SENTENZA N. 451
ANNO 2005
Commento alla decisione
di
Antonino Masaracchia
(per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione
Italiana dei Costituzionalisti)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni
Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria
Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato, sorti a seguito di due ordinanze
del 5 giugno 2000 e del 1° ottobre 2001, nonché della sentenza del 22 novembre 2003, n. 11069, emesse dal
Tribunale di Milano, prima sezione penale, e di tre ordinanze del 14 luglio
2000, del 9 ottobre 2000, del 21 novembre 2001, nonché della sentenza del 29
aprile 2003, n. 4688, emesse dal Tribunale di Milano, quarta sezione penale,
promossi dalla Camera dei deputati con ricorsi notificati il 18 maggio 2005,
depositati in cancelleria il 1° giugno 2005 ed iscritti ai numeri 22 e 23 del
registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.
Visti gli atti di costituzione del Senato
della Repubblica nonché gli atti di intervento del deputato Cesare Previti;
uditi nell’udienza pubblica del 29
novembre 2005 i Giudici relatori Franco Bile e Francesco Amirante;
uditi gli avvocati Roberto Nania per la Camera dei deputati e Stefano Grassi per il
Senato della Repubblica.
Ritenuto in fatto
1.1.– Con ricorso depositato l’11
gennaio 2005, la Camera dei deputati ha proposto conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Milano, prima sezione penale,
in ragione e per l’annullamento: a) dell’ordinanza emessa in data 5 giugno
2000, nell’ambito del procedimento penale R.G. 879/00 nei confronti del
deputato Cesare Previti, con la quale sono state respinte le eccezioni relative
al dedotto impegno parlamentare dell’imputato concomitante con l’udienza del 20
settembre 1999, ed è stato altresì disposto doversi procedere oltre nel
dibattimento; b) dell’ordinanza emessa in data 1° ottobre 2001, nell’ambito del
medesimo procedimento penale, con la quale, relativamente allo stesso
impedimento del predetto imputato, sono state respinte le eccezioni difensive
in ordine alla nullità degli atti processuali, tra cui il decreto che ha
disposto il giudizio, ed è stato deciso doversi procedere oltre nel dibattimento;
c) della sentenza pronunciata il 22 novembre 2003, n. 11069, sempre nell’ambito dello stesso procedimento penale, nei confronti del deputato Cesare Previti,
con la quale è stato implicitamente ribadito, ma senza alcuna motivazione,
quanto stabilito nelle ordinanze del 5 giugno 2000 e del 1° ottobre 2001.
La Camera dei deputati ricorrente chiede che la Corte
dichiari «che non spetta all’autorità giudiziaria, e per essa al Tribunale di
Milano, sezione prima penale, disconoscere nella specie, negandogli validità,
l’impedimento del deputato a partecipare all’udienza penale per concomitanti
impegni parlamentari, così come non le spetta affermare che l’impedimento non
opera non consistendo i lavori parlamentari di cui si tratta in votazioni o che
l’impedimento non sia stato provato o che comunque il suo mancato
riconoscimento sia rimasto "innocuo”; e che pertanto non le spetta impedire che
il contemperamento tra esigenze del processo ed esigenze del mandato
parlamentare venga realizzato in concreto a seguito della declaratoria di
nullità degli atti compiuti in udienza nonché del decreto che dispone il
giudizio»; e che, conseguentemente, la Corte annulli gli atti impugnati.
1.2. – In fatto, la Camera dei
deputati così ricostruisce le vicende processuali in questione.
Con cinque ordinanze,
rispettivamente, in data 17 settembre, 20 settembre, 22 settembre, 5 ottobre e
6 ottobre 1999, adottate nell’ambito di due diversi procedimenti penali, il GUP
del Tribunale di Milano respingeva le rispettive istanze di rinvio dell’udienza
– motivate dalla concomitanza di impegni parlamentari – avanzate dal deputato
Cesare Previti, che in quei procedimenti era imputato. Avverso tali ordinanze,
la Camera dei deputati sollevava conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato, che veniva deciso, in data 6 luglio 2001, con la sentenza n. 225 del
2001, con la quale la Corte costituzionale annullava le ordinanze emesse
dal GUP, stabilendo che a questo «non spettava […], nell’apprezzare i caratteri
e la rilevanza degli impedimenti addotti dalla difesa dell’imputato per
chiedere il rinvio dell’udienza, affermare che l’interesse della Camera dei
deputati allo svolgimento delle attività parlamentari, e quindi all’esercizio
dei diritti-doveri inerenti alla funzione parlamentare, dovesse essere
sacrificato all’interesse relativo alla speditezza del procedimento
giudiziario».
Nelle more della decisione della
Corte, la prima sezione penale del Tribunale di Milano, cui nel frattempo era
stato assegnato uno dei due procedimenti originariamente incardinati presso il
GUP (R.G. 879/00), con la prima delle ordinanze ora impugnate (datata 5 giugno
2000) si era pronunciata sul legittimo impedimento del deputato Cesare Previti
a partecipare all’udienza tenutasi innanzi al GUP in data 20 settembre 1999,
asserendo che detto impedimento non poteva riconoscersi poiché «concerneva non
la partecipazione a votazioni in assemblea, ma ad altri lavori parlamentari».
Successivamente, la medesima sezione
del Tribunale di Milano, a seguito della menzionata sentenza di questa Corte n. 225 del
2001, con la seconda delle ordinanze attualmente impugnate (del 1° ottobre
2001) aveva dichiarato di prendere atto dell’annullamento della ordinanza del
GUP del 20 settembre 1999, ammettendo esplicitamente che la stessa doveva
considerarsi tamquam non esset. Ciò nonostante, aveva disposto doversi
procedere oltre nel dibattimento, rilevando «la legittimità del mancato rinvio
dell’udienza del 20 settembre 1999», e deducendo – oltre alle considerazioni in
merito alla natura dei lavori parlamentari in data 20 settembre 1999 – anche
che la nullità delle attività dibattimentali a causa del disconoscimento
dell’impedimento parlamentare, era comunque «rimasta "innocua”» e che
«l’allegazione dell’impedimento [era] stata manchevole ed assolutamente
inidonea a consentire al giudice quella valutazione di contemperamento di
esigenze che la Corte costituzionale ha ammonito dover costituire oggetto
necessario della valutazione del giudice».
I medesimi postulati venivano
implicitamente fatti propri, senza alcuna motivazione, anche dalla impugnata
sentenza in data 22 novembre 2003, conclusiva del procedimento di primo grado.
1.3. – Affermata – sulla base della
consolidata giurisprudenza costituzionale – la propria legittimazione attiva a
proporre conflitto di attribuzione e la legittimazione passiva del Tribunale di
Milano, nonché la sussistenza dei requisiti oggettivi, configurabili quando –
sia sotto forma di vindicatio potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione
o da interferenza – si controverta in ordine alla
delimitazione della sfera delle attribuzioni di cui sono titolari i poteri
della Stato, la ricorrente sottolinea anche il suo interesse specifico a
proporre il presente conflitto in ragione del contenuto degli atti impugnati.
Richiamate, infatti, le
argomentazioni e la ratio decidendi della sentenza n. 225 del
2001, osserva nel merito la Camera che, nelle ordinanze de quibus e nella sentenza, il Tribunale – disattendendo i
precisati canoni di comportamento, derivanti dalla parità di rango costituzionale
degli interessi confliggenti – si è sottratto in
concreto all’obbligo di ponderare e bilanciare le esigenze processuali con
quelle della integrità funzionale del Parlamento in modo da renderne possibile
la coesistenza e da assicurare così il sereno esercizio da parte del deputato
dei diritti-doveri inerenti alla funzione, accampando mere ragioni di ordine
probatorio sulla attestazione dell’impedimento ed elaborando la non conosciuta
categoria della "innocuità” della illegittimità compiuta dal giudice.
Secondo la ricorrente, così facendo,
il Tribunale di Milano ha sacrificato, persino più radicalmente di quanto non
fosse avvenuto in precedenza, le sue attribuzioni, compromettendo: a) la
libertà di espletamento del mandato parlamentare, garantita dagli artt. 67 e 68
della Costituzione; b) la posizione di autonomia della Camera, in violazione
degli artt. 64, 68 e 72 Cost. e delle ulteriori disposizioni costituzionali che
vi si correlano; c) il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in uno
col principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato; d) il giudicato
costituzionale (ex artt. 134, secondo comma, e 137, terzo comma, Cost.),
leso, quest’ultimo, solo dall’ordinanza del 1° ottobre 2001 e dalla sentenza
del 22 novembre 2003, successive alla sentenza n. 225 del
2001.
1.4. – Ferma restando la suddetta
assorbente censura, la Camera ricorrente denuncia, in termini più specifici, la
portata lesiva delle proprie prerogative derivante: 1) dall’affermazione della
irrilevanza del dedotto impedimento, in quanto concernente «non la
partecipazione a votazioni in assemblea, ma ad altri lavori parlamentari»,
trattandosi di assunto contraddetto dalla citata sentenza n. 225 del
2001, che ha sottolineato, ai fini dell’attivazione del legittimo
impedimento, la parità tra le attività che si svolgono in Parlamento, le quali
risultano tutte strettamente correlate al ruolo che la Camera è chiamata ad
assolvere nel sistema costituzionale, con particolare riguardo agli artt. 70 e
94 Cost.; 2) dalla argomentazione (svolta nell’ordinanza del 1° ottobre 2001 e
implicitamente fatta propria dalla sentenza) secondo cui la nullità determinatasi
a seguito della pronunzia della Corte costituzionale sarebbe "innocua” (posto
che nell’udienza cui il deputato in questione non prese parte «fu svolta
unicamente una mera attività interlocutoria» e non fu adottato alcun
provvedimento se non quello di rinvio ad una successiva udienza), giacché - a
prescindere dalla inesattezza di tale assunto - non è immaginabile che il
canone della coesistenza tra attività giudiziaria e attività parlamentare non
sia governato dalla razionalità costituzionale, sebbene dal puro caso; 3)
dall’affermazione (anch’essa svolta nell’ordinanza del 1° ottobre 2001 e
implicitamente fatta propria dalla sentenza) secondo la quale l’allegazione
dell’impedimento, non contenendo i dati e la documentazione necessaria ad attestare
l’attualità dell’impedimento stesso, sarebbe stata «manchevole ed assolutamente
inidonea a consentire al giudice quella valutazione di contemperamento di
esigenze» imposta dalla sentenza n. 225 del
2001, giacché tale documentazione era costituita dalla convocazione da
parte del capogruppo e non è sostenibile che i rapporti tra deputato e gruppo,
aventi ad oggetto l’attività parlamentare cui i gruppi sono chiamati a
concorrere, si possano relegare in una dimensione informale o privata,
disconoscendosi, in tal modo, la loro appartenenza all’ordinamento
parlamentare; 4) dalla notazione, «dedotta in via allusiva», riguardante la
possibilità per il deputato di essere presente nel corso della stessa giornata
nella sede parlamentare ed in quella giudiziaria, pur trattandosi di città
diverse e lontane, in quanto simile argomento è già stato reputato come
"improbabile” da questa Corte (sentenza n. 284 del
2004), posto che il principio di coesistenza tra le due attività in gioco,
quella parlamentare e quella processuale, deve riposare su di una base certa,
qual è appunto quella della
compatibile organizzazione dei tempi processuali indicata dalla giurisprudenza
costituzionale; 5) infine, dalla mancata collaborazione informativa
opposta dal Tribunale nel caso specifico, quasi che i criteri fissati dalla
Corte costituzionale debbano valere soltanto pro futuro e come se, per
la lesione in precedenza prodottasi a carico delle attribuzioni di rango
costituzionale della Camera, altre regole, opposte al canone della leale
collaborazione, possano sanzionare la irretrattabilità
della lesione.
2.1. – Con ordinanza n. 185
del 2005, questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto, estendendo
la notifica del ricorso e dell’ordinanza stessa, oltre che al Tribunale di
Milano, prima sezione penale, anche al Senato della Repubblica, stante
l’identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in
relazione alle questioni di principio da trattare.
2.2. – La Camera dei deputati ha
provveduto ad effettuare le prescritte notifiche e a depositare tempestivamente
gli atti con la prova delle avvenute notifiche presso la cancelleria di questa
Corte.
3. – Degli organi destinatari delle
suddette notifiche si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica
chiedendo che «questa Corte voglia riconoscere la fondatezza dei principi
affermati nel ricorso della Camera dei deputati, in particolare del principio
di leale collaborazione fra i poteri titolari della funzione giurisdizionale e
i poteri titolari della funzione parlamentare, nelle ipotesi in cui la presenza
fisica di un singolo parlamentare sia necessaria al corretto esercizio di
entrambe le funzioni e, conseguentemente, voglia accogliere il ricorso».
Il Senato ha, in particolare, posto
l’accento sulla necessità di valutare, ai fini dell’impedimento alla
partecipazione di un parlamentare alle udienze penali, il diritto-dovere dello
stesso parlamentare di assolvere al proprio mandato partecipando alle sedute
del ramo del Parlamento di cui è membro, secondo i principi affermati da questa
Corte nella sentenza
n. 225 del 2001, poi ribaditi nelle sentenze n. 263 del
2003 e n.
284 del 2004.
4.1. – E’ intervenuto in giudizio il
deputato Cesare Previti chiedendo a questa Corte una dichiarazione di
«inottemperanza del Tribunale di Milano alla sentenza n. 225 del
2001» e, in subordine, che «venga ribadito che non spetta al giudice
privilegiare l’esigenza di speditezza processuale su quella della funzionalità
del Parlamento», con conseguente annullamento, in ogni caso, di tutti gli atti
oggetto del conflitto.
4.2. – Affermata la propria
legittimazione ad intervenire nel presente conflitto (conformemente ai principi
desumibili dagli artt. 26, comma 4, e 4 delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, oltre che dagli artt. 24 e 111 Cost. e 6
della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali),
nel merito il deputato Previti deduce che – diversamente da quanto sostenuto
dal Tribunale di Milano – l’annullamento delle ordinanze da parte di questa
Corte «riguarda non soltanto il GUP che le ha adottate, ma il Giudice del
processo in cui il conflitto è sorto» e, cioè, anche il Tribunale davanti al
quale il processo è proseguito. Pertanto, gli atti procedimentali annullati non
possono più essere rimessi in discussione, poiché altrimenti si realizzerebbe
una sostanziale inottemperanza alla decisione della Corte.
Per il resto l’interveniente fa
integralmente proprie le deduzioni della Camera aggiungendo soltanto che
l’affermazione del Tribunale di Milano in merito alla pretesa violazione, da
parte dell’imputato, dell’onere probatorio relativo all’impedimento
parlamentare sarebbe, oltre che infondata, basata su un principio
inammissibile, in quanto «nell’ambito dei conflitti tra poteri il principio di
collaborazione che deve informare il reciproco rapporto esclude […] che uno dei
poteri possa esimersi dall’obbligo collaborativo trincerandosi dietro il
mancato assolvimento di oneri che gravano su altri soggetti diversi dai
poteri».
5.1. – Con altro ricorso depositato
sempre l’11 gennaio 2005, la Camera dei deputati ha sollevato conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Milano,
quarta sezione penale, in ragione e per l’annullamento delle ordinanze in data
14 luglio 2000, 9 ottobre 2000, 21 novembre 2001 e della sentenza in data 29
aprile - 5 agosto 2003, n. 4688/03, rispettivamente emesse nel corso e in
conclusione dei procedimenti penali riuniti R.G. n. 1600/00 e n. 7928/01, a
carico, tra gli altri, del deputato Cesare Previti.
Nelle menzionate ordinanze sono state
respinte le eccezioni avanzate dalla difesa del deputato di nullità – in
ragione dell’impedimento del parlamentare a partecipare alle udienze del 17 e
22 settembre 1999, 5 e 6 ottobre 1999 – dei relativi atti nonché del decreto
che dispone il giudizio. Nella sentenza sono state richiamate e ribadite, in
sede di esame delle questioni processuali, le determinazioni contenute nelle
impugnate ordinanze.
In particolare: a) nell’ordinanza in
data 14 luglio 2000 il Tribunale ha escluso che l’impedimento dedotto potesse
considerarsi ritualmente provato, ritenendo che gli avvisi di convocazione a
firma del capogruppo parlamentare del partito Forza Italia (di appartenenza del
deputato Previti), depositati nell’ambito dell’udienze in argomento, non
fossero documenti idonei a comprovare la sussistenza e la effettività
dell’impedimento dell’imputato in relazione alle sedute della Camera
concomitanti con le udienze. Il Tribunale ha, inoltre, aggiunto che, in base al
testo dell’art. 420 del codice di procedura penale vigente all’epoca dello
svolgimento delle udienze di cui si tratta, al legittimo impedimento veniva
attribuita rilevanza solo ai fini delle prima udienza di costituzione delle
parti e non per le udienze successive, quali sono quelle in argomento; b) nella
ordinanza del 9 ottobre del 2000, il Tribunale – pur dando atto che all’udienza
del 13 novembre 1999 era stata depositata la documentazione ufficiale della
Camera dei deputati dalla quale risultava la presenza in aula del deputato
Previti nei giorni considerati – riteneva tardiva la suddetta allegazione e
confermava le conclusioni raggiunte nel proprio precedente provvedimento di cui
riproduceva le argomentazioni; c) nell’ordinanza
del 21 novembre 2001 lo stesso Tribunale – preso atto dell’annullamento delle
ordinanze in data 17 settembre, 20 settembre, 22 settembre, 5 ottobre e 6
ottobre 1999 emesse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Milano, in funzione di Giudice dell’udienza preliminare, disposto da questa
Corte con la sentenza
n. 225 del 2001 – disponeva che dovesse ugualmente procedersi
oltre nel dibattimento, sul presupposto che l’annullamento delle suddette
ordinanze non potesse riverberarsi sul decreto di rinvio a giudizio e sugli
altri atti del dibattimento, in quanto doveva ritenersi che, per motivi diversi
da quelli censurati da questa Corte, il GUP avesse comunque proceduto
legittimamente in assenza dell’imputato, il cui diritto di difesa non era stato
violato; d) nella sentenza n. 4688 del 2003, il Tribunale, come si è detto,
richiamava e ribadiva le medesime argomentazioni.
La ricorrente chiede che questa Corte
dichiari che non spetta all’autorità giudiziaria e, per essa, al Tribunale di
Milano, quarta sezione penale: a) «disconoscere nella specie, negandogli
validità, l’impedimento del deputato a partecipare alle udienze penali per
concomitanti impegni parlamentari»; b) «affermare che l’impedimento stesso non
sia stato provato o lo sia stato tardivamente»; c) «impedire che il
contemperamento tra esigenze del processo ed esigenze dell’attività
parlamentare venga realizzato in concreto a seguito della declaratoria di
nullità degli atti compiuti in tali udienze nonché del decreto che dispone il
giudizio». Conseguentemente la Camera richiede che questa Corte annulli gli
atti processuali che hanno dato origine al presente conflitto.
5.2. – Quanto all’ammissibilità del
conflitto, la ricorrente, dopo aver affermato la propria legittimazione attiva
e quella passiva del Tribunale di Milano, quarta sezione penale, osserva che
nessun dubbio può nutrirsi neppure in merito alla sussistenza dei requisiti
oggettivi del conflitto di attribuzione, posto che questa Corte è chiamata a stabilire
se, mediante i provvedimenti giurisdizionali in argomento, si sia
illegittimamente inciso sulle attribuzioni della Camera, con particolare
riferimento alle disposizioni costituzionali poste a tutela della indipendenza,
autonomia e integrità della stessa nonché di quelle che presidiano il libero
esercizio del mandato rappresentativo. Per quel che riguarda l’interesse a
ricorrere, la Camera sottolinea che, negli atti di cui si tratta, è stato del
tutto omesso – o comunque è stato effettuato con esito irragionevole e
inadeguato – il bilanciamento, allo scopo di renderle compatibili, tra le
esigenze del processo e quelle connesse all’attività parlamentare, oltretutto
dopo che tale tipo di bilanciamento era stato espressamente prescritto da
questa Corte nella sentenza n. 225 del
2001, nella quale si è posto l’accento anche sulla pubblicità degli atti e
dei lavori parlamentari e sulla conseguente praticabilità del relativo riscontro,
se del caso, da parte dello stesso giudice procedente, onde scongiurare la
concomitanza delle udienze penali con i lavori parlamentari.
Altrettanto chiaro sarebbe
l’interesse della ricorrente a vedere stigmatizzata l’affermazione, reiterata
nei provvedimenti stessi, sulla inidoneità della prova dell’impedimento addotta
dal deputato Previti in quanto tale affermazione sarebbe lesiva sia della
posizione del deputato sia di quella della Camera nel suo complesso, oltre a
violare il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato.
5.3. – Quanto al merito, la Camera
sostiene che i provvedimenti da cui è sorto il presente conflitto incorrono nei
medesimi vizi ravvisati da questa Corte nella citata sentenza n. 225 del
2001 e nelle successive sentenze n. 263 del
2003 e n.
284 del 2004, dalle quali si desume il principio secondo cui l’obbligo,
imposto dal sistema costituzionale delle attribuzioni, della ponderazione tra
esigenze processuali ed esigenze della funzione parlamentare, a fronte
dell’allegazione del relativo impedimento da parte del parlamentare sottoposto
a procedimento penale, è immanente in ogni attività del giudice. Questi,
pertanto – a meno che contesti, in ipotesi, la stessa veridicità della
allegazione – non vi si può sottrarre facendo semplicemente riferimento a
ragioni di ordine probatorio.
Per quel che riguarda,
specificamente, gli effetti della citata sentenza n. 225
del 2001 rispetto all’attuale conflitto, la Camera – dopo aver rilevato che
le due ordinanze del 14 luglio e del 9 ottobre 2000 dovrebbero considerarsi
automaticamente travolte da tale sentenza «in virtù del petitum
di cui al ricorso introduttivo» – osserva che, per l’ordinanza del 21
novembre 2001 e per la sentenza n. 4688 del 2003 (successive alla suddetta
pronuncia), si pone l’ulteriore vizio della violazione del giudicato
costituzionale che non può non ridondare in lesione delle attribuzioni della
Camera, da quel medesimo giudicato riconosciute in base agli stessi principi e
disposizioni costituzionali che fanno da sfondo al presente conflitto. Ed
altrettanto lesiva, con riferimento a tutti gli atti attualmente in
contestazione, si appalesa l’affermazione secondo la quale l’impedimento
parlamentare, in base alle norme processuali da applicare nella specie, avrebbe
potuto assumere rilievo solo in riferimento alla prima udienza di costituzione
delle parti e non con riguardo alle udienze successive, quali sono quelle di
cui si controverte.
Pertanto, la ricorrente ritiene che
il Tribunale di Milano, quarta sezione penale, nel fare applicazione delle
regole processuali in modo tale da non consentire una equilibrata realizzazione
della necessaria coesistenza tra processo e attività parlamentare, abbia
sacrificato, persino più radicalmente di quanto non fosse avvenuto in
precedenza ad opera del GUP, le attribuzioni della Camera, compromettendo la
libertà di espletamento del mandato parlamentare (garantita dagli artt. 67 e 68
Cost.), violando gli artt. 64, 68 e 72 Cost. e le ulteriori disposizioni
costituzionali ad esse correlate su cui si fonda la posizione di autonomia
della Camera, non rispettando, altresì, né l’art. 3 Cost. con il canone di
ragionevolezza da esso consacrato né il principio di leale collaborazione tra
poteri dello Stato più volte richiamato da questa Corte (v. sentenze n. 231 del
1975, n. 379
del 1992 e n.
403 del 1994).
5.4. – Ferma restando la suddetta
assorbente censura, la Camera sviluppa ulteriori argomenti critici in merito
all’affermazione, contenuta negli atti di cui si tratta, sul carattere
«informale» e quindi inidoneo a fornire la prova del legittimo impedimento
degli avvisi di convocazione a firma del capogruppo parlamentare di Forza
Italia.
Al riguardo la ricorrente – dopo aver
precisato che, per quanto attiene all’udienza del 17 settembre 1999 (presa in
considerazione, in aggiunta delle altre, dalla sola ordinanza del 21 novembre
2001), pur non trattandosi di impegno per votazione, comunque è stata
depositata unitamente alla comunicazione del capogruppo anche la conforme
documentazione della Camera relativa al calendario dei lavori per il periodo
tra il 14 settembre ed il 1° ottobre 1999 – sottolinea che è inimmaginabile che
possa disconoscersi l’appartenenza all’ordinamento parlamentare dei rapporti
tra deputato e gruppo aventi ad oggetto l’attività parlamentare e quindi negarsi
il carattere di atti parlamentari anche delle informative del capogruppo e la
relativa idoneità probatoria a comprovare l’impedimento.
Conseguentemente, la Camera si
sofferma a contestare l’assunto del Tribunale – ritenuto in contrasto con gli
artt. 54, 64, 68 e 72 Cost. – secondo il quale la prova dell’effettiva
partecipazione del deputato allo svolgimento dei lavori parlamentari avrebbe
dovuto essere fornita attraverso il tempestivo deposito dell’ordine del giorno
ufficiale della Camera, indicante gli orari delle votazioni, accompagnato da
una certificazione idonea ad attestare l’effettiva presenza dell’imputato in
aula al fine di esercitare il diritto di voto. Tale affermazione, infatti,
sarebbe il frutto di una inadeguata e irragionevole ponderazione del rapporto
tra esigenze processuali ed esigenze dell’attività parlamentare in quanto, non
essendo previste procedure per verificare la presenza in aula dei singoli
deputati all’inizio o nel corso delle sedute, il deputato può fornire la
relativa documentazione solo ex post tramite i resoconti stenografici
(come, nella specie, è stato fatto con l’allegazione del resoconto della seduta
dell’aula n.
6.1. – La Corte, con ordinanza n. 186
del 2005, ha dichiarato ammissibile il conflitto estendendo la notifica del
ricorso e dell’ordinanza stessa, oltre che al Tribunale di Milano, quarta
sezione penale, anche al Senato della Repubblica, stante l’identità della
posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in relazione alle
questioni di principio da trattare.
6.2. – La Camera dei deputati ha
provveduto ad effettuare le prescritte notifiche e a depositare tempestivamente
gli atti con la prova delle avvenute notifiche presso la cancelleria di questa
Corte.
7. – Degli organi destinatari delle
suddette notifiche si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica
svolgendo motivazioni e formulando conclusioni identiche a quelle contenute
nella memoria di costituzione depositata nel giudizio per conflitto di
attribuzione promosso dalla Camera dei deputati con ricorso iscritto al n. 22
del registro confitti 2005.
8. – E’ intervenuto il deputato
Cesare Previti con una memoria anch’essa di contenuto identico a quello
dell’atto di intervento nel giudizio per conflitto di attribuzione promosso
dalla Camera dei deputati con ricorso iscritto al n. 22 del registro conflitti
2005.
9. – Nell’imminenza dell’udienza, la
Camera dei deputati ha depositato, in entrambi i giudizi, memorie illustrative
in cui ribadisce le argomentazioni svolte nei ricorsi ed insiste per
l’accoglimento dei conflitti.
10.1. – Anche il Senato della
Repubblica ha depositato ampie memorie illustrative, concludendo anch’esso per
l’accoglimento dei ricorsi.
Confermata la sussistenza dei
presupposti oggettivi e soggettivi di ammissibilità dei conflitti, il Senato
richiama quei principi fondamentali già invocati, a tutela dell'autonomia del Parlamento
e dei corretti rapporti tra i poteri dello Stato, nel precedente giudizio
concluso dalla sentenza
n. 225 del 2001, che, in estrema sintesi esso individua: a) nel principio
di autonomia parlamentare, in relazione alla capacità delle singole Camere di
regolare i meccanismi di formazione della loro volontà, organizzando i tempi
dei lavori e fissando i presupposti per il regolare svolgimento delle sedute,
senza interferenze derivanti dall'esercizio di attribuzioni costituzionali di
altri organi; b) nel principio di autonomia di ciascuna Camera, in relazione
alle lesioni o ai condizionamenti subiti dai singoli parlamentari che ne fanno
parte, con particolare riferimento al diritto-dovere del parlamentare di
partecipare alle sedute, consentendo la formazione dei quorum
strutturali e funzionali richiesti per la validità delle deliberazioni; c) nel
principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato, come metodo di
perfezionamento del tessuto costituzionale, capace di garantire 1'effettiva
valorizzazione delle attribuzioni costituzionali affidate alle Camere e delle
attribuzioni costituzionali affidate agli organi giurisdizionali.
10.2. – Sulla scorta di tali
principi, il Senato – con riferimento al conflitto proposto nei confronto del
Tribunale di Milano, prima sezione penale – contesta innanzitutto la tesi
sostenuta nelle impugnate decisioni, secondo cui il legittimo impedimento non
poteva essere riconosciuto in quanto concerneva non la partecipazione a
votazioni in assemblea ma ad altri lavori parlamentari, poiché la stessa sentenza n. 225 del
2001 ha escluso la possibilità di effettuare una distinzione tra i diversi
aspetti dell’attività parlamentare, tutti riconducibili egualmente ai diritti e
doveri funzionali degli organi rappresentativi e ha, quindi, ritenuto che la
valutazione sull'importanza o meno delle attività parlamentari che devono
essere svolte non vada affidata al giudice ordinario, ma debba essere lasciata
alla libertà del parlamentare, garantita dal sistema di principi che esprimono
l'autonomia delle Camere.
Il Senato condivide, poi, l’assunto
della Camera secondo cui l'assenza di una corretta ponderazione non può
costituire una illegittimità "innocua”, equivalendo ciò ad una sostanziale
violazione del giudicato costituzionale, giacché, anche in sede di conflitto
tra poteri, la statuizione che lo risolve – per non risultare una inutile
enunciazione di principio – deve essere osservata dalle parti in giudizio;
comunque, la mancata partecipazione all’udienza del deputato sottoposto a
procedimento penale realizza di per sé una lesione del diritto di difesa, che
non permette di individuare a posteriori la rilevanza o meno delle
attività processuali svolte nell'udienza alla quale l'imputato non ha potuto
partecipare.
Quanto, poi, alla sufficienza della
documentazione prodotta al fine di provare l’attività parlamentare, il Senato
rileva che – attesa la piena riconducibilità alle attività parlamentari delle
comunicazioni effettuate dal capogruppo nei confronti dei deputati appartenenti
al gruppo parlamentare – la leale collaborazione tra i poteri dello Stato
avrebbe potuto suggerire al giudice un agevole diretto controllo sugli atti
pubblici della Camera dell’affermazione formulata dall'imputato.
10.3.
– Con riferimento al conflitto proposto nei confronti del Tribunale di Milano,
quarta sezione penale, il Senato pone, in particolare, l’accento sul fatto che
i giudici si sono sottratti all’obbligo (derivante dal principio di leale
collaborazione) di effettuare il bilanciamento tra esigenze processuali ed
esigenze di rispetto dell’integrità funzionale del Parlamento, specificamente
imposto dalla sentenza
n. 225 del 2001.
Infine, per quel che riguarda
l’argomento – sviluppato nei provvedimenti impugnati – secondo cui (in base al
combinato disposto degli artt. 420 e 486 cod. proc. pen.
nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n.
479) l’impedimento parlamentare avrebbe assunto rilievo nell’ambito
dell’udienza preliminare solo con riguardo alla prima udienza di costituzione
delle parti e non per le udienze successive (quali sono quelle di cui si
tratta), il Senato afferma di condividere l’opinione espressa nel ricorso dalla
Camera dei deputati in base alla quale «una simile impostazione implica
l’affermazione del principio opposto a quello affermato dalla giurisprudenza
costituzionale e, cioè, quello secondo cui l’organo giudicante non può, in
nessun caso, limitare solo ad alcune fasi del processo l’applicazione del
principio costituzionale dell’equilibrata coesistenza tra esigenze di giustizia
e del processo penale ed esigenze di autonomia e libertà nello svolgimento
delle attività parlamentari».
Considerato
in diritto
1. – Con i ricorsi indicati in epigrafe, la Camera dei
deputati ha proposto due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato nei
confronti rispettivamente della prima e della quarta sezione penale del
Tribunale di Milano, in riferimento a provvedimenti adottati nell’ambito
procedimenti penali in cui è imputato, tra gli altri, il deputato Cesare
Previti.
Il conflitto iscritto al n. 22 del 2005 riguarda le ordinanze
emesse in data 5 giugno 2000 e 1° ottobre 2001 e la sentenza pronunciata il 22
novembre 2003, n. 11069/03. Rispetto a
tali provvedimenti, la Camera dei deputati chiede che la Corte dichiari «che
non spetta all’autorità giudiziaria, e per essa al Tribunale di Milano, sezione
prima penale, disconoscere nella specie, negandogli validità, l’impedimento del
deputato a partecipare all’udienza penale per concomitanti impegni
parlamentari, così come non le spetta affermare che l’impedimento non opera non
consistendo i lavori parlamentari di cui si tratta in votazioni o che
l’impedimento non sia stato provato o che comunque il suo mancato
riconoscimento sia rimasto "innocuo”; e che pertanto non le spetta impedire che
il contemperamento tra esigenze del processo ed esigenze del mandato
parlamentare venga realizzato in concreto a seguito della declaratoria di
nullità degli atti compiuti in udienza nonché del decreto che dispone il
giudizio». Conseguentemente la ricorrente chiede altresì che la Corte annulli gli
atti impugnati.
A sua volta il conflitto iscritto al
n. 23 del 2005 concerne le ordinanze emesse in data 14 luglio 2000, 9 ottobre
2000 e 21 novembre 2001, nonché la sentenza pronunciata il 29 aprile 2003 n.
4688/03. La ricorrente chiede che questa Corte dichiari che non spetta
all’autorità giudiziaria e, per essa, al Tribunale di Milano, quarta sezione
penale: a) «disconoscere nella specie, negandogli validità, l’impedimento del
deputato a partecipare alle udienze penali per concomitanti impegni parlamentari»;
b) «affermare che l’impedimento stesso non sia stato provato o lo sia stato
tardivamente»; c) «impedire che il contemperamento tra esigenze del processo ed
esigenze dell’attività parlamentare venga realizzato in concreto a seguito
della declaratoria di nullità degli atti compiuti in tali udienze nonché del
decreto che dispone il giudizio». Conseguentemente la Camera richiede che
questa Corte annulli anche questi provvedimenti.
2. – I due giudizi
per conflitto devono essere riuniti, perché pongono questioni in gran parte
analoghe.
I ricorsi sono parzialmente fondati.
3. – Questa Corte
è stata più volte chiamata a risolvere conflitti di attribuzione del tipo di
quelli proposti con i ricorsi in esame. In particolare con la sentenza n. 225 del
2001 la Corte, decidendo un conflitto proposto dalla Camera dei deputati,
ha annullato talune ordinanze emesse dal giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Milano nel corso degli stessi processi nel cui ambito sono
successivamente intervenuti i provvedimenti oggetto dei presenti conflitti
(concernenti le medesime situazioni processuali cui si riferivano gli atti
annullati).
Con la citata
sentenza, la Corte ha affermato che la
posizione dell'imputato membro del Parlamento di fronte alla giurisdizione
penale non è assistita da speciali garanzie costituzionali, salvo quelle
(estranee al caso di specie)
stabilite dell'art. 68 della Costituzione, per cui – al di fuori di queste
tassative ipotesi – per l'imputato parlamentare operano le generali regole del
processo, con le relative sanzioni e gli ordinari rimedi processuali.
La Corte ha anche rilevato che – ove
l’imputato, come nel caso in esame, deduca di essere impedito ad intervenire
all’udienza dovendo esercitare il suo diritto–dovere di partecipare ai lavori
parlamentari – fra l’esigenza di speditezza dell’attività giurisdizionale e
quella di tutela delle attribuzioni parlamentari, aventi entrambe fondamento
costituzionale, si può determinare un’interferenza suscettibile di incidere
sulle attribuzioni costituzionali di un soggetto estraneo al processo penale e,
in particolare, sull’interesse della Camera di appartenenza a che ciascuno dei
suoi componenti sia libero di regolare la propria partecipazione ai lavori
parlamentari nel modo ritenuto più opportuno.
Pertanto, il giudice non può
limitarsi ad applicare le regole generali del processo in tema di onere della
prova del legittimo impedimento dell’imputato, incongruamente
coinvolgendo un soggetto costituzionale estraneo al processo stesso, ma (come
la Corte ha rilevato) ha l’onere di programmare il calendario delle udienze in
modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari.
4. – Dalla distinzione fra i due
giudizi – e in particolare dal rilievo che in quello per conflitto la Corte è
chiamata esclusivamente a decidere in ordine alle denunciate lesioni delle
attribuzioni costituzionali della Camera, ad opera dei provvedimenti impugnati
(così la citata sentenza
n. 225 del 2001) – discende direttamente l’inammissibilità degli interventi
spiegati avanti a questa Corte dal parlamentare assoggettato a processo penale.
Del resto il principio generale secondo cui nel giudizio per conflitto la
legittimazione spetta soltanto agli organi dei poteri confliggenti
subisce un’unica deroga quando (ma non è il caso di specie) l’esito di tale
giudizio possa definitivamente pregiudicare le posizioni di un soggetto ad esso
estraneo (cfr.
sentenza n. 342 del 2004).
D’altro canto il prosieguo del
giudizio penale – dopo l’annullamento, da parte di questa Corte, delle ordinanze
del giudice dell’udienza preliminare – sotto nessun profilo può considerarsi
come "giudizio di ottemperanza” del giudicato costituzionale, ostando a tale
configurazione le differenze oggettive e soggettive esistenti fra il processo
costituzionale e quello penale.
5. – I provvedimenti impugnati con i
due ricorsi devono essere esaminati alla luce dei principi appena enunciati.
6. – Con il ricorso iscritto al n. 22
del 2005, la Camera dei deputati ha, come detto, impugnato le ordinanze rese
dalla prima sezione penale del Tribunale di Milano il 5 giugno 2000 e il 1°
ottobre 2001 e la sentenza pronunciata il 22 novembre 2003.
7. – La prima delle citate ordinanze
– emessa in pendenza del giudizio per conflitto deciso dalla sentenza n. 225 del
2001 – ha rigettato le eccezioni relative al dedotto impegno parlamentare
dell’imputato, concomitante con l’udienza del 20 settembre 1999.
Il Tribunale ha ritenuto la non
assolutezza dell’impedimento in quanto esso «concerneva non la partecipazione a
votazioni in assemblea, ma ad altri lavori parlamentari».
Con tale ordinanza il giudice ha menomato le attribuzioni del
Parlamento che – come questa Corte ha già affermato con la sentenza n. 225 del
2001 – hanno tutte, in linea di principio, pari dignità e non tollerano
distinzioni «fra diversi aspetti dell’attività del parlamentare, tutti
riconducibili ugualmente ai suoi diritti e doveri funzionali». Si deve quindi
dichiarare che non spettava all’autorità giudiziaria formulare nella
motivazione queste affermazioni.
8. – Con l’ordinanza del 1° ottobre
2001 – emessa dopo la sentenza n. 225 del
2001 che aveva annullato l’ordinanza resa dal giudice dell'udienza
preliminare in data 20 settembre 1999 –
il Tribunale ha rigettato l’istanza proposta dagli imputati per ottenere
la "rimozione automatica” di tutti gli atti processuali compiuti nell’udienza
tenuta in quella data e nelle successive, tra cui il decreto che aveva disposto
il giudizio.
L’ordinanza si fonda su due distinti
profili di motivazione.
Con il primo il Tribunale ha negato che la nullità dell’ordinanza
del 20 settembre 1999 si sia estesa agli atti processuali posteriori, in
considerazione della natura e della rilevanza delle attività svoltesi in
quell’udienza, onde ogni "effetto diffusivo” si era definitivamente interrotto.
Con il secondo ordine di
argomentazioni invece il Tribunale – sulla premessa di fatto che l’imputato
aveva ritenuto di provare l’impedimento con la produzione della lettera di
convocazione alla Camera del capo del gruppo parlamentare di appartenenza – ha
ritenuto tale allegazione «manchevole ed assolutamente inidonea a consentire al
giudice [dell’udienza preliminare] quella valutazione di contemperamento di
esigenze che la Corte costituzionale ha ammonito dover costituire oggetto
necessario della valutazione del giudice».
Sotto il primo profilo il giudice ha
adottato una motivazione di tipo processuale, il cui sindacato compete
esclusivamente al giudice del processo penale.
Il secondo profilo merita le censure mosse dalla ricorrente,
perché il giudice – pur in presenza di una situazione di potenziale conflitto
con le attribuzioni costituzionali della Camera, soggetto estraneo al giudizio
penale – si è limitato a far riferimento ad una motivazione di tipo processuale
senza tenere adeguatamente conto di tali attribuzioni. Si deve quindi
dichiarare che non spettava all’autorità giudiziaria formulare nella
motivazione le affermazioni di cui sopra.
9. – La
sentenza del 22 novembre 2003, che ha concluso il giudizio di primo grado, non contiene alcuna
autonoma valutazione dell’impedimento, né affermazioni lesive delle prerogative
del Parlamento.
10. – Con il ricorso iscritto al n.
23 del 2005 la Camera dei deputati ha impugnato le ordinanze rese dalla quarta
sezione penale del Tribunale di Milano nelle date del 14 luglio 2000, 9 ottobre
2000 e 21 novembre 2001 e la sentenza del 29 aprile 2003.
11. – Le prime due ordinanze sono
state emesse in pendenza del giudizio per conflitto deciso dalla sentenza n. 225 del
2001.
Con l’ordinanza del 14 luglio 2000,
il Tribunale ha rigettato una pluralità di eccezioni di nullità sollevate dalle
difese e tra esse quella relativa alla nullità del decreto che aveva disposto
il giudizio, conseguente al mancato rilievo dell’impedimento assoluto a
comparire dedotto dall’imputato per impegni parlamentari concomitanti con
l’udienza preliminare nei giorni 22 settembre e 5 e 6 ottobre 1999.
Anche in questo caso il Tribunale ha
adottato un duplice ordine di motivazioni.
In primo luogo ha ritenuto che
spettava all’imputato fornire la piena prova dell’impedimento; che il giudice
non aveva alcun dovere di attivarsi per conseguirla; che la lettera di
convocazione del capo del gruppo parlamentare di appartenenza non aveva alcun
valore di prova; e che la prova doveva concernere non solo la programmazione
dei lavori parlamentari per un certo giorno, ma anche l’effettiva
partecipazione dell’imputato ai lavori comportanti votazioni.
Tali affermazioni meritano le censure
prospettate dalla ricorrente, per le stesse ragioni già illustrate a proposito
dei provvedimenti della prima sezione, sopra esaminati. Deve aggiungersi,
relativamente al rilievo concernente la partecipazione ai lavori parlamentari,
che essa in realtà può assumere connotati diversi, secondo le particolarità delle
circostanze, e sostanziarsi anche nella decisione di non votare. Si deve quindi
dichiarare che non spettava all’autorità giudiziaria formulare nella
motivazione le affermazioni di cui sopra.
In secondo luogo il Tribunale ha
affermato che l’art. 420 del codice di procedura penale, nel testo vigente
prima dell’entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, richiamando
soltanto i primi due commi dell’art. 486 cod. proc. pen.
e non anche il terzo, attribuiva rilevanza al legittimo impedimento dell’imputato
a comparire solo con riguardo alla prima udienza, ipotesi non ricorrente nella
specie.
Poiché il giudice ha adottato una
motivazione di tipo processuale, valgono al riguardo le considerazioni svolte a
proposito del primo profilo di motivazione dell’ordinanza del 1° ottobre 2001 (retro,
§ 8).
12. – Con l’ordinanza del 9 ottobre
2000 il Tribunale ha respinto l’istanza di revoca del precedente provvedimento,
proposta dalla difesa ancora al fine di ottenere la dichiarazione di nullità
del decreto che ha disposto il giudizio. Il giudice – confermata la validità
delle argomentazioni svolte nella prima ordinanza – ha affermato che, ai fini
della prova del legittimo impedimento, «sarebbe stato sufficiente documentare,
in esordio di udienza, l’esistenza di una convocazione attraverso la
documentazione ufficiale della Presidenza della Camera di appartenenza e
successivamente mediante ulteriore comunicazione, anche via fax, idonea ad
attestare la presenza dell’istante quanto meno all’inizio della seduta
parlamentare».
Anche a queste argomentazioni si attagliano i rilievi prima
esposti a proposito del secondo profilo di motivazione dell’ordinanza del 1°
ottobre 2001 (retro, § 8), con la conseguente dichiarazione che non spettava
all’autorità giudiziaria di formularle nella motivazione.
13. – L’ordinanza del 21 novembre
2001 è stata emessa sulla richiesta di dichiarare la nullità del decreto che ha
disposto il giudizio «in esecuzione della sentenza della Corte
costituzionale n. 225 del 4 luglio 2001».
Il Tribunale – che, in applicazione
della suddetta sentenza, ha preso in considerazione anche l’udienza tenutasi il
17 settembre 1999 – ha rigettato l’istanza sulla base di una pluralità di linee
argomentative. In primo luogo ha individuato la portata del giudicato
costituzionale formatosi con la pronunzia sul conflitto di attribuzione,
sottolineandone i limiti soggettivi ed oggettivi, in particolare quelli concernenti
la sua incidenza sul processo penale. Inoltre ha confermato la tesi, sopra
sintetizzata, dell’ininfluenza dell’impedimento dell’imputato nelle udienze
successive alla prima. Infine ha ripreso, ulteriormente sviluppandoli, gli
argomenti relativi alle modalità di acquisizione della prova dell’impedimento e
all’oggetto di essa.
Per i primi due profili, con i quali
il giudice ha adottato una motivazione di tipo processuale, valgono le
considerazioni svolte a proposito del primo ordine di argomentazioni
dell’ordinanza del 1° ottobre 2001 (retro, § 8); per il terzo vale
invece quanto detto nello stesso paragrafo, circa la non spettanza al medesimo
giudice di formulare tali affermazioni nella motivazione.
14. – Per
quanto riguarda la sentenza del 29 aprile 2003, basta rilevare che essa si limita a richiamare le precedenti ordinanze e non
contiene alcuna nuova, autonoma valutazione delle situazioni oggetto del
conflitto.
15. – Da ultimo occorre stabilire
quali provvedimenti la Corte debba adottare in conseguenza della rilevata non
spettanza al giudice di formulare le affermazioni lesive delle attribuzioni
costituzionali della Camera dei deputati.
Al riguardo, la citata sentenza n. 225 del
2001 ha fatto seguire alla dichiarazione di non spettanza l’annullamento
delle ricordate ordinanze del Giudice dell'udienza preliminare, motivate nel
modo sopra indicato, ma – pur essendo il processo proseguito – non ha reso
alcun provvedimento nei confronti di altri atti processuali.
La sentenza n. 263 del
2003, resa in analogo conflitto, ha poi chiarito che «alla constatazione
dell’avvenuta lesione consegue l’annullamento del provvedimento impugnato,
fermo restando che spetterà alle competenti autorità giurisdizionali investite
del processo (essendosi questo nel frattempo concluso in primo grado) valutare
le eventuali conseguenze di tale annullamento sul piano processuale» (v. anche
la sentenza n.
284 del 2004).
Pertanto, gli effetti caducatori
della dichiarazione di non spettanza devono limitarsi ai provvedimenti, o alle
parti di essi, che siano stati riconosciuti lesivi degli interessi oggetto del
giudizio costituzionale per conflitto di attribuzione.
Queste premesse comportano anzitutto
che l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 5 giugno 2000 deve
essere annullata nella sua totalità, essendo sorretta da una motivazione
costituita esclusivamente dalle affermazioni lesive.
Invece le altre ordinanze prima
esaminate sono fondate su distinte linee argomentative, taluna delle quali di
tipo processuale e quindi estranee al giudizio per conflitto di attribuzione.
La pronunzia caducatoria deve essere quindi limitata
alle parti di cui è stata affermata la lesività,
secondo le considerazioni dianzi svolte. Spetterà poi al giudice penale
rilevare, alla stregua delle norme che disciplinano il processo, l’eventuale esistenza
di ulteriori effetti derivanti dai vizi accertati.
Nessuna pronunzia di annullamento
deve essere emessa da questa Corte nei confronti delle sentenze, non essendo
esse affette da vizi rilevabili in sede di conflitto di attribuzione.
per questi
motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara inammissibili gli interventi;
dichiara – in parziale accoglimento dei
ricorsi – che non spettava all’autorità giudiziaria, e nella specie al
Tribunale di Milano, nell’apprezzare la prova e i caratteri dell’impedimento
dell’imputato parlamentare a comparire alle udienze tenute dal Giudice
dell’udienza preliminare di quel Tribunale nei giorni 17, 20 e 22 settembre, 5
e 6 ottobre 1999, per la concomitanza con lavori della Camera di appartenenza,
affermare:
a) che il Giudice dell’udienza
preliminare non aveva alcun obbligo di attivarsi per acquisire la prova
dell’impedimento e che era a tal fine irrilevante la lettera di convocazione
del capo del gruppo parlamentare;
b) che sussiste impedimento soltanto
quando in Parlamento siano previste votazioni e sia provata l’effettiva
presenza dell’imputato ai lavori parlamentari;
annulla l’ordinanza del Tribunale di Milano
in data 5 giugno 2000 (prima sezione penale)
e – nei limiti di cui in motivazione – le ordinanze del medesimo
Tribunale nelle date del 1° ottobre 2001 (prima sezione penale), nonché del 14
luglio, del 9 ottobre 2000 e del 21 novembre 2001 (quarta sezione penale).
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12
dicembre 2005.
Annibale MARINI,
Presidente
Franco BILE e Francesco
AMIRANTE, Redattori
Depositata in Cancelleria
il 15 dicembre 2005.