SENTENZA N.186
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), promosso con ordinanza del 6 giugno 2003 dal Consiglio di Stato – sezione VI giurisdizionale sul ricorso proposto dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” contro Toscano Michele, iscritta al n. 588 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2003.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 aprile 2004 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto in fatto1. ¾ Con ordinanza del 6 giugno 2003, il Consiglio di Stato – sezione VI giurisdizionale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui, con riguardo ai soli fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge medesima, fa decorrere il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile e non, invece, dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione.
1.1. ¾ In punto di fatto il remittente espone che il giudizio a quo trae origine da un ricorso per l’annullamento di un provvedimento di sospensione dal servizio di un docente universitario e del successivo atto di contestazione di addebito di delitti (di cui agli artt. 81, 319 e 319-bis del codice penale) già oggetto di sentenza patteggiata in sede penale ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, pronunciata il 29 novembre 2001 e divenuta irrevocabile il 24 gennaio 2002.
In diritto, il Consiglio di Stato riferisce di avere acclarato il tardivo inizio del procedimento disciplinare oggetto di contestazione, avendo l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” contestato l’addebito dopo il decorso di centoventi giorni dalla data in cui era divenuta irrevocabile la sentenza di patteggiamento. Tale sentenza, pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge n. 97 del 2001, riguardava fatti commessi prima dell’entrata in vigore della stessa legge, per cui, nella fattispecie, veniva in applicazione l’art. 10, comma 3, della legge in questione.
1.2. ¾ Il Consiglio di Stato, nel prospettare la questione di legittimità costituzionale del citato art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001, rileva che quest’ultima prevede un sistema normativo a regime (art. 5, comma 4), che impone l’inizio del procedimento disciplinare entro novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione, e un sistema normativo transitorio (art. 10, comma 3) – applicabile nella specie –, che prescrive, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge, un termine più lungo per l’instaurazione del procedimento (centoventi giorni invece di novanta), con decorrenza dalla “conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile”, anziché dalla comunicazione della sentenza.
Orbene, il giudice a quo ritiene che la disciplina transitoria configurata dalla norma impugnata sarebbe in contrasto con i principi di buon andamento e di efficienza dell’attività amministrativa (art. 97, primo comma, della Costituzione), in quanto non sarebbe conforme a tali principi far decorrere un termine di decadenza per l’esercizio del potere disciplinare dell’amministrazione dal verificarsi di un fatto (sentenza penale irrevocabile di condanna) del quale essa non sia stata posta a conoscenza.
Inoltre la disciplina denunciata violerebbe il principio di eguaglianza e il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, poiché si produrrebbe una disparità di trattamento, in riferimento alle modalità e ai termini del procedimento disciplinare, tra il sistema normativo transitorio e quello stabilito a regime.
A conferma della propria prospettazione, il remittente trae ulteriori argomenti dall’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti), secondo il quale “la destituzione può sempre essere inflitta all’esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni ...”. Questa norma infatti fa riferimento ad una notizia certa ricevuta dall’amministrazione in ordine alla sentenza penale irrevocabile di condanna, facendo decorrere da quella notizia il termine per il proseguimento o per la instaurazione del procedimento disciplinare. Ad ulteriore riprova di ciò il remittente richiama una pronuncia di questa Corte, secondo la quale l’azione disciplinare si dovrebbe iniziare tempestivamente a decorrere dal “momento in cui l’amministrazione ha conoscenza della pronuncia irrevocabile di condanna” (sentenza n. 375 del 2000).
Il Consiglio di Stato dà atto tuttavia che la disposizione impugnata avrebbe comunque una sua ratio, data la specialità dell’ipotesi prevista, e ricorda che in materia questa Corte (sentenza n. 374 del 1995) si è espressa nel senso della infondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 97, terzo comma, della legge 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), nella parte in cui non prevede, a carico dell’autorità giudiziaria, un obbligo di trasmissione alla pubblica amministrazione della notizia della sentenza di proscioglimento del dipendente.
Ciò nonostante, il remittente ribadisce i propri dubbi di legittimità costituzionale della norma censurata e pone in risalto che l’art. 3, comma 3, della stessa legge n. 97 del 2001 prevede che “in caso di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva, l’amministrazione, sentito l’interessato, adotta i provvedimenti consequenziali nei dieci giorni successivi alla comunicazione della sentenza anche a cura dell’interessato”.
2. ¾ Con atto di intervento del 16 settembre 2003, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile per irrilevanza ovvero infondata nel merito.
In ordine alla ritenuta inammissibilità della questione, la difesa erariale ritiene che la norma censurata non verrebbe in applicazione, dal momento che i termini perentori legislativamente previsti sono applicabili soltanto alle sentenze “emesse secondo lo schema tipico” e non alle sentenze di patteggiamento.
Inoltre, l’art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001 sarebbe disposizione estranea alla fattispecie dedotta nel giudizio a quo, in quanto la decisione emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. non sarebbe “sussumibile nel contesto di sentenza irrevocabile”.
Nel merito, la difesa erariale ritiene che la norma in questione dovrebbe comunque essere interpretata nel senso della “necessità dell’intervenuta informativa ai fini del decorso del termine di inizio della procedura amministrativa”.
Considerato in diritto
1. ¾ Con ordinanza del 6 giugno 2003, il Consiglio di Stato – sezione VI giurisdizionale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui, con riguardo ai soli fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge medesima, fa decorrere il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile, e non, invece, dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione.
2. ¾ Prima di passare all’esame della questione occorre far cenno alle modifiche normative introdotte dalla legge n. 97 del 2001.
2.1. ¾ Per quanto riguarda l’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare a carico del pubblico dipendente, l’art. 653 del codice di procedura penale prevedeva che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, e non anche quella di condanna, avesse valore di giudicato, limitatamente all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità.
A seguito delle modifiche recate dalla predetta legge n. 97 del 2001, l’art. 653 cod. proc. pen. vigente non solo ha confermato l’efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare della sentenza penale irrevocabile di assoluzione, precisando che essa fa stato “quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso”, ma, innovando rispetto al passato, ha disposto l’efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare anche della sentenza penale irrevocabile di condanna in relazione all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
Occorre inoltre evidenziare che l’art. 2 della legge n. 97 del 2001, con la modifica apportata all’art. 445 cod. proc. pen., ha innovato anche la disciplina relativa all’efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta nel giudizio disciplinare, prevedendo che tale sentenza ha efficacia nei procedimenti disciplinari quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
2.2. ¾ In tema di rapporti tra processo penale e procedimento disciplinare, la citata legge n. 97 del 2001 ha previsto una normativa a regime e una transitoria.
La normativa a regime è sancita dall’art. 5, comma 4, della suddetta legge, secondo il quale “il procedimento disciplinare deve avere inizio o in caso di intervenuta sospensione proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare”.
La disciplina transitoria è dettata dall’art. 10, comma 3, della citata legge, il quale prevede che i procedimenti disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge stessa “devono essere instaurati entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile”.
E’ anche da far presente che, con sentenza n. 394 del 2002, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge n. 97 del 2001, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui disponeva l’applicabilità degli articoli 1 e 2 della legge (concernenti gli effetti della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nel giudizio disciplinare) ai patteggiamenti perfezionatisi anteriormente all’entrata in vigore della stessa legge. Ne consegue che, come avviene nel caso in esame, rientrano nella disciplina transitoria i procedimenti disciplinari che hanno ad oggetto fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 97 del 2001 e che concernono sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate dopo l’entrata in vigore della legge medesima.
3. ¾ Così ricostruito il quadro normativo di riferimento può procedersi all’esame della questione.
Il remittente, come si è detto, dubita della legittimità costituzionale di detta disciplina transitoria, osservando che il far decorrere il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare dal momento in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile anziché da quello della comunicazione all’amministrazione, sarebbe in contrasto con il principio di buon andamento e di efficienza della pubblica amministrazione e inoltre introdurrebbe una non giustificata disparità di trattamento rispetto al sistema normativo a regime (art. 5, comma 4, della legge n. 97 del 2001).
4. ¾ In via preliminare, deve innanzitutto respingersi l’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale la norma denunciata non potrebbe trovare applicazione nel giudizio a quo, riguardando quest’ultimo fatti definiti con sentenza di patteggiamento. Infatti, come già osservato da questa Corte (sentenza n. 394 del 2002), in base al nuovo testo degli articoli 445 e 653 del codice di procedura penale non è dubbio che la sentenza di patteggiamento ha efficacia nel giudizio disciplinare.
5. ¾ Nel merito la questione è fondata.
Come si è visto, con le novità introdotte dalla legge n. 97 del 2001, sia la sentenza penale irrevocabile di condanna, sia la sentenza di applicazione della pena su richiesta sono destinate ad esplicare effetti nel giudizio disciplinare. Si assicura, in questa maniera, non solo una sostanziale coerenza tra sentenza penale ed esito del procedimento amministrativo, ma soprattutto una linea di maggiore rigore per garantire il corretto svolgimento dell’azione amministrativa.
Se questa è la finalità della disciplina in esame, la citata norma transitoria che fa decorrere il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare dalla conclusione del giudizio penale con sentenza irrevocabile, anziché dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione, appare irragionevole e contraria al principio di buon andamento.
Essa, infatti, non prevedendo che l’amministrazione sia posta a conoscenza del termine iniziale (sentenza penale irrevocabile di condanna) per l’instaurazione del procedimento disciplinare, ed imponendo altresì lo svolgimento di un’attività per la conoscenza di questo dato, espone l’amministrazione stessa al rischio dell’infruttuoso decorso del termine decadenziale, rendendo così più difficoltosa ed incerta la stessa applicazione delle sanzioni disciplinari.
In sostanza, nel ponderare l’interesse del dipendente pubblico ad ottenere una sollecita definizione della propria situazione disciplinare e l’esigenza dell’amministrazione di instaurare tale procedimento, il legislatore ha adottato una soluzione sbilanciata a vantaggio del dipendente pubblico, nel senso che gioca a favore di quest’ultimo lo scorrere del tempo necessario per venire in possesso di una notizia (sentenza penale di condanna) che invece dovrebbe essere comunicata ab initio all’amministrazione.
Si realizza così un contrasto con la ratio della norma, che, come si è visto, è quella di assicurare un maggiore rigore nello svolgimento dell’attività amministrativa.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001, nella parte in cui prevede, per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, l’instaurazione dei procedimenti disciplinari entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile di condanna, anziché entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede, per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, l’instaurazione dei procedimenti disciplinari entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile di condanna, anziché entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2004.