SENTENZA N. 270
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promosso con ordinanza emessa il 15 giugno 1998 dal Pretore di Bergamo nel procedimento civile vertente tra Crosera Laura e l’Istituto Scolastico Suore Sacramentine ed altro iscritta al n. 827 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS;
udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di un giudizio promosso per l’accertamento del diritto di avvalersi dell’astensione obbligatoria dal lavoro, il Pretore di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 15 giugno 1998 (R.O. n. 827 del 1998), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29 primo comma, 30 primo comma, 31 e 37 della Costituzione, dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri).
Il rimettente dubita della legittimità costituzionale della disposizione citata, atteso che vi sarebbe violazione del principio della parità di trattamento tra le fattispecie di parto a termine e parto prematuro poichè sarebbe adeguatamente tutelato solo il primo e non anche il secondo; sarebbe altresì pregiudicato il valore costituzionale della protezione della famiglia e quello della tutela del minore, in quanto la disposizione denunciata non consentirebbe, nel caso di parto prematuro, la frazionabilità dell’astensione obbligatoria e la decorrenza di parte della stessa dalla data di ingresso del bambino nella famiglia o quanto meno dalla data prevista del parto, anzichè da quella reale, così da consentire un’adeguata tutela della puerpera, costretta invece a beneficiare di un’aspettativa eccessiva con sacrificio degli altri interessi di rilevanza costituzionale sopra illustrati.
Osserva il rimettente che l’istituto dall’astensione obbligatoria dal lavoro di cui alla legge citata ha subito nel tempo un’evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ne ha esteso l’originaria ratio di tutela a favore della puerpera, anche al minore e più in generale alla famiglia nel delicato momento dell’ingresso in essa del neonato.
Da ciò conseguirebbe, che la disposizione censurata, a tenore della quale: "E’ vietato adibire al lavoro le donne: … c) durante i tre mesi dopo il parto" non consentirebbe di assicurare efficacemente la tutela predetta del minore e della famiglia nel caso di parti prematuri in cui, grazie all’attuale sviluppo della scienza medica, é possibile la sopravvivenza di feti nati prematuramente e assistiti da una lunga permanenza in incubatrice.
Nel caso di specie, quindi, l’obbligatorietà della decorrenza dell’astensione dal lavoro dalla data del parto, avrebbe comportato che la stessa si sarebbe esaurita prima dell’ingresso del bambino in famiglia, sicchè la madre non sarebbe stata in grado di beneficiare in modo effettivo della tutela legale.
Osserva, da ultimo, il rimettente che gli interessi della madre e del minore non possono dirsi efficacemente salvaguardati dall’esistenza di altri istituti, come l’astensione facoltativa prevista dalla stessa legge, atteso che l’esaurimento anticipato dell’astensione obbligatoria riduce la durata complessiva della tutela, proprio in un caso meritevole, caratterizzato da un lato dai rischi che presenta il bambino nato prematuro in relazione al suo sviluppo neuropsichico e affettivo e, dall’altro, dalla situazione della madre dopo l’esperienza traumatizzante dell’interruzione prematura della gravidanza e il distacco dal bambino nel periodo di ricovero di questi in ospedale.
2.— Si é costituito, nel presente giudizio, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.) con atto di intervento depositato fuori termine, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato in diritto
1.— La questione sottoposta dal Pretore di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, a questa Corte, concerne la legittimità costituzionale – con riferimento agli artt. 3, 29 primo comma, 30 primo comma, 31 e 37 della Costituzione – dell’art. 4, primo comma, lett. c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) in quanto la disposizione censurata, vietando espressamente di adibire al lavoro le donne durante i tre mesi dopo il parto, violerebbe il principio della parità di trattamento tra le fattispecie di parto a termine e di quello prematuro, in quanto sarebbe adeguatamente tutelato solo il primo e non anche il secondo. Sarebbe altresì pregiudicato il valore costituzionale della protezione della famiglia e quello della tutela del minore, atteso che la disposizione denunciata non consentirebbe, nel caso di parto pre–termine, la "frazionabilità" del periodo di astensione obbligatoria e la decorrenza di parte della stessa dalla data di ingresso del bambino nella famiglia o quanto meno dalla data prevista del parto, anzichè da quella reale, così da consentire un’adeguata tutela della puerpera.
2.— La questione é fondata.
3.— Giova premettere che la lavoratrice madre é destinataria di una specifica legislazione protettiva, che trova ampia giustificazione nelle norme costituzionali di cui agli artt. 3, secondo comma, 4, 31, 32 e 37 della Costituzione. Il nostro ordinamento giuridico risulta inoltre integrato dalle fonti normative comunitarie e internazionali dirette ad una incisiva tutela degli interessi sia delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (Direttiva del Consiglio, 19 ottobre 1992, n. 92/85, recepita con il decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 645), sia del figlio (Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176).
In questo quadro, l’istituto dell’astensione obbligatoria dal lavoro post partum previsto dalla norma impugnata – come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 332 del 1988 e n. 1 del 1987) – oltre ad essere volto a tutelare la salute della donna, considera e protegge il rapporto che, in tale periodo, necessariamente si instaura tra madre e figlio, anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono decisive sia per un corretto sviluppo del bambino, sia per lo svolgimento del ruolo della madre.
4.— L’art. 4, primo comma, della legge n. 1204 del 1971, nel prevedere due periodi di astensione obbligatoria (uno anteriore e uno posteriore al parto) contiene una formulazione letterale che appare rigidamente determinata sia in ordine alla durata, che alla decorrenza. Ciò é confermato dall’art. 6 del d.P.R. 25 novembre 1976, n.1026 (Regolamento di esecuzione della legge 30 dicembre 1971, n.1204, sulla tutela delle lavoratrici madri) che individua nel giorno successivo al parto il dies a quo del secondo periodo di astensione dal lavoro; ma tale rigidità rivela aspetti irragionevoli in relazione a casi di parto prematuro.
In questa ipotesi é notoriamente indispensabile che il bambino – per un periodo talvolta lungo – sia affidato alle cure di specialisti ed all’apparato sanitario, mentre la madre, una volta dimessa e pur in astensione obbligatoria dal lavoro, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato nelle strutture ospedaliere; ed é invece obbligata a riprendere l’attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. E’ pertanto innegabile che detta situazione contrasti sia col principio della parità di trattamento, sia col valore della protezione della famiglia e con quello della tutela del minore, con violazione dei parametri costituzionali invocati. Va pertanto dichiarata l’incostituzionalità della norma censurata.
5.— E’ appena il caso di accennare che da tempo é stata rilevata l’incongruenza della disposizione in parola nell’ipotesi di parto prematuro, e si propongono diverse soluzioni con specifico riguardo alla decorrenza del periodo di astensione, spostandone l’inizio o al momento dell’ingresso del neonato nella casa familiare, o alla data presunta del termine fisiologico di una gravidanza normale; la prima soluzione é analoga a quella relativa all’ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza n. 332 del 1998). La seconda é parsa meritevole di essere seguita dal disegno di legge n. 4624 che detta "Disposizioni per sostenere la maternità e la paternità e per armonizzare i tempi di lavoro, di cura e della famiglia" presentato dal Governo alla Camera dei Deputati in data 3 marzo 1998.
La scelta fra le diverse possibili soluzioni spetta al legislatore.
Peraltro, accertata l’illegittimità costituzionale della norma, in assenza di intervento legislativo sarà il giudice a individuare nel complessivo sistema normativo la regola idonea a disciplinare la fattispecie in conformità dei principi indicati (sentenze n. 347 del 1998 e n. 295 del 1991).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) nella parte in cui non prevede per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1999.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 30 giugno 1999.