi all’adozione di atti dovuti, ovvero imposti da circostanze straordinarie e urgenti, ma non potrebbe decidere di impugnare innanzi a questa Corte una legge ritenuta invasiva della propria competenza ai sensi dell’art. 127 Cost.;
che, nel merito, l’Avvocatura osserva che l’art. 122 Cost. attribuisce alle Regioni a statuto ordinario potestà legislativa concorrente «in materia elettorale», ma non «per tutta la materia elettorale»;
che, in particolare, ferma la potestà legislativa regionale sul «sistema di elezione», non avrebbe attinenza a tale competenza della Regione la disciplina del «procedimento elettorale»; che quest’ultima riguarderebbe, invece, «l’esercizio di funzioni amministrative statali chiaramente riconducibili all’ordinamento civile (modalità di sottoscrizione delle candidature, autenticazione delle firme) ed altre che riguardano i rimedi amministrativi e giurisdizionali delle decisioni di esclusione ed ammissioni di candidati e liste», con riferimento anche alla competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), su giurisdizione e norme processuali;
che le funzioni previste dagli artt. 8, 9 e 10 della legge n. 108 del 1968 sono assegnate ad «uffici composti da magistrati», considerati «organi straordinari del Ministero dell’interno al quale viene imputata la responsabilità per l’attività svolta, anche con funzione di indipendenza»;
che da ciò si dovrebbe dedurre il difetto di competenza di norme delle Regioni in materia;
che la disciplina del procedimento elettorale posta in essere dalla legislazione nazionale sarebbe «correlata» anche alla competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ed avrebbe inoltre valore di principio fondamentale ai sensi dell’art. 122 Cost.;
che, sempre a parere dell’Avvocatura, non vi sarebbero dubbi sul carattere interpretativo delle disposizioni impugnate, e sulla conseguente «efficacia retroattiva» delle stesse;
che, in particolare, il decreto-legge oggetto di ricorso avrebbe inteso superare dubbi maturati anche in giurisprudenza sulle modalità di presentazione delle liste elettorali, con disposizioni destinate a valere non solo con riguardo alle attuali elezioni regionali, ma anche per le successive competizioni elettorali;
che, inoltre, l’Avvocatura rileva l’inammissibilità delle censure fondate sugli artt. 3, 24, 25, 48, 72, 77, 102, 104 e 111 Cost., in quanto estranee al riparto delle competenze normative tra Stato e Regioni;
che, con specifico riguardo all’istanza di sospensione, l’Avvocatura ne deduce l’inammissibilità, poiché le ragioni che, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, consentono di sospendere l’efficacia dell’atto avente forza di legge non concernono le competenze regionali, sicché, «in via di principio, una legge dello Stato potrebbe essere anche tacciata di incostituzionalità perché invasiva di competenze legislative regionali, ma non può arrecare un pregiudizio irreparabile a tale interesse pubblico generale o all’ordinamento giuridico della Repubblica o un pregiudizio grave per i diritti del cittadino»;
che, nel caso di specie, la Regione ricorrente non avrebbe neppure motivato in ordine alla sussistenza di un pericolo di danno irreparabile;
che, inoltre, la Regione non avrebbe alcun «interesse qualificato» ad intromettersi nel procedimento di presentazione delle liste elettorali;
che, infine, l’eventuale misura sospensiva avrebbe carattere «sproporzionato», poiché sortirebbe l’effetto di incidere sull’«ordinato svolgimento» non solo delle elezioni nella Regione Lazio, ma «in tutto il Paese»;
che, pertanto, l’Avvocatura conclude chiedendo che tale istanza sia dichiarata inammissibile, o infondata;
che hanno spiegato intervento nel presente giudizio il sig. Mario Caravale e altri cittadini i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso proposto dalla Regione Lazio, previa adozione della misura cautelare sospensiva;
che, in ordine alla ammissibilità del proprio intervento, gli intervenienti rilevano come, a differenza delle altre ipotesi esaminate in passato dalla Corte, nel caso in esame si tratti di cittadini elettori che chiedono di prendere parte ad un giudizio di legittimità costituzionale di una legge elettorale;
che la peculiarità della posizione del cittadino elettore nell’ordinamento sarebbe dimostrata dal riconoscimento dell’azione popolare estesa a tutti gli elettori dell’ente della cui elezione si tratta e dalla deroga alle regole generali in tema di accesso al giudizio giustificata dal fatto che viene in considerazione «il più rilevante diritto politico»;
che sono altresì intervenuti, con separati atti, i signori Perugia Maria Cristina e Mastrorillo Riccardo, nonché il Movimento difesa del cittadino (MDC) e il sig. Antonio Longo, a propria volta aderendo alle censure della Regione ricorrente;
che con ordinanza allegata, di cui si è data lettura in occasione della camera di consiglio del 18 marzo 2010, fissata per discutere l’istanza di sospensione, tutti tali interventi sono stati dichiarati inammissibili;
che le parti hanno discusso l’istanza di sospensiva nella camera di consiglio sopra indicata.
Considerato che viene in esame l’istanza di sospensione proposta dalla Regione ricorrente ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1987, n. 53, e dell’art. 21 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
che, in via preliminare, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la Giunta della Regione Lazio, in quanto dimissionaria, ai sensi dell’art. 45, comma 6, dello statuto approvato con la legge regionale 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio), non avrebbe il potere di promuovere il presente giudizio, in quanto tale atto eccede dall’ordinaria amministrazione cui essa dovrebbe limitarsi in virtù di detta previsione statutaria;
che, infatti, il potere di sollevare questione di legittimità costituzionale in via principale è assegnato alla Regione direttamente dall’art. 127, secondo comma, della Costituzione, entro un termine perentorio, la cui osservanza implica che la Regione stessa sia nelle condizioni di poterlo rispettare senza soluzione di continuità;
che, in un caso analogo, concernente i poteri del Governo della Repubblica dimissionario, questa Corte ha già affermato che «l’urgenza determinata dalla perentorietà del termine» rende incontrovertibile che la deliberazione di promuovere questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost., adottata a tutela di un obiettivo interesse generale, rientra tra gli atti assumibili dal Governo stesso (sentenza n. 119 del 1966);
che, pertanto, il ricorso risulta, sotto tale profilo, ammissibile;
che, contrariamente a quanto eccepito dall’Avvocatura dello Stato, il testo stesso dell’art. 35 della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui rinvia all’art. 32 della medesima legge, rende palese che la Regione può proporre istanza cautelare, ove ritenga che ne sussistano i presupposti;
che, in conformità ai principi generali che disciplinano la tutela in via d’urgenza, il provvedimento previsto dall’art. 40 di tale ultima legge può essere adottato se vi sia concomitanza di due requisiti, ovvero il fumus boni iuris ed il periculum in mora;
che il difetto di uno soltanto di essi comporta il rigetto dell’istanza;
che nella specie non ricorre il presupposto del periculum in mora nei termini di cui all’art. 35 della legge n. 87 del 1953;
che, infatti, anche in ragione del carattere sommario che connota di regola il procedimento cautelare, l’eventuale sospensione dell’efficacia del decreto-legge impugnato non potrebbe rimuovere in via definitiva la condizione di precarietà che caratterizza l’imminente competizione elettorale, in ragione della vigenza di un decreto-legge non ancora convertito ed al momento già oggetto di ulteriore ricorso in via principale dinanzi a questa Corte;
che, in particolare, tale condizione - in sé suscettibile di generare gravi incertezze che si potrebbero ripercuotere sull’esercizio di diritti politici fondamentali e sull’esito stesso delle elezioni - permarrebbe con identica gravità, ove fosse accolta la domanda cautelare;
che, infatti, ben potrebbe verificarsi che il giudizio costituzionale si concluda definitivamente con una pronuncia di non fondatezza, ovvero di inammissibilità;
che, in tal caso, la sospensione dell’efficacia del decreto-legge impugnato potrebbe produrre un danno analogo, per qualità ed intensità, ai diritti e agli interessi implicati dallo svolgimento delle elezioni, che deriverebbe, in senso uguale e contrario, dall’applicazione delle disposizioni censurate;
che nella fattispecie non è possibile affermare che sia prevalente il danno derivante dal perdurare dell’efficacia del decreto-legge censurato;
che la carenza di periculum in mora, per le ragioni e nei sensi appena indicati, comporta il rigetto della domanda di sospensione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
rigetta la domanda di sospensione dell’efficacia del decreto-legge 5 marzo 2010 n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa alla disciplina di attuazione), proposta dalla Regione Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2010.
Allegato:
Ordinanza letta nella camera di consiglio del 18 marzo 2010