ORDINANZA N. 223
ANNO 2003
Commento alla decisione di
Dario Nardella
I casi di incompatibilità alla carica di consigliere regionale: cosa (non) cambia nella giurisprudenza della Corte Costituzionale dopo la riforma costituzionale del Titolo V? (Nota a Sent. n. 201 del 2003 e Ord. n. 223 del 2003)
per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo AGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, numero 4, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), in relazione all’articolo 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), come modificato dall’articolo 3 ter del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 13, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2002, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 22 febbraio 2002, n. 13, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità degli enti locali), promosso con ordinanza del 19 ottobre 2002 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Boffa Aldo contro Perrone Alfonso ed altri, iscritta al n. 552 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria, prima serie speciale, del 27 dicembre 2002.
Visti gli atti di costituzione di Boffa Aldo e di Perrone Alfonso;
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 2003 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Stelio Mangiameli per Boffa Aldo, Felice Laudadio e Giuseppe Abbamonte per Perrone Alfonso.
Ritenuto che, nel corso del giudizio di cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato la decadenza di Aldo Boffa dalla carica di consigliere della Regione Campania, a causa di lite pendente con la Regione medesima, la prima sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanza 19 ottobre 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, numero 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), in riferimento all’art. 3 della Costituzione;
che il rimettente evidenzia come la lite pendente, che ha determinato la causa di incompatibilità, sia conseguente al giudizio civile instaurato dalla Regione Campania nei confronti del Boffa ed avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni arrecati alla propria immagine a causa della condanna del Boffa – con sentenza n. 2295 del 1999 del Tribunale penale di Napoli – per i reati di cui agli artt. 110, 318 e 321 codice penale, commessi nella sua qualità di Assessore delle acque e degli acquedotti della Regione Campania;
che il giudice a quo rileva ancora come, successivamente, con la sentenza 12 giugno 2001, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del Boffa per i reati a lui ascritti, per intervenuta prescrizione degli stessi e che avverso tale pronuncia è stato proposto da parte dell’interessato ricorso per cassazione, tuttora pendente;
che il remittente osserva che la disciplina della causa di incompatibilità per lite pendente prevista dall’art. 3, numero 4 della legge n. 154 del 1981, originariamente si riferiva sia ai consiglieri regionali che a quelli provinciali e comunali, ma che il legislatore ha dapprima trasferito all’art. 63 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) il medesimo istituto relativamente ai consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali, al tempo stesso abrogando per questa parte l’art. 3, primo comma, numero 4, della legge 23 aprile 1981, n. 154; successivamente il surrichiamato art. 63 è stato modificato dall’art. 3-ter del d.l. n. 13 del 2002, convertito con modificazioni dalla legge n. 75 del 2002 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 22 febbraio 2002, n. 13, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità degli enti locali), il quale ha previsto che la lite pendente, promossa a seguito di sentenza di condanna, determina incompatibilità “soltanto in caso di affermazione di responsabilità con sentenza passata in giudicato”;
che in tal modo, ad avviso della Corte di cassazione, si è venuta a creare una disparità di trattamento fra consiglieri degli enti locali e consiglieri delle regioni, da considerarsi arbitraria “tenuto conto delle profonde affinità ravvisabili nelle situazioni poste a confronto”;
che in ordine alla rilevanza, osserva il giudice a quo che essa appare manifesta, risultando dagli atti e non essendo controverso che il processo penale in cui è imputato il Boffa non è stato ancora definito con sentenza passata in giudicato;
che è intervenuto nel presente giudizio Aldo Boffa, il quale ha chiesto che la questione di legittimità sollevata dalla Cassazione venga accolta, evidenziando come le cause di incompatibilità operino sul piano degli impedimenti elettorali e perciò incidano sul diritto di elettorato passivo e come, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, le limitazioni a tale diritto siano ammissibili solo in quanto effettivamente indispensabili a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate;
che l’art. 3-ter del d.l. n. 13 del 2002, che ha modificato il t.u. degli enti locali, apparirebbe sotto tale profilo conforme all’art. 51 della Costituzione, mentre la norma censurata sarebbe incongrua sotto un duplice aspetto: individuare come causa di decadenza la semplice pendenza di una lite, nata a seguito di condanna con sentenza non definitiva, rimetterebbe la determinazione della perdita del diritto di elettorato passivo alla decisione discrezionale dell’ente di appartenenza sull’instaurazione di un giudizio contro il suo consigliere; in secondo luogo, mentre la condanna penale del consigliere determina la decadenza solo alla conclusione del procedimento con sentenza definitiva, la semplice instaurazione di una causa civile comporta la perdita della carica;
che la norma impugnata, ad avviso della parte privata, creerebbe quindi un’irragionevole disparità di trattamento, relativamente alla causa di decadenza costituita dalla lite pendente, tra consiglieri regionali e consiglieri degli enti locali. Né l’attribuzione alle Regioni, ad opera del primo comma del nuovo art. 122 della Costituzione, di potestà legislativa in materia di ineleggibilità e incompatibilità per le elezioni regionali, farebbe venir meno l’attuale problema di costituzionalità della legislazione statale tuttora vigente, non avendo la Regione Campania legiferato in materia;
che è intervenuto Alfonso Perrone, consigliere regionale subentrato al Boffa, il quale ha in primo luogo eccepito l’inammissibilità della questione sollevata per preteso difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, poiché la Cassazione non avrebbe previamente esperito un’interpretazione adeguatrice della norma che tenesse conto del mutato quadro costituzionale, tale da rendere possibile una differenziazione delle ipotesi di incompatibilità dei consiglieri degli enti locali da un lato e dei consiglieri regionali dall’altro;
che, nel merito del ricorso, detta parte privata sostiene che la questione sarebbe infondata in quanto la pretesa omogeneità dello status dei consiglieri regionali e di quelli provinciali e comunali non troverebbe riscontro nel nuovo Titolo V della Costituzione, che anzi avrebbe inteso “differenziare ciò che un tempo era stato uguale”;
che inoltre il potere legislativo riconosciuto in materia alle Regioni dall’art. 122 Cost., non essendo stato esercitato, non farebbe venir meno l’efficacia della normativa statale preesistente e che la recente modifica dell’art. 63 del testo unico degli enti locali, non esprimerebbe un principio generale, stante la sua portata limitata agli enti locali;
che in prossimità dell’udienza, la difesa del Boffa ha depositato una memoria nella quale si ribadiscono le precedenti opinioni, ed in particolare si osserva che la diversità della disciplina della causa di incompatibilità in discussione non sarebbe giustificata per la analogia delle situazioni poste a raffronto dal giudice a quo;
che la sopravvenuta competenza regionale prevista dall’art. 122 Cost. non escluderebbe che la disciplina statale, in vigore finché non intervengano le norme regionali, debba comunque assicurare la parità di trattamento di situazioni identiche;
che anche la difesa del Perrone, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria in cui rileva come la Corte di cassazione avrebbe erroneamente posto la questione di costituzionalità della norma censurata dal momento che, a seguito della modifica dell’art. 122 Cost., lo Stato non avrebbe più il potere di provvedere in materia di cause di incompatibilità dei consiglieri regionali, e dunque non avrebbe potuto estendere il precetto legislativo introdotto per i consiglieri degli enti locali ai consiglieri regionali – come invece prospettato dal rimettente;
che, in subordine, la difesa del Perrone contesta l’equiparabilità della posizione dei consiglieri regionali da un lato, rispetto a quella dei consiglieri provinciali e comunali dall’altro, rilevando che il diverso trattamento riservato in materia di incompatibilità alle due cariche elettive, sarebbe giustificato dalla diversità delle funzioni dei consiglieri regionali, ed in particolare dalla funzione legislativa da essi svolta che richiederebbe una maggiore credibilità dei suoi componenti;
che, inoltre secondo quanto rileva la parte privata, nel nostro sistema non esisterebbe la regola della pregiudizialità penale, intesa come necessità della previa formazione del giudicato penale.
Considerato che, in assenza di esercizio, da parte della Regione Campania, del potere legislativo riconosciuto dall’art. 122 della Costituzione, è da ritenersi vigente, in attuazione del principio di continuità (confronta da ultimo l’ordinanza n. 383 del 2002), la legislazione statale in tema di incompatibilità alla carica di consigliere regionale;
che la prima sezione civile della Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, numero 4, della legge 23 aprile 1981, n. 154, con esclusivo riferimento alla pretesa lesione del principio di eguaglianza fra consiglieri comunali e provinciali da un lato, e consiglieri regionali dall’altro, a causa della attuale differenziata disciplina della causa di incompatibilità relativa alla “lite pendente”, malgrado le asserite “profonde affinità ravvisabili nelle situazioni poste a confronto”, senza porre invece la diversa questione della compatibilità di questa disciplina con il primo comma dell’art. 51 della Costituzione.
che, al contrario, non solo le funzioni dei consiglieri regionali risultano differenziate da quelle dei consiglieri degli enti locali, essendo essenzialmente caratterizzate dall’esercizio di poteri legislativi, ma che proprio la più recente legislazione costituzionale (leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001) ed ordinaria (testo unico sugli enti locali e legge n. 75 del 2002, di conversione del d.l. n.13 del 2002) ha distinto maggiormente che in passato le funzioni e lo status delle diverse categorie dei componenti dei Consigli degli enti regionali e locali, ripartendo inoltre in modo differenziato la stessa titolarità della disciplina legislativa relativa alle rispettive cause di incompatibilità;
che pertanto, non essendo omogenee le due posizioni poste a confronto dal rimettente, non può ritenersi violato il principio di uguaglianza;
che dunque la questione prospettata in riferimento all’art. 3 Cost. deve considerarsi manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e n. 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, numero 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), sollevata dalla Corte di cassazione, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2003.