Ordinanza n. 285 del 2009

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ORDINANZA N. 285

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Francesco         AMIRANTE                    Presidente

-         Ugo                  DE SIERVO                   Giudice

-         Paolo               MADDALENA                         "

-         Alfio                 FINOCCHIARO                       "

-         Alfonso             QUARANTA                            "

-         Franco              GALLO                                    "

-         Luigi                 MAZZELLA                             "

-         Gaetano            SILVESTRI                              "

-         Maria Rita         SAULLE                                  "

-         Giuseppe          TESAURO                               "

-         Paolo Maria      NAPOLITANO                         "

-         Giuseppe          FRIGO                                     "

-         Alessandro        CRISCUOLO                           "

-         Paolo               GROSSI                                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento vertente tra T. M., nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore T. P., e l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ed altri, con ordinanza del 27 maggio 2008, iscritta al n. 444 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2009.

    Visti gli atti di costituzione di T. M. nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore T. P. e dell'INPS;

    udito nell'udienza pubblica del 22 settembre 2009 il Giudice relatore Paolo Grossi;

    uditi  l'avvocato Mattia Persiani per T. M., nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore T.P., e l'avvocato Alessandro Riccio per l'INPS.

    Ritenuto che la Corte di appello di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui dispone che «ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre provvidenze e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno [...]»;

    che la Corte rimettente premette, in punto di fatto, che una cittadina albanese, madre di un minore a carico, munita di permesso di soggiorno di durata superiore all'anno, ha lamentato il mancato riconoscimento, sia della indennità di frequenza di cui alla legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un'indennità di frequenza per i minori invalidi), sia della indennità di accompagnamento di cui all'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), malgrado l'apposita commissione avesse riconosciuto il minore, che è iscritto e che frequenta la classe I della scuola primaria, quale soggetto «con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età»;

    che, investito della relativa domanda, il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso, affermando che legittimamente il legislatore aveva condizionato il diritto dello straniero extracomunitario ai trattamenti assistenziali previsti per i cittadini, al possesso della carta di soggiorno, anziché del solo permesso di soggiorno, come in precedenza stabilito dall'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998: donde il gravame, nel quale, la parte privata richiedente il beneficio, deduceva, appunto, il contrasto tra la normativa interna ed i principi enunciati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;

    che, a tale riguardo, il giudice a quo ha sottolineato che la carta di soggiorno, già disciplinata dall'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), si è ora trasformata – dopo le modifiche introdotte dall'art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) – in permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per il cui rilascio viene richiesto, fra l'altro, «il possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità»;

    che, a proposito, poi, dei benefici richiesti dalla parte appellante, la Corte rimettente ritiene pacifica la circostanza che, tanto la indennità di frequenza che quella di accompagnamento, si configurino come «provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi», per le quali la disposizione impugnata ne condiziona la erogazione al possesso della carta di soggiorno e non del solo permesso di soggiorno;

    che, pertanto, avuto riguardo ai principi affermati da questa Corte nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, il rimettente sottolinea come la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo abbia reiteratamente affermato che tra i diritti patrimoniali tutelati dall'art. 1 del primo Protocollo addizionale, vanno annoverate anche le prestazioni sociali, comprese quelle cui non corrisponde il versamento di contributi, e che per tali diritti vige il divieto della discriminazione fra cittadini e stranieri di cui all'art. 14 della Convenzione stessa. Da qui, la conclusione secondo la quale risulterebbe in contrasto con l'art. 117 Cost. l'art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, «nella parte in cui, condizionando il diritto dello straniero legalmente soggiornante sul territorio nazionale alla fruizione dell'assegno sociale e delle altre provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali (e tali sono certamente sia l'indennità di frequenza di cui alla legge n. 289/90 sia l'indennità di accompagnamento di cui all'art. 1 legge 18/80) al requisito della titolarità della carta di soggiorno e, quindi, alla legale presenza sul territorio dello stato da almeno cinque anni, pone una discriminazione nei confronti dello straniero rispetto al cittadino, in violazione degli artt. 14 della Convenzione ed 1 del Protocollo aggiuntivo [...], così come interpretati dalla Corte» europea dei diritti dell'uomo;

    che, nel giudizio davanti a questa Corte, ha spiegato atto di costituzione la parte privata, madre esercente la potestà sul figlio minore, cui si riferiscono le provvidenze oggetto di causa, sollecitando la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata;

    che, nell'atto di costituzione, la parte privata ha, adesivamente, riproposto e sviluppato gli argomenti posti a base della ordinanza di rimessione, sottolineando come, dopo la pronuncia della stessa ordinanza, questa Corte sia intervenuta sulla norma censurata, dichiarandone la illegittimità costituzionale parziale, con la sentenza n. 306 del 2008, della quale vengono riprodotti alcuni passaggi salienti. Alla luce dei principi ivi affermati, dunque, deriverebbe la incostituzionalità della norma, nella parte in cui condiziona «la fruizione di diritti soggettivi, acquisiti per effetto della legislazione vigente in materia di diritti sociali, al requisito della titolarità della carta di soggiorno e, quindi, alla legale presenza sul territorio dello Stato da almeno cinque anni», per contrasto con il principio di non discriminazione nei confronti dello straniero sancito dall'art. 14 della CEDU e dall'art. 1 del primo Protocollo addizionale;

    che, nel giudizio di costituzionalità, si è costituito anche l'Istituto nazionale della previdenza sociale, il quale ha depositato memoria, nella quale ha concluso chiedendo che la questione sia ritenuta «per una parte inammissibile e per l'altra infondata». Ritiene, infatti, l'Istituto, che la questione relativa alla indennità di accompagnamento, di cui all'art. 1 della legge n. 18 del 1980, sia stata già definita dalla Corte con la sentenza n. 306 del 2008, che ha, appunto, dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, nella parte in cui esclude la indennità di accompagnamento dalle provvidenze erogabili agli stranieri extracomunitari privi dei requisiti di reddito per ottenere la carta di soggiorno. Il medesimo Istituto ritiene, invece, infondati i dubbi di costituzionalità in riferimento alla indennità di frequenza, di cui alla legge n. 289 del 1990, giacché, con la norma oggetto di impugnativa, il legislatore ha rimodulato in senso restrittivo i requisiti costitutivi che consentono l'accesso alle provvidenze in questione, senza, però, legittimare dubbi di costituzionalità, avuto riguardo alla discrezionalità delle scelte operate (si richiamano, in proposito, le sentenze n. 324 del 2006, n. 237 del 1994, n. 243 del 1993, n. 95 del 1992, n. 395 del 1990);

    che, d'altra parte, soggiunge ancora l'Istituto, la soluzione adottata dal legislatore – di stabilire, cioè, che le prestazioni più rilevanti vengano concesse solo a quegli stranieri che risiedono in Italia da più tempo e con maggiore stabilità – sarebbe del tutto logica e aderente alla natura delle prestazioni in questione, posto che «la normativa considerata non è quella dei diritti previdenziali, bensì quella delle provvidenze di natura assistenziale in materia di servizi sociali», evocandosi, come esempio in tal senso, la disciplina introdotta con l'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112;

    che, a proposito, poi, del preteso contrasto con le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e del primo Protocollo addizionale, il medesimo Istituto osserva come fra le stesse «non sono individuabili norme di rango costituzionale che impongano al legislatore di equiparare gli stranieri ai cittadini dell'Unione ai fini della concessione di provvidenze economiche di mera assistenza sociale», derivando da ciò che la condizione dello straniero è regolata dalla legge, a norma dell'art. 10, primo comma, Cost., «e che, nel caso in esame, il parametro di costituzionalità è rispettato in quanto le diverse prestazioni di assistenza sociale, riconosciute ai possessori di carta di soggiorno rispetto ai possessori di permesso di soggiorno, appaiono ispirate al principio di ragionevolezza e di rispetto delle condizioni dello straniero». Il tutto, osserva conclusivamente l'Istituto, non senza trascurare che la norma impugnata è stata inserita dalla legge finanziaria, per gli evidenti riflessi sulla finanza pubblica: il che – alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 99 del 1995, n. 240 del 1994 e n. 822 del 1988) – corrobora la legittimità di una scelta destinata a soddisfare esigenze di contenimento della spesa pubblica, avuto riguardo ai limiti insiti nelle «risorse finanziarie disponibili e destinabili a fini di assistenza sociale»;

    che la parte privata ha, infine, depositato una memoria illustrativa a sostegno della richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa oggetto di impugnazione, in particolare sottolineando i principi posti a fondamento della sentenza di questa Corte n. 432 del 2005, con la quale venne dichiarata la illegittimità costituzionale di una legge della Regione Lombardia, nella parte in cui non includeva gli stranieri residenti nella medesima Regione fra gli aventi diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasporto pubblico di linea, riconosciuto alle persone totalmente invalide per cause civili. Dalla richiamata pronuncia sarebbe possibile desumere che il principio di uguaglianza, affermato dall'art. 3 Cost., si estende anche agli stranieri, nel momento in cui, alla luce del principio di solidarietà sociale dettato dall'art. 2 della stessa Carta, venga in rilievo la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, in conformità ai trattati internazionali; e, se è possibile che cittadini e stranieri non ricevano, in tutto, un identico trattamento, i criteri da utilizzare per valutare la diversità delle situazioni sarebbero comunque assoggettati al controllo di ragionevolezza. Pertanto – osserva la memoria – un criterio di distinzione fondato sulla durata della permanenza in Italia, creerebbe una irragionevole disparità di trattamento, su un bene irrinunciabile, quale il diritto alla salute, sia tra cittadini e stranieri, che tra gli stranieri, a seconda che siano o meno titolari del permesso di soggiorno, anziché della carta di soggiorno. Varrebbero, a conforto di tale assunto, tanto la sentenza n. 306 del 2008, quanto la sentenza n. 11 del 2009, la quale, oltre a dichiarare inammissibile la questione relativa alla indennità di accompagnamento (già decisa con la sentenza n. 306 del 2008), ha dichiarato la illegittimità costituzionale della normativa in contestazione, in riferimento alla pensione di inabilità.

    Considerato che la Corte di appello di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui condiziona il diritto dello straniero legalmente soggiornante nel territorio nazionale alla fruizione dell'assegno sociale e delle altre provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali – nella specie, l'indennità di frequenza, di cui alla legge n. 289 del 1990 e l'assegno di accompagnamento, di cui all'art. 1 della legge n. 18 del 1980 – al requisito della titolarità della carta di soggiorno, e, quindi, alla legale presenza sul territorio dello Stato da almeno cinque anni;

    che la normativa censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., in quanto, introducendo l'ulteriore requisito della titolarità della carta di soggiorno – ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo – per il cui rilascio è prescritto, fra l'altro, il possesso, da parte dello straniero, di un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno cinque anni, porrebbe in essere una discriminazione nei confronti dello straniero rispetto al cittadino, in violazione dell'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 1 del primo Protocollo addizionale, così come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo;

    che, come è stato ricordato dalle parti costituitesi nel giudizio di costituzionalità, successivamente alla pronuncia della ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 306 del 2008, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, e dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 – come modificato dall'art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi sostituito dall'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 – nella parte in cui viene escluso che l'indennità di accompagnamento, di cui all'art. 1 della legge n. 18 del 1980, possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;

    che a tal proposito questa Corte, dopo aver rammentato che la indennità di accompagnamento rientra tra le prestazioni assistenziali, ed attiene, secondo la terminologia adottata dalla Corte di Strasburgo, alla “sicurezza o assistenza sociale”, ha reputato manifestamente irragionevole subordinare l'attribuzione di tale peculiare prestazione assistenziale, che presuppone gravi infermità, «al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l'altro, la titolarità di un reddito», risultando così vulnerati, al tempo stesso, non soltanto gli artt. 32 e 38, ma anche l'art. 2 Cost., «tenuto conto che quello alla salute è un diritto fondamentale della persona»;

    che «sotto tale profilo e per i medesimi motivi» – ha soggiunto questa Corte – la normativa censurata si poneva in contrasto anche con l'art. 10, primo comma, della Carta fondamentale, «dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall'appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato»;

    che, facendo leva sulla medesima ratio decidendi, con la successiva sentenza n. 11 del 2009, questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale della stessa normativa, nella parte in cui esclude che la pensione di inabilità, di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;

    che, alla stregua di tali mutamenti subiti dal quadro normativo di riferimento, in dipendenza delle pronunce di questa Corte, l'INPS – resistente nel procedimento  a quo – ha espressamente sollecitato una declaratoria di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale relativa «all'indennità di accompagnamento di cui all'art. 1 Legge n. 18/1980», proprio perché la stessa sarebbe stata già «decisa dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 306 del 2008»;

    che tale ultima circostanza, per la quale l'Istituto finisce per manifestare una posizione di sostanziale nolo contendere, in ordine al riconoscimento in favore dell'appellante della indennità di accompagnamento, assume uno specifico risalto agli effetti della rilevanza della questione di costituzionalità nel giudizio  a quo, posto che la non contestazione del “nuovo” fondamento della domanda attrice, ineluttabilmente circoscrive l'area del devolutum al giudice del gravame;

    che, d'altra parte, i riferiti rilievi coinvolgono anche il tema della indennità di frequenza, giacché, in base all'art. 3 della richiamata legge n. 289 del 1990, tale indennità «è incompatibile con qualsiasi forma di ricovero e non è concessa ai minori che hanno titolo o che già beneficiano dell'indennità di accompagnamento di cui [...] alla legge 11 febbraio 1980, n. 18», stabilendosi, altresì, che «resta salva la facoltà degli interessati di optare per il trattamento più favorevole»;

    che, accanto a ciò, va altresì considerato – quale ulteriore elemento di “novità” che impone il riesame della rilevanza della questione – che, in data 14 giugno 2009, è entrata in vigore per l'Italia la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, siglata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18: è, infatti, agevole rilevare che la pregnanza e specificità dei principî e delle disposizioni introdotti da tale Convenzione, indubbiamente si riflettono, quanto meno sul piano ermeneutico e di sistema, sulla specifica disciplina dettata in tema di indennità di frequenza, trattandosi di istituto coinvolgente i diritti di minori che, presentando – come nel caso di specie – «difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della [loro] età», risultano perciò stesso annoverabili tra i soggetti cui la Convenzione richiamata ha inteso assicurare una normativa di favore;

    che, pertanto, alla stregua delle riferite considerazioni, va disposta la restituzione degli atti al giudice a quo, per nuovo esame della rilevanza della proposta questione di legittimità costituzionale.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    ordina la restituzione degli atti alla Corte di appello di Torino.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 novembre 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2009.