SENTENZA N. 162
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1-quinquies del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 44 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 maggio 2005, n. 88, dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701 (Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari), e dell’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), promosso con ordinanza del 13 luglio 2006 dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna sul ricorso proposto dall’Agenzia del Territorio – Ufficio di Ferrara contro Centro Energia Ferrara s.p.a., iscritta al n. 690 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti l’atto di costituzione del Centro Energia Ferrara s.p.a. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi l’avvocato Marco Miccinesi per il Centro Energia Ferrara s.p.a. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 13 luglio 2006, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 97, 102, 104 e 108 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 1-quinquies del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 44 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 maggio 2005, n. 88 sia nella parte in cui, avendo sostanzialmente efficacia retroattiva, violerebbe il principio di ragionevolezza, del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario, sia nella parte in cui tratterebbe in maniera disomogenea fattispecie sostanzialmente identiche senza alcun criterio apparente di ragionevolezza; b) dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701 (Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari), e dell’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui, non prevedendo un termine a pena di decadenza per la determinazione della rendita catastale, esporrebbero indefinitamente il contribuente all’azione della Amministrazione finanziaria.
Riferisce la Commissione rimettente che il 13 dicembre 2005 l’Agenzia del territorio – Ufficio di Ferrara – ha proposto appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ferrara, con la quale, in accoglimento del ricorso proposto dalla società Centro Energia Ferrara s.p.a., era stata determinata la rendita catastale di una unità immobiliare (centrale elettrica) di proprietà della ricorrente in € 196.395, previo annullamento della rendita catastale di € 2.026.576, determinata per il computo di tre turbine installate all’interno dell’immobile.
L’appellante ha chiesto la riforma della decisione impugnata, fondando tale richiesta sulla previsione normativa introdotta con l’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, che risolve alla radice la questione circa la valutazione dei beni strumentali inseriti nell’immobile per la determinazione della rendita catastale.
2. – La prima questione di legittimità costituzionale sollevata dalla rimettente riguarda l’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 88 del 2005, per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 102, 104 e 108 della Costituzione, nella parte in cui, «avendo sostanzialmente efficacia retroattiva, si pone al di fuori degli ordinari criteri di ragionevolezza, ed in violazione del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario».
Il rimettente ritiene che non vi sia dubbio circa la legittimità delle norme retroattive interpretative, come più volte sottolineato dalla Corte costituzionale, ma evidenzia che, nel caso di specie, il legislatore abbia inciso sul concetto di bene immobile travalicando ogni criterio di ragionevolezza. In nessun caso, infatti, l’art. 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652 (Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, può essere esteso nella sua interpretazione fino a ricomprendere nel concetto di beni immobili elementi (come le turbine) che rappresentano solo uno strumento della attività produttiva. La norma, pertanto, lungi dall’essere interpretativa, introdurrebbe un nuovo concetto di bene immobile, estendendo tale categoria anche ai beni strumentali necessari per l’esercizio dell’impresa.
Sotto il profilo della dedotta violazione del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario, la norma si porrebbe non come variante del senso letterale della norma, ma come presupposto per l’applicazione concreta dell’art. 4 del citato regio decreto nei soli contenziosi attualmente pendenti, instaurati dalle società che gestiscono centrali elettriche.
Ad avviso della rimettente, la questione sarebbe rilevante, dato che l’appello dell’Agenzia del territorio si basa esclusivamente sulla applicazione di detta norma che, se dichiarata incostituzionale, inciderebbe sul merito della controversia.
3. – La seconda questione di legittimità costituzionale riguarda sempre l’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, per la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui «tratta in maniera disomogenea fattispecie sostanzialmente identiche senza alcun criterio apparente di ragionevolezza». Afferma la rimettente che la norma censurata limita espressamente la sua efficacia interpretativa ai soli soggetti che esercitano centrali elettriche e, pertanto, creerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti che esercitano l’attività di centrali elettriche e i contribuenti che tale attività non svolgono. Inoltre, alla luce della nuova definizione a fini fiscali del concetto di bene immobile, nel quale rientrerebbero i beni strumentali delle centrali elettriche, non si comprende per quali motivi gli altri contribuenti che esercitino attività simili mediante uso di beni strumentali funzionalmente connessi con la loro attività imprenditoriale restino esclusi dal campo di applicazione della norma.
4. – La terza questione di legittimità costituzionale riguarda la natura perentoria o ordinatoria del termine di rettifica della rendita catastale ed ha a oggetto l’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701 e l’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, i quali vengono denunciati per violazione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.
L’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701, dispone che «tale rendita rimane negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al comma 1, alla determinazione della rendita catastale definitiva […]. Per il primo biennio di applicazione delle suddette disposizioni, il predetto termine è fissato in ventiquattro mesi a partire dalla data fissata dal provvedimento indicato al comma 1».
A sua volta, l’art. 74, comma 1, della legge n. 342 del 2000 dispone che «a decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita».
Secondo il giudice a quo, in difetto di una espressa previsione normativa, vi sarebbe incertezza se il termine indicato dalla norma di cui sopra sia ordinatorio o perentorio. Qualora le norme censurate dovessero essere interpretate nel senso di non assegnare alcun termine perentorio alla amministrazione finanziaria, ne discenderebbe un contrasto di esse con i princípi costituzionali di uguaglianza, di tutela del diritto di difesa, e di buon andamento della pubblica amministrazione. Il contribuente, infatti, si troverebbe indefinitamente esposto all’azione accertatrice dell’Agenzia del territorio.
La questione avrebbe rilevanza nel giudizio a quo, atteso che, nella specie, la notifica della rettifica del valore della rendita catastale è intervenuta oltre il termine di dodici mesi dalla dichiarazione: quest’ultima, infatti, è stata presentata in data 20 luglio 1999 e la rettifica è intervenuta in data 1° dicembre 2003.
5. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale sollevate siano dichiarate inammissibili ed infondate.
Secondo l’Avvocatura erariale, l’affermazione dell’ordinanza secondo la quale sotto il profilo del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario, la norma non lascia spazio alcuno, giacché si pone non come variante del senso letterale della norma, ma come presupposto per l’applicazione concreta dell’art. 4 del regio decreto-legge n. 652 del 1934 nei soli contenziosi attualmente pendenti, instaurati dalle sole società che gestiscono centrali elettriche, non sarebbe idonea a sorreggere la dedotta violazione degli artt. 24, 53, 102, 104 e 108 della Costituzione, in quanto non verrebbe evidenziato in quale modo la legge di interpretazione autentica violerebbe «il diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario».
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della norma censurata, la questione sarebbe manifestamente infondata. Infatti l’affermazione secondo cui «in nessun caso [...] l’art. 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652 può essere esteso nella sua interpretazione fino a ricomprendere nel concetto di beni immobili, beni (come nel caso delle turbine) che rappresentano solo uno strumento della attività produttiva», sarebbe contraddetta dalle divergenti interpretazioni che della norma avrebbe dato la giurisprudenza. Al riguardo, un’esaustiva ricostruzione di tali vicende sarebbe contenuta nella (recente) sentenza 7 giugno 2006 n. 13319 della Corte di cassazione, con la quale il giudice di legittimità ha dato applicazione al censurato art. l-quinquies. Secondo l’Avvocatura generale, da tale sentenza potrebbe dedursi che l’intervento del legislatore con una disposizione di interpretazione autentica, lungi dal costituire una imposizione retroattiva di una nuova disciplina, avrebbe avuto l’unico scopo di porre fine ad un contenzioso derivante da una lettura non univoca della disposizione contenuta nell’art. 4 del regio decreto-legge n. 652 del 1939. Proprio l’esistenza di tali divergenze interpretative escluderebbe dunque che si possa essere creato alcun affidamento in capo ai contribuenti.
Quanto al ritenuto contrasto dell’art. l-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005 con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui tratterebbe in maniera disomogenea fattispecie sostanzialmente identiche senza alcun criterio apparente di ragionevolezza, la questione sarebbe inammissibile, perché il giudice rimettente non prospetta un’ipotesi concreta in cui la norma potrebbe non trovare applicazione nel caso di immobili diversi dalle centrali elettriche, né potrebbe utilmente individuarsi il necessario tertium comparationis nelle del tutto ipotetiche fattispecie residuali diverse dalle centrali elettriche.
Sarebbe inoltre inammissibile, ad avviso dell’Avvocatura generale, la questione relativamente al dedotto contrasto con l’art. 53 della Costituzione, in quanto nulla si motiva a tale proposito nell’ordinanza.
Secondo la difesa dello Stato, infine, la terza questione sollevata, riguardante l’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994 n. 701, e l’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, sarebbe inammissibile, sia in quanto la norma che prevede un termine entro il quale l’Ufficio determina la rendita catastale definitiva è un decreto ministeriale, come tale non avente forza di legge, sia in quanto, nel momento in cui il giudice a quo afferma che «vi è incertezza se il termine indicato dalla norma di cui sopra sia ordinatorio o perentorio», omette di motivare in ordine alla possibilità di ipotizzare una interpretazione costituzionalmente orientata della norma.
6. – Con memoria depositata il 26 febbraio 2007, si è costituita in giudizio il Centro Energia Ferrara s.p.a., svolgendo argomentazioni a favore dell’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo.
Sottolinea la predetta società che le tre turbine di cui trattasi sono ancorate al suolo esclusivamente mediante un sistema di imbullonatura che, pur assicurandone la stabilità durante il loro utilizzo, al tempo stesso ne permette lo spostamento senza arrecare danno od alterazione al capannone che ospita le turbine.
Afferma la parte privata che la prima questione sollevata sarebbe rilevante, in quanto l’appello dell’Ufficio di Ferrara dell’Agenzia del Territorio si fonda esclusivamente sull’intervenuta introduzione dell’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005. La norma censurata sarebbe contraria al principio di ragionevolezza perché non potrebbe essere qualificata come di “interpretazione autentica”. Nel caso in esame, tale disposizione non attribuirebbe all’art. 4 del regio decreto-legge n. 652 del 1939 un significato che poteva discendere da «una delle possibili letture del testo originario». Infatti, stabilendo che, «limitatamente alle centrali elettriche», ifabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso, l’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005 non esplicherebbe «un contenuto plausibilmente già espresso» nell’art. 4 del regio decreto-legge n. 652 del 1939. Occorrerebbe inoltre aver riguardo all’art. 812 del codice civile che, ponendo la distinzione fra beni immobili e mobili, evidentemente esclude che fra i primi possano comprendersi le cose mobili ancorché strutturalmente connesse al suolo.
Secondo la parte privata, l’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005 violerebbe anche l’art. 53 della Costituzione, poiché consentirebbe un indebito incremento del prelievo impositivo ai fini dell’imposta comunale sugli immobili in ordine a tutti i relativi rapporti non ancora definiti (perché interessati da un contenzioso fra i contribuenti ed i Comuni od ancora sottoposti all’attività di rettifica ed accertamento ad opera di detti Enti impositori).
Quanto alla seconda questione, relativa alla prospettata violazione del principio di eguaglianza e di quello di capacità contributiva ad opera dell’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, nella parte in cui tratterebbe in termini disomogenei fattispecie sostanzialmente identiche senza alcun criterio apparente di ragionevolezza, sarebbe evidente l’ingiustificata diversità di trattamento riservata ai titolari di centrali elettriche rispetto ai possessori di immobili parimenti dotati di beni mobili strumentali strutturalmente connessi al suolo, ma destinati allo svolgimento di diverse attività.
In particolare, la peculiare nozione di fabbricati e costruzioni stabili, recepita nell’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, interesserebbe le sole centrali elettriche, sicché per tutti gli immobili aventi egualmente parti mobili strutturalmente connesse al suolo in modo da costituire un solo «bene complesso», resterebbe fermo che la rendita catastale é determinata senza che si tenga conto del valore di tali cespiti strumentali.
L’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005 introdurrebbe così una palese ed inaccettabile discriminazione che víola, inoltre, l’art. 53 della Costituzione. A séguito dell’introduzione di questa norma risulterebbero incongruamente assoggettate ad una diversa disciplina impositiva situazioni espressive di una medesima capacità contributiva. Né sarebbe dato ravvisare uno specifico interesse pubblico ad una scelta dì distribuzione del carico tributario che aggravi il prelievo sulle centrali elettriche, a parità di valore immobiliare. Né, correlativamente, sussisterebbe una specifica rilevanza, neppure sociale, ascrivibile al possesso di tali immobili che dia ragione, sempre a parità di valore immobiliare, di una più intensa chiamata contributiva dei relativi soggetti passivi. Non sarebbe comprensibile perché le rendite catastali si debbano quantificare apprezzando le centrali elettriche come “beni immobili per incorporazione di mobile ad immobile” e non accada lo stesso per le acciaierie o altri opifici industriali.
Relativamente alla terza questione rimessa al vaglio della Corte costituzionale, riguardante la rilevata illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701 e dell’art. 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non prevederebbero un termine a pena di decadenza entro il quale gli Uffici dell’Agenzia del Territorio debbano notificare le rettifiche delle rendite catastali dichiarate dai contribuenti, la parte privata afferma che l’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale n. 701 del 1994 non chiarirebbe se il termine annuale ivi enunciato sia posto o meno a pena di decadenza della potestà degli Uffici periferici dell’Agenzia del Territorio di eseguire le rettifiche delle rendite catastali proposte dai titolari dei beni immobili. Tale norma, inoltre, nello stabilire che le rendite catastali acquisiscono efficacia a decorrere dalla notificazione ai contribuenti dei relativi atti attributivi o modificativi, non preciserebbe entro quale termine siffatta notificazione debba essere compiuta. Ciò evidenzierebbe un’anomalia inaccettabile nel vigente ordinamento tributario, perché sarebbe incongruo che l’amministrazione finanziaria possa esternare le proprie pretese senza rispettare un termine decadenziale, con la conseguenza che i contribuenti sarebbero indebitamente sottoposti senza limiti temporali all’attività di accertamento.
8. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica la Società Centro Energia Ferrara ha depositato memoria, con la quale replica all’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Con riferimento alla prima questione sollevata dalla rimettente, la parte privata rileva che l’ordinanza di rimessione è ammissibile, in quanto motiverebbe in maniera adeguata il merito della violazione del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario.
Quanto alla seconda questione, la suddetta Società contesta che il rimettente non prospetti una ipotesi concreta di disparità di trattamento, in quanto tale disparità esisterebbe tra i proprietari di centrali elettriche e coloro che non lo sono ed aggiunge che parimenti ammissibile sarebbe la questione con riferimento al parametro della capacità contributiva, in quanto il giudice a quo avrebbe fornito un’adeguata motivazione al riguardo.
Per quanto riguarda, infine, la terza questione, la parte privata ritiene che la questione sia ammissibile perché non sarebbe impugnato solo un regolamento, ma un regolamento congiuntamente ad una legge.
Considerato in diritto1. – La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1-quinquies del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 44 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 maggio 2005, n. 88, per avere la stessa, in quanto autoqualificata come norma interpretativa, sostanziale efficacia retroattiva, così ponendosi in contrasto: con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dell’irragionevolezza della norma che, lungi dall’essere meramente interpretativa, introdurrebbe un nuovo concetto di bene immobile, estendendo tale categoria anche ai beni strumentali necessari per l’esercizio dell’impresa, e, in particolare, delle turbine; con gli artt. 24, 102, 104 e 108 della Costituzione, sotto il profilo del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario, in quanto la norma verrebbe a modificare sostanzialmente il quadro normativo nel corso delle controversie pendenti instaurate dalle società che gestiscono centrali elettriche.
La stessa norma viene altresì censurata nella parte in cui limita espressamente la sua efficacia interpretativa ai soli soggetti che gestiscono centrali elettriche, per violazione dell’art. 3 Cost. sotto altro profilo, in quanto determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i contribuenti che esercitano l’attività di centrali elettriche e quelli che tale attività non svolgono; nonché per contrasto con l’art. 53 della Costituzione, in quanto i contribuenti che esercitino attività simili alle centrali elettriche, mediante uso di beni strumentali funzionalmente connessi con la loro attività imprenditoriale, resterebbero esclusi dal campo di applicazione della norma.
Infine, si sospetta la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701 (Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari) e dell’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nella parte in cui non prevedono con certezza un termine a pena di decadenza per la determinazione della rendita catastale definitiva, per violazione dei princípi di uguaglianza (art. 3 Cost.), di tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), esponendo indefinitamente il contribuente all’azione accertativa dell’amministrazione finanziaria.
2. – La prima questione non è fondata.
2. 1. – Secondo il giudice rimettente, la norma censurata, disponendo anche per il passato, imporrebbe una scelta interpretativa che non si rinviene tra le possibili varianti di senso del testo letterale, vincolando ad un significato non ascrivibile alla norma interpretata.
Questa Corte (sentenze n. 374 del 2002 e n. 274 del 2006) ha già affermato – con riferimento ad altre leggi di interpretazione autentica – che «non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva, per la materia penale, la previsione dell’art. 25 della Costituzione. Quindi, il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di “interpretazione autentica”, che determinano – chiarendola – la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Ed è quindi sotto l’aspetto del controllo di ragionevolezza che rilevano, simmetricamente, la funzione di “interpretazione autentica”, che una disposizione sia in ipotesi chiamata a svolgere, ovvero l’idoneità di una disposizione innovativa a disciplinare con efficacia retroattiva anche situazioni pregresse in deroga al principio per cui la legge non dispone che per l’avvenire. In particolare, la norma che deriva dalla legge di “interpretazione autentica” non può dirsi irragionevole (art. 3, comma 1, Cost.), ove si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario» (sentenza n. 274 del 2006, citata).
La norma denunciata stabilisce che «ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo».
La predetta norma è intervenuta per comporre un contrasto giurisprudenziale sulla computabilità o meno del valore delle turbine nella determinazione, per stima diretta dei beni, della rendita catastale da attribuire agli immobili adibiti a centrale elettrica.
Ed infatti, la Corte di cassazione, nella stima, ai fini catastali, delle centrali elettriche, si era pronunciata con una prima decisione, con la quale aveva affermato che, ai predetti fini, non possono essere inclusi «i macchinari, nel caso in cui non essendo irreversibilmente fissati al suolo, non integrino un elemento dell’unità immobiliare ma rappresentino una componente del complesso di beni organizzati per l’esercizio di un’attività produttiva, giacché in tale ipotesi la loro consistenza economica, anche se rilevante, si riflette soltanto nella valutazione dell’azienda. Ne consegue che, diversamente dalle opere idrauliche, le quali, anche se poste nel soprassuolo o nel sottosuolo di aree pubbliche, vanno valutate quali parti di una centrale idroelettrica, nella stima del complesso immobiliare, non possono essere comprese le turbine, di cui non è controversa la libera amovibilità per essere le stesse soltanto imbullonate al suolo» (sentenza 6 settembre 2004, n. 17933).
Con una seconda pronuncia, adottata dopo appena due mesi dalla precedente, la stessa Corte aveva rilevato come, in tema di attribuzione della rendita catastale ad un opificio industriale costituente una centrale elettrica, l’unione al suolo mediante imbullonatura al cavalletto della turbina «non sembra e non può essere sufficiente» per escluderla «dalla nozione di impianto fisso e, quindi, dal calcolo della rendita catastale dell’opificio», aggiungendo che la turbina rappresenta «una componente strutturale, oltre che funzionale della centrale elettrica non potendo questa esistere come tale senza che vi sia quella» e che la mancanza della turbina «diminuisce incontrovertibilmente la centrale elettrica nella sua funzione complessiva e unitaria, trasformando inevitabilmente una centrale elettrica in qualcosa d’altro» (sentenza 20 ottobre 2004, n. 21730).
L’esistenza del rilevato contrasto – di cui è traccia anche nella giurisprudenza di merito – e la necessità di comporlo privilegiando una delle interpretazioni ricavabili dalla disciplina catastale e conforme, peraltro, come si vedrà in séguito, a quella codicistica, rende legittimo il ricorso ad una norma di interpretazione autentica e non irragionevole, quindi, la sua efficacia retroattiva.
Da ciò l’infondatezza della questione anche in riferimento agli artt. 24, 102, 104 e 108 della Costituzione e l’applicabilità della norma censurata ai giudizi in corso.
3. – La seconda questione non è fondata. Con essa si dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione nella parte in cui, limitando espressamente la sua efficacia interpretativa ai soli soggetti che gestiscono centrali elettriche, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i contribuenti che esercitano detta attività e quelli che non la svolgono, restando esclusi i contribuenti che esercitino attività simili alle centrali elettriche, mediante uso di beni strumentali funzionalmente connessi con la loro attività imprenditoriale, dal campo di applicazione della norma.
3.1. – La normativa in materia di catasto edilizio urbano definisce in modo esaustivo le nozioni, i princípi ed i metodi che sono alla base dell’estimo catastale, sia per gli immobili urbani in generale sia per i cespiti a destinazione speciale, come le centrali elettriche.
Il r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, con le successive modificazioni ed integrazioni, e il d.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142, hanno precisato sia lo scopo della formazione del catasto edilizio urbano (costituire il catasto dei fabbricati con l’accertamento delle proprietà immobiliari urbane e la determinazione delle rendite), sia i concetti posti a fondamento delle relative stime ed in particolare quelli di «unità immobiliare urbana» e di «rendita catastale».
Secondo l’art. 4 del r.d.l. n. 652 del 1939 «si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituiti, diversi dai fabbricati rurali. Sono considerati come costruzioni stabili anche gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo». Il successivo art. 5 dello stesso r.d.l. definisce il concetto di unità immobiliare urbana prevedendo che «si considera unità immobiliare urbana ogni unità di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un proprio reddito» (cfr., altresì, artt. 33 ss., d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917).
Nella definizione di unità immobiliare non si fa alcun riferimento ai materiali utilizzati, né ai sistemi di assemblaggio degli stessi.
Successivamente, l’art. 2, comma 3, del decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, ha evidenziato, tra l’altro, come siano da considerare unità immobiliari «anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale».
Anche in materia fiscale e fino all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 540, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, il concetto di immobile per incorporazione è ricavato dal combinato disposto degli artt. 4 del r.d.l. n. 652 del 1939, e 812 del codice civile.
Con il citato art. 1, comma 540, si è fornita una interpretazione autentica del concetto di immobile per incorporazione che, sostanzialmente, recepiva la definizione formulata nel codice civile.
Questa norma, introdotta allo scopo di comporre il contrasto di giurisprudenza sulla questione se, nella determinazione del valore catastale delle centrali elettriche, si dovesse tener conto anche delle turbine, è stata successivamente abrogata dall’art. 4 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80.
In luogo della norma abrogata è stato introdotto il censurato art. 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, per il quale l’articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso.
Sulla base di questa disposizione il contrasto è stato composto privilegiando, in via legislativa, come si è in precedenza rilevato, una delle scelte interpretative astrattamente possibili.
Quindi, il principio per cui alla determinazione della rendita catastale concorrono «gli elementi costitutivi degli opifici […] anche se fisicamente non incorporati al suolo» (così come statuisce l’art. 1-quinquies) vale per tutti gli immobili di cui all’art. 10 del r.d.l. n. 652 del 1939, ivi comprese le centrali elettriche.
Non si può, però, convenire sull’assunto del giudice a quo secondo cui l’interpretazione autentica dell’art. 4 del r.d.l. n. 652 del 1939, limitatamente alle centrali elettriche, comporterebbe che solo in presenza di queste ultime si possa parlare di immobili per incorporazione, mentre quando ci si trovi al cospetto di costruzioni, alle quali accedono parti mobili ad esse strutturalmente connesse, anche in via transitoria, si debba ritenere, sia pure ai soli fini della determinazione della rendita catastale, che le parti mobili accedenti alle costruzioni non concorrono ad integrare un immobile per incorporazione.
In effetti, la norma di cui all’art. 1-quinquies, con riferimento alle centrali elettriche, rimanda ad una definizione di costruzione stabile che viene individuata nell’essere costituita «dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso», senza che valgano le argomentazioni della contribuente sulla natura transitoria delle imbullonature con cui le turbine sono connesse al suolo. Né di alcun pregio risultano i richiami codicistici legati al concetto di bene immobile.
L’incorporazione che, nel caso delle turbine, avviene materialmente e a scopo permanente, le rende, seppure meccanicamente separabili, parti essenziali per la destinazione economica di tutta la centrale idroelettrica, tanto che questa non è concepibile senza di esse.
In definitiva, si può affermare che tutte quelle componenti, comprese, in particolare, le turbine, che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, ad una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo, sono da considerare elementi idonei a descrivere l’unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale.
Proprio l’art. 812, primo comma, cod. civ., secondo cui «sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo», prevede la possibilità di una connessione strutturale realizzata in via transitoria, ed introduce il concetto di bene immobile per incorporazione, non specificando l’esatto significato di tale ultimo termine; qualsiasi collegamento infatti è idoneo a classificare un bene quale bene immobile, essendo irrilevante la modalità di collegamento di un impianto con la struttura principale. E anzi, proprio alla luce della definizione di bene immobile contenuta nell’art. 812 cod. civ., si può concludere che la possibilità di separazione di un impianto dal suolo non esclude che esso mantenga la sua natura immobiliare; piuttosto il disposto codicistico è tale per cui tutto ciò che viene collegato al suolo in unità strutturale – qualunque sia la natura dello stabilimento – acquista natura immobiliare, come del resto affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
In definitiva, anche il profilo codicistico non contrasta con la conclusione cui si può autonomamente pervenire sulla base dei princípi della disciplina catastale.
Da quanto affermato, consegue che ogni possibile dubbio sulle modalità di determinazione della rendita catastale, con riguardo alle centrali elettriche, è risolto proprio dall’articolo 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, il quale individua come criterio per la determinazione della rendita suddetta, non l’amovibilità o meno di un bene, ma la circostanza che esso costituisca (come le turbine) una componente strutturale ed essenziale, che contribuisce alla funzione complessiva ed unitaria dell’opificio stesso.
L’esposta evoluzione normativa induce, invece, a ritenere che il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche, senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata.
L’unico effetto dell’art. 1-quinquies è quello di considerare immobili le centrali elettriche, senza alcuna possibilità per il giudice di fornire una diversa interpretazione, ma non anche quello di escludere dal novero degli immobili per incorporazione le altre costruzioni pure se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
L’art. 1-quinquies, quindi, non ha creato un regime particolare per le centrali elettriche, ma, anzi, ha riportato le stesse nell’àmbito della tipologia di beni cui sono state sempre accomunate, come, tra l’altro, gli altiforni, i carri-ponte, i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita catastale delle stesse.
Ciò determina l’infondatezza della questione di costituzionalità, in quanto la norma censurata non solo non viola il principio di uguaglianza, ma anzi tende ad affermarlo, proprio perché toglie ogni dubbio sulle modalità di determinazione della rendita catastale anche con riguardo alle centrali elettriche.
Né è fondata la dedotta violazione del principio di cui all’art. 53 della Costituzione. A prescindere dalla considerazione che non è prospettabile una lesione del tipo indicato in relazione alla determinazione della rendita catastale (che non costituisce né un’imposta, né un presupposto d’imposta), è sufficiente evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la capacità contributiva, desumibile dal presupposto economico al quale l’imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità, sotto il profilo della palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza (ex plurimis: sentenze nn. 362 del 2000, 143 del 1995).
4. – La terza questione – con la quale si deduce l’incostituzionalità, in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale n. 701 del 1994 e dell’art. 74 della legge n. 342 del 2000, nella parte in cui, non prevedendo un termine perentorio per la rettifica della rendita catastale, espongono indefinitamente il contribuente all’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria – è manifestamente inammissibile.
4.1. – Con il d.m. 19 aprile 1994, n. 701 si è proceduto a stabilire norme per l’automazione delle procedura di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari. Con tale decreto si è introdotta la possibilità per il contribuente di inoltrare richiesta di attribuzione della rendita, mediante utilizzo di apposita procedura informatica. L’art. 1, comma 3, del suddetto decreto specifica che «tale rendita rimane negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’ufficio non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro dodici mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni di cui al comma 1, alla determinazione della rendita catastale definitiva. È facoltà dell’amministrazione finanziaria di verificare […] le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni di cui al comma 1 ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto. Per il primo biennio di applicazione delle suddette disposizioni, il predetto termine è fissato in ventiquattro mesi, a partire dalla data fissata dal provvedimento indicato al comma 1».
L’art. 74 della legge n. 342 del 2000 si limita ad affermare che gli atti emanati dalla pubblica amministrazione con i quali si attribuiscono agli immobili le rendite catastali o si modificano le stesse sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, dalla quale decorre il termine di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per proporre il ricorso di cui all’articolo 2, comma 3, dello stesso decreto legislativo.
Dall’esame delle due disposizioni appare evidente che solo nel decreto ministeriale si parla di termini entro cui l’amministrazione provvede alla determinazione della rendita catastale definitiva, mentre l’art. 74 della legge n. 342 del 2000 si limita a stabilire il termine di efficacia degli atti attributivi o modificativi della rendita catastale per terreni e fabbricati, senza in alcun modo individuare termini per la determinazione di tale rendita.
Da quanto precede deriva che, malgrado il rimettente deduca l’incostituzionalità di una norma di legge e di un atto regolamentare, le censure investono solo quest’ultimo.
Non sussiste, quindi, lo specifico collegamento tra la norma di legge – rispetto alla quale soltanto è consentito il sindacato di legittimità costituzionale da parte di questa Corte ai sensi dell’art. 134 della Costituzione, – e l’art. 1, comma 3, del d.m. 19 aprile 1994, n. 701 (sentenza n. 101 del 1977; ordinanze nn. 124 del 2001; 328 e 100 del 2000; 244 del 1984).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-quinquies del decreto-legge 31 marzo 2005, n. 44 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 maggio 2005, n. 88, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24, 53, 102, 104 e 108 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701 (Regolamento recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari), e dell’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione, dalla stessa Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2008.