SENTENZA N. 54
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 380, secondo comma, lettera e), del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 25 febbraio ed il 21 marzo 1992 dal Pretore di Milano, nel procedimento di convalida dell'arresto di Cara Graziella, iscritte ai nn. 395 e 396 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto in fatto
l.- Dovendo provvedere alla convalida dell'arresto di Cara Graziella, il Pretore di Milano ha sollevato d'ufficio, con ordinanza del 25 febbraio 1992, una questione di legittimità costituzionale dell'art. 380, secondo comma, lettera e), del codice di procedura penale, "nella parte in cui impone l'arresto nella flagranza del delitto, consumato o tentato, di furto, ricorrendo la circostanza aggravante prevista dall'art.625, comma 1, n. 2, prima ipotesi, anche nel caso in cui la violenza sulle cose abbia cagionato un danno esiguo, tale da non potere integrare un deterioramento di una certa consistenza".
Premesso che nella specie il tentato furto aveva avuto ad oggetto una giacca ed un "tailleur" sottratti dai banchi di vendita di un grande magazzino e che la violenza sulle cose era consistita nella rottura, tramite un tagliaunghie, delle placche antitaccheggio, e rilevato che tale aggravante sussisterebbe anche nell'ipotesi della rottura dell'involucro di cellophan di una musicassetta, il Pretore rimettente osserva che con le previsioni di cui al secondo comma dell'art. 380 il legislatore delegato ha dato attuazione al criterio direttivo (c.d. qualitativo) enunciato al n.32 dell'art. 2 della legge delega per l'arresto obbligatorio in flagranza, predeterminando le fattispecie delittuose rispondenti alle "speciali esigenze di tutela della collettività" da esso postulate.
Dopo aver ricordato la delimitazione di tale concetto operata da questa Corte - a proposito dell'abrogato art. 1 della legge n. 152 del 1975 - con la sentenza n. 1 del 1980, nonchè quella dettata in tema di misure cautelari dall'art. 274, primo comma, lettera c), in attuazione della direttiva n. 59 della delega, il giudice a quo sottolinea l'ulteriore circoscrizione che nel caso in esame si desume dal ricorso all'aggettivo "speciali" ed assume che la direttiva n. 32 sarebbe violata - e con essa l'art. 76 Cost. - in quanto la norma non limita l'obbligo dell'arresto alle ipotesi in cui il furto con violenza sulle cose sia tale da porre in pericolo le condizioni di base della sicurezza collettiva, imponendolo perciò anche nei casi in cui la violenza abbia comportato un danno estremamente esiguo. L'assimilazione di tali casi ad altri nettamente differenti sotto il profilo del disvalore e della sintomaticità del fatto (es. furto di denaro o preziosi mediante perforamento con lancia termica del caveau di una banca) comporterebbe, inoltre, violazione dell'art. 3 Cost..
Sotto il medesimo profilo, il giudice a quo sottolinea che l'arresto è invece facoltativo (art. 381, comma quarto, cod.proc. pen.) per fattispecie obiettivamente più gravi, suscettibili di determinare nella collettività un più intenso allarme, quali il furto commesso da persona che porta indosso armi, da tre o più persone, ovvero con destrezza; e che della necessità di distinguere a seconda dell'entità del fatto il legislatore si è dato carico recentemente per i delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope, per i quali si è escluso l'obbligo dell'arresto laddove per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dall'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 risultino di lieve entità (art. 2 legge n. 314 del 1991, che ha sostituito la lettera h) del secondo comma dell'art. 380 cod. proc. pen.).
l.l.- La medesima questione, motivata in termini sostanzialmente identici, è stata nuovamente sollevata dallo stesso Pretore di Milano, con ordinanza del 21 marzo 1992, nel corso di un successivo procedimento per analogo reato nei confronti della medesima Cara Graziella.
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, deduce innanzitutto l'inammissibilità per irrilevanza delle questioni sollevate, rese inutili dall'essersi i giudici a quibus spogliati della cognizione sull'arresto. Infatti i procedimenti di convalida dell'arresto si sono conclusi con le pronunce, contestuali all'ordinanza di rimessione, di "immediata liberazione dell'arrestata ... sul rilievo della carenza di valido titolo di detenzione".
Una seconda ragione di inammissibilità discende, secondo l'Avvocatura, dal fatto che viene richiesta un'addizione alla norma impugnata che non è concordemente descritta, dato che la prima ordinanza accenna al "danno esiguo", la seconda ai "mezzi adoperati"; e ad una pronuncia additiva non può pervenirsi quando v'è da compiere una scelta tra più alternative.
La questione sarebbe comunque infondata nel merito, essendo il furto con violenza sulle cose un reato gravemente offensivo, come può desumersi dall'ingente quantità di risorse che la collettività è costretta a dedicare alla difesa privata da esso; ed andrebbe altresì considerato che il timore dell'arresto obbligatorio è l'unica effettiva remora per persone che del furto fanno una "normale" attività "lavorativa".
Il richiamo, poi, agli enunciati della sentenza n. 1 del 1980, sarebbe improprio, dato che essa atteneva non alla flagranza ma alla cessazione delle esigenze cautelari c.d. finali della custodia (allora preventiva) e dunque al venir meno dello stato di detenzione in rapporto alla pericolosità potenziale del soggetto; e d'altra parte l'apprezzamento delle particolarità del caso concreto ben può, una volta che l'arresto sia convalidato, determinare la cessazione rapida della custodia ex art. 391 cod. proc. pen..
Infine, secondo l'Avvocatura, non sarebbe prospettabile un sia pur limitato vizio di irrazionalità ex art. 3 Cost., giacchè la connotazione generale e astratta della norma esclude che possano introdursi, in una disposizione vincolante all'arresto, selettori equivoci o zone grigie, come prospettato dai giudici remittenti allorchè sostanzialmente ipotizzano pronunce additive che inseriscano nella normativa criteri vaghi e arbitrari.
Considerato in diritto
l.- Data l'identità delle questioni sollevate, i due giudizi vanno riuniti.
Con le ordinanze indicate in epigrafe, il Pretore di Milano dubita che l'art. 380, secondo comma, lettera e), cod. proc. pen., nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio nella flagranza del delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose (art. 625, primo comma, n. 2, cod. pen.) anche nelle ipotesi in cui questa abbia cagionato un danno esiguo, contrasti: - con l'art. 76 Cost., non potendosi in tal caso ravvisare quelle "speciali esigenze di tutela della collettività" che la direttiva n. 32 dell'art. 2 della legge delega pone come requisito (c.d. qualitativo) per l'obbligatorietà dell'arresto;
- con l'art. 3 Cost., dato che la mancata esclusione dell'obbligatorietà dell'arresto comporta un'ingiustificata parificazione con le ipotesi più gravi dello stesso delitto di cui all'art. 625, n.2, cod. pen. ed un'ingiustificata differenziazione rispetto sia ad altre ipotesi di furto aggravato per le quali l'arresto è solo facoltativo, sia rispetto alla esclusione dell'obbligatorietà dell'arresto prevista per i delitti in materia di sostanze stupefacenti qualora i fatti siano di lieve entità.
2.- L'Avvocatura dello Stato sostiene che le predette questioni sarebbero inammissibili per irrilevanza, dato che nei casi di specie i procedimenti di convalida dell'arresto si sono conclusi con le pronunce, contestuali alla ordinanza di rimessione, di "immediata liberazione dell'arrestata ... sul rilievo della carenza di valido titolo di detenzione".
L'eccezione non è fondata, dato che presuppone un'interpretazione di tale provvedimento antitetica rispetto al tenore testuale delle due ordinanze, con le quali è stata disposta "l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il giudizio di convalida in corso". In realtà, il provvedimento di liberazione dell'arrestata era imposto, in entrambi i casi, dalla disposizione di cui all'art. 391, settimo comma, ultima parte, del codice di rito, il quale - nel testo sostituito dall'art.25 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 - prevede testualmente che "l'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice". Poichè tale disposizione ricollega la perdita di efficacia dell'arresto alla carenza, per qualsiasi ragione, di un provvedimento positivo di convalida nel suddetto termine, è ovvio che l'impossibilità di rispettarlo conseguente all'elevazione della questione comportava (o avrebbe di li a poco ineludibilmente comportato) l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento di convalida, che con le ordinanze era stato contestualmente sospeso. Tale procedimento non può perciò ritenersi esaurito, nè di esso i giudici si sono spogliati: e la sua persistenza nonostante la liberazione trova ragione nell'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimità dell'arresto, che ha pur sempre determinato una privazione di libertà.
La rilevanza della questione, dunque, permane, trattandosi di stabilire se la liberazione dell'arrestata debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391, settimo comma, ovvero, più radicalmente, alla caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti.
Del pari infondata è l'eccezione di inammissibilità che trae spunto dalla parziale divergenza tra i petita delle due ordinanze, in quanto - a parte che questi sono sostanzialmente simili - l'alternatività delle prospettazioni che può comportare tale conclusione processuale deve essere insita in ciascuna delle singole ordinanze, sì da suscitare dubbio circa la pronuncia richiesta, e non può invece riscontrarsi quando si rinvenga in provvedimenti distinti, che devono formare oggetto di valutazione autonoma.
3.- La questione non merita analitiche considerazioni sotto il profilo dell'invocato principio di uguaglianza, dato che, quando una norma è astrattamente applicabile ad una pluralità di situazioni, i margini di discrezionalità che vanno riconosciuti al legislatore sono tali da non consentire, in via generale, un raffronto tra le varie fattispecie che conduca a ritenere vulnerato il canone di cui all'art. 3 Cost..
Considerata, invece, in riferimento all'art. 76 Cost., la questione è fondata.
La legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, al punto 32 dell'art.2, ha fissato i principi direttivi in tema di arresto obbligatorio nella flagranza di reato, indicando al legislatore delegato i criteri per determinare i reati, consumati o tentati, in flagranza dei quali l'arresto è obbligatorio. Un primo criterio assume come parametro la pena prevista in astratto per il reato commesso (reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni) e indica quindi come obbligatorio l'arresto di chi è colto in flagranza di reati che - per l'entità della pena prevista - sono di rilevante (o rilevantissima) gravità. Con un secondo criterio viene affidato al legislatore delegato il compito di prevedere l'arresto obbligatorio anche in flagranza di altri reati - puniti in misura meno severa - ma tali per cui la indicata misura sia imposta da "speciali esigenze di tutela della collettività".
É con riferimento a quest'ultima specifica direttiva che il legislatore delegato ha previsto casi di arresto obbligatorio "eccezionali" nella flagranza di vari reati e tra questi ultimi anche del delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 624 e 625, n. 2, prima ipotesi).
La Relazione al progetto preliminare del codice (p. 95-96), per precisare "il significato più pregnante della locuzione "speciali esigenze di tutela della collettività"" - "che caratterizza la direttiva in senso fortemente limitativo" - afferma esplicitamente che esso va "colto nelle indicazioni contenute nella sentenza n. 1 del 1980 della Corte costituzionale quelle esplicitate nell'art. 279 del progetto preliminare del 1978 i cui principi sono stati trasfusi nell'art. 274 comma 1 lett. c), in tema di misure cautelari". E ricorda, da un lato, che la Corte, nella predetta sentenza < < giudicando dell'art. 1 l.22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico) ha ritenuto che l'espressione, indubbiamente generica, "esigenza di tutela della collettività" trova delimitazione e senso concreto, sia pure nel e dal contesto della legge 152 del 1975, in relazione ai reati che hanno quali caratteristiche l'uso di armi o di altri mezzi di violenza contro le persone, la riferibilità ad organizzazioni criminali comuni e politi che, la direzione lesiva verso le condizioni di base della sicurezza collettiva ee dell'ordine democratico>>; dall'altro, che l'art. 274, primo comma, lettera c) stabilisce, analogamente, che le misure cautelari vanno disposte "quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti della stessa indole di quelli per cui si procede o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine democratico ovvero gravi delitti di criminalità organizzata".
In riferimento a quest'ultima norma, la Relazione al progetto preliminare (p.71-72) precisa - a proposito del concetto di "esigenze di tutela della collettività" - che < < utilizzandosi anche indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale, ed in parte recepite dalla stessa legislazione vigente, si sono pertanto individuate due - e due sole - categorie di fattispecie criminose (quelle dei gravi delitti diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale e quella dei gravi delitti di criminalità organizzata) la cui potenziale realizzazione da parte dell'imputato, ricavabile da specifiche modalità e circostanze del fatto che attualmente gli si addebita nonchè dalla sua personalità globalmente considerata, integra di per sè l'esigenza cautelare" in questione; mentre, con riferimento ad ogni altra situazione, la "tutela della collettività" dovrà concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti collegati, sul piano della medesimezza di indole, a quello per cui si è imputati>>.
Quanto all'art. 380 qui specificamente esaminato, la Relazione conclude che, in definitiva, < < si è ritenuto di seguire, come criterio di massima per la predeterminazione degli "altri delitti ... avuto riguardo a speciali esigenze di tutela della collettività" di cui alla lett. b) della direttiva 32, quello che ha riferimento all'essere il delitto grave e diretto contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale o l'essere un grave delitto di criminalità organizzata>>.
Che l'intento del legislatore delegante in materia di arresto obbligatorio in flagranza fosse particolarmente restrittivo e volto a contenere tale misura precautelare in un alveo di eccezionalità risulta quindi chiaramente dalla stessa Relazione al codice; ed è al riguardo significativo che, mentre rispetto alla custodia in carcere si è abbandonato, nella direttiva n. 59, il requisito della "inderogabilità" delle esigenze di tutela della collettività (v. il testo della corrispondente direttiva n. 58 approvato dall'Assemblea della Camera dei deputati il 18 luglio 1984), per l'arresto obbligatorio in flagranza si è invece mantenuto il carattere di "specialità" di tali esigenze.
4.- Se si esaminano i casi rispetto ai quali il legislatore delegato, nel formulare l'art. 380, secondo comma, ha ritenuto sussistenti le suddette "speciali" esigenze, è dato riscontrare - sulla scorta di un efficace categorizzazione dottrinaria - che esse sono state individuate nella salvaguardia dell'ordine costituzionale (lettere a), i) e talune previsioni della lettera l)), ovvero da forme di criminalità organizzata (lettera l), nell'ipotesi di delitti concernenti le associazioni di tipo mafioso, e lettera m)), ovvero della sicurezza e incolumità pubblica (lettere b), g), h), e lettera e), prima ipotesi), o ancora della libertà, incolumità e sicurezza individuale da comportamenti posti in essere con mezzi di violenza personale (lettere d) e f)).
Che il delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose non si presti agevolmente ad essere accostato ad una simile categorizzazione, e per ciò stesso ai criteri che l'hanno dettata, sembra alla Corte potersi desumere dallo stesso tipo di argomentazioni addotte dal legislatore a sostegno del suo inserimento. Nella Relazione al progetto preliminare del codice, previa una discutibile considerazione unitaria di tale delitto e di quelli di rapina ed estorsione, si afferma che la previsione per essi dell'arresto obbligatorio in flagranza < < trova giustificazione, da un lato nell'estrema diffusione di tali reati, di guisa che non sembra del tutto improprio un riferimento al criterio - sia pur ampiamente inteso - di sicurezza collettiva, e dall'altro nella considerazione che la coscienza sociale ritiene naturale ed imprescindibile la misura coercitiva a carico del fur manifestus per lo scandalo e l'emozione che tale reato suscita, di guisa che, confinato il reato (con quelli di rapina ed estorsione semplice) fra i casi di arresto facoltativo, verrebbe sottratto al privato - la cui facoltà d'arresto è opportuno mantenere per i soli casi d'arresto obbligatorio - ogni potere coercitivo con l'insorgere di possibili questioni ove il reo fosse "trattenuto">>.
La congruità di tale motivazione rispetto al criterio delle "speciali" esigenze di tutela della collettività dettato dal legislatore delegante va qui esaminata non con riferimento alla totalità delle ipotesi sussumibili nell'ambito della fattispecie di furto (consumato o tentato) aggravato dalla violenza sulle cose, bensì solo in relazione al caso in cui esso sia tale da comportare un danno di speciale tenuità: nozione, questa, cui i giudici a quibus, pur adottando espressioni diverse, hanno sostanzialmente inteso riferirsi, come si desume dalle argomentazioni prospettate nelle ordinanze e dalle fattispecie concrete oggetto di esame.
5.- Per valutare se le "speciali" esigenze di tutela della collettività ricorrano o meno rispetto ad una fattispecie così delimitata, occorre, ad avviso della Corte, che essa sia esaminata alla stregua della considerazione che l'ordinamento positivo fa dei suoi dati caratterizzanti, e cioé del reato di furto aggravato, dall'attenuante del danno di speciale tenuità e dell'istituto dell'arresto obbligatorio in flagranza.
Sotto il primo profilo, occorre ricordare che questa Corte, con la sentenza n. 268 del 1986, ha sottolineato che i principi della Costituzione hanno radicalmente mutato la considerazione che l'ordinamento attribuisce "ai valori dell'essere e dell'avere", sì che la legislazione che ne è seguita ha attenuato il rigido trattamento riservato dal codice Rocco al reato di furto aggravato eliminando (attraverso le modifiche all'art. 69 cod. pen. introdotte con il decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220) la limitazione posta al giudizio di bilanciamento tra aggravanti e attenuanti e consentendo che anche le sole attenuanti generiche neutralizzino o persino prevalgano sulle aggravanti del furto: onde la "gravità di questo delitto è attualmente, perciò, soltanto nell'astratta comminazione della pena, ma non lo è più nella realtà dell'esperienza giuridica, come ben dimostra la casistica giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali".
Sotto il secondo profilo, occorre innanzitutto considerare che il nuovo codice processuale stabilisce che la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. - applicabile, secondo il diritto vivente, anche al furto tentato - rientra, a differenza di tutte le altre attenuanti, tra i fattori di cui si deve tener conto per la determinazione della pena ai fini sia dell'applicazione delle misure cautelari (art. 278), sia della sottoposizione delle varie fattispecie delittuose al regime dell'arresto obbligatorio o dell'arresto facoltativo in flagranza, sia, infine, della verifica circa la sussistenza dei livelli di pena edittale richiesti per disporre o procedere al fermo di indiziato di delitto (art.379).
In secondo luogo, va tenuto presente che una più incisiva considerazione, in via generale, della speciale tenuità del danno emerge dall'ampliamento dell'originario art. 62, n. 4 effettuato con l'art. 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, ove è stabilito che l'attenuante ricorre non solo quando un danno di speciale tenuità sia arrecato alla persona offesa nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ma anche quando sia di speciale tenuità l'evento dannoso o pericoloso nei delitti determinati da motivi di lucro, semprechè si sia agito per conseguire, o si sia comunque conseguito un lucro di speciale tenuità.
Nè, infine, è priva di rilievo ai fini in discorso la modifica allo stesso art. 380, secondo comma, introdotta con l'art. 2 del decreto-legge 8 agosto 1991, n. 247, convertito con legge 5 ottobre 1991, n. 314, con cui si è stabilito - integrando il testo originario della lettera h) - che l'arresto obbligatorio in flagranza per i delitti concernenti sostanze stupefacenti e psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 va escluso se, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la quantità e qualità delle sostanze i fatti ivi previsti siano "di lieve entità".
Sotto il terzo profilo, vanno qui richiamate le considerazioni già svolte dianzi circa l'eccezionalità - nell'ottica del legislatore delegante - dell'istituto dell'arresto obbligatorio in flagranza: eccezionalità che è sottolineata non solo dal requisito di "specialità" delle esigenze di tutela della collettività richieste perchè vi si possa ricorrere, ma anche dal fatto che, nel contempo, lo stesso legislatore ha abolito i casi di obbligatorietà della custodia cautelare in carcere ed ha previsto condizioni più rigorose che nel passato per il fermo di indiziati di delitto.
6.- Attenuazione della gravità del delitto di cui agli artt.624-625 cod. pen., più incisiva ed autonoma rilevanza dell'attenuante del danno di speciale tenuità ed eccezionalità dell'arresto obbligatorio in flagranza convergono, dunque, a far escludere che, nell'ottica del legislatore delegante, tale misura potesse essere prevista per la fattispecie in esame.
In tale quadro, le già riferite giustificazioni ad dotte nella Relazione al progetto preliminare non appaiono affatto persuasive.
Non lo è, innanzitutto, quella che fa perno sull'estrema diffusione" del reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose, sia perchè di un tale criterio non vi è traccia nella direttiva dettata dal legislatore delegante, sia perchè non minore diffusione hanno altre ipotesi di furto aggravato (ad es., dalla destrezza) per le quali l'arresto in flagranza è previsto come solo facoltativo.
Nè più convincente è la tesi secondo cui "la coscienza sociale" riterrebbe "naturale e imprescindibile" l'arresto nei casi in questione, sia per l'evidente genericità ed opinabilità di tale criterio, sia perchè, ove anche lo si adottasse, si perverrebbe probabilmente a conclusioni opposte, potendosi ragionevolmente presumere che quanto meno una parte rilevante dei membri della comunità riterrebbe più equo consentire alla polizia giudiziaria di procedere facoltativamente, anzichè obbligatoriamente, all'arresto, così evitando tale misura traumatica quando, ad esempio, il danno arrecato sia particolarmente lieve ed il fatto sia da addebitare a persona a carico della quale non possano essere sollevati rilievi circa la condotta anteatta.
Nè è decisivo, infine, l'argomento secondo cui l'inclusione della fattispecie in esame tra i casi di arresto facoltativo comporterebbe la sottrazione al privato di ogni potere coercitivo - < < con l'insorgere di possibili questioni ove il reo fosse "trattenuto">> - perchè nulla impedirebbe al legislatore, ove lo ritenesse, di prevedere espressamente, nell' art. 383, la specifica attribuzione al privato del potere di arrestare chi fosse colto nella fragranza del furto aggravato in questione; e del resto , un problema analogo, ma che il legislatore non ha ritenuto degno di considerazione, potrebbe porsi, ad esempio, per il caso del furto con destrezza.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'art. 380, secondo comma, lettera e) del codice di procedura penale deve essere dichiarato incostituzionale, per violazione dell'art. 76 Cost., nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 2, prima ipotesi del codice penale ma concorre la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4 dello stesso codice.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 380, secondo comma, lettera e) del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di furto aggravato ai sensi dell'art. 625, primo comma, numero 2, prima ipotesi, nel caso in cui ricorra la circostanza attenuante prevista dall'art. 62, numero 4 dello stesso codice.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/02/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Ugo SPAGNOLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 16/02/93.