ORDINANZA N.160
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 16, 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) promosso con ordinanza emessa il 13 dicembre 2000 dal Giudice di pace di Chieti nel procedimento civile vertente tra Damiano Mauro ed altra ed il Prefetto di Chieti, iscritta al n. 453 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che nel corso di un procedimento civile, avente ad oggetto la opposizione avverso un verbale della Polizia di Stato - Servizio polizia postale e delle comunicazioni - con il quale era stata accertata e contestata la violazione dell’art. 1, comma 4, della legge 28 marzo 1991, n. 109 (Nuove disposizioni in materia di allacciamenti e collaudi degli impianti telefonici interni), ed indicata la relativa sanzione pecuniaria amministrativa applicabile, l’adìto Giudice di pace di Chieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 16, 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);
che la questione, in riferimento agli artt. 24, 113, 3 e 25 della Costituzione, é proposta nella parte in cui le predette norme non prevedono la possibilità di immediato ricorso al giudice naturale dei diritti da parte del cittadino, a fronte della notifica di sanzioni amministrative, differendo la stessa ad un tempo futuro ed indeterminato;
che il giudice rimettente sottolinea che gli opponenti non avevano presentato al prefetto, entro il termine di trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, scritti difensivi e documenti o chiesto di essere sentiti, come consentito dall’art. 18 della legge predetta;
che lo stesso giudice rileva che, alla stregua della normativa impugnata, il ricorso al prefetto avverso il sommario processo verbale di contestazione della infrazione amministrativa costituirebbe la necessaria condizione di procedibilità della tutela giurisdizionale, che resterebbe, pertanto, assicurata solo nei confronti della ordinanza ingiunzione emessa dal prefetto all’esito del ricorso amministrativo;
che, invece, sempre secondo l’ordinanza di rimessione, in materia di violazioni al codice della strada - per effetto della interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale di cui alle sentenze n. 255 e n. 311 del 1994 - l’interessato avrebbe la facoltà di rivolgersi direttamente al giudice, indipendentemente dal previo esperimento del ricorso amministrativo;
che nel sistema applicabile alla fattispecie il rimettente ravvisa una compressione della facoltà sia di agire in giudizio per far valere i propri diritti, sia di giovarsi della più ampia tutela giudiziale delle proprie situazioni soggettive attive di fronte a provvedimenti della p.a., senza limitazioni di sorta: donde il lamentato vulnus agli artt. 24 e 113 della Costituzione;
che il contrasto con l’invocato art. 24 emergerebbe, inoltre, dalla connotazione della normativa in questione come un deterrente alla proposizione del ricorso in via amministrativa, in considerazione della impossibilità per il giudice di valutare in concreto, in caso di rigetto del ricorso stesso, la congruità della sanzione irrogata, automaticamente maggiorata rispetto a quella non contestata;
che la lesione dell’art. 3 della Costituzione risulterebbe, ad avviso del rimettente, dal rilievo che sia la legislazione (v. l’art. 18 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 recante "Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662"; il decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79 recante "Modifiche alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature", convertito in legge 17 maggio 1995, n. 172; la legge 14 novembre 1995, n. 481 recante "Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità"; la legge 31 luglio 1997, n. 249 recante "Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo"), sia la giurisprudenza, costituzionale ed ordinaria, in tema di sanzioni amministrative sarebbero andate evolvendosi verso la piena ed immediata tutela giudiziale;
che il giudice a quo ravvisa un'ulteriore violazione del principio di uguaglianza nella circostanza che solo chi si trova in più agiate condizioni economiche potrebbe "rischiare" di intraprendere il rimedio della opposizione in via giurisdizionale, proponendo preventivamente un ricorso amministrativo, al cui eventuale rigetto conseguirebbe la irrogazione della sanzione nella misura del doppio del minimo;
che la normativa impugnata determinerebbe altresì - secondo l’ordinanza del Giudice di pace - una disparità di trattamento rispetto ai destinatari di un processo verbale di violazione a norma del codice della strada, i quali possono impugnare il verbale divenuto titolo esecutivo e, alla luce della citata interpretazione adeguatrice, direttamente il processo verbale prima che il medesimo diventi titolo esecutivo per scadenza dei termini;
che ciò comporterebbe anche la violazione dell’art. 113 della Costituzione, per la compressione della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della p.a. dovuta alla esclusione della possibilità di scegliere tra il ricorso amministrativo e quello innanzi al giudice;
che, infine, gli artt. 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 si porrebbero in contrasto con l’art. 25 della Costituzione, distogliendo il cittadino dal proprio giudice naturale, per il fatto di consentire la possibilità di presentare scritti difensivi solo all’autorità amministrativa e dilazionare ad un tempo futuro ed indeterminato il ricorso al giudice ordinario;
che nel giudizio innanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione sollevata;
che l’Autorità intervenuta ha, anzitutto, sottolineato la erroneità dell’attribuzione al ricorso amministrativo, nella materia de qua, del carattere di condizione necessaria di esperibilità dell’opposizione al processo verbale di contestazione, in quanto detto verbale resterebbe un atto non opponibile - essendo, invece, la opposizione, a norma dell’art. 22 della legge n. 689 del 1981, consentita solo nei confronti della ordinanza ingiunzione prefettizia -, dovendosi ritenere che, in caso di impugnazione del provvedimento del prefetto, oggetto di azione giudiziaria sarebbe quest’ultimo, e non il processo verbale;
che del resto, secondo l’Avvocatura dello Stato, non sarebbe corretto parlare di vero e proprio ricorso amministrativo con riferimento alla possibilità, riconosciuta al cittadino dall’art. 18 della citata legge n. 689 del 1981, di far pervenire al prefetto scritti difensivi e documenti, e di chiedere di essere sentito entro un determinato termine;
che dalle esposte argomentazioni discenderebbe - secondo la difesa statale - la insussistenza di alcun impedimento o aggravamento di attività, con riferimento alla esperibilità dell’azione giudiziaria, tale da configurare una violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, essendo collegata alla emissione del verbale di contestazione solo l’assenza dei presupposti per una valida costituzione del rapporto processuale;
che per le stesse ragioni, secondo l’Avvocatura, non sarebbe violato il principio di uguaglianza a carico dei cittadini colpiti da sanzioni nel settore degli allacciamenti e collaudi degli impianti telefonici interni, e nemmeno potrebbe configurarsi come trattamento discriminatorio in favore dei cittadini più abbienti la scelta, attribuita a tutti i cittadini, di provvedere al pagamento di una somma in misura ridotta, evitando di proporre contestazioni all’operato dell’autorità amministrativa, scelta che, peraltro, si porrebbe anche nel caso in cui la normativa in questione consentisse l’impugnazione immediata del processo verbale di contestazione;
che infine, rileva l’Avvocatura, il cittadino, cui sia contestata un’infrazione che comporti la irrogazione di una sanzione amministrativa, non subisce alcuna lesione dei propri diritti di azione e di difesa, nè della garanzia di tutela della propria posizione soggettiva di fronte alla p.a., e nemmeno alcuna distrazione dal proprio giudice naturale, potendo comunque opporsi in sede giudiziale alla ordinanza ingiunzione del prefetto.
Considerato che l’ordinanza di rimessione si fonda sull'erroneo presupposto che l'esercizio della facoltà di presentare scritti difensivi e documenti o chiedere di essere sentiti dall’autorità competente a ricevere il rapporto sulla contestazione di infrazione, per la quale sia prevista una sanzione amministrativa pecuniaria (salvo quanto diversamente stabilito: art. 12 della legge n. 689 del 1981), equivalga a ricorso amministrativo, e che sia un presupposto dell’ordinanza-ingiunzione, contro la quale é prevista l’opposizione con ricorso al giudice;
che in realtà il verbale di contestazione-accertamento per violazioni per le quali sia prevista solo una sanzione amministrativa pecuniaria non é, di per sè - diverso può essere il caso di separato atto di sequestro, preordinato o meno a confisca - immediatamente lesivo di posizioni del soggetto cui viene attribuita la violazione, nè può costituire in alcun modo titolo esecutivo o comunque atto di irrogazione di sanzione, neppure cautelare;
che detto verbale é solo il primo atto di un procedimento amministrativo (insieme al rapporto costituisce atto di iniziativa), che deve concludersi, indipendentemente dalla presentazione di eventuali osservazioni difensive e documenti da parte dei soggetti interessati, con un provvedimento che ritenga fondato l’accertamento e determini la sanzione dovuta, ingiungendone il pagamento, insieme alle spese (ordinanza-ingiunzione: atto lesivo dell’autore della infrazione e delle persone obbligate solidalmente), ovvero con provvedimento che ritenga di archiviare gli atti (ordinanza di archiviazione);
che il verbale con contestazione immediata (in riferimento a violazione per la quale é prevista una sanzione amministrativa pecuniaria) o la notifica agli interessati (entro termini perentori a pena di estinzione della obbligazione di pagare) costituisce un mezzo per assegnare un termine agli stessi interessati per partecipare al procedimento con osservazioni, con scritti difensivi e presentazione di documentazione, ovvero per una sorta di composizione in via amministrativa (pagamento volontario in misura ridotta), ma non può mai assumere il valore di titolo per il pagamento con il decorso di termini (a differenza del sistema delle sanzioni pecuniarie relative alla circolazione stradale), dovendo sempre ed in ogni caso - salvo che non intervenga una c.d. composizione con pagamento volontario ridotto - intervenire una ordinanza-ingiunzione o ordinanza di archiviazione dell’autorità competente;
che la mancata presentazione di osservazioni, scritti difensivi e documenti non condiziona affatto le possibilità di tutela giurisdizionale, potendo questa intervenire dopo un atto dell’amministrazione lesivo della posizione del responsabile (autore e obbligato solidale), che é normalmente l’atto (ordinanza-ingiunzione) che contiene la determinazione e l’irrogazione della sanzione (per nulla vincolata nella misura, se non nel minimo o massimo previsto) e ne ingiunge il pagamento, costituendo titolo per la riscossione, come rilevato anche dalla Cassazione (sentenza n. 6485 del 2000);
che la composizione volontaria con pagamento di somma ridotta non comporta discriminazioni, essendo una facoltà generale accordata ad ogni interessato, collegata nell’ammontare a regole fisse precostituite (importo più favorevole), e che é del tutto indipendente dalla possibilità o meno di azione giudiziaria immediata o successiva alla determinazione della sanzione da parte dell’autorità competente a ricevere il rapporto;
che nessuna compressione della facoltà di agire in giudizio e di tutela delle posizioni lese discende dalle norme denunciate, le quali non comportano nessun aggravamento o maggiorazione o raddoppio della sanzione, che resta rimessa alla motivata determinazione dell’autorità amministrativa competente nei limiti del minimo e del massimo, e fermo in ogni caso, in caso di opposizione, il sindacato pieno del giudice sia sulla entità della sanzione, sia sui presupposti e sulla esistenza della violazione e sugli elementi costitutivi indicati nel verbale di accertamento-contestazione;
che essendo diversi i procedimenti e gli effetti dei verbali di accertamento per le violazioni del codice della strada, deve escludersi in radice che possa invocarsi una violazione del principio di eguaglianza con riferimento alle procedure previste;
che l’art. 25, primo comma, della Costituzione non é per nulla toccato, in quanto la possibilità di presentare argomentazioni e documenti difensivi in sede di partecipazione al procedimento amministrativo non comporta alcuna sottrazione al giudice naturale precostituito, che può essere liberamente adìto, quando sia intervenuto l’atto lesivo della posizione dell’interessato;
che pertanto la questione risulta manifestamente infondata rispetto a tutti i profili sollevati.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 16, 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 24, 113, 3 e 25 della Costituzione, dal giudice di pace di Chieti con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2002.