SENTENZA N. 125
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promossi con due ordinanze emesse il 25 maggio e il 6 luglio 1994 dal Tribunale per i minorenni di Catania, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, nei procedimenti penali a carico di Torre Angelo e Leanza Carmelo, iscritte rispettivamente ai nn. 453 e 625 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 35 e 43, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. -- Con due ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, emesse rispettivamente il 25 maggio e il 6 luglio 1994, il Tribunale per i minorenni di Catania, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, ha sollevato -- in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione -- questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), "nella parte in cui esclude che si possa disporre la sospensione del processo e messa alla prova nel caso l'imputato abbia richiesto giudizio abbreviato in seguito a decreto di giudizio immediato, disposto su richiesta del pubblico ministero".
Premette il giudice remittente che, concluse le indagini preliminari, il pubblico ministero depositava richiesta di giudizio immediato, che il giudice per le indagini preliminari disponeva. In seguito a tempestiva richiesta dell'imputato, acconsentita dal pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari disponeva procedersi nella forma del giudizio abbreviato, fissando all'uopo l'udienza preliminare; nella fase preliminare della detta udienza l'imputato chiedeva d'essere messo alla prova. Ma l'ammissione al citato istituto è preclusa dalla disposizione di cui al comma 4 dell'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, secondo cui "La sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato (...)".
Ciò posto, osserva il remittente che detta preclusione suscita dubbi di incostituzionalità non manifestamente infondati.
A) In primo luogo, il giudice a quo prospetta il contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione sotto duplice profilo.
Innanzitutto, la norma in esame porta a trattare in maniera diseguale situazioni, invece, uguali.
L'imputato viene posto dal pubblico ministero davanti al bivio obbligato di chiedere il giudizio abbreviato ed assicurarsi, specie laddove il reato sia grave e la pena severa, nel caso di probabile condanna, la riduzione di un terzo, così, tuttavia, precipitando, suo malgrado, nell'inammissibilità di cui al detto comma 4 del citato art. 28; oppure accettare il giudizio immediato nella speranza che il giudice del dibattimento reputi opportuno sospendere il processo e metterlo alla prova.
Come appare chiaro -- osserva ancora il remittente -- la seconda soluzione carica di un rischio inaccettabile l'imputato minorenne: egli adolescente, o poco più che tale, che potrebbe accedere alla possibilità di misurarsi in primo luogo con se stesso e quindi con l'intera società civile nella sfida che vede in gioco la sua vita, non deve essere costretto, per scelta (pur legittima) non sua, a rinunciare al beneficio certo della riduzione di cui all'art. 442 del codice di procedura penale nella speranza, invero assai incerta, e collocata non prossima nel tempo, che il giudice del dibattimento lo metta alla prova.
In altri casi, pur essendo la prova evidente, l'iscrizione della notizia di reato non più vecchia di novanta giorni ed essendo stato interrogato l'imputato, il pubblico ministero, come è suo potere, può scegliere la via ordinaria della richiesta di rinvio a giudizio ed in tal caso l'imputato, che pur versava nella medesima situazione dell'altro per il quale venne chiesto giudizio immediato, offrendosi preliminarmente ad un tentativo di messa alla prova, nel caso in cui il giudice non ritenga disporla, ben potrà accedere al giudizio abbreviato "fino a che non siano formulate le conclusioni" (art. 439, comma 2, del codice di procedura penale).
In secondo luogo, prosegue il remittente, poichè il ricorrere dei presupposti del giudizio immediato è affatto casuale (un procedimento può mostrarsi di prova evidentissima, ma solo dopo trascorsi novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato), far dipendere da essi la grave preclusione di cui alla norma impugnata appare illogico e irragionevolmente obliterante del diritto del minore alla valutazione della personalità (artt. 9 e 28 del d.P.R. n. 448/88), che egli chiede a viva voce.
B) È prospettato, poi, il contrasto con l'art. 31, secondo comma, della Costituzione.
Afferma il remittente che le peculiarità dell'adolescenza dell'uomo, periodo di forti sentimenti, di particolare debolezza rispetto ai contesti, terreno sempre fertile, pur nei casi di più devastante e nefasta adultizzazione, impone che gli istituti processuali, modulati secondo le esigenze dell'imputato adulto, debbano essere riportati al dovere di protezione dell'infanzia, il quale impone, a sua volta, la valorizzazione di quelle peculiarità. Il comma 4 dell'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988 ha lo scopo di garantire all'imputato, che ciò preferisca, la certezza del processo ed eventualmente della condanna a pena ridotta, rispetto ad una prova che egli rifiuta: anche se, pur in tal caso, osserva il remittente, c'è da chiedersi che ragionevolezza ci sia nel ritenere la preclusione anche nel caso in cui, dopo essere stato ammesso all'abbreviato, sia lo stesso imputato a chiedere di essere messo alla prova. Il mancato coordinamento della preclusione di cui al citato articolo 28 con la situazione nella quale l'imputato "è costretto" a chiedere il giudizio abbreviato per riappropriarsi della udienza preliminare importa il mancato riconoscimento, e quindi rispetto, della sua condizione di adolescente.
C) Infine, è ipotizzato anche il contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto il principio della inviolabilità del diritto di difesa deve far ritenere costituzionalmente censurabili tutte quelle scelte legislative le quali irragionevolmente pongano l'imputato, come nel caso di specie, in situazione processuale deteriore non dipendente da scelte di lui; raggiunto da decreto di giudizio immediato, all'imputato si offrono due alternative, entrambe foriere di pregiudizio, alle quali egli non può sottrarsi.
2. -- È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione.
Osserva l'Avvocatura generale dello Stato che non può sfuggire come le situazioni nel cui ambito il pubblico ministero può chiedere il giudizio immediato sono oggettivamente diverse da quelle in cui si segue il rito ordinario e tale diversità permane anche nel processo a carico di imputato minorenne, ove anzi vigono principi che impongono di adeguare il ricorso al procedimento speciale alla personalità ed alle esigenze educative del minorenne.
Il comma 4 dell'art. 28 impugnato va anzi visto in chiave garantista.
La messa alla prova, infatti, va considerata come misura di natura penale, anche se connotata in modo del tutto pregnante da una funzione di sostegno educativo: essa presuppone il previo accertamento della penale responsabilità dell'imputato.
Sulla base di tale presupposto, la norma censurata va letta come possibilità data all'imputato di sottrarsi (chiedendo il giudizio abbreviato o il giudizio immediato) alla messa alla prova per far affermare subito la propria estraneità al fatto.
Quanto all'onere (eventualmente grave, in relazione all'entità del fatto addebitato) per il minore di affrontare un tale tipo di scelta, va rammentato -- conclude l'Avvocatura -- che egli, ovviamente, non è solo in questa sede, in quanto, anche se chiamato ad esprimere personalmente la sua volontà, è comunque sostenuto ed indirizzato dal difensore, dai genitori, da tutti gli altri soggetti a tale fine indicati dall'art. 12 del d.P.R. n. 448 del 1988.
Considerato in diritto
1. -- Il Tribunale per i minorenni di Catania, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, con due ordinanze di identico contenuto (per cui va disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini di un'unica decisione), solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), "nella parte in cui esclude che si possa disporre la sospensione del processo e messa alla prova nel caso l'imputato abbia richiesto giudizio abbreviato in seguito a decreto di giudizio immediato disposto su richiesta del pubblico ministero".
Ad avviso del remittente, la preclusione prevista nella norma impugnata determina la violazione, in primo luogo, dell'art. 3 della Costituzione, per ingiustificata disparità di trattamento tra imputati minorenni che versano nella medesima situazione, a seconda che il pubblico ministero richieda il giudizio immediato, ovvero, pur ricorrendone i presupposti, opti, com'è sua facoltà, per l'ordinaria richiesta di rinvio a giudizio: mentre, infatti, in quest'ultima ipotesi il minore può, all'udienza preliminare, chiedere la messa alla prova e poi, in caso di diniego, presentare richiesta di giudizio abbreviato fino alla formulazione delle conclusioni, qualora invece il pubblico ministero scelga la strada del rito immediato il minore si trova nella necessità di optare subito tra l'accettazione di tale procedimento, con la speranza di ottenere in quella sede la sospensione, ma rinunciando al beneficio della riduzione di pena, ovvero la richiesta di giudizio abbreviato con i connessi benefici (come è avvenuto nella fattispecie), ma così incorrendo nella denunciata preclusione della messa alla prova.
L'art. 3 della Costituzione sarebbe altresì violato per irragionevolezza intrinseca della norma censurata, apparendo illogico (e pregiudizievole per il diritto del minore alla valutazione della personalità) far dipendere la grave preclusione in esame dal ricorrere, del tutto casuale, dei presupposti per il giudizio immediato.
È poi prospettato il contrasto con l'art. 31, secondo comma, della Costituzione, il quale impone che gli istituti processuali minorili siano improntati al dovere di protezione dell'infanzia e quindi di valorizzazione delle peculiarità dell'adolescenza.
Il remittente denuncia, infine, la violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto da una scelta del pubblico ministero derivano conseguenze pregiudizievoli per l'imputato, il quale si trova di fronte ad una secca ed immediata alternativa, in ogni caso comportante la rinuncia ad un (possibile) beneficio.
2. -- Al di là degli stretti termini in cui -- in aderenza al caso di specie -- la questione è sollevata, il complesso delle argomentazioni svolte dal remittente investe, a ben vedere, in radice la preclusione dell'istituto della messa alla prova nel caso di richiesta dell'imputato di giudizio abbreviato, indipendentemente dalla particolare ipotesi in cui ciò avvenga dopo che il giudice ha disposto il rito immediato chiesto dal pubblico ministero.
Che tale sia la effettiva portata delle censure del giudice a quo, tendenti a coinvolgere in generale l'incompatibilità -- sancita dalla norma impugnata -- tra rito abbreviato e messa alla prova, risulta, del resto, con chiarezza là dove il Tribunale si chiede "che ragionevolezza ci sia nel ritenere la preclusione anche nel caso in cui, dopo essere stato ammesso all'abbreviato, sia lo stesso imputato a chiedere di essere messo alla prova".
È, pertanto, nei termini così individuati che la proposta questione va esaminata.
3.1. -- La questione è fondata.
La sospensione del processo con messa alla prova, di cui agli artt. 28 e 29 delle disposizioni sul processo penale minorile, costituisce un istituto del tutto nuovo nel nostro ordinamento, in quanto, pur aggiungendosi ad altre analoghe ipotesi già esistenti, è caratterizzato dal fatto di inserirsi, in via incidentale, in una fase (udienza preliminare o dibattimento) antecedente la pronuncia sulla regiudicanda e di poter dar luogo, in caso di esito positivo della prova, ad una sentenza pienamente liberatoria.
Questi peculiari aspetti dell'istituto in esame sottolineano il rilievo che esso assume nell'ambito del processo penale minorile, evidenziandone la stretta aderenza alla essenziale finalità di recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale (anche attraverso l'attenuazione dell'offensività del processo), cui la giustizia minorile -- come più volte questa Corte ha affermato (cfr. sentenze nn. 125 del 1992, 206 del 1987 e 222 del 1983) -- deve essere improntata, in ossequio al principio della tutela dei minori di cui all'art. 31 della Costituzione.
Tali esigenze erano, del resto, ben presenti al legislatore delegante, il quale, nel dettare l'art. 3 della legge n. 81 del 1987, aveva prescritto, nella prima parte, che la disciplina del processo minorile dovesse rispettare i principi generali del nuovo processo penale, ma "con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione"; e poi, nella direttiva di cui alla lettera e), da cui specificamente trae origine l'istituto in esame, aveva stabilito il "dovere del giudice di valutare compiutamente la personalità del minore sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell'apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti"; la "facoltà del giudice di sospendere il processo per un tempo determinato, nei casi suddetti"; nonchè la "sospensione in tal caso del corso della prescrizione".
La messa alla prova, in conclusione, costituisce, nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo, forse più di ogni altro, alle indicate finalità della giustizia minorile.
3.2. -- In coerenza con le menzionate caratteristiche ed in linea con le citate direttive della delega, il legislatore non ha condizionato il provvedimento de quo alla prestazione del consenso da parte del minore (nè del pubblico ministero), ma ha rimesso al giudice la decisione circa l'opportunità di sospendere il processo al fine di valutare la personalità del minorenne all'esito della prova, prescrivendo soltanto che tale decisione sia adottata "sentite le parti".
D'altro canto, il comma 3 dell'art. 28 in esame prevede che "contro l'ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore".
Pertanto (a prescindere dall'indubbio "peso" che -- in considerazione della natura e delle modalità di attuazione della misura -- deve in concreto assegnarsi al parere del minore in ordine all'adozione del provvedimento), all'imputato è attribuito dalla norma ora citata un mezzo di impugnazione con riguardo a tutti i possibili vizi di legittimità o di motivazione dell'ordinanza che dispone la misura: tra i quali rientra anche il profilo attinente alla sussistenza di un presupposto concettuale essenziale del provvedimento (come unanimemente ritengono la dottrina e la giurisprudenza), connesso ad esigenze di garanzia dell'imputato, costituito da un giudizio di responsabilità penale che si sia formato nel giudice, in quanto altrimenti si imporrebbe il proscioglimento.
Va altresì aggiunto che, secondo la Corte di cassazione, sono impugnabili anche le ordinanze di diniego della misura, e ciò sia in base alla lettera della legge, sia alla ratio dell'istituto, tendente a limitare al massimo il contatto traumatico tra il minore e il processo penale.
4.1. -- Nell'ambito del delineato quadro normativo si inserisce la norma impugnata, la quale stabilisce che "la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato".
La norma, nel suo oggettivo significato, impedisce, dunque, al giudice di adottare il provvedimento di sospensione del processo e di messa alla prova qualora l'imputato minorenne formuli -- per quanto qui interessa -- richiesta di giudizio abbreviato: viene, cioè, sancita una automatica preclusione dell'istituto in esame nel caso in cui il minore scelga di accedere al detto rito speciale.
Ritiene questa Corte che una tale previsione si ponga in contrasto con i parametri costituzionali invocati dal remittente.
In primo luogo -- come esattamente osserva il giudice a quo -- la norma appare viziata da irragionevolezza, in quanto non si comprende per quale motivo al minore, che sia stato ammesso al giudizio abbreviato, debba poi essere negato di chiedere la messa alla prova, con il connesso eventuale beneficio della sentenza dichiarativa della estinzione del reato.
Non sussiste certamente, del resto, alcuna sorta di incompatibilità strutturale, ontologica, tra l'istituto di cui trattasi e il rito abbreviato, il quale si svolge secondo le norme previste per l'udienza preliminare.
Inoltre, la denunciata preclusione contrasta anche con gli artt. 31, secondo comma, e 24 della Costituzione, in quanto impedisce, senza che siano ravvisabili motivi ragionevoli, di dare ingresso ad una misura particolarmente significativa -- come sopra si è ampiamente detto -- sotto l'aspetto rieducativo ed avente riflessi sostanziali di natura premiale.
4.2. -- A conclusioni non diverse deve pervenirsi anche qualora la ratio della norma vada individuata nell'intento di attribuire all'imputato uno strumento per sottrarsi alla messa alla prova: secondo la dottrina, infatti, il motivo della disposizione in esame è quello di consentire al minore, che preferisca una rapida definizione del caso, di impedire, esercitando una sorta di potere di veto, che si addivenga alla sospensione.
Ma pur in tale ottica la norma non si sottrae ai denunciati vizi di costituzionalità.
A prescindere da ogni astratta valutazione in ordine alla legittimità di una normativa che avesse effettivamente costruito l'istituto in esame come subordinato al consenso del minore, ciò che, però, certamente non può sfuggire ad un giudizio di irrazionalità è la soluzione adottata.
Pur avendo, infatti, attribuito al giudice la facoltà di disporre la misura previa la semplice audizione delle parti, si è poi voluto -- secondo la anzidetta tesi interpretativa -- introdurre contraddittoriamente un potere di veto da parte dell'imputato, per di più mediante un meccanismo tecnico indiretto (la richiesta del rito speciale) a sua volta illogico e pregiudizievole.
Non si vede perchè, invero, il dissenso del minore, preclusivo della sospensione, debba manifestarsi attraverso la necessaria alternativa della richiesta di giudizio abbreviato, che ha presupposti e finalità suoi propri, così finendo con il rendere incompatibili i due istituti, con le conseguenze già evidenziate al punto precedente.
In conclusione, l'impugnato art. 28, comma 4, quale che sia la ratio che lo sorregge, risulta in contrasto con i parametri costituzionali invocati: deve pertanto essere dichiarato illegittimo nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato.
5. -- Come si è visto al punto 4.1., il medesimo art. 28, comma 4, in esame prevede la preclusione della sospensione del processo per messa alla prova anche nel caso in cui l'imputato chieda il giudizio immediato.
Appare evidente come le considerazioni dianzi svolte, in ordine alla irragionevolezza, nonchè al contrasto con i precetti di cui agli artt. 31, secondo comma, e 24 della Costituzione, della preclusione a seguito di richiesta di giudizio abbreviato, valgano in pari misura pure per la parallela previsione ora citata.
Deve solo aggiungersi che spetterà alla giurisprudenza valutare se l'esigenza del convincimento del giudice in ordine alla responsabilità penale dell'imputato -- che costituisce, come s'è detto, un presupposto logico essenziale del provvedimento dispositivo della messa alla prova -- richieda, in questo caso, che la sospensione non possa intervenire nella fase predibattimentale, occorrendo, viceversa, affinchè possa ritenersi adeguatamente formato quel convincimento, che il giudice tenga conto anche dell'istruzione dibattimentale.
In conclusione, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni anche nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio immediato.
6. -- È appena il caso di rilevare, infine, che dalla presente pronuncia consegue la perdita di efficacia dell'intero comma 4 dell'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato.
Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio immediato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/04/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 14/04/95.