Sentenza n. 46 del 2008

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SENTENZA N. 46

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco            BILE                              Presidente

- Giovanni Maria FLICK                                     Giudice

- Francesco        AMIRANTE                           “

- Ugo                DE SIERVO                           “

- Paolo              MADDALENA                       “

- Alfio               FINOCCHIARO                     “

- Alfonso           QUARANTA                          “

- Franco            GALLO                                 “

- Luigi               MAZZELLA                         “

- Gaetano          SILVESTRI                            “

- Sabino            CASSESE                               “

- Maria Rita       SAULLE                                “

- Giuseppe         TESAURO                             “

- Paolo Maria     NAPOLITANO                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, ultimo periodo, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), promosso con ordinanza del 19 aprile 2007 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Campania nel giudizio di responsabilità amministrativa promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Masciari Silvano ed altri iscritta al n. 653 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2007.

      Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

      udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

 

Ritenuto in fatto

      1. – Nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa promosso dal Procuratore regionale nei confronti di alcuni esponenti politici, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Campania, con ordinanza depositata il 23 agosto 2007, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, ultimo periodo, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 25, primo comma, 68, secondo e terzo comma, 81, quarto comma, 103, secondo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.

      1.1. – Il giudice a quo riferisce che il Procuratore regionale della Corte dei conti ha chiamato in giudizio i suddetti convenuti chiedendo la loro condanna in solido in favore del Comune di Napoli per rilevanti somme a titolo di danno patrimoniale, nonché di alcuni fra essi, in solido fra loro, per danno non patrimoniale all’immagine a favore del Comune di Napoli ed a favore dello Stato.

      I fatti posti a base della suddetta richiesta riguardano i lavori di costruzione della linea metropolitana della città di Napoli, già oggetto di un apposito procedimento penale. Il materiale probatorio raccolto in questo ambito è apparso al predetto procuratore rilevante anche sotto il profilo della responsabilità gestoria di tipo amministrativo, in relazione ad un continuato e ampio sistema di corruzione svoltosi dal 1974 al 1992, a favore di esponenti delle istituzioni locali e statali.

      Secondo il requirente contabile, alla luce dell’importo complessivo delle dazioni poste in essere in modo illecito dall’impresa risultata aggiudicataria, il Comune di Napoli avrebbe subito un danno patrimoniale costituito dall’importo di tali dazioni e da un importo commisurato all’ingiustificato aumento dei costi ed agli intralci nell’attività esecutiva dei lavori di realizzazione della metropolitana, tali da determinare un notevole disservizio generale. Ad esso andrebbero aggiunti i danni per i pregiudizi non patrimoniali riferibili alle rispettive «immagini istituzionali», subiti dallo stesso Comune di Napoli e altresì dallo Stato.

      Alcuni fra i convenuti, documentando il loro status di parlamentari all’epoca dei fatti contestati, hanno eccepito l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e hanno, dunque, invocato l’operatività nel giudizio della procedura stabilita dall’art. 3 della legge n. 140 del 2003, invitando la Corte dei conti ad adottare i consequenziali provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 del citato articolo 3.

      Il procuratore regionale, nel ribadire la richiesta di condanna, ha sostenuto che la citata legge n. 140 del 2003 non troverebbe applicazione nel giudizio innanzi alla Corte dei conti e nella vicenda in oggetto, eccependo in subordine l’illegittimità costituzionale della stessa legge, «per essere stato in tal modo reintrodotto e anzi esteso il meccanismo dell’autorizzazione a procedere espunto dall’art. 68 della Costituzione con apposita legge costituzionale».

      1.2. – Il giudice a quo rileva che la censurata disposizione certamente estende le immunità parlamentari ai procedimenti diversi da quello penale, e pertanto anche la Corte dei conti, e segnatamente la sua sezione giurisdizionale, sarebbe tenuta, ai sensi di tale disposizione, a sospendere immediatamente il giudizio «per acquisire l’eventuale autorizzazione a procedere dalla Camera dei deputati», cui appartenevano i suddetti convenuti. Tuttavia detta estensione risulterebbe «priva di copertura costituzionale, in quanto la disposizione, nell’evidenza, eccede l’ambito fissato dall’art. 68, commi secondo e terzo, della Costituzione, che si riferisce al processo penale e ad ogni connessa limitazione alla libertà personale o alla riservatezza». A seguito della riforma costituzionale del 1993 – prosegue l’autorità rimettente –, «è richiesta per i parlamentari in carica l’autorizzazione a procedere al riguardo delle limitazioni alla libertà ed alle intromissioni nella loro sfera personale correlate a procedimenti penali».

      Per il rimettente, trattandosi di una prerogativa a carattere eccezionale, essa dovrebbe fondarsi su una espressa disposizione costituzionale «che ammetta una siffatta deviazione dai principi generali del nostro diritto e ancor più dell’ordinamento costituzionale fissati nel titolo I, ed in particolare fondati sull’art. 3 della Costituzione».     L’estensione di prerogative eccezionali a favore di alcuni soggetti, ancorché investiti di funzioni di vertice nel sistema costituzionale, determinerebbe, infatti, una violazione del principio di eguaglianza, comportando una diffusa disparità di trattamento tra soggetti sottoposti a procedimenti giurisdizionali. La disposizione censurata attribuisce, ad esempio, ai convenuti ex parlamentari un’ingiustificata posizione di privilegio nei confronti degli altri convenuti non parlamentari. Ne scaturirebbe un vincolo solidale tra i convenuti nel giudizio in corso, ex parlamentari e non, «tanto da far gravare l’intero peso economico dei danni subiti dalla finanza pubblica sui convenuti non estromessi dal medesimo giudizio».

      La censurata disposizione confliggerebbe, altresì, con gli artt. 24, primo comma, e 113, commi primo e secondo, Cost., in quanto il Comune e lo Stato, che aspirano al risarcimento dei danni sofferti, risulterebbero «posti nella deteriore condizione di poter essere privati, con un eventuale diniego di autorizzazione a procedere, della possibilità di tutelarsi giudizialmente».

      L’art. 3, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 140 del 2003, inoltre, violerebbe l’art. 81, quarto comma, della Costituzione: potendo detta disposizione precludere l’azione risarcitoria nei confronti di parlamentari autori di danni, non sarebbe dato rinvenire «nel corpo del provvedimento legislativo complessivamente approvato una previsione di copertura finanziaria della minor entrata imposta agli enti locali a causa del mancato recupero dei danni provocati alle loro finanze di natura derivata».

      Infine, nell’ordinanza di rinvio è dedotto «il contrasto palese con l’art. 103, secondo comma e con l’art. 25, primo comma della Costituzione, che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica». L’intervento del legislatore in attuazione dell’art. l03, secondo comma, della Costituzione non può, secondo il giudice a quo, spingersi «fino ad escludere apoditticamente la potenziale assoggettabilità di soggetti operanti nel settore pubblico da responsabilità, peraltro meramente patrimoniali, rientranti tradizionalmente e genericamente nella materia della contabilità pubblica». Il principio costituzionale secondo cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», preclude «qualunque sottrazione di sfera giurisdizionale successivamente al verificarsi del fatto generatore, sia nel senso di attribuzione ad altro organo giudiziario che di esclusione di ogni forma di giurisdizione».

      Infine, l’autorità rimettente segnala che i fatti contestati sono ben precedenti all’entrata in vigore della disposizione oggetto di censura.

      2. – Con atto depositato il 23 ottobre 2007, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità e, comunque, per la manifesta infondatezza della questione.

      2.1. – In via preliminare, la difesa erariale eccepisce che la Corte rimettente non ha descritto sufficientemente il caso concreto, non individuando in particolare l’atto tipico della funzione parlamentare connesso ai contestati comportamenti.

      2.2. – Nel merito, l’Avvocatura contesta al giudice a quo di aver prospettato una erronea interpretazione dell’art. 68, primo comma, Cost., dal momento che detta disposizione, mirando a presidiare l’indipendenza e la funzionalità dell’istituzione parlamentare e a garantire la libera formazione della volontà politica da qualsiasi interferenza, esclude qualunque forma di responsabilità giuridica, «quale che sia la sede giurisdizionale nella quale questa dovrebbe essere fatta valere e nella quale i parlamentari potrebbero essere chiamati a rispondere».

      Quanto alla legge n. 140 del 2003, la difesa erariale rammenta che, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, essa è volta a rendere il citato art. 68 Cost. «immediatamente operativo sul piano processuale». Detta legge, dunque, non avrebbe inteso operare alcuna estensione dell’àmbito delle prerogative dei parlamentari in relazione alla natura delle responsabilità.

Considerato in diritto

1. – La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Campania, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, ultimo periodo, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), nella parte in cui estende la «garanzia prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione ai procedimenti innanzi a tutti i giudici», ivi compreso quello dinanzi alla Corte dei conti in sede giurisdizionale. Ciò perché la disposizione denunciata, «nell’evidenza, eccede l’ambito fissato dall’art. 68, commi secondo e terzo, della Costituzione, che si riferisce al processo penale e ad ogni connessa limitazione alla libertà personale o alla riservatezza».

La disposizione censurata violerebbe l’art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto, estendendo prerogative eccezionali a favore di alcuni soggetti, ancorché investiti di funzioni di vertice nel sistema costituzionale, determinerebbe una violazione del principio di eguaglianza, comportando una «diffusa disparità di trattamento tra soggetti sottoposti a procedimenti giurisdizionali», nonché, sotto il profilo della irragionevolezza, ritagliando «un’inammissibile area di impunità in un delicato settore della contabilità pubblica».

      Sarebbero lesi anche gli artt. 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione, dal momento che il Comune e lo Stato, che aspirano al risarcimento dei danni sofferti, risulterebbero posti nella «deteriore condizione di poter essere privati, con un eventuale diniego di autorizzazione a procedere, della possibilità di tutelarsi giudizialmente».

      Risulterebbe anche violato l’art. 81, quarto comma, della Costituzione, giacché, potendo la disposizione censurata precludere l’azione risarcitoria nei confronti di parlamentari autori di danni, non sarebbe rinvenibile «nel corpo del provvedimento legislativo complessivamente approvato una previsione di copertura finanziaria della minor entrata imposta agli enti locali a causa del mancato recupero dei danni provocati alle loro finanze di natura derivata».

      Infine, sarebbero anche violati gli artt. 103, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, in quanto il legislatore ordinario non sarebbe legittimato ad escludere la assoggettabilità di soggetti operanti nel settore pubblico a responsabilità meramente patrimoniali, rientranti tradizionalmente e genericamente nella materia della contabilità pubblica, nonché in quanto il principio costituzionale secondo cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», precluderebbe anche «qualunque sottrazione di sfera giurisdizionale successivamente al verificarsi del fatto generatore, sia nel senso di attribuzione ad altro organo giudiziario che di esclusione di ogni forma di giurisdizione».

2. – in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità della questione, formulata dalla difesa erariale, per insufficiente descrizione della fattispecie.

oltre al richiamo puntuale ai lavori di costruzione della linea metropolitana della città di napoli rispetto ai quali è stato riscontrato in sede penale un ampio sistema di corruzione a favore di esponenti delle istituzioni locali e nazionali, l’ordinanza di rimessione riporta circostanze di fatto provviste di un sufficiente grado di precisione ai fini della valutazione della rilevanza delle questioni sollevate.

3. – nel merito la questione non è fondata.

infatti, la lettura che il giudice a quo opera del primo comma dell’art. 68 cost. risulta palesemente errata: è pacifico a livello sia dottrinale, sia giurisprudenziale che questa disposizione costituzionale, di natura sostanziale, nel testo originario così come in quello in parte mutato dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 (modifica dell’art. 68 della costituzione), esclude ogni forma di responsabilità giuridica dei parlamentari per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle funzioni, di modo che essi non possono, né potranno dopo la scadenza del mandato essere chiamati a rispondere  per le attività da loro svolte in tale veste. ciò al fine di garantire alle stesse camere che i parlamentari possano esercitare nel modo più libero le loro funzioni, senza i limiti derivanti dal timore di possibili provvedimenti sanzionatori a loro carico.

      invece, i commi secondo e terzo dell’art. 68 della costituzione riconoscono ai membri delle camere una prerogativa di natura procedimentale, garantendo loro, per la sola durata del mandato, che taluni atti tipici del procedimento penale – che incidono sulla sfera di libertà del parlamentare – non possano essere disposti, se non su autorizzazione della camera competente.

      in considerazione della profonda diversità fra gli istituti previsti rispettivamente al primo ed al secondo e terzo comma dell’art. 68 della costituzione, non è possibile dedurre l’ampiezza della prerogativa dell’irresponsabilità, di cui al primo comma, dalle tipologie di inviolabilità previste al secondo e terzo comma dell’art. 68 della costituzione.

      inoltre, questa corte, nella sua costante giurisprudenza in tema di conflitti sorti in relazione all’applicazione del primo comma dell’art. 68 della costituzione, non ha mai operato una distinzione fra i diversi tipi di responsabilità giuridica a cui può andare incontro un parlamentare di cui si asserisca che abbia ecceduto dall’esercizio delle sue tipiche funzioni; anzi, questa corte ha avuto occasione di affermare espressamente che la prerogativa costituzionale di cui al primo comma dell’art. 68 della costituzione «si riferisce non solo alla responsabilità penale, ma anche a quella civile, come a qualsiasi altra forma di responsabilità diversa da quella che può essere fatta valere nell’ambito dell’ordinamento interno della camera di appartenenza» (sentenza n. 265 del 1997). in quest’ultima occasione la corte, pur affermando che una tesi del genere era prevalente anche prima della legge cost. n. 3 del 1993, ha rilevato che ciò è ancora più chiaro dopo che la riforma del primo comma dell’art. 68 della costituzione «ha sostituito l’originaria dizione (“i membri del parlamento non possono essere perseguiti”) con una più univocamente comprensiva (“non possono essere chiamati a rispondere”)».

      la pacifica riferibilità del primo comma dell’art. 68 della costituzione a tutte le forme di responsabilità giuridica in cui potrebbe incorrere un parlamentare a causa delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni, rende evidente la infondatezza dei rilievi riferiti all’ultima parte del comma terzo dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003.

      questa disposizione, infatti, non estende l’àmbito applicativo della prerogativa della insindacabilità a ipotesi di responsabilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 68, primo comma, cost., come sostenuto dal rimettente, ma è, invece, finalizzata a rendere immediatamente e direttamente operativo sul piano processuale il disposto della previsione costituzionale. in particolare, l’art. 3 della legge n. 140 del 2003 disciplina, per ogni tipo di procedimento giurisdizionale, nell’ipotesi in cui sia rilevata od eccepita l’applicabilità del primo comma dell’art. 68 cost., un’apposita procedura «al fine di meglio assicurare il coordinamento istituzionale e la leale collaborazione tra i poteri dello stato coinvolti» (sentenza n. 149 del 2007).

4. – diversamente da quanto affermato dal giudice a quo, le norme processuali di cui ai commi 3 e seguenti dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003 non reintroducono affatto ipotesi di autorizzazione a procedere, ma delimitano semplicemente entro brevi termini perentori l’esercizio delle diverse prerogative e dei differenziati poteri da parte dei diretti interessati, del giudice e della camera di appartenenza: questa corte ha avuto occasione di affermare che «con le disposizioni processuali che qui vengono in considerazione sono state poste alcune norme finalizzate a garantire sul piano procedimentale, un efficace e corretto funzionamento della prerogativa parlamentare: un sollecito coinvolgimento della camera di appartenenza del parlamentare che abbia eccepito la insindacabilità dei propri comportamenti senza convincere il giudice competente; la successiva temporanea sospensione del giudizio per un limitato ed improrogabile periodo entro cui la camera di appartenenza può esprimere la propria valutazione sulla affermata insindacabilità; le conseguenze processuali della delibera di insindacabilità che venga adottata dalla camera di appartenenza del parlamentare» (sentenza n. 149 del 2007).

      d’altra parte, il giudice (a quo) che non condividesse la eventuale delibera, assunta dalla camera di appartenenza dell’interessato, favorevole all’applicazione nel caso di specie dell’art. 68, primo comma, della costituzione, ben potrebbe contestarne la legittimità sollevando un apposito conflitto di attribuzione fra i poteri dello stato dinanzi a questa corte.

5. – l’applicabilità della prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, della costituzione anche alla responsabilità amministrativa e contabile dei parlamentari, evidentemente, determina l’infondatezza delle censure concernenti la dedotta violazione degli artt. 3; 24, primo comma, e l’art. 113, commi primo e secondo, della costituzione.

      le medesime ragioni determinano, altresì, l’infondatezza della doglianza relativa al contrasto con l’art. 103, secondo comma, ed all’art. 25, primo comma, della costituzione. con riguardo a tale censura, vi è inoltre da ricordare che questa corte ha più volte avuto occasione di affermare che la puntuale attribuzione della giurisdizione in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa non opera automaticamente in base all’art. 103 della costituzione, ma è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario (fra le molte, si vedano le sentenze n. 24 del 1993, n. 773 del 1988, n. 641 e n. 230 del 1987, n. 241 e n. 189 del 1984), e che la corte dei conti non è «il giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela dei danni pubblici» (sentenza n.641 del 1987).

      quanto all’asserita lesione del quarto comma dell’art. 81 della costituzione, al di là della molto opinabile equiparazione fra «nuova o maggiore spesa» ed il mancato risarcimento ad una pubblica amministrazione per un danno patrimoniale o non patrimoniale prodotto da un parlamentare, è evidente l’inconferenza dei rilievi svolti dal rimettente a tale riguardo, atteso che l’irresponsabilità dei parlamentari è sancita direttamente da una disposizione costituzionale che non tollera eccezione ove ne ricorrano i presupposti applicativi.

Per Questi Motivi

La Corte Costituzionale

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, ultimo periodo, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, 25, primo comma, 68, secondo e terzo comma, 81, quarto comma, 103, secondo comma e 113, primo e secondo comma della Costituzione, dalla Corte dei conti con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2008.