Sentenza n. 238 del 2007

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SENTENZA N. 238

ANNO 2007

 

Commento alla decisione di

Paolo Giangaspero

 

La potestà ordinamentale delle Regioni speciali e la tutela costituzionale del ruolo della provincia

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                 BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria     FLICK                                    Giudice     

- Francesco            AMIRANTE                                  “

- Ugo                      DE SIERVO                                  “

- Alfio                     FINOCCHIARO                           “

- Alfonso                QUARANTA                                “

- Franco                 GALLO                                         “

- Luigi                     MAZZELLA                                  “

- Gaetano               SILVESTRI                                    “

- Sabino                  CASSESE                                     “

- Maria Rita            SAULLE                                        “

- Giuseppe              TESAURO                                    “

- Paolo Maria         NAPOLITANO                             “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 8, quinto comma; 9, 17, 20, 25, 26, 31, 32, 33, 34, 35, 36, e 37 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 10 marzo 2006, depositato il cancelleria il 16 marzo 2006 ed iscritto al n. 47 del registro ricorsi 2006.

       Visto l’atto di costituzione della Regione  Friuli-Venezia Giulia;

       udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

       uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso – notificato il 10 marzo 2006 e depositato il successivo 16 marzo – ha impugnato numerose disposizioni della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia).

2. - Il ricorrente, in particolare, censura l’art. 8, comma 5, e gli artt. 9, 17, 20, 25 e 26 di tale legge, per violazione degli artt. 4, «comma 1» (recte: numero 1 bis e 59 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dell’art. 2 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), nonché degli artt. 5, 114, 118, commi primo e secondo, e 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione; censura, inoltre, gli artt. 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della medesima legge regionale per violazione dell’art. 123, quarto comma, Cost.

3. - Sostiene l’Avvocatura che, benché la Regione Friuli-Venezia Giulia, in base all’art. 4, n. 1-bis dello statuto, disponga di competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali, tuttavia la legge regionale n. 1 del 2006 avrebbe ecceduto i limiti di tale competenza violando le numerose disposizioni costituzionali evocate.

In particolare, l’art. 8, comma 5, della legge n. 1 del 2006, pur prevedendo che le Province sono titolari delle funzioni fondamentali ad esse riconosciute e di quelle ulteriori loro conferite con legge, avrebbe omesso di fare riferimento alle “funzioni proprie” di tali enti territoriali, espressamente previste dall’art. 118, secondo comma, Cost. Ciò troverebbe conferma nell’art. 17 della medesima legge regionale che non indicherebbe «una serie di compiti storicamente attribuiti alle Province stesse, quali enti esponenziali di collettività vaste, di livello intermedio tra quelle comunali e quelle regionali». Di conseguenza, le Province avrebbero unicamente le competenze ad esse attribuite dalla legge regionale, mentre sarebbero private di funzioni connesse ad «interessi e interventi di area vasta» da «sempre […] considerate di competenza» delle stesse ed individuate negli artt. 19 e 20 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Tali disposizioni, infatti, dovrebbero considerarsi «il quadro normativo di riferimento per l’attuazione e l’interpretazione degli artt. 117, comma secondo, lett. p) e 118, comma 2 della Costituzione e, come tale vincolante  […] anche nei confronti delle regioni ad autonomia speciale».

Gli artt. 8 e 17 della legge n. 1 del 2006, pertanto, contrasterebbero con l’art. 4 dello statuto, in quanto violerebbero il principio generale dell’ordinamento giuridico della Repubblica – come tale vincolante anche per le Regioni ad autonomia speciale – costituito dal «principio autonomistico, consacrato negli articoli 5, 114 e 118 Cost.». Dal complesso di tali disposizioni, infatti, emergerebbe che le Province sono titolari, oltre che delle funzioni loro conferite, anche di «funzioni proprie», cioè di quelle «storicamente attribuitegli e non comprimibili dal legislatore (nazionale o regionale), in quanto da sempre ritenute necessarie per l’esistenza e il corretto sviluppo delle rispettive comunità territoriali e degli interessi di cui sono esponenziali».

Analoghe censure sono svolte nei confronti degli artt. 9, 25 e 26 della legge n. 1 del 2006, i quali attribuirebbero funzioni tradizionalmente spettanti alle Province ad altri enti territoriali. L’art. 9, infatti, attribuisce «la funzione di pianificazione di area vasta» alle Città metropolitane. L’art. 25 attribuisce ulteriori funzioni di area vasta agli ASTER (Ambiti per lo sviluppo territoriale), costituiti da associazioni intercomunali e unioni di Comuni. Si tratterebbe però di funzioni di spettanza non solo dei Comuni, ma anche delle Province, come nel caso dei compiti di «tutela e valorizzazione del territorio e delle risorse naturali».

Considerazioni simili varrebbero anche per la funzione di «coordinamento dello sviluppo economico e sociale», che lo stesso art. 25 attribuisce agli ASTER in contrasto con l’art. 20 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale l’attribuirebbe invece alle Province.

Il ricorrente censura, inoltre, l’art. 20 della legge n. 1 del 2006, il quale escluderebbe che le Province possano aderire alle forme collaborative tra enti locali da esso disciplinate, e ometterebbe di attribuire loro funzioni di coordinamento e sostituzione nei confronti dei Comuni inadempienti.

Secondo l’Avvocatura erariale, le impugnate disposizioni si porrebbero in contrasto anche con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti dall’art. 118, primo comma, Cost. – e dai quali il legislatore regionale non sarebbe svincolato, – dal momento che esse attribuirebbero soltanto ai Comuni e alle loro associazioni tutte le funzioni attinenti ad aree sovracomunali che, invece, proprio perché concernenti interessi che trascendono la dimensione comunale, dovrebbero essere conferite alle Province quali enti intermedi tra Comuni e Regione. Inoltre, essendo le Città metropolitane e le associazioni di Comuni soggetti istituzionali non necessari, le funzioni relative alla cura di interessi sovracomunali potrebbero non essere attribuite ad alcun ente.

Le disposizioni regionali censurate violerebbero anche l’art. 59 dello statuto speciale, il quale prevede che le Province hanno le «funzioni stabilite dalle leggi dello Stato e della Regione», nonché l’art. 2 del d.lgs. n. 9 del 1997, il quale sancisce che la Regione, nel fissare i principi dell’ordinamento locale e nel determinarne le funzioni, deve favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali nel rispetto degli artt. 5 e 128 Cost. 4. - Il ricorrente impugna, inoltre, gli artt. 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della legge n. 1 del 2006, i quali istituiscono e disciplinano il Consiglio delle autonomie locali, lamentando la violazione dell’art. 123, quarto comma, Cost., dal momento che la disciplina di tale organo sarebbe riservata alla fonte statutaria.

La disposizione costituzionale, infatti, benché riferita espressamente alle sole Regioni ordinarie, sarebbe applicabile anche alle Regioni ad autonomia speciale, in forza dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il quale nel prevedere che le disposizioni di tale legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, farebbe riferimento alle condizioni di maggior autonomia anche degli enti locali.

5. - Con atto depositato il 27 marzo 2006, si è costituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che il ricorso sia rigettato, in quanto inammissibile ed infondato, e riservando ad una successiva memoria lo svolgimento delle argomentazioni a sostegno delle proprie richieste. Memoria in effetti depositata il 7 maggio 2007, con la quale la difesa regionale motiva l’inammissibilità e l’infondatezza delle diverse censure formulate nel ricorso.

6. - Quanto alla doglianza relativa all’art. 8, comma 5, la Regione esclude la lamentata violazione dell’art. 118, secondo comma, Cost. Questa disposizione, pur non menzionando le “funzioni proprie”, comunque contempla quelle “funzioni fondamentali” che, secondo la dottrina prevalente, includono le prime, come del resto statuisce l’art. 2 della legge 5 giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). Se poi si considerassero “proprie” le funzioni che l’ente locale esercita quale esponente della comunità di riferimento mediante scelte autonome che non implicano l’esercizio di pubblici poteri, «sarebbe evidente che tali funzioni proprie sussistono comunque, e non abbisognano del riconoscimento del legislatore statale o regionale”.

La doglianza sarebbe comunque inammissibile per difetto di interesse, avendo l’art. 8, comma 5, «carattere meramente ricognitivo» e, in quanto tale, inidoneo ad escludere l’efficacia di altre leggi attributive di funzioni “proprie” alle Province.

7. - Per quanto concerne la censura relativa all’art. 17, la parte resistente ne deduce l’inammissibilità, innanzitutto, per genericità, non avendo il ricorso individuato i compiti ««negati» alla Provincia. Inoltre difetterebbero motivazioni in ordine alla asserita essenzialità, per le Province, delle predette funzioni. Anche l’art. 17 sarebbe privo dei caratteri di una disposizione «concretamente attributiva di funzioni».

8. - Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 sarebbe infondata innanzitutto in quanto le evocate disposizioni costituzionali (gli artt. 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e 118, secondo comma) trovano applicazione soltanto nei confronti delle Regioni ordinarie. Infatti, come avrebbe anche riconosciuto questa Corte, la legge cost. n. 3 del 2001 si applica alle Regioni speciali solo ove preveda forme più ampie di autonomia per le Regioni stesse, e non per gli enti locali.

A séguito della modifica statutaria adottata con la legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2 (Modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la Valle d’Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adige), lo stesso riferimento fatto alle leggi statali dall’art. 59 dello statuto Friuli-Venezia Giulia andrebbe inteso in relazione alle materie diverse da quelle che lo stesso statuto assegna alla Regione.

Inoltre, la difesa regionale ricorda che la legge n. 131 del 2003, nel delegare al Governo l’individuazione delle “funzioni fondamentali”, ha fatto salve le competenze spettanti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 2, comma 4, lettera q)). Del resto, la stessa legge n. 131 del 2003 reca, all’art. 11, comma 1, una clausola generale di salvaguardia per le predette Regioni a regime differenziato.

Sarebbe inoltre significativo che lo Stato non abbia impugnato l’art. 12 della stessa legge regionale n. 1 del 2006, che fa riferimento alla Regione per la determinazione delle funzioni delle Province, nel rispetto dell’art. 59 dello statuto e dell’art. 5 Cost.

L’inapplicabilità alla Regione Friuli-Venezia Giulia degli artt. 117, secondo comma, lettera p), dell’art. 118, secondo comma, Cost., renderebbe infondato il richiamo agli artt. 19 e 20 del testo unico degli enti locali; e ciò anche alla luce dell’art. 2 del d.lgs. n. 9 del 1997 e dell’art. 1, comma 2, dello stesso testo unico, che esclude l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale delle disposizioni ivi contenute «se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione».

9. – Inammissibile per genericità e, comunque infondata è, per la difesa regionale, la censura basata sulla dedotta violazione del principio autonomistico di cui agli artt. 5, 114 e 118 Cost.

La resistente compie una analitica individuazione delle funzioni riconosciute alla Provincia dalle disposizioni non impugnate della legge n. 1 del 2006 e da numerose altre leggi settoriali, concludendo che l’impugnato art. 17 «non ha il senso di elencare in modo tassativo i settori di intervento provinciale».

Il complessivo quadro normativo proverebbe la piena osservanza del principio autonomistico, il quale «non vieta certo al legislatore di disciplinare nei termini ritenuti più giusti ed opportuni l’esercizio delle funzioni nelle materie di propria competenza legislativa, né di incidere sulle stesse funzioni attribuite agli enti stessi, ma impone solo di garantire una certa quota di funzioni, la cui determinazione è appunto rimessa al legislatore ordinario». In questi termini, l’art. 59, dello statuto di autonomia rispecchierebbe l’abrogato art. 128 Cost., inteso nel senso di escludere soltanto «limitazioni gravi» all’autonomia degli enti territoriali. La stessa Corte costituzionale – ricorda la resistente – ha in più occasioni escluso soltanto che le leggi regionali potessero comprimere detta autonomia «fino a negarla», fermo restando che essa «non implica una riserva intangibile di funzioni e non esclude che il legislatore regionale possa, nell’esercizio della sua competenza, individuare le dimensioni della stessa autonomia» (viene richiamata la sentenza n. 378 del 2000).

10. - In ordine alle censure relative agli artt. 9, 25 e 26, che attribuirebbero – a detta del ricorrente – «determinate funzioni, tradizionalmente spettanti alle Province, ad altri enti territoriali o a loro associazioni», la Regione rileva diversi profili di inammissibilità per contradditorietà o per genericità.

Nel merito, comunque, sarebbe infondata la doglianza concernente l’art. 25, in quanto (secondo la giurisprudenza costituzionale) non può essere negato alla Regione Friuli-Venezia Giulia, nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia, «il potere di valutare le esigenze di coordinamento e di esercizio integrato delle funzioni degli enti locali e di prevedere, se del caso, gli strumenti congruenti allo scopo, compresa tra questi l’istituzione di altri enti locali non necessari» (viene richiamata la sentenza n. 229 del 2001). Al tempo stesso, l’attribuzione agli ASTER del potere di programmazione di interventi territoriali integrati non preclude alle Province il pieno esercizio delle loro funzioni e la legge n. 1 del 2006, nel suo complesso, «non disconosce affatto il ruolo di coordinamento della Provincia».

11. - In ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, la Regione richiama altre disposizioni della stessa legge regionale n. 1 del 2006, alla stregua delle quali la Provincia può essere coinvolta in forme collaborative tra gli enti locali.

Comunque, il richiamo all’art. 118, primo comma, Cost. è per la difesa regionale inammissibile, per difetto di motivazione della censura, valendo le medesime obiezioni circa l’ inapplicabilità del titolo V della Costituzione alle Regioni a statuto speciale, nonché la esistenza per queste Regioni del principio del parallelismo delle funzioni amministrative rispetto a quelle legislative.

In ogni caso, le disposizioni impugnate non violerebbero il principio di sussidiarietà, dal momento che l’art. 25 conferirebbe agli ASTER funzioni “adeguate” alle loro dimensioni, per di più senza escludere le Province. D’altro canto, «la valutazione della adeguatezza investe evidenti profili di discrezionalità legislativa, che ammettono un sindacato solo in caso di evidente irragionevolezza».

12. - Quanto, infine, alle disposizioni relative al Consiglio delle autonomie locali (artt. da 31 a 37), le relative censure sarebbero, per la resistente, inammissibili per insufficiente motivazione circa l’applicabilità dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (è citata la sentenza n. 175 del 2006), nonché per inconferenza del parametro evocato, ossia l’art. 123, quarto comma, Cost. Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate, anche alla luce della sentenza n. 370 del 2006, che ha deciso un analogo ricorso.

Considerato in diritto

1. – Il governo ha impugnato numerose disposizioni della legge della regione friuli-venezia giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (principi e norme fondamentali del sistema regione-autonomie locali nel friuli-venezia giulia): gli articoli 8, comma 5, e 17, che disciplinando le attribuzioni delle province, ometterebbero di riconoscere l’esistenza di «funzioni proprie» di tali enti, da identificarsi con «una serie di compiti storicamente attribuiti alle province quali enti esponenziali di collettività vaste»; gli articoli 9, 25 e 26 che attribuirebbero «determinate funzioni, tradizionalmente spettanti alle province, ad altri enti territoriali o loro associazioni» e, in particolare, l’art. 9, il quale conferisce la funzione di pianificazione di area vasta alle città metropolitane e l’art. 25, il quale attribuisce agli aster (ambiti per lo sviluppo territoriale) «ulteriori e peculiari funzioni di area vasta» tra cui, in particolare, compiti di programmazione relativi alla «tutela del territorio e delle risorse naturali» che attengono alla materia «difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente», nonché la funzione di «coordinamento dello sviluppo economico e sociale», facendo riferimento a funzioni che spetterebbero non solo ai comuni, ma anche alle province; l’articolo 20, il quale, nel disciplinare forme collaborative tra gli enti locali, escluderebbe la possibilità che la provincia possa aderirvi e ometterebbe di attribuire ad essa funzioni di coordinamento e di sostituzione nei confronti dei comuni inadempienti.

Tutte queste disposizioni, ad avviso del ricorrente, sarebbero in contrasto con l’art. 4, numero 1- bis della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (statuto speciale della regione autonoma friuli-venezia giulia), in quanto eccederebbero i limiti dal medesimo fissati alla potestà legislativa primaria della regione in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», ponendosi altresì in contrasto con il “principio dell’autonomia” ricavabile dagli artt. 5, 114 e 118 cost. E da ritenere «principio generale dell’ordinamento giuridico della repubblica». Contrasterebbero, inoltre, con l’art. 4 dello statuto regionale, perché non sarebbero «in armonia con la costituzione» e, in particolare, con l’articolo 117, secondo comma, lett. P), cost. Dal quale emergerebbe la titolarità in capo alle province di “funzioni fondamentali”, e con gli articoli 114, secondo comma, e 118, secondo comma, cost., dai quali si ricaverebbe che le province sono titolari di “funzioni proprie”, non comprimibili dal legislatore nazionale o regionale e da identificarsi con quelle ad esse storicamente attribuite e previste negli artt. 19 e 20 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Le disposizioni impugnate violerebbero, altresì, l’art. 118, primo comma, cost., dal momento che, in contrasto con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che limiterebbero anche la potestà legislativa primaria della regione “in materia di enti locali”, attribuirebbero soltanto ai comuni e alle loro associazioni tutte le funzioni attinenti ad aree sovracomunali, funzioni che, invece, proprio perché concernenti interessi che trascendono la dimensione comunale, dovrebbero essere conferite alle province, quali enti intermedi tra comuni e regione.

Infine, le disposizioni regionali denunciate sarebbero lesive dell’art. 59 dello statuto speciale e dell’art. 2 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (norme di attuazione dello statuto speciale per la regione friuli-venezia giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), in base ai quali la potestà legislativa primaria della regione in materia di ordinamento degli enti locali dovrebbe perseguire l’obiettivo di favorire la piena autonomia di tali enti, nel rispetto degli artt. 5, 114 e 118 cost.

Vengono pure impugnati gli artt. 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della legge regionale n. 1 del 2006, i quali istituiscono e disciplinano il Consiglio delle autonomie locali. Il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 123, quarto comma, Cost. - in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - il quale, imponendo che la disciplina dell’organo in questione sia riservata allo statuto, non consentirebbe che essa possa essere dettata da «una fonte legislativa ordinaria».

2. – In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la censura relativa agli artt. 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della legge regionale n. 1 del 2006.

Il ricorrente ha argomentato tale censura sostenendo l’applicabilità del quarto comma dell’art. 123 Cost. anche ad una Regione ad autonomia speciale unicamente in forza dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, il quale, nello stabilire che le disposizioni di tale legge si applicano alle Regioni a statuto speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, farebbe riferimento alle condizioni di maggior autonomia anche degli enti locali.

Peraltro, questa Corte, in riferimento ad un ricorso avente ad oggetto una legge della Regione Sardegna, ha dichiarato l’inammissibilità di una analoga questione di legittimità costituzionale, in ragione della genericità delle argomentazioni svolte a sostegno delle censure (sentenza n. 175 del 2006 e in una fattispecie analoga, cfr. sentenza n. 370 del 2006).

La medesima conclusione si impone anche con riguardo al ricorso in esame, dal momento che il ricorrente ha omesso di illustrare le ragioni a sostegno della applicabilità, ad una Regione ad autonomia speciale, qual è la Regione Friuli-Venezia Giulia, dell’art. 123, quarto comma, Cost., in forza dell’art. 10, della legge cost. n. 3 del 2001, «mediante la valutazione dei parametri costituzionali ricavabili dallo statuto speciale» tuttora vigente e che attribuisce alla potestà legislativa primaria della Regione la competenza in materia di «ordinamento degli enti locali» (art. 4, n. 1-bis). Infatti, come questa Corte ha già affermato, gli spazi di maggiore autonomia introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione debbono essere apprezzati con esclusivo riguardo alle competenze regionali, e non già a quelle relative agli enti locali. Pertanto, il ricorso statale difetta di idonea motivazione circa l’applicabilità alla Regione Friuli-Venezia Giulia del parametro costituzionale evocato.

3. – In via ancora preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le questioni aventi ad oggetto l’art. 8, comma 5, e gli artt. 9, 17, 20, 25 e 26 della medesima legge regionale n. 1 del 2006 fondate sulla pretesa diretta applicabilità alla Regione Friuli-Venezia Giulia delle disposizioni del titolo V della Costituzione relative al regime giuridico degli enti locali.

Ci si riferisce, anzitutto, alle censure con cui è dedotta la violazione dell’art. 118, primo comma, Cost. e dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza che limiterebbero anche la potestà legislativa primaria della Regione «in materia di enti locali». Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate attribuirebbero ai Comuni, alle loro associazioni o ad organi regionali tutte le funzioni attinenti ad aree sovracomunali, funzioni che, invece, proprio perché concernenti interessi che trascendono la dimensione comunale, dovrebbero essere conferite alle Province, quali enti intermedi tra Comuni e Regione.

Nel prospettare tali censure, tuttavia, il ricorrente non si è fatto carico di illustrare le ragioni per cui in una Regione ad autonomia speciale dovrebbero trovare applicazione le disposizioni del titolo V della seconda parte della Costituzione in luogo di quelle ricavabili dallo statuto speciale in forza delle quali la Regione è dotata di potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali (artt. 4, n.1-bis, e 59), e vige il principio del parallelismo tra le funzioni legislative e le funzioni amministrative (art. 8) (ex plurimis, sentenze n. 391 e n. 175 del 2006). Tale motivazione era tanto più necessaria ove si tenga conto che questa Corte ha già avuto occasione di affermare, con specifico riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., che la competenza primaria attribuita alle Regioni a statuto differenziato in materia di ordinamento degli enti locali «non è intaccata dalla riforma del titolo V, parte seconda della Costituzione, ma sopravvive, quanto meno, nello stesso ambito e negli stessi limiti definiti dagli statuti» (sentenza n. 48 del 2003). Al tempo stesso, sempre questa Corte ha interpretato l’art. 11 della legge 5 giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3) nel senso che esso conferma che «per tutte le competenze legislative aventi fondamento nello statuto speciale, il principio del parallelismo fra funzioni legislative e funzioni amministrative conserva la sua validità» (sentenza n. 236 del 2004).

La mancanza di ogni motivazione su tali punti essenziali impedisce che possano essere esaminate nel merito le censure con cui si denuncia l’incostituzionalità di disposizioni della legge regionale n. 1 del 2006 per diretto contrasto con quanto si assume che sia prescritto negli artt. 117 e 118 Cost..

Del pari inammissibili, per le medesime ragioni ora illustrate, sono  le censure con le quali si denuncia la violazione da parte delle disposizioni impugnate del limite dell’ «armonia con la Costituzione» posto dall’art. 4 dello statuto. Il ricorrente sostiene che le disposizioni censurate non terrebbero conto delle funzioni proprie previste dall’art. 118, secondo comma, Cost. e di quelle fondamentali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost, degli enti locali in questione. In particolare, l’art. 8, comma 5, e gli artt. 9, 17, 20, 25, 26 della legge regionale n. 1 del 2006  conterrebbero discipline difformi da quella dettata dagli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 267 del 2000, i quali costituirebbero «il quadro normativo di riferimento per l’attuazione e l’interpretazione degli artt. 117, secondo comma, lett. p) e 118, comma 2 della Costituzione e, come tale vincolante [..] anche nei confronti delle regioni ad autonomia speciale».

Al riguardo, l’Avvocatura, con una impropria inversione fra il ruolo delle norme costituzionali e quello delle norme ordinarie, assume «che la distribuzione delle funzioni amministrative tra i vari enti territoriali, così come definita dalle citate leggi statali, risponde a quei criteri di sussidiarietà, proporzionalità ed adeguatezza, ora assurti a parametri costituzionali».

Anche in tal caso, le carenze argomentative del ricorso, nel quale non si dà conto delle ragioni per cui si imporrebbe alla regione friuli-venezia giulia l’applicazione delle disposizioni del titolo v, né in quale rapporto queste si trovino rispetto alle disposizioni contenute nello statuto speciale, impediscono di esaminare nel merito le censure.

4. – in via preliminare, infine, va dichiarata la inammissibilità della censura relativa all’art. 26 della legge regionale n. 1 del 2006, in quanto del tutto sommaria ed oscura (ex plurimis, di recente si vedano le sentenze n. 105 del 2007, n. 391 e n. 248 del 2006).

5. – venendo ad esaminare le censure formulate in relazione alle disposizioni dello statuto speciale, il ricorrente denuncia l’art. 8, comma 5, e gli artt. 9, 17, 20 e 25 della legge n. 1 del 2006 per violazione degli articoli 4, n.1-bis, e 59 dello statuto regionale, e dell’art. 2 del d.lgs. N. 9 del 1997.

       ciò perché l’art. 4, alinea 1, dello statuto speciale prevede come limite alla potestà esclusiva regionale anche l’armonia «con i principi generali dell’ordinamento giuridico della repubblica», fra i quali sarebbe annoverabile il «principio dell’autonomia», ricavabile dagli artt. 5, 114 e 118 cost. Al tempo stesso, il primo comma dell’art. 59 dello statuto afferma che «le province ed i comuni sono enti autonomi ed hanno ordinamenti e funzioni stabilite dalle leggi dello stato e della regione» e l’art. 2 del d.lgs. N. 9 del 1997 pone l’obbligo per la regione di esercitare i propri poteri legislativi «nel rispetto degli articoli 5 e 128 della costituzione, nonché dell’art. 4 dello statuto di autonomia» al fine di «favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali».

       riguardo al merito delle censure, occorre anzitutto ricordare che l’art. 5 della legge costituzionale 23 settembre 1993 n. 2 (modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la valle d’aosta, per la sardegna, per il friuli-venezia giulia e per il trentino-alto adige) ha innovato in modo rilevante il dettato dello statuto speciale della regione resistente, trasformando la competenza legislativa regionale in tema di ordinamento degli enti locali da concorrente in esclusiva. Inoltre, in sede di attuazione di questa disposizione statutaria, l’art. 2 del d.lgs. N. 9 del 1997 ha chiarito che, nell’ambito della competenza legislativa in esame, la regione «fissa i principi dell’ordinamento locale e ne determina le funzioni», seppure nei limiti ed al fine appena ricordati.

Lo stesso generico riferimento contenuto nel primo comma dell’art. 59 dello statuto (articolo preesistente alla modifica del 1993) al ruolo delle «leggi dello stato e delle regioni» non può che assumere un significato adeguato alla successiva modificazione della potestà legislativa della regione sugli enti locali, considerando che – come fu rilevato durante i lavori parlamentari – questa riforma era finalizzata ad «un pareggiamento verso l’alto, mirante ad equiparare lo status delle altre regioni differenziate a quello della regione siciliana che, come è noto, in base all’art. 15 del suo statuto dispone in questo campo di competenza legislativa esclusiva» (atti parlamentari, senato della repubblica, xi legislatura assemblea-resoconto stenografico, seduta del 9 giugno 1993 pag. 25). La finalità della riforma del 1993 è stata sottolineata in termini analoghi anche da questa corte nella sentenza n. 415 del 1994, nonché nella successiva sentenza n. 229 del 2001.

Questa corte nella sua giurisprudenza relativa a leggi regionali in tema di funzioni degli enti locali, in generale ha ammesso che il  legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni (sentenze n. 378 del 2000, n. 286 del 1997, n. 83 del 1997).

In particolare, con specifico riferimento ad una regione ad autonomia speciale dotata di potestà legislativa primaria in tema di enti locali, questa corte ha affermato che una disposizione come quella di cui all’art. 5 della costituzione certamente impegna la repubblica «e anche quindi le regioni ad autonomia speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie», ed ha anche aggiunto che «le leggi regionali possono bensì regolare» l’autonomia degli enti locali, «ma non mai comprimere fino a negarla» (sentenza n. 83 del 1997). Analogamente, si è ritenuto doveroso il «coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento», in considerazione «dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta» (sentenza n. 229 del 2001).

Peraltro, la giurisprudenza di questa corte originata da ricorsi relativi all’applicazione della legge costituzionale n. 2 del 1993 (sentenze n. 415 del 1994, n. 229 e n. 230 del 2001, n. 48 del 2003) ha riconosciuto al legislatore delle regioni ad autonomia speciale una potestà di disciplina differenziata rispetto alla corrispondente legislazione statale, salvo il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello stato e dell’ambito delle materie di esclusiva competenza statale (individuate sulla base di quanto prescritto negli statuti speciali). Nella sentenza n. 229 del 2001, con riferimento alla regione friuli-venezia giulia,  questa corte ha affermato che non può essere negato alla regione «il potere di valutare le esigenze di coordinamento e di esercizio integrato delle funzioni degli enti locali e di prevedere, se del caso, gli strumenti congruenti allo scopo, compresi fra questi l’istituzione di altri enti locali». Sulla base di queste premesse, non sono state ritenute fondate le censure mosse avverso una legge regionale, che aveva soppresso una categoria di enti locali costituzionalmente non necessari come le comunità montane.

Tra l’altro, è costante nella legislazione statale il riconoscimento della diversa autonomia di cui godono nella materia in esame le regioni ad autonomia particolare: lo stesso testo unico degli enti locali (d.lgs. N. 267 del 2000) afferma, al secondo comma dell’art. 1, che «le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di trento e di bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione». Analoga disposizione era in precedenza contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali). Successivamente alla adozione del nuovo titolo v della costituzione, nella disposizione di delega al governo per la  attuazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), di cui alla legge n. 131 del 2003 si rinviene un apposito criterio direttivo (art. 2, comma 4, lettera q), il quale prescrive di «fare salve le competenze spettanti alle regioni a statuto speciale a alle province autonome di trento e di bolzano».

In conclusione, quindi, la legislazione della regione friuli-venezia giulia in tema di enti locali non è vincolata all’osservanza delle singole disposizioni del testo unico degli enti locali, ma deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni deve «favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali».

Si tratta quindi di valutare in concreto non già se le disposizioni impugnate disciplinino in modo diverso le funzioni o i poteri provinciali rispetto alle disposizioni del testo unico degli enti locali, bensì se esse neghino profili da valutare come essenziali per garantire l’autonomia di enti locali costituzionalmente necessari come le province.

6. – le censure relative all’art. 8, comma 5, della legge regionale n. 1 del 2006 si appuntano sul mancato espresso riconoscimento da parte del legislatore regionale anche di “funzioni proprie” delle province che, per l’avvocatura, corrisponderebbero ai «compiti storicamente attribuiti alle province stesse, quali enti esponenziali di collettività vaste». La disposizione impugnata, infatti, si sarebbe limitata a prevedere la titolarità, in capo alle province, delle “funzioni fondamentali” e «di quelle ulteriori, conferite loro con legge».

Il ricorrente sostiene che le funzioni proprie delle Province sarebbero funzioni non comprimibili dal legislatore (nazionale o regionale), in quanto da sempre ritenute necessarie per l’esistenza ed il corretto sviluppo delle rispettive comunità territoriali e degli interessi di cui sono esponenziali.

La censura si risolve, dunque, nella denuncia dell’incisione, da parte del legislatore regionale, dell’area di funzioni che la Costituzione stessa imporrebbe di riservare alla Provincia. Essa, pertanto, deve essere esaminata unitamente alla doglianza concernente l’art. 17 della stessa legge regionale, il quale, appunto, individua le competenze spettanti alla Provincia.

Tali censure non sono fondate.

Innanzitutto, l’Avvocatura dello Stato, nel formulare le proprie doglianze, non considera che le “funzioni proprie” possono identificarsi con quelle fondamentali esplicitamente riconosciute dall’art. 8, nonostante che tale interpretazione sia stata sostenuta con riguardo alle disposizioni del nuovo titolo V della Costituzione, negandosi che possa distinguersi fra le “funzioni fondamentali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), e le «funzioni proprie» degli enti locali, di cui all’art. 118, secondo comma, Cost.

Comunque, il mancato riferimento, da parte del legislatore regionale, alle funzioni proprie non implica il disconoscimento dell’esistenza di un nucleo di funzioni intimamente connesso al riconoscimento del principio di autonomia degli enti locali sancito dall’art. 5 Cost.

La innegabile discrezionalità riconosciuta al legislatore statale nell’ambito della propria potestà legislativa e la stessa relativa mutevolezza nel tempo delle scelte da esso operate con riguardo alla individuazione delle  aree di competenza dei diversi enti locali impediscono che possa parlarsi in generale di competenze storicamente consolidate dei vari enti locali (addirittura immodificabili da parte sia del legislatore statale che di quello regionale). Questa Corte, non ha escluso la utilità del criterio storico «per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale e comunale», ma tuttavia ne ha circoscritto l’utilizzabilità  «a quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico» (sentenza n. 52 del 1969).

In ogni caso una lettura complessiva della legge regionale n. 1 del 2006, fa emergere l’esistenza di disposizioni che valorizzano ampiamente le province in modo del tutto analogo alla legislazione statale e che operano ulteriori significativi riconoscimenti del ruolo di tali enti. Importanti appaiono, in particolare, l’art. 5, comma 1, che equipara le province ai comuni per il conferimento delle funzioni amministrative, e l’art. 8, comma 2, che afferma in generale che «la provincia è l’ente locale che rappresenta e cura gli interessi di area vasta della propria comunità».

Inoltre, occorre considerare che l’elencazione contenuta nell’art. 17 dei settori di intervento della provincia, se appare in parte carente rispetto agli artt. 19 e 20 del d.lgs. N. 267 del 2000, individua però anche ambiti di competenza ulteriori rispetto a quelli previsti dal legislatore statale, quali la politica attiva del lavoro, le iniziative culturali, l’agricoltura.

Infine, a differenza di quanto implicitamente ritenuto dal ricorrente, l’elenco previsto dall’art. 17 della legge regionale n. 1 del 2006 non è tale da impedire il conferimento di altre funzioni da parte del legislatore regionale che, in effetti, è già più volte intervenuto conferendo compiti alle province anche in settori ulteriori rispetto a quelli elencati nello stesso art. 17.

7. – le censure relative all’art. 9 della legge regionale n. 1 del 2006, per quanto  particolarmente sommarie, possono essere interpretate come denuncia della  illegittimità della attribuzione alle città metropolitane della «funzione di pianificazione di area vasta», che costituirebbe, invece, una delle «funzioni tradizionalmente spettanti alle province».

La infondatezza della censura deriva, prima ancora che dalla sostanziale analogia fra quanto previsto nella legge regionale n. 1 del 2006 e quanto previsto dall’art. 23 del testo unico degli enti locali in riferimento alle Città metropolitane, dal fatto che nel sistema di entrambi questi testi legislativi, la Città metropolitana corrisponde all’ente locale di area vasta, tanto che nel territorio in cui si crea la Città metropolitana, questa succede alla Provincia.

8. – Le censure relative all’art. 20 non sono fondate.

Esse, per la parte in cui lamentano l’esclusione delle Province dalle forme collaborative tra gli enti locali appaiono il frutto di una lettura solo parziale della legge regionale n. 1 del 2006, dal momento che, mentre evidentemente né le associazioni intercomunali, né le Unioni dei Comuni possono – per definizione – coinvolgere le Province, queste ultime ben possono essere parte con gli altri enti locali delle Convenzioni (di cui all’art. 21 della legge regionale) e sono le uniche componenti delle Associazioni fra le Province (di cui all’art. 29 della legge regionale). Quanto alla denuncia concernente la mancata attribuzione alle Province, in materia di forme collaborative fra gli enti locali, di «funzioni di coordinamento e di sostituzione nei confronti dei Comuni inadempienti», essa appare destituita di fondamento, tenuto conto del fatto che neppure la legislazione statale vigente in materia prevede alcun istituto di questo genere.

9. – Anche le censure relative all’art. 25 della legge regionale n. 1 del 2006, non sono fondate.

Lo Stato lamenta la attribuzione ai Comuni, sia pure associati in ASTER (Ambiti per lo sviluppo territoriale), di funzioni che «non spettano solamente» a tali enti ma anche alle Province. Si tratterebbe, in particolare, dei compiti di programmazione relativi alla «tutela e valorizzazione del territorio e delle risorse naturali» che sarebbero attribuiti agli ASTER, mentre atterrebbero alla materia «difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente» di spettanza della Provincia ai sensi della medesima legge regionale (art. 17); inoltre, riguarderebbe la funzione di «coordinamento dello sviluppo economico e sociale» che l’art. 20 del testo unico degli enti locali attribuisce alle Province.

L’asserita sottrazione di tali funzioni alle Province in materia di programmazione e di coordinamento risulta inesistente ad una lettura complessiva della disposizione impugnata. Infatti la previsione di questa forma associativa, caratterizzata da una particolare rappresentatività, è espressamente finalizzata alla «interlocuzione in forma associata con la Regione e la Provincia» e alla «programmazione di interventi territoriali integrativi» relativamente a determinate finalità indicate dal medesimo art. 25, tra le quali, la tutela e valorizzazione del territorio e delle risorse naturali, nonché il coordinamento e sviluppo economico e sociale.

In particolare, l’art. 25 non esclude la sussistenza di una funzione di coordinamento provinciale dello sviluppo economico e sociale; questa è, anzi, espressamente prevista dall’art. 17, comma 3, lettera b), il quale dispone che la Provincia formula e adotta propri programmi pluriennali di sviluppo, e che altresì ad essa spettano il coordinamento tra i propri programmi e l’attività programmatoria sia dei Comuni, sia degli ASTER.

10. – Deve pertanto concludersi che non sono fondate le censure relative agli articoli 8, comma 5, 9, 17, 20, e 25, promosse in riferimento agli articoli 4, n.1-bis, e 59 della legge costituzionale n. 1 del 1963 e all’art. 2 del d.lgs. n. 9 del 1997.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia), promossa, in riferimento all’art. 123, quarto comma, della Costituzione e all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 5, e degli artt. 9, 17, 20, 25 e 26 della legge della Regione Friuli-Venezia n. 1 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), per violazione del limite dell’«armonia con la Costituzione», e, in particolare, dell’art. 117, secondo comma, lettera p) e degli artt. 114, secondo comma, 118, secondo comma, nonché dell’art. 118, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge della Regione Friuli-Venezia n. 1 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 4 della legge costituzionale n. 1 del 1963 per violazione del “principio dell’autonomia” degli enti locali ricavabile dagli artt. 5, 114 e 118 Cost., nonché in riferimento all’art. 59 dello statuto speciale e all’art. 2 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 5, e degli artt. 9, 17, 20, 25 della legge della Regione Friuli-Venezia n. 1 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 4 dello statuto speciale per violazione del “principio dell’autonomia” degli enti locali ricavabile dagli artt. 5, 114 e 118 Cost., nonché in riferimento all’art. 59 dello statuto speciale e all’art. 2 del d.lgs. n. 9 del 1997, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2007.