Sentenza n. 281 del 2005

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SENTENZA N. 281

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto   CAPOTOSTI            Presidente

- Fernanda         CONTRI                     Giudice

- Annibale         MARINI                        "

- Franco            BILE                              "

- Giovanni Maria FLICK                          "

- Francesco        AMIRANTE                   "

- Ugo                DE SIERVO                   "

- Romano          VACCARELLA              "

- Paolo              MADDALENA               "

- Alfio                FINOCCHIARO             "

- Alfonso           QUARANTA                  "

- Franco            GALLO                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 219, comma quarto, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza dell’8 ottobre 2003 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale di Bolzano, sul ricorso proposto da Zenleser Maria contro Ferrovie dello Stato S.p.a. ed altro, iscritta al n. 1063 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti l’atto di costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 maggio 2005 il Giudice relatore Annibale Marini;

uditi l’avvocato Alessandro Riccio per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata l’8 ottobre 2003, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale di Bolzano, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 219, comma quarto, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui «non prevede che le dipendenti delle Ferrovie dello Stato, non coniugate ma con prole a carico, possano usufruire di un periodo massimo di 5 anni ai fini del compimento dell’anzianità necessaria a maturare il diritto a pensione».

Il giudizio a quo ha ad oggetto la domanda di accertamento avanzata da una ex dipendente delle Ferrovie dello Stato – non coniugata (al momento della cessazione dal servizio) e con due figlie a carico, dimissionaria dal 31 dicembre 1994 con 17 anni di anzianità – del diritto a beneficiare, ai sensi del predetto art. 219 del d.P.R. n. 1092 del 1973, «di un aumento del servizio effettivo necessario […] ai fini del compimento dell’anzianità di vent’anni per la maturazione del diritto a pensione».

Il rimettente – ritenuta preliminarmente l’infondatezza della eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), convenuto in giudizio – dà atto innanzitutto della rilevanza della proposta questione di legittimità costituzionale, atteso che il tenore della norma – secondo cui l’aumento del servizio effettivo fino al massimo di cinque anni spetta «alla dipendente dimissionaria che abbia contratto matrimonio» – non potrebbe consentire l’accoglimento della domanda, in quanto proposta da dipendente non coniugata al momento della cessazione dal servizio.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che l’art. 42, comma terzo, del medesimo d.P.R. n. 1092 del 1973, in tema di trattamento di quiescenza del personale civile dello Stato, prevede che l’identico beneficio dell’aumento del servizio effettivo fino ad un massimo di cinque anni sia riconosciuto «alla dipendente dimissionaria coniugata o con prole a carico» e che questa stessa Corte ha affermato che la giustificazione di tale trattamento di maggior favore risiede nella particolare vocazione familiare della donna.

Il beneficio di cui si tratta avrebbe d’altro canto carattere di generalità, analoga norma di favore essendo prevista per la dipendente coniugata o con prole a carico dall’art. 18 della legge 26 luglio 1965, n. 965 (Miglioramenti ai trattamenti di quiescenza delle Casse per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali ed agli insegnanti, modifiche agli ordinamenti delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), afferente il trattamento di quiescenza dei dipendenti degli enti locali e degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate.

 Ritiene perciò il rimettente che anche l’art. 219, comma quarto, del d.P.R. n. 1092 del 1973 sia ispirato ad identica ratio di tutela dell’essenziale funzione familiare della donna, a prescindere da ogni possibile specialità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Ferrovie dello Stato, risultando tuttavia irragionevolmente discriminatorio, e perciò lesivo del principio di eguaglianza, nella parte in cui prevede la concessione del beneficio in favore delle donne coniugate ma non anche di quelle non coniugate, con prole a carico.

2.– Si è costituito in giudizio l’INPS, resistente nel giudizio a quo, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione.

Ad avviso dell’Istituto la questione sarebbe innanzitutto priva di rilevanza, in quanto la ricorrente non avrebbe diritto al trattamento previdenziale neanche con il riconoscimento dell’aumento del servizio effettivo previsto dall’art. 219, comma quarto, del d.P.R. n. 1092 del 1973.

Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata. La diversa disciplina dettata dalla norma impugnata rispetto all’art. 42, comma terzo,  del medesimo d.P.R. troverebbe infatti giustificazione nel differente status giuridico ed economico dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato rispetto ai dipendenti civili dello Stato. Il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, avrebbe ritenuto di estendere anche ai dipendenti delle Ferrovie il beneficio dell’aumento del servizio effettivo di cui al citato art. 42, comma terzo, limitandone però l’applicazione alle sole dipendenti coniugate, senza che ciò comporti alcuna lesione del principio di eguaglianza, in considerazione dell’autonomia e diversità dei due rapporti di lavoro.

3.– E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta inammissibilità o di infondatezza della questione.

Ad avviso dell’Avvocatura la questione sarebbe innanzitutto priva di rilevanza, sia a causa della mancata acquisizione del fascicolo amministrativo dell’interessata – di cui si dà atto nella stessa ordinanza – sia in relazione all’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’INPS.

Nel merito la medesima parte pubblica, premessa la natura derogatoria tanto della norma impugnata quanto di quelle con cui essa è posta a raffronto dal rimettente,  assume trattarsi di disposizioni tra loro non omogenee e quindi non confrontabili ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale con riferimento al parametro di cui all’art. 3 della Costituzione.

Considerato in diritto

1.– La sezione giurisdizionale di Bolzano della Corte dei conti dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 219, comma quarto, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non attribuisce il previsto beneficio dell’aumento del servizio effettivo (anche) alle donne non coniugate con figli a carico.

2.– L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), resistente nel giudizio a quo, eccepisce preliminarmente il difetto di rilevanza della questione, assumendo che la ricorrente, «in base alle disposizioni vigenti sia alla data della cessazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Ferrovie dello Stato (31.12.1994), sia alla data di presentazione della domanda di pensionamento (15.10.1997)», non avrebbe diritto al trattamento pensionistico anticipato nemmeno qualora le fosse riconosciuto il beneficio di cui alla norma impugnata.

2.1.– L’eccezione va disattesa, in quanto fondata su argomentazioni difensive del tutto nuove, per la prima volta prospettate nel presente giudizio di legittimità costituzionale, la cui valutazione va riservata al giudice del merito.

3.– L’Avvocatura dello Stato a sua volta eccepisce l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, sia a causa della mancata acquisizione del fascicolo amministrativo, sia in considerazione del difetto di giurisdizione del giudice adito.

3.1.– Anche l’eccezione dell’Avvocatura è priva di fondamento.

Quanto al primo profilo, è sufficiente rilevare che il rimettente, nel dare atto della mancata trasmissione del fascicolo amministrativo relativo alla ricorrente da parte delle Ferrovie dello Stato, nonostante la rituale richiesta fattane dalla segreteria della Sezione, precisa che la circostanza «non inficia in ogni caso il compiuto esame della vertenza», con ciò fornendo una motivazione sufficiente ai fini del giudizio di rilevanza.

La questione di giurisdizione è stata, poi, oggetto di specifico esame da parte del rimettente, che, con motivazione anche qui adeguata ancorché sintetica, ha affermato sussistere la propria giurisdizione, «trattandosi palesemente, al contrario di quanto affermato dall’INPS, di una controversia concernente il diritto a pensione».

4.– Nel merito, la questione è fondata.

La norma impugnata prevede che alla dipendente dimissionaria delle Ferrovie dello Stato che abbia contratto matrimonio spetta, ai fini del compimento dell’anzianità necessaria per il diritto alla pensione, un aumento del servizio effettivo fino ad un massimo di cinque anni.

 Siffatto beneficio previdenziale attribuito alle lavoratrici coniugate (e non anche ai lavoratori che versino nelle medesime condizioni) trova la propria giustificazione – come questa Corte ha avuto modo di affermare con riferimento alla analoga disposizione di cui all’art. 42 del medesimo d.P.R. (sentenze n. 374 del 1989 e n. 498 del 1988, ordinanza n. 868 del 1988) – nel perseguimento del valore rappresentato dalla essenziale funzione familiare della donna, espressamente tutelato, nell’ambito dei rapporti di lavoro, dall’art. 37 della Costituzione.

Tale essendo la ratio della norma, l’attribuzione del beneficio alle sole donne coniugate, con o senza prole, con esclusione di quelle, non coniugate, aventi figli a carico, risulta palesemente lesiva del principio di eguaglianza, per l’ingiustificata disparità di trattamento che ne deriva rispetto alla categoria generale delle dipendenti civili dello Stato, non essendo dubbio che proprio il rapporto di filiazione costituisca una delle espressioni più significative della funzione familiare della donna, alla cui tutela la norma è esclusivamente rivolta.

5.– La declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata comporta l’assorbimento di ogni ulteriore e diverso profilo di censura prospettato dalla Corte rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 219, comma quarto, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede che il beneficio dell’aumento del servizio effettivo fino al massimo di cinque anni spetti anche alle dipendenti dimissionarie non coniugate con prole a carico.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2005.