SENTENZA N. 241
ANNO 2007
Commento alla decisione di
Alessandro Russo
(per gentile concessione della Rivista elettronica Amministrazione in cammino)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) emessa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nonché dell’atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) del Presidente della medesima Commissione, onorevole Carlo Taormina, promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma notificato il 10 marzo 2006, depositato in cancelleria il 22 marzo 2006 ed iscritto al n. 37 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi il dottor Franco Ionta per la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma e l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1.¾ La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della Corte il 5 ottobre 2005, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
1.1.¾ La ricorrente premette di aver appreso da organi di stampa «dell’arrivo in Italia della vettura Toyota a bordo della quale, presumibilmente, furono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994», e di aver pertanto avviato – nel settembre del 2005 – uno scambio di corrispondenza con la citata Commissione parlamentare, segnalando «l’opportunità dello svolgimento congiunto degli accertamenti tecnici sul predetto veicolo», necessari a ciascuna delle due autorità per l’espletamento dell’attività di indagine di rispettiva competenza.
Deduce, tuttavia, che il Presidente della predetta Commissione – pur informata la Procura che l’organo parlamentare in questione aveva «preso in carico, previo sequestro, l’autovettura», disponendo «anche a norma dell’art. 360 c.p.p.» degli «accertamenti tecnici», taluni dei quali «di natura irripetibile» – comunicava, con nota (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) pervenuta alla medesima Procura il 21 settembre 2005, di non potere «aderire alla richiesta» formulata, «significando che, tra l’altro, l’atto deliberativo di istituzione della Commissione», dal medesimo presieduta, «impone accertamenti non solo sul fatto e sui responsabili, ma anche sulle carenze istituzionali, comprese quelle attribuibili ai molteplici passaggi giudiziari che hanno interessato la vicenda».
Per l’annullamento di tale nota – e dell’atto, adottato dal Presidente della citata Commissione parlamentare in data 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI), con il quale è stato conferito «incarico peritale» al dott. Alfredo Luzi, «volto allo svolgimento di accertamenti tecnici, anche di natura irripetibile, sulla vettura in questione» – ha proposto il presente conflitto di attribuzione la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, svolgendo le seguenti considerazioni.
1.2.¾ La ricorrente evidenzia, innanzitutto, come la possibilità di configurare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato postuli – ex art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 – che lo stesso insorga «tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono».
Tali organi sono identificati dalla giurisprudenza costituzionale in quelli «i cui atti o comportamenti siano idonei a configurarsi come espressione ultima ed immodificabile dei rispettivi poteri: nel senso che nessun altro organo, all’interno di ciascun potere, sia abilitato ad intervenire d’ufficio o dietro sollecitazione del potere controinteressato rimuovendo o provocando la rimozione dell’atto o del comportamento che si assumono lesivi» (sono citate le ordinanze n. 229 e n. 228 del 1975). Tra detti organi, pertanto, sono stati inclusi – prosegue la ricorrente – tanto i «singoli giudici, in considerazione segnatamente del carattere “diffuso” che contrassegna il potere giudiziario», quanto gli «organi requirenti», relativamente «all’attribuzione, costituzionalmente individuata, dell’esercizio dell’azione penale» (vengono richiamate le sentenze n. 150 del 1981 e n. 231 del 1975, nonché l’ordinanza n. 132 del 1981).
Egualmente indubbia – secondo la Procura ricorrente – è la legittimazione passiva della Commissione parlamentare di inchiesta, avendo precisato la Corte, «fin dal 1975», che «a norma dell’art. 82 Cost., la potestà riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse non è esercitabile altrimenti che attraverso la interposizione di Commissioni a ciò destinate, delle quali può ben dirsi perciò che, nell’espletamento e per la durata del loro mandato, sostituiscono ope constitutionis lo stesso Parlamento, dichiarandone perciò e definitivamente la volontà ai sensi del primo comma dell’art. 37» della legge n. 87 del 1953 (sono richiamate la sentenza n. 231 del 1975 e le ordinanze n. 229 e n. 228 del 1975).
Alla stregua, quindi, delle considerazioni che precedono «è possibile concludere» – si legge ancora nel ricorso – che la Procura di Roma e la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin «sono soggetti legittimati, rispettivamente dal lato attivo e dal lato passivo, ad essere parti di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato».
1.3.¾ «Quanto ai requisiti di ordine oggettivo», prosegue la ricorrente, deve rilevarsi come la Corte abbia «da tempo superato la restrittiva nozione di conflitto di attribuzione come vindicatio potestatis, riconoscendo l’ammissibilità del cosiddetto “conflitto per interferenza” o “conflitto da menomazione”» (sono richiamate le sentenze n. 126 del 1994, n. 473 del 1992, n. 204 del 1991 e n. 731 del 1988), ipotizzabile «quando un organo, pur non rivendicando a sé la competenza a compiere un determinato atto, denuncia che un atto oppure un comportamento omissivo di un altro organo abbiano menomato la sua competenza o ne abbiano impedito l’esercizio».
Orbene, siffatta evenienza – nella prospettiva della ricorrente – sussisterebbe proprio nel caso di specie.
Se è innegabile – osserva sempre la ricorrente – che la Commissione parlamentare suddetta ha «il potere di compiere atti di indagine» (ex art. 82, secondo comma, Cost.), tuttavia la decisione dalla stessa assunta «di procedere autonomamente ad accertamenti sul veicolo», con esclusione della possibilità di analogo intervento dell’autorità giudiziaria, «provoca un pregiudizio alla Procura perché le impedisce di esercitare le funzioni che le attribuisce la Costituzione». Essendo, difatti, paralizzato «il proseguimento delle indagini» – tuttora in corso «presso la Procura della Repubblica di Roma (proc. n. 6403/98 R.G.)» – si impedisce alla ricorrente «di raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale», con palese violazione del principio della obbligatorietà della stessa, «sancito dall’art. 112 della Costituzione», oltre che di quelli «di indipendenza ed autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.).
Risulta, in particolare, preclusa la possibilità «di sottoporre a sequestro l’autovettura a bordo della quale viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», e con essa quella «di effettuare rilevamenti ed accertamenti sul veicolo stesso ai fini dell’esatta ricostruzione della dinamica dei fatti, attività queste tutte essenziali nell’ambito del procedimento penale in oggetto e la cui mancata effettuazione ha determinato una vera e propria paralisi» del medesimo.
In tal modo, oltretutto, si contravviene a quella «opportunità di un effettivo coordinamento tra la Commissione e le strutture giudiziarie» presa in considerazione «all’atto dell’istituzione della stessa Commissione con Deliberazione della Camera dei Deputati del 31 luglio 2003 (art. 6, comma 3) nonché nel regolamento interno approvato dalla Commissione nella seduta del 4 febbraio 2004 (art. 22, comma 1)».
1.4.¾ Su tali basi, pertanto, la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha proposto il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, chiedendo – previa declaratoria di non spettanza, alla predetta Commissione, del potere di adottarla – l’annullamento della nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) emessa dalla medesima Commissione (con la quale quest’ultima ha rifiutato di aderire alla richiesta della ricorrente di valutare «l’opportunità dello svolgimento congiunto di accertamenti tecnici»), nonché l’annullamento, per l’effetto, anche dell’atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) con cui la stessa – in persona del suo Presidente, on. Carlo Taormina – ha conferito incarico peritale al dott. Alfredo Luzi.
2.¾ All’esito della camera di consiglio del 20 febbraio 2006, il presente conflitto è stato dichiarato ammissibile, con l’ordinanza n. 73 del 24 febbraio 2006.
In data 10 marzo 2006, il ricorso introduttivo e la predetta ordinanza sono stati notificati – come da richiesta del giorno 1° marzo della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma – alla Commissione parlamentare di inchiesta, in persona del suo Presidente.
3.¾ Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte il 29 marzo 2006 si è costituita in giudizio la Camera dei deputati dichiaratamente allo scopo di «far constatare l’avvenuta cessazione della Commissione parlamentare d’inchiesta» suddetta, nonché per «fare emergere le circostanze in virtù delle quali sembrano essere ormai venute meno le ragioni stesse del conflitto», su tali basi, dunque, chiedendo che il presente conflitto «sia dichiarato irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».
3.1.¾ Premette la Camera dei deputati – nell’eccepire, preliminarmente, che il conflitto sarebbe «irricevibile e comunque improcedibile e inammissibile per nullità assoluta della notificazione» – che, con deliberazione del 22 dicembre 2005, la conclusione dei lavori della predetta Commissione parlamentare, inizialmente stabilita entro sei mesi dalla sua costituzione, ma già più volte prorogata, era stata definitivamente fissata «entro la data di scioglimento delle Camere e comunque non oltre il 28 febbraio 2006».
Orbene, essendosi svolta in data 23 febbraio 2006 l’ultima seduta della Commissione (nel corso della quale è stata approvata la relazione finale e sono state date disposizioni per gli incombenti amministrativi del caso), da tale circostanza dovrebbe dedursi che la stessa – già al momento della decisione della Corte sull’ammissibilità del conflitto, depositata il successivo 24 febbraio – «non esisteva più come soggetto costituzionale», atteso che l’esercizio della funzione di inchiesta verrebbe ad esaurirsi proprio con l’approvazione della relazione finale, non potendo, così, la Commissione, successivamente all’espletamento di tale attività, «essere parte di alcun conflitto di attribuzione».
Né, d’altra parte, potrebbe addursi la circostanza che la suddetta decisione della Corte risulta adottata nella camera di consiglio del 20 febbraio e solo depositata in cancelleria il successivo giorno 24, in quanto – sebbene l’art. 18, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale stabilisca che la data delle pronunce della Corte è quella della deliberazione in camera di consiglio – è unicamente con la loro pubblicazione in cancelleria che le stesse «possono determinare i loro effetti», secondo quanto stabilito dagli artt. 19, 29 e 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, oltre che dallo stesso art. 136 della Costituzione.
Tuttavia, anche a volere ritenere il contrario, e dunque ad attribuire rilievo al fatto che nella seduta conclusiva del 23 febbraio 2006 la predetta Commissione abbia autorizzato il suo Presidente al coordinamento formale e alla materiale trasmissione della relazione alla Camera dei deputati, ciò nondimeno il presente conflitto risulterebbe «pur sempre proposto nei confronti di un organo non più esistente». Difatti, la notificazione del ricorso e dell’ordinanza di ammissibilità del conflitto risulta essere stata richiesta solo il 1° marzo 2006, nonché effettuata il successivo 10 marzo, e pertanto «oltre il termine dei lavori della Commissione e comunque oltre il termine finale, non più prorogato, del 28 febbraio 2006».
Ad una diversa conclusione, inoltre, non sarebbe possibile pervenire rilevando che il conflitto risulta introdotto – mediante il deposito del ricorso, effettuato il 5 ottobre 2005 – quando la Commissione era ancora in vita, giacché siffatta conclusione contrasterebbe con il riconoscimento della «struttura bifasica» del giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (è citata, in proposito, quale pronuncia capofila dell’indirizzo giurisprudenziale che ha enunciato tale principio, la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2003).
In altri termini, il conflitto – secondo la Camera dei deputati – «esiste solo con il superamento della fase dell’ammissibilità», nonché all’ulteriore condizione – come sarebbe stato possibile evincere già dalla sentenza n. 7 del 1996, e come avrebbe definitivamente confermato la sentenza n. 449 del 1997 (e il complessivo indirizzo giurisprudenziale al quale tale decisione ha dato origine) – che il ricorrente abbia adempiuto «l’onere di introdurre correttamente la seconda fase». È proprio la ricorrenza di tale seconda evenienza che deve, invece, escludersi nel caso di specie, atteso che la notificazione «è da intendersi come affetta da nullità assoluta, in quanto indirizzata ad organo non più esistente».
Del resto, che nell’ipotesi in esame il solo soggetto legittimato ad essere parte – dal lato passivo – dell’ipotizzato conflitto fosse esclusivamente la predetta Commissione di inchiesta è quanto emerge dall’esame della giurisprudenza costituzionale.
Difatti, con la sentenza n. 231 del 1975, la Corte ha identificato nelle Commissioni parlamentari all’uopo costituite i soli soggetti legittimati ad esercitare i poteri d’inchiesta ex art. 82 Cost., ribadendo quanto già affermato nelle ordinanze n. 229 e n. 228 del 1975, ovvero che tali organi – pur sempre, però, «nell’espletamento e per la durata del loro mandato» – «sostituiscono, ope constitutionis, lo stesso Parlamento, dichiarandone perciò “definitivamente la volontà” ai sensi del primo comma dell’art. 37» della legge n. 87 del 1953. Conclusioni confermate – si sottolinea – anche dalla dottrina costituzionalistica, secondo cui ogni Commissione parlamentare d’inchiesta «è un potere a sé stante, che non può essere confuso con la Camera che l’ha istituita», di talché, esaurito il suo mandato, i poteri dei quali essa era munita «non sono concretamente esercitabili in quanto non vi è più l’organo che ne era titolare».
Su tali basi, dunque, la Camera dei deputati reputa quello in esame «un vero e proprio “conflitto impossibile”, in quanto è stato evocato in giudizio, quale contraddittore (notificatario) della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma un soggetto costituzionale ormai non più esistente». Come, quindi, in altri casi analoghi – sono menzionate le sentenze n. 30 del 2002 e n. 252 del 1999 – la Corte costituzionale non dovrebbe ammettere lo scrutinio nel merito, venendo in rilievo «un caso di nullità assoluta», imputabile alla circostanza che «il ricorrente ha indicato come potere al quale notificare il ricorso un soggetto che non poteva essere assunto quale idoneo confliggente (appunto in quanto non esisteva più)».
Né si potrebbe ritenere che, estinta la Commissione parlamentare, il giudizio debba proseguire nei confronti della Camera dei deputati ai sensi degli artt. 110 e 299 del codice di procedura civile.
Premesso, invero, che – secondo quanto stabilito dall’art. 22 delle già richiamate norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – le «norme sulla sospensione, interruzione ed estinzione del processo non si applicano ai giudizi davanti la Corte costituzionale», deve escludersi la possibilità di ravvisare, nel caso di specie, un fenomeno lato sensu successorio, e ciò sebbene «i principi generali in materia di diritto di difesa (di cui agli artt. 24 e 111 Cost.)» siano comunque idonei, secondo la difesa della Camera dei deputati, a legittimare la costituzione in giudizio di quest’ultima, perché di essa «la Commissione è (stata) organo».
Ad escludere, difatti, la successione della Camera dei deputati nella posizione della Commissione d’inchiesta dovrebbero valere i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo i quali l’applicabilità dell’art. 299 cod. proc. civ. presuppone che via sia già stata la vocatio in ius, ai fini della validità della quale, a sua volta, è necessaria «l’esistenza attuale delle parti» (è citata, in particolare, la sentenza della Corte di cassazione, sezione terza, 5 dicembre 1994, n. 10437).
Inoltre, dal momento che la circostanza dell’avvenuta cessazione – in data 28 febbraio 2006 – dell’attività della predetta Commissione parlamentare risultava pienamente conoscibile dalla ricorrente, neppure potrebbe trovare applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo il quale, verificatasi la morte o l’estinzione di una delle parti del giudizio, sarebbe necessario impedire «il verificarsi dell’effetto lesivo dei diritti della parte incorsa in errore incolpevole» (sentenza n. 27 del 2000). Si tratta, per contro, di «portare ad effetto il principio di diligenza del notificante», già ritenuto dalla Corte applicabile – sentenza n. 247 del 2004 – al giudizio per conflitto di attribuzione.
A nulla, poi, varrebbe invocare la previsione – richiamata dall’art. 22 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – contenuta nell’art. 92 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), secondo cui la «morte» o «il cangiamento di stato di una delle parti non sospende la procedura», atteso che, ad evitare che una procedura sia sospesa, occorre pur sempre che la stessa sia stata validamente introdotta.
Su tali basi, quindi, la Camera dei deputati chiede che il presente conflitto venga dichiarato «irricevibile e comunque improcedibile e inammissibile per nullità assoluta della notificazione».
3.2.¾ In subordine, la Camera dei deputati ipotizza «l’improcedibilità del conflitto per sopravvenuta carenza di interesse» (viene richiamata la sentenza n. 462 del 1993).
Si premette, al riguardo, che nel giudizio per conflitto di attribuzione, non il solo thema decidendum, ma anche l’interesse del ricorrente risulta definito nei termini in cui il contenuto del ricorso è ricostruito dall’ordinanza di ammissibilità (sentenza n. 7 del 1996; ordinanza n. 470 del 1995), emessa dalla Corte nell’esercizio del suo amplissimo potere di conformazione del giudizio (sentenza n. 116 del 2003). Tanto premesso, poiché, nella specie, il giudizio è configurato non come vindicatio potestatis, bensì come conflitto da menomazione, la circostanza che la Commissione parlamentare non soltanto abbia concluso i suoi lavori, ma abbia messo a disposizione della ricorrente autorità giudiziaria «i verbali degli accertamenti già compiuti e anche – materialmente – l’autovettura sulla quale erano stati effettuati», denoterebbe il superamento di quella situazione di «paralisi del procedimento» penale che ha indotto la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma a promuovere il presente conflitto.
Orbene, poiché quello per conflitto di attribuzione «non è un astratto giudizio sull’astratto ordine costituzionale delle attribuzioni, ma un giudizio concreto su una concreta menomazione di una ben determinata attribuzione», ne consegue che, una volta rimosso il pregiudizio derivante dalla lamentata menomazione, ovvero divenutane impossibile la rimozione, una pronuncia “accademica” della Corte si presenterebbe in contrasto con lo stesso onere di formulazione di una domanda concreta posto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 31 e n. 15 del 2002) a carico della parte ricorrente.
Su tali basi – e non senza rammentare due pronunce della Corte che, rispettivamente, hanno dichiarato improcedibili altrettanti conflitti, l’uno promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, essendo «venuto a cadere ogni ostacolo» all’esercizio delle sue attribuzioni (sentenza n. 464 del 1993), l’altro per essere cessato ogni interesse pratico dell’autorità giudiziaria ricorrente ad ottenere una pronuncia nel merito, in ragione dell’avvenuta estinzione del reato oggetto del giudizio pendente innanzi ad essa (sentenza n. 204 del 2005) – la Camera dei deputati conclude affinché il presente conflitto sia dichiarato irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile.
4.— La Camera dei deputati, nell’imminenza dell’udienza pubblica di discussione, ha depositato un’ulteriore memoria, ribadendo le conclusioni già rassegnate.
5.— All’udienza pubblica di discussione è comparsa – ai sensi dell’art. 37, ultimo comma, della legge 11 marzo del 1953, n. 87 – la ricorrente autorità giudiziaria, in persona del dott. Franco Ionta, all’uopo delegato dal Procuratore della Repubblica.
Ribadite le ragioni a sostegno dell’iniziativa assunta, la ricorrente ha replicato alle eccezioni preliminari svolte dalla Camera dei deputati.
In particolare, quanto all’ipotizzata nullità assoluta che inficerebbe la notificazione del ricorso e dell’ordinanza che ha dichiarato ammissibile il conflitto, la Procura ricorrente ha dedotto di aver espletato tale adempimento nei riguardi del soggetto identificato, quale contraddittore, nell’ordinanza adottata dalla Corte all’esito della fase preliminare del giudizio.
Quanto, poi, alla supposta improcedibilità del conflitto, la ricorrente ha rilevato che tale evenienza non può certo ritenersi integrata dalla mera “messa a disposizione” dell’accertamento tecnico non ripetibile, svolto su incarico della Commissione d’inchiesta. Difatti, la determinazione in tal senso assunta dal predetto organismo parlamentare, nella sua assoluta atipicità nel panorama degli istituti contemplati dal codice di procedura penale per la collaborazione tra organi investigativi, non potrebbe consentire alla ricorrente medesima di utilizzare le risultanze dell’indagine tecnica aliunde espletata, ciò che conferma, quindi, il persistente interesse a conseguire l’annullamento degli atti oggetto del conflitto.
Considerato in diritto
1.— La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
In particolare, la ricorrente si duole del fatto che la predetta Commissione, conferito – con atto emesso dal suo Presidente il 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) – incarico peritale per l’espletamento di accertamenti tecnici anche non ripetibili sull’autovettura a bordo della quale la Alpi ed il Hrovatin viaggiavano in occasione dell’attentato nel quale persero la vita, con nota pervenuta alla ricorrente il 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) ha rifiutato di acconsentire allo svolgimento di accertamenti tecnici congiunti sulla predetta autovettura.
Ritenendo che la Commissione parlamentare, attraverso tali atti, le abbia impedito «di raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale», con palese violazione del principio della obbligatorietà della stessa, «sancito dall’art. 112 della Costituzione», oltre che di quelli «di indipendenza ed autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.), la ricorrente ha chiesto l’annullamento di tali atti, previa declaratoria della non spettanza, alla Commissione suddetta, del potere di adottarli.
2.¾ Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, al solo scopo di chiedere che sia fatta «constatare l’avvenuta cessazione della Commissione parlamentare d’inchiesta», nonché che siano fatte «emergere le circostanze in virtù delle quali sembrano essere ormai venute meno le ragioni stesse del conflitto», sicché questo dovrebbe essere «dichiarato irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».
2.1.¾ A giudizio della Camera, sotto un primo profilo, difatti, dovrebbe pervenirsi a tale conclusione in ragione della «nullità assoluta della notificazione», per essere stata effettuata il 10 marzo 2006 nei confronti di un soggetto non più esistente a tale data.
In realtà, secondo la deducente Camera dei deputati, la stessa declaratoria di ammissibilità del conflitto – adottata da questa Corte con ordinanza depositata in cancelleria il 24 febbraio 2006 – risulterebbe intervenuta quando la Commissione parlamentare «non esisteva più come soggetto costituzionale», atteso che l’esercizio della funzione di inchiesta si sarebbe esaurito con l’approvazione della relazione finale, adempimento espletato il 23 febbraio 2006.
In ogni caso, poi, la notificazione del ricorso e dell’ordinanza di ammissibilità del conflitto dovrebbe vieppiù considerarsi affetta da nullità assoluta, giacché avvenuta dopo il termine di conclusione dei lavori della Commissione, definitivamente fissato – dopo varie proroghe – con deliberazione della Camera dei deputati del 22 maggio 2005, «entro la data di scioglimento delle Camere e comunque non oltre il 28 febbraio 2006».
2.2.¾ Sotto altro profilo, la Camera dei deputati ha eccepito la improcedibilità del conflitto «per sopravvenuta carenza di interesse».
La circostanza che la Commissione parlamentare, non soltanto abbia concluso i suoi lavori, ma abbia messo a disposizione della ricorrente autorità giudiziaria «i verbali degli accertamenti già compiuti e anche – materialmente – l’autovettura sulla quale erano stati effettuati», denoterebbe il superamento di quella situazione di «paralisi del procedimento» penale che ha indotto la ricorrente Procura della Repubblica a promuovere il presente conflitto.
3.— Le suindicate eccezioni preliminari non sono fondate.
3.1.— Non è fondata, innanzi tutto, l’eccezione di nullità della notificazione.
3.1.1.— Non assume rilievo, ai fini della instaurazione del contraddittorio nel presente giudizio per conflitto, la circostanza che, alla data della avvenuta notificazione, congiuntamente, dell’ordinanza di ammissibilità e del ricorso della Procura della Repubblica (10 marzo 2006), la Commissione di inchiesta non esistesse più, e ciò tanto ritenendo che essa avesse esaurito la sua funzione il 23 febbraio 2006 (in occasione della sua ultima seduta, nella quale venne approvata la relazione del Presidente), quanto prendendo in considerazione la diversa data fissata per l’ultimazione dei lavori (28 febbraio 2006).
Difatti, la notifica alla Commissione in persona del suo Presidente, presso la Camera dei Deputati, può ritenersi validamente effettuata ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, con conseguente prosecuzione del giudizio nei confronti della Camera stessa, della quale la Commissione costituisce diretta emanazione ai sensi dell’art. 82 Cost.
3.1.2.— Va, al riguardo, ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 231 del 1975), le Commissioni d’inchiesta, siano monocamerali o bicamerali, non hanno il compito di emettere giudizi in senso tecnico, ma solo di «raccogliere notizie o dati necessari per l’esercizio delle funzioni delle Camere», sicché «esse non tendono a produrre, né le loro relazioni conclusive producono, alcuna modificazione giuridica (come è invece proprio degli atti giurisdizionali), ma hanno semplicemente lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili affinché queste possano, con piena cognizione delle situazioni di fatto, deliberare la propria linea di condotta, sia promuovendo misure legislative, sia invitando il Governo ad adottare, per quanto di sua competenza, i provvedimenti del caso». In altri termini, l’attività di inchiesta delle Camere rientra nella più lata nozione di attività ispettiva di competenza istituzionale di ciascuna di esse, volta all’acquisizione di informazioni su materie di pubblico interesse; attività ispettiva che è, dunque, propria della Camera in quanto tale, la quale − in via strumentale − si avvale, sia pure necessariamente, di una sua apposita articolazione interna, qual è (e resta) la Commissione di inchiesta, ferma rimanendo la titolarità del potere ispettivo in capo alla Camera parlamentare.
Conclusione, questa, conforme anche alla lettera dell’art. 82, primo comma, Cost., secondo cui ciascuna Camera «può disporre inchieste su materie di pubblico interesse». Il potere di inchiesta, pertanto, rientra tra le funzioni tipiche di ciascuna Camera e solo per il suo concreto esercizio è previsto che «a tale scopo» vengano nominate Commissioni di inchiesta come articolazioni interne della Camera che le istituisce.
E incisivamente, con la citata sentenza n. 231 del 1975, questa Corte ha affermato «che le Commissioni parlamentari di inchiesta (…) sostituendo necessariamente a norma dell’art. 82, primo comma, Cost. il plenum delle Camere, a buon diritto possono configurarsi come le stesse Camere nell’atto di procedere all’inchiesta».
Di qui, pertanto, la conclusione secondo cui, nell’ipotesi di cessazione, per qualsiasi causa, del funzionamento della Commissione (quali, ad esempio, la scadenza del suo termine di durata o l’esaurimento della sua funzione), la legittimazione processuale ad agire o a resistere è riassunta dalla Camera medesima. Ed è proprio quanto è accaduto nel caso di specie, per cui l’avvenuta notifica del ricorso alla Commissione di inchiesta in persona del suo Presidente, presso la Camera di appartenenza, è idonea alla corretta instaurazione del contraddittorio e a consentire alla Camera medesima, come è di fatto accaduto, di costituirsi nel giudizio per conflitto che, in definitiva, la coinvolge direttamente, essendo la Commissione una sua emanazione.
Né, in senso contrario, potrebbe addursi la riconosciuta indipendenza funzionale, durante munere, delle Commissioni d’inchiesta dalle Camere dalle quali esse promanano, giacché tale indipendenza non postula affatto una loro strutturale distinzione dalle Camere stesse, di cui rappresentano pur sempre una articolazione, come conferma la necessità di una loro composizione che rispecchi, sostanzialmente, quella della Camera di appartenenza.
Pertanto, l’affermazione della difesa della Camera, secondo la quale ogni Commissione d’inchiesta rappresenta un «potere a sé stante», che non può essere confuso con la Camera che l’ha istituita, non è condivisibile nella sua assolutezza; quanto meno non postula affatto che, quando la Commissione abbia cessato di esistere, non sia possibile elevare o proseguire conflitto per menomazione nei confronti di alcun potere; non quello di cui sarebbe espressione la Commissione, né quello proprio della Camera di appartenenza. In realtà, proprio perché la Commissione costituisce una articolazione della Camera, è ben ammissibile che – nell’ipotesi sopra indicata – il conflitto si instauri o prosegua nei confronti della Camera stessa.
Né, a tale scopo, è necessario richiamare, come fa la concludente Camera dei deputati, gli artt. 110 e 299 del codice di procedura civile o l’art. 92 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), ovvero i principi a tali norme sottesi, essendo sufficiente il riferimento all’assetto costituzionale dei rapporti tra Commissioni d’inchiesta e Camere che le abbiano istituite.
3.2.— Del pari non è fondata l’eccezione pregiudiziale di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, stante la ininfluenza, sulla procedibilità del presente conflitto per menomazione, anche in ragione della natura non ripetibile degli accertamenti tecnici che sarebbero stati preclusi alla ricorrente, di vicende sopravvenute rispetto al momento della sua instaurazione.
4.— Ciò premesso in ordine alle suddette eccezioni pregiudiziali, deve rilevarsi che la scelta operata dalla Camera dei deputati, in relazione alla novità ed alla particolarità della vicenda, di non svolgere difese di merito in ordine al thema decidendum, sul presupposto di non rivestire la qualità di contraddittore necessario nel presente giudizio, fa emergere la necessità di limitare la presente pronuncia esclusivamente ai suindicati profili processuali e di assegnare, conseguentemente, ad entrambe le parti un congruo termine per assicurare la completezza del contraddittorio anche per gli aspetti di merito del conflitto per menomazione sollevato dalla ricorrente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
non definitivamente pronunciando e riservata ogni decisione sul merito del conflitto;
dichiara non fondate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del conflitto per nullità assoluta della notificazione, nonché di improcedibilità dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse, sollevate dalla Camera dei deputati;
assegna alla Camera dei deputati ed alla ricorrente Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma il termine di giorni sessanta, decorrente dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della presente sentenza, per la eventuale presentazione di memorie difensive.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2007.