Sentenza n. 94 del 2007

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SENTENZA N. 94

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                     BILE                                                              Presidente

- Francesco                AMIRANTE                                                    Giudice

- Ugo                         DE SIERVO                                                         ”

- Paolo                       MADDALENA                                                    ”

- Alfio                       FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso                   QUARANTA                                                        ”

- Franco                     GALLO                                                                 ”

- Luigi                       MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Maria Rita               SAULLE                                                               ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 597, 598, 599 e 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Veneto, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia notificati il 22, 23, 24 e 27 febbraio 2006, depositati in cancelleria il 28 febbraio, il 1°, il 3 ed il 4 marzo 2006 ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 28, 29, 30, 35, 38, 39 e 41 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Giovanni Guzzetta per la Regione Valle d’Aosta, Emiliano Amato per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Toscana ha promosso, con ricorso notificato a mezzo posta il 22 febbraio 2006, pervenuto al Presidente del Consiglio dei ministri il 2 marzo 2006 e all’Avvocatura generale dello Stato il 25 febbraio 2006, e depositato il successivo 28 febbraio (reg. ric. n. 28 del 2006), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) e, tra queste, dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1, in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione.

Il comma 597 dispone che «Ai fini della valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti medesimi. Il decreto, da emanare previo accordo tra Governo e regioni, è predisposto sulla base della proposta dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell’economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti da presentare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».

Secondo il successivo comma 598, «I principi fissati dall’accordo tra Governo e regioni e regolati dal decreto di cui al comma 597 devono consentire che:

a) il prezzo di vendita delle unità immobiliari sia determinato in proporzione al canone dovuto e computato ai sensi delle vigenti leggi regionali, ovvero, laddove non ancora approvate, ai sensi della legge 8 agosto 1977, n. 513;

b) per le unità ad uso residenziale sia riconosciuto il diritto all’esercizio del diritto di opzione all’acquisto per l’assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni; che, in caso di rinunzia da parte dell’assegnatario, subentrino, con facoltà di rinunzia, nel diritto all’acquisto, nell’ordine: il coniuge in regime di separazione dei beni, il convivente more uxorio purché la convivenza duri da almeno cinque anni, i figli conviventi, i figli non conviventi;

c) i proventi delle alienazioni siano destinati alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l’acquisto della prima casa, a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno».

La legge in esame, al comma 599 dell’art. 1, stabilisce che «Agli immobili degli Istituti proprietari, che ne facciano richiesta attraverso le regioni, si applicano le disposizioni previste dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, e successive modificazioni».

Infine, il comma 600 del citato art. 1 della legge n. 266 del 2005 prevede la facoltà per gli enti e gli istituti proprietari di affidare a società specializzate «la gestione delle attività necessarie al censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili».

La Regione Toscana ricostruisce, sinteticamente, l’evoluzione della normativa e della giurisprudenza costituzionale nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, soffermandosi, in particolare, sull’art. 60 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), con il quale è stata ampliata la sfera delle attribuzioni regionali, «includendovi la gestione e l’attuazione degli interventi, nonché la fissazione dei criteri per l’assegnazione degli alloggi e la determinazione dei canoni».

Secondo la ricorrente, siffatto ampliamento delle competenze regionali sarebbe stato «confermato» dalla riforma dell’art. 117 Cost.: infatti, l’edilizia residenziale pubblica, che non è compresa tra le materie di cui al secondo comma, né fra quelle di cui al terzo, rientrerebbe nella competenza residuale delle Regioni ai sensi del quarto comma del medesimo articolo.

Pertanto, non spetterebbe allo Stato, bensì alle Regioni, dettare la disciplina delle procedure semplificate per la dismissione dei beni di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati. A nulla varrebbe, di conseguenza, la previsione, contenuta nel comma 597 dell’art. 1 della legge impugnata, secondo cui il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri deve essere adottato «previo accordo tra Governo e regioni», in quanto nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., solo la fonte legislativa regionale è «legittimata ad intervenire con la disciplina compiuta».

1.1. – Con atto depositato il 14 marzo 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, limitandosi ad affermare che «il comma 587 [recte: 597] prevede un “accordo” tra Governo e regioni, e quindi appare preferibile attendere che esso sia concluso», e concludendo per la reiezione del ricorso proposto dalla Regione Toscana.

2. – La Regione Veneto ha promosso, con ricorso notificato il 23 febbraio 2006 e depositato il 1° marzo (reg. ric. n. 29 del 2006), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge n. 266 del 2005 e, tra queste, dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.

La ricorrente assume che l’alienazione degli immobili di proprietà degli I.A.C.P. rientri nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, di potestà legislativa residuale della Regione, sicché le norme impugnate sarebbero illegittime per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Inoltre, ad avviso della difesa regionale, il comma 598, prescrivendo «in modo molto dettagliato e specifico» le finalità da perseguire mediante l’accordo tra Governo e Regioni, finirebbe con il predeterminare il contenuto del medesimo accordo. Il legislatore statale, dunque, avrebbe individuato non soltanto «le scelte politiche di fondo, gli indirizzi, ma anche la disciplina più specifica, di alienazione e reinvestimento».

Infine, la normativa impugnata risulterebbe lesiva anche dell’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione, in quanto porrebbe «vincoli alla disposizione del patrimonio immobiliare e all’utilizzo dei proventi che derivano dall’alienazione dello stesso, in violazione, ancora una volta, dell’art. 119 della Costituzione».

2.1. – Con atto depositato il 14 marzo 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, limitandosi a contestare genericamente l’ammissibilità e la fondatezza delle avverse censure.

3. – La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso, con ricorso notificato il 23 febbraio 2006 e depositato il 1° marzo (reg. ric. n. 30 del 2006), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge n. 266 del 2005 e, tra queste, dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1, in riferimento all’art. 117, quarto e sesto comma, Cost.

La ricorrente premette che, sebbene il comma 610 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 stabilisca che «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti», il tenore letterale delle disposizioni impugnate «non consente di escludere con certezza l’efficacia delle relative norme anche nei riguardi delle suddette Regioni».

Pertanto, la Regione Valle d’Aosta, dopo aver richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui «il giudizio in via principale può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili, a condizione che queste ultime non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate» (sentenza n. 412 del 2004), deduce l’illegittimità della normativa impugnata – «ove riferibile anche alla Regione» –, in quanto inciderebbe su un ambito materiale, l’edilizia residenziale pubblica, rientrante nella competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Al riguardo, la ricorrente precisa che, nel caso di specie, l’art. 117, quarto comma, Cost., sarebbe applicabile anche alla Regione Valle d’Aosta, in quanto assicurerebbe «una forma più ampia di autonomia rispetto a quella statutaria, ex art. 10, l. cost. n. 3 del 2001».

Osserva, peraltro, la difesa regionale che «la potestà regolamentare statale, potendo intervenire a norma dell’art. 117, sesto comma, Cost., soltanto negli ambiti in cui lo Stato ha potestà legislativa esclusiva, va senz’altro esclusa in materia di edilizia residenziale pubblica». Né potrebbe assumere rilievo la prevista necessità di un accordo tra Governo e Regioni: si tratterebbe, infatti, di un «accordo del tutto sui generis e puramente nominale», in quanto il suo contenuto sarebbe predeterminato dalle norme impugnate.

3.1. – Con atto depositato il 14 marzo 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, riservandosi di svolgere le proprie argomentazioni, «in attesa dell’eventuale “accordo tra Governo e Regioni” previsto dal comma 597». Il resistente chiede, comunque, la reiezione del ricorso proposto dalla Regione Valle d’Aosta.

4. – La Regione Piemonte ha promosso, con ricorso notificato il 24 febbraio 2006 e depositato il successivo 3 marzo (reg. ric. n. 35 del 2006), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge n. 266 del 2005 e, tra queste, dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost.

La ricorrente muove dal presupposto che la materia dell’edilizia residenziale pubblica rientri nella competenza legislativa regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., e ritiene, pertanto, illegittime le norme impugnate in quanto disporrebbero «per di più in modo assai dettagliato, in ambiti che spetta al legislatore regionale disciplinare nel modo più aderente alle situazioni economico-sociali e finanziarie e patrimoniali riscontrate localmente, regolando conseguentemente anche le corrispondenti attività gestionali degli enti interessati».

4.1. – Con atto depositato il 15 marzo 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, limitandosi a contestare genericamente l’ammissibilità e la fondatezza delle avverse censure e riservandosi di illustrare meglio le proprie difese.

5. – Infine, anche le Regioni Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno promosso, rispettivamente, con ricorso notificato il 27 febbraio 2006 e depositato il 3 marzo (reg. ric. n. 38 del 2006), con ricorso notificato il 27 febbraio 2006 e depositato il 3 marzo (reg. ric. n. 39 del 2006), e con ricorso notificato il 27 febbraio 2006 e depositato il 4 marzo (reg. ric. n. 41 del 2006), questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge n. 266 del 2005 e, tra queste, dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., svolgendo le medesime argomentazioni.

In particolare, le difese regionali ritengono che le norme impugnate forniscano una disciplina, «per di più dettagliata», di una materia di competenza regionale residuale. Mancherebbe, dunque, un titolo di competenza statale tale da escludere l’illegittimità delle suddette norme; né la lesione della competenza regionale verrebbe meno per il fatto che il decreto di cui al comma 597 deve essere emanato previo accordo tra Governo e Regioni.

Per la medesima ragione sarebbero illegittimi i principi «imposti dal comma 598 quali contenuti indefettibili dell’accordo».

Infine, la norma di cui alla lettera c) del comma 598 sarebbe illegittima per l’ulteriore ragione che pone un vincolo alla utilizzazione dei proventi delle alienazioni, «con evidente intromissione nelle determinazioni regionali circa l’uso delle risorse a disposizione».

5.1. – Con atti depositati, rispettivamente, il 16 marzo 2006, il 15 marzo 2006 e il 14 marzo 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito nei suddetti giudizi, sottolineando l’opportunità di attendere l’effettiva conclusione dell’accordo tra Governo e Regioni, cui risulta subordinata l’applicazione delle norme impugnate, e concludendo per la reiezione degli indicati ricorsi.

6. – In data 2 febbraio 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria integrativa nel giudizio promosso dalla Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 39 del 2006), con la quale eccepisce l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto i commi 599 e 600 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005. Infatti, tali norme attribuirebbero agli I.A.C.P., attuali proprietari degli alloggi, «alcune facoltà (cartolarizzazione, etc.), delle quali detti Istituti possono avvalersi o meno»; pertanto, a detta del resistente, non si comprenderebbe «perché mai detti commi ledano gli interessi e/o la competenza della Regione», né vi sarebbe, sul punto specifico, alcun argomentazione nel ricorso.

In merito ai commi 597 e 598, la difesa erariale reputa infondate le questioni di legittimità costituzionale, in quanto le norme impugnate inciderebbero su ambiti materiali estranei alle competenze regionali. Al riguardo, si precisa che i detti commi non disporrebbero «alcunché in materia di pianificazione urbanistica, in materia di lavori pubblici per la costruzione o manutenzione dei fabbricati, in materia di organizzazione amministrativa della gestione, e in materia di assegnazione degli alloggi».

Sempre in relazione ai commi 597 e 598, il resistente aggiunge che queste disposizioni «non impongono l’alienazione degli immobili, e in sostanza consentono di disciplinare solo il “prezzo di vendita” e l’anzidetto “diritto di opzione”», prevedendo, «per di più», il previo accordo cui si è accennato.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, inoltre, che non sia «corretto dimensionare l’ambito delle “funzioni” e delle competenze avendo riguardo esclusivamente agli “oggetti” dell’attività normativa (ed eventualmente anche amministrativa)», come, a suo dire, farebbe la Regione ricorrente, posto che «una stessa tipologia di “oggetti” può essere – e per solito è – considerata da una pluralità di funzioni e competenze, differenziate tra loro».

Pertanto, secondo la difesa erariale, il contenuto normativo dei censurati commi 597 e 598, ed in particolare delle lettere a) e b) di quest’ultimo, andrebbe ricondotto alla materia «ordinamento civile», riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale. Alla luce di quanto appena detto, sarebbe legittimo il ricorso ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dal comma 597.

Infine, la lettera c) del comma 598 conterrebbe una disposizione «persino superflua» nella parte in cui prevede la destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di nuovi alloggi. In ogni caso, destinatari di tale previsione sarebbero gli Istituti venditori e non le Regioni.

6.1. – In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie integrative nei giudizi promossi dalle Regioni Toscana (reg. ric. n. 28 del 2006), Veneto (reg. ric. n. 29 del 2006), Valle d’Aosta (reg. ric. n. 30 del 2006) e Piemonte (reg. ric. n. 35 del 2006), con le quali si limita a richiamare le argomentazioni svolte nella memoria citata poco sopra.

Con riferimento esclusivo al ricorso promosso dalla Regione Valle d’Aosta, la difesa erariale precisa che la questione, oltre ad essere infondata, sarebbe anche inammissibile, in quanto non sarebbe argomentata la ragione della mancata applicabilità alla ricorrente della clausola di salvaguardia di cui al comma 610 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005. D’altra parte, aggiunge il resistente, «un ricorso diretto a codesta Corte non può essere proposto solo per ottenere un chiarimento od una interpretazione».

7. – In prossimità dell’udienza, le Regioni Toscana, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno depositato memorie integrative con le quali insistono nelle conclusioni già formulate nei rispettivi ricorsi.

7.1. – In particolare, la Regione Veneto, dopo aver sinteticamente esaminato la giurisprudenza di questa Corte sul tema, sottolinea come la materia dell’edilizia residenziale pubblica, già prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, rientrasse nella competenza legislativa regionale.

Pertanto, la riforma costituzionale operata nel 2001, riconoscendo implicitamente (ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.) la competenza esclusiva residuale delle Regioni, non avrebbe fatto altro che «confermare questo risultato, implementando l’ambito di competenza regionale che ora deve ritenersi esteso a tutto quanto normalmente ricompreso nella materia dell’edilizia pubblica residenziale».

In merito all’asserita violazione dell’art. 119 Cost., la ricorrente evidenzia la natura degli Istituti autonomi per le case popolari, considerati enti strumentali della Regione, con la conseguenza che l’apposizione di vincoli alla disposizione del loro patrimonio immobiliare e all’utilizzo dei proventi che derivano dall’alienazione dello stesso condizionerebbe «sensibilmente lo spazio di autonomia che il legislatore costituzionale ha, invece, espressamente attribuito alla Regione».

7.2. – Le Regioni Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, nelle rispettive memorie, aggiungono che l’accordo, di cui ai commi 597 e 598, non solo non è stato raggiunto, «ma non sembra neppure che sia stato ricercato, non risultando a questo scopo pervenuta alla Regione alcuna richiesta, neppure di un semplice contatto preliminare».

Le ricorrenti concludono rilevando come, nel caso di specie, non possa operare l’attrazione di funzioni legislative a livello statale in conseguenza dell’assunzione di funzioni amministrative in via di sussidiarietà ai sensi dell’art. 118 Cost.

Considerato in diritto

1. – Con distinti ricorsi le Regioni Toscana, Veneto, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006).

Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nella legge n. 266 del 2005, vengono in esame in questa sede le questioni relative ai commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1.

Poiché tutte le ricorrenti censurano tali commi rispetto ai medesimi parametri, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi.

2. – Le norme di cui ai commi 597, 598, 599 e 600 sono impugnate, anzitutto, in quanto inciderebbero su una materia, l’edilizia residenziale pubblica, rimessa alla potestà piena delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione.

Sarebbe, inoltre, violato il sesto comma del medesimo art. 117, Cost. Infatti, la previsione, contenuta nel comma 597, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la semplificazione delle norme in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi case popolari, si porrebbe in contrasto con l’evocato parametro costituzionale, che autorizza l’esercizio della potestà regolamentare dello Stato nelle sole materie di competenza esclusiva di quest’ultimo.

La Regione Piemonte censura i commi 597, 598, 599 e 600 anche in riferimento agli artt. 118 e 119 Cost., in quanto essi disporrebbero, «per di più in modo assai dettagliato, in ambiti che spetta al legislatore regionale disciplinare nel modo più aderente alle situazioni economico-sociali e finanziarie e patrimoniali riscontrate localmente, regolando conseguentemente anche le corrispondenti attività gestionali degli enti interessati».

Infine, oggetto di specifica impugnazione è la norma di cui alla lettera c) del comma 598, la quale, ponendo vincoli alla alienazione del patrimonio immobiliare e all’utilizzo dei relativi proventi, violerebbe l’autonomia finanziaria regionale ex art. 119 Cost.

2.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce preliminarmente l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto i commi 599 e 600: tali norme, infatti, sarebbero prive di idoneità lesiva nei confronti delle competenze regionali.

Le norme di cui ai commi 597 e 598, invece, secondo la difesa erariale, non inciderebbero su materie di competenza regionale, essendo, piuttosto, riconducibili alla competenza piena dello Stato nella materia «ordinamento civile».

Infine, in merito alle censure aventi ad oggetto il disposto della lettera c) del comma 598, il resistente ritiene che si tratti di una previsione «persino superflua», nella parte in cui prevede la destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di nuovi alloggi. In ogni caso, destinatari di tale previsione sarebbero gli Istituti venditori e non le Regioni.

3. – Preliminarmente, occorre svolgere alcune considerazioni sull’applicabilità alle Regioni a statuto speciale ricorrenti del comma 610 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, secondo cui «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti». Al riguardo, va precisato che anche i ricorsi promossi dalle Regioni a statuto speciale evocano come parametri costituzionali violati le norme contenute nel Titolo V della Parte II della Costituzione, in quanto esse assicurerebbero forme di autonomia più ampie rispetto a quelle statutarie. Siffatta considerazione esclude che possa trovare applicazione nei confronti delle suddette Regioni speciali il comma 610 di cui sopra. A prescindere, infatti, dalla sua genericità, la citata clausola di salvaguardia delle autonomie speciali presuppone l’applicabilità delle norme statutarie, esclusa invece, nel caso in esame, dalle stesse ricorrenti.

4. – Le questioni sono fondate.

4.1. – Le norme impugnate riguardano la materia “edilizia residenziale pubblica”, non ricompresa nel secondo e nel terzo comma dell’art. 117 Cost. Tale rilievo non consente, però, di concludere puramente e semplicemente nel senso che tutti gli aspetti di tale complessa materia debbano essere ricondotti alla potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma del medesimo art. 117. Occorre premettere, infatti, alcune specifiche osservazioni tese a focalizzare i termini esatti della questione e ad operare le necessarie distinzioni.

4.2. – Questa Corte ha già avuto modo di precisare, prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, che «trattasi di materia essenzialmente composita, articolantesi in una triplice fase: la prima, avente carattere di presupposto rispetto alle altre, propriamente urbanistica; la seconda, di programmazione e realizzazione delle costruzioni, concettualmente riconducibile ai “lavori pubblici” […]; la terza, infine, attinente alla prestazione e gestione del servizio della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione od in proprietà, ecc.), limitatamente all’edilizia residenziale pubblica in senso stretto» (sentenza n. 221 del 1975).La ricostruzione sistematica di cui sopra è stata confermata e sviluppata dalla giurisprudenza successiva, che ha riconosciuto l’esistenza di una competenza legislativa regionale in materia di edilizia pubblica abitativa (sentenza n. 140 del 1976) ed ha poi specificato, a proposito della stessa, che «si verte in una materia attribuita in via generale alla competenza legislativa regionale» (sentenza n. 217 del 1988). Sempre con riferimento al quadro costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V, questa Corte ha statuito che «al di fuori della formulazione dei “criteri generali” da osservare nelle assegnazioni, è attribuita alle regioni la più ampia potestà legislativa nella materia, e quindi la disciplina attinente alle assegnazioni e alle successive vicende dei relativi rapporti» (sentenza n. 727 del 1988).Era nel frattempo intervenuto il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), che, negli artt. 87, 88, 93 e 94, prevedeva il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di edilizia residenziale pubblica, eccezion fatta per la programmazione nazionale, la previsione di programmi congiunturali di emergenza, nonché la determinazione dei criteri per le assegnazioni di alloggi e per la fissazione dei canoni. La competenza legislativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica era pertanto «riconducibile all’art. 117, comma primo, Cost.» e gli Istituti autonomi delle case popolari dovevano essere «considerati come enti regionali» (sentenza n. 1115 del 1988). Dalla competenza legislativa regionale concorrente (l’unica prevista dalla Costituzione per le Regioni ordinarie prima della riforma del Titolo V) si traeva la conclusione che alle Regioni fossero conferiti «ampi poteri di programmazione e di gestione degli interventi pubblici […] nonché l’organizzazione del servizio, da esercitare in conformità dei principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali» (sentenza n. 393 del 1992).

Per quanto riguarda, in particolare, l’alienazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica, questa Corte precisava che «la cessione degli alloggi […] è indissolubilmente connessa con l’assegnazione degli stessi» (sentenza n. 486 del 1992), ammettendosi soltanto una disciplina-quadro statale, che definisse i criteri fondamentali sulle modalità di alienazione degli alloggi stessi, sul presupposto che questi ultimi potessero essere realizzati con il contributo statale (sentenza n. 486 del 1995).L’approdo della lunga evoluzione giurisprudenziale, anteriore alla riforma del Titolo V e sopra sintetizzata, è stato raggiunto con l’affermazione secondo cui «si è parlato di plena cognitio delle regioni, sia amministrativa sia (per il parallelismo delle funzioni) legislativa, in materia di edilizia residenziale pubblica, cosicché potrebbe ritenersi ormai formata, nell’evoluzione dell’ordinamento, una “nuova” materia di competenza regionale al di là della ricostruzione iniziale operata con la sentenza n. 221 del 1975 – l’edilizia residenziale pubblica appunto – avente una sua consistenza indipendentemente dal riferimento all’urbanistica e ai lavori pubblici» (sentenza n. 27 del 1996). 4.3. – Dopo la riforma del Titolo V, il quadro sistematico non è cambiato, nel senso che la consistenza della materia non ha subito variazioni dipendenti da una nuova classificazione costituzionale o da una diversa sistematizzazione legislativa di principio.

La “nuova materia” – la cui formazione era stata rilevata da questa Corte prima della riforma costituzionale – continua ad esistere come corpus normativo. Sono cambiati, invece, alcuni termini di riferimento, sui quali conviene fermare l’attenzione.

Come già detto, una specifica materia “edilizia residenziale pubblica” non compare tra quelle elencate nel secondo e nel terzo comma dell’art. 117 Cost. Poiché resta valido quanto da questa Corte rilevato nella sentenza n. 27 del 1996, e cioè l’esistenza di un ambito materiale che si identifica nella programmazione, costruzione e gestione di alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative dei ceti sociali meno abbienti, è inevitabile che venga rilevata la perdurante attualità della tripartizione operata con la citata sentenza n. 221 del 1975. Tale tripartizione implica, nell’attuale quadro costituzionale, che la “nuova” materia possiede quel carattere di “trasversalità” individuato dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito di altre materie non interamente classificabili all’interno di una denominazione contenuta nell’art. 117 Cost. Il superamento dell’originaria tripartizione era stato possibile perché il primo comma dell’art. 117 Cost., ante riforma, configurava una competenza legislativa concorrente delle Regioni ordinarie, in assenza sia di una competenza esclusiva delle stesse sia, come sarà meglio precisato più avanti, di una competenza esclusiva dello Stato in materia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. In altre parole, nel sistema anteriore alla riforma del 2001, alla «plena cognitio» regionale della materia in questione poteva corrispondere, al massimo, una potestà legislativa concorrente, mentre lo Stato poteva assolvere la sua funzione di supremo regolatore delle prestazioni attuative dei diritti sociali con lo strumento dei principi fondamentali della materia.

Da quanto sinora detto deriva l’ulteriore conclusione che oggi – dopo il mutamento della sistematica costituzionale sul riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni – la materia dell’edilizia residenziale pubblica si estende su tre livelli normativi. Il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. – si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia «governo del territorio», ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come precisato di recente da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale.

5. – L’esame delle norme impugnate deve essere condotto nell’ambito del quadro sistematico prima delineato, risultante dalla Costituzione, dopo la riforma del Titolo V della Parte II, e dalla legislazione statale e regionale in materia.

5.1. – Il comma 597 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006 si pone l’obiettivo «della valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati». Tale valorizzazione deve essere ottenuta, a tenore del comma impugnato, mediante la semplificazione delle procedure in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti medesimi. La specificazione delle modalità di semplificazione è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi nel termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge finanziaria.

Il fine della disposizione in esame non è quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di competenza dello Stato, secondo quanto prima argomentato con riferimento alla sentenza di questa Corte n. 486 del 1995, bensì quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione degli immobili. Si tratta quindi di un intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprietà degli I.A.C.P. (o di altri enti o strutture sostitutivi di questi), che esplicitamente viene motivato dalla legge statale con finalità di valorizzazione di un patrimonio immobiliare non appartenente allo Stato, ma ad enti strumentali delle Regioni. Si profila, pertanto, una ingerenza nel terzo livello di normazione riguardante l’edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. Di conseguenza – come rilevato in uno dei ricorsi – la fonte regolamentare, destinata dalla disposizione impugnata a disciplinare le procedure di alienazione degli immobili, è stata prevista in una materia non di competenza esclusiva dello Stato, in violazione del sesto comma del medesimo art. 117.

5.2. – Il comma 598 è una logica conseguenza del comma precedente, giacché fissa alcuni obiettivi al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi successivamente e si riferisce ad un «accordo» tra Stato e Regioni, che deve precedere l’emanazione del suddetto regolamento. Non si tratta pertanto di principi generali volti a stabilire criteri uniformi di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in relazione alla soddisfazione del diritto sociale all’abitazione, ma di indirizzi e limiti volti a circoscrivere l’esercizio della potestà regolamentare del Governo in un campo nel quale la stessa non può essere esercitata ratione materiae. Né varrebbe richiamare il principio di leale collaborazione, giacché, nella specie, si versa in ambito materiale riservato esclusivamente alle Regioni: non vengono in rilevo, infatti, profili programmatori o progettuali idonei ad avere un qualsiasi impatto con il territorio.

Non è, d’altra parte, condivisibile l’assunto dell’Avvocatura dello Stato, che fa rientrare la norma impugnata nella materia «ordinamento civile», poiché si tratta di criteri destinati ad incidere sulle procedure amministrative inerenti all’alienazione degli immobili di proprietà di enti regionali e non già a regolare rapporti giuridici di natura privatistica. La competenza regionale in materia è stata già riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (si veda, ad esempio, la sentenza n. 486 del 1995) e non v’è spazio, pertanto, per una normativa statale che si sostituisca o si sovrapponga a quella delle Regioni, tuttora in vigore. Se l’alienazione degli alloggi deve essere considerata, come s’è visto, «indissolubilmente connessa con l’assegnazione degli stessi» (sentenza n. 486 del 1992), e se la «disciplina organica dell’assegnazione e cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica […] costituisce, in linea di principio, espressione della competenza spettante alla Regione in questa materia» (ordinanza n. 104 del 2004), la disciplina delle procedure amministrative tendenti all’alienazione non rientra nell’ordinamento civile, ma deve essere ricondotta al potere di gestione dei propri beni e del proprio patrimonio, appartenente in via esclusiva alle Regioni ed ai loro enti strumentali.

5.3. – Il comma 599 prevede che le norme statali sulla cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, dettate dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 23 novembre 2001, n. 410, si applicano agli I.A.C.P. che ne facciano richiesta tramite le Regioni.

A tal proposito, si deve mettere in rilievo che la facoltà delle Regioni di avvalersi della suddetta normativa statale è prevista dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge prima citato. L’attribuzione della medesima facoltà anche ad enti strumentali della Regione o è priva di autonomo contenuto normativo o assegna loro la possibilità di esercitare la facoltà in parola anche contro, in ipotesi, il volere della Regione di riferimento, la quale diventerebbe, pertanto, un mero tramite burocratico per l’esercizio di un potere direttamente attribuito dallo Stato a tali enti, con evidente lesione della sfera di competenza costituzionalmente garantita delle Regioni.

5.4. – Analoghe considerazioni valgono per il comma 600, che conferisce direttamente agli enti proprietari la facoltà di rivolgersi a società specializzate per il censimento, la regolarizzazione e la vendita dei singoli beni immobili. Vengono in tal modo scavalcate le possibili scelte gestionali della Regione, i cui enti strumentali potrebbero invocare un titolo giuridico autonomo che li autorizzi ad agire in contrasto con le linee direttive regionali.

6. – Dalle considerazioni che precedono discende l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, per violazione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost. Restano assorbiti tutti gli altri profili di illegittimità costituzionale prospettati dalle Regioni ricorrenti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), dalle Regioni Toscana, Veneto, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dei commi 597, 598, 599 e 600 dell’art. 1 della stessa legge n. 266 del 2005.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2007.