ORDINANZA N. 123
ANNO 2002
Commento alla decisione di
Maurizio Borgo
La Consulta sancisce la definitiva “separazione” tra il giudice ordinario e l’istituto dell’occupazione acquisitiva. Brevi riflessioni sull’ordinanza della Corte Costituzionale n. 123 del 16 aprile 2002 (nella Rivista telematica Lexitalia.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promossi con ordinanze emesse il 12 marzo 2001 dal Tribunale di Trapani (limitatamente al comma 1) e il 7 maggio 2001 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, rispettivamente iscritte ai numeri 523, 575 e 576 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 27 e 32, prima serie speciale , dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che il Tribunale di Trapani - il quale in precedenza, con ordinanza del 30 novembre 1999, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in relazione all’art. 76 della Costituzione, per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lett. g), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), ed a cui questa Corte aveva restituito gli atti con ordinanza n. 12 del 23 gennaio 2001, per una nuova valutazione della rilevanza alla luce dell’art. 7 della sopravvenuta legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa) - ha riproposto la questione con ordinanza del 12 marzo 2001, ritenendo che il problema della devoluzione o meno del giudizio alla giurisdizione ordinaria deve essere deciso, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, in base alla normativa vigente al momento della proposizione della domanda, ossia in base all’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo originario, e non a quello successivamente riprodotto dall’art. 7 della citata legge n. 205 del 2000;
che l’ordinanza é stata resa nel corso di una causa promossa – tra il 1° luglio 1998 e il 9 agosto 2000 – da un privato contro un Comune per ottenere il risarcimento del danno derivante da un’occupazione appropriativa;
che, ad avviso del giudice rimettente, l’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo originario, - devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, ed in particolare le controversie concernenti il risarcimento del danno derivante da occupazione appropriativa - ha violato i criteri direttivi fissati dalla legge di delega, che prevedeva l’estensione della giurisdizione amministrativa, in materia edilizia e urbanistica, alle controversie concernenti diritti patrimoniali consequenziali, comprese quelle relative al risarcimento del danno, ma non consentiva l’istituzione di una nuova giurisdizione esclusiva;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione in quanto é possibile interpretare la norma denunciata in modo da ricondurla nei limiti della delega;
che il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, con due separate ordinanze del 7 maggio 2001, di identico testuale tenore, ha parimenti sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 in relazione all’art. 76 Cost., per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lett. g), della legge n. 59 del 1997, nella parte in cui sottrae al giudice ordinario e devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le cause su diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali della pubblica amministrazione in procedure finalizzate alla gestione del territorio;
che le ordinanze sono state rese nel corso di cause proposte – tra il 1° luglio 1998 e il 9 agosto 2000 – da privati contro un comune, per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da occupazioni di suoli disposte per un quinquennio in esecuzione di piani di zona, divenute illegittime per il decorso del termine, durante il quale, malgrado la realizzazione dell’opera pubblica e la conseguente irreversibile trasformazione dei suoli, non era intervenuto alcun decreto di esproprio;
che, ad avviso del giudice rimettente, il problema della devoluzione o meno delle controversie in esame alla giurisdizione ordinaria deve essere deciso, ai sensi dell’art. 5 cod. proc. civ., in base alla normativa vigente al momento della proposizione delle domande, ossia in base all’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 nel testo originario, e non in quello riprodotto dall’art. 7 della sopravvenuta legge n. 205 del 2000;
che, secondo il rimettente, la legge di delega prevedeva l’estensione della giurisdizione amministrativa, in materia edilizia e urbanistica, alle controversie concernenti diritti patrimoniali consequenziali, comprese quelle sul risarcimento del danno, ossia ai diritti di contenuto patrimoniale nascenti dall’esercizio della giurisdizione di legittimità su atti e provvedimenti, ma non consentiva l’istituzione di una nuova giurisdizione esclusiva cui potessero essere devoluti i diritti nascenti da fatti e comportamenti, quali i diritti alla restituzione del bene occupato senza titolo o al risarcimento del danno derivante da occupazione illegittima o da accessione invertita;
che in entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di infondatezza della questione, per gli stessi motivi svolti nell’atto d’intervento nel giudizio scaturito dall’ordinanza del Tribunale di Trapani.
Considerato che i giudizi possono essere riuniti, in quanto i rimettenti prospettano sostanzialmente la medesima questione;
che - secondo i giudici rimettenti - nei giudizi innanzi ad essi pendenti la giurisdizione é regolata dall’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nel testo originario avente valore di legge in senso sostanziale, e non nel testo, avente invece valore di legge in senso formale, risultante dalla sostituzione disposta dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), in quanto si tratta di giudizi promossi a partire dal 1° luglio 1998 (data di inizio dell’operatività della giurisdizione esclusiva istituita dal medesimo art. 34 del d.lgs. n. 80) e pendenti al 10 agosto 2000 (data di entrata in vigore della legge n. 205);
che a sostegno di tale affermazione i giudici si limitano a richiamare l’art. 5 del codice di procedura civile, secondo cui la giurisdizione si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda e i mutamenti successivi della legge sono irrilevanti;
che essi quindi non prendono in esame la diversa opzione interpretativa secondo cui l’art. 7 della sopravvenuta legge n. 205 del 2000 - sostituendo il testo dell’art. 34 (nonchè degli artt. 33 e 35) all’interno del decreto legislativo n. 80 del 1998 - avrebbe non solo trasformato la natura di tali norme, da leggi in senso materiale a leggi in senso formale (così affrancandole dal vizio di eccesso di delega, per il quale questa Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 33 del decreto: sentenza n. 292 del 2000), ma anche disciplinato direttamente la giurisdizione per i giudizi innanzi indicati (così derogando al principio posto dall’art. 5 cod. proc. civ.);
che a questo ultimo risultato potrebbe condurre il coordinamento del nuovo testo degli articoli del decreto n. 80 del 1998 introdotto dalla legge n. 205 del 2000 con le altre disposizioni del decreto rimaste immutate, ed in particolare con l’art. 45, comma 18, il quale – pur dopo la sostituzione dell’art. 34 operata dalla legge del 2000 – continua a disporre che <<le controversie di cui agli art. 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998>>;
che per effetto di questa interpretazione la giurisdizione sarebbe nella specie regolata dall’art. 34 nel nuovo testo, norma avente natura di legge in senso formale, nei confronti della quale la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega non avrebbe potuto essere proposta;
che la valutazione dell’attendibilità di tale soluzione interpretativa sarebbe stata necessaria, anche in ragione del difetto, sul punto, di un orientamento consolidato del giudice regolatore della giurisdizione;
che questi infatti – esaminando il rapporto fra il testo originario del decreto n. 80 del 1998 e quello modificato dalla legge n. 205 del 2000, per determinare, ai fini del riparto di giurisdizione, l’ambito temporale di applicabilità di ciascuno di essi – ha una sola volta preso espressamente in esame l’argomento desumibile dall’art. 45, comma 18 (peraltro in via complementare e con esclusivo riguardo all’art. 33 del decreto n. 80), e successivamente ha sempre risolto il problema alla stregua dell’art. 5 cod. proc. civ. senza più considerare il citato comma 18, né specificare le ragioni di tale mancata considerazione;
che pertanto le ordinanze – in quanto affette da insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione - devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevate, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dai Tribunali di Trapani (limitatamente al comma 1) e di S. Angelo dei Lombardi, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2002.