Sentenza n. 374 del 1992

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SENTENZA N.374

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Dott. Renato GRANATA

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma quarto quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonchè in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37, promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1991 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Scartozzi Franco contro il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ed altri, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di costituzione di Scartozzi Franco e dell'E.N.P.A.I.A.

 

nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

uditi l'avvocato Alessandro Pace per Scartozzi Franco e l'E.N.P.A.I.A. e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il T.A.R. del Lazio, sui ricorsi riuniti proposti dal dott. Franco Scartozzi avverso due successive note con le quali il Nflnistero del lavoro e della previdenza sociale non approvava le delibere del Consiglio di Amministrazione dell'Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Impiegati dell'Agricoltura - E.N.P.A.I.A. -, che confermavano il ricorrente nella carica di direttore generale dell'Ente per il quinquennio 1990-1995, successivamente al compimento del 65' anno di età, con ordinanza dei 3 giugno 1991, pervenuta alla Corte Costituzionale il 17 marzo 1992 (R.o. n. 158 del 1992), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37, nella parte in cui non estende anche ai dirigenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, le disposizioni di cui all'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 e all'art. 10, sesto comma, del decreto legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417.

 

Tale disposizione contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione operando una irragionevole discriminazione, ai soli finì del collocamento a riposo, tra i dirigenti dello Stato e quelli degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, tra cui rientra l'E.N.P.A.I.A., ad essi equiparati in via generale in base all'art. 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72, per il trattamento giuridico ed economico.

 

Il giudice a quo ha osservato che la questione é ugualmente rilevante anche se si segue la tesi del Ministero secondo cui la suddetta equiparazione sarebbe stata stabilita solo per i dirigenti di cui all'art. 18 della legge n. 70 del 1975, mentre sarebbe escluso il direttore generale, il cui stato giuridico ed economico é disciplinato da altre norme della legge stessa (artt. 5 e 20), perchè l'art. 5 dei regolamento approvato dal Consiglio di Amministrazione dell'E.N.P.A.I.A. in data 28 settembre 1978, prevede che per tutti i casi non contemplati dalla legge n. 70 del 1975 si applicano al direttore generale le norme vigenti per il restante personale, ivi comprese quelle sul limite massimo di età per la permanenza in servizio.

 

2.- Nel giudizio si sono costituiti il dott. Scartozzi e l'E.N.P.A.I.A. Hanno osservato che non é accoglibile la tesi eseguita dal T.A.R. secondo cui la disposizione impugnata é applicabile solo ai dirigenti civili dello Stato, perchè il legislatore quando ha voluto la estensione lo ha detto espressamente, in quanto detta volontà non risulta in alcun modo e, comunque, l'interprete deve preferire la interpretazione sistematica la quale rende possibile la estensione ai dirigenti del parastato ed in particolare al dirigente generale dell'E.N.P.A.I.A.

 

In tal modo risulterebbe sanata la violazione dell'art. 3 e valorizzato l'intento di attuare nell'ambito del pubblico impiego la estensione maggiormente possibile del diritto a raggiungere il massimo della pensione. Anche se l'espressione "dirigenti civili dello Stato" contenuta nella norma impugnata si intendesse in senso ristretto, si potrebbe ugualmente ritenere l'applicabilità del beneficio di cui trattasi ai dirigenti del parastato e al direttore generale dell'E.N.P.A.I.A. per effetto dell'equiparazione operata dall'art. 20 della legge n. 70 del 1975.

 

In subordine hanno concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata, perchè si sarebbe discostata in modo contraddittorio ed immotivato dall'intento già perseguito ed esplicitato di equiparare le due categorie dei dirigenti dello Stato e dei dirigenti degli enti di cui alla legge n. 70 del 1975.

 

3.- Nel giudizio é, altresì, intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la infondatezza della questione richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale il collocamento a riposo al compimento del 65' anno di età é la regola, e il prolungamento di detta età a 70 anni é una deroga e come tale non può essere invocata come tertium comparationis nel giudizio di legittimità costituzionale.

 

4.- Nella imminenza dell'udienza la difesa dello Scartozzi e dell'E.N.P.A.I.A. ha presentato memoria illustrativa.

 

Ha insistito anzitutto sull'applicabilità della disposizione denunciata anche ai dirigenti del parastato e al direttore generale dell'E.N.RA.I.A., per la sussistenza dell'equiparazione con i dirigenti civili dello Stato sia in via diretta (art. 20 della legge n. 70 del 1975), che in via indiretta (regolamento organico dell'ente di appartenenza ai sensi dell'art. 2 della legge n. 72 del 1985).

 

Ha poi rilevato che la conferma della identificazione delle due categorie si trae anche dalla espressa previsione legislativa (art. 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72, che ha disposto che dal Ì luglio 1985 e fino alla riforma della dirigenza statale e degli altri enti pubblici istituzionali e territoriali, si applicano ai dirigenti del parastato le misure e la disciplina del trattamento economico dei dirigenti statali; l'art. 9 della legge 17 aprile 1984, n. 79, secondo cui, con decorrenza Ì gennaio 1985, lo stato giuridico e il trattamento economico dei dirigenti degli enti disciplinati dalla legge 20 marzo 1975, n. 70 sono stati resi omogenei a quelli dei dirigenti statali); che la volontà del legislatore di effettuare la detta equiparazione si evince anche dai lavori preparatori.

 

É stata confutata la tesi del Ministero del lavoro e si é anche rilevato che é possibile il sindacato della scelta discrezionale del legislatore a favore dei dirigenti civili dello Stato in base ai principi della razionalità, della ragionevolezza e della coerenza dell'ordinamento; che non sono chiare le ragioni per le quali solo per il collocamento a riposo si sia voluta effettuare una discriminazione tra le due categorie di dirigenti; che sussiste la esigenza di ripristinare la coerenza dell'ordinamento con una scelta univoca ed obbligata a favore di una categoria persistentemente equiparata a quella statale; che le precedenti sentenze della Corte (sentt. nn. 490 del 1991 e 461 del 1989) non trovano applicazione per la peculiarità della fattispecie; che, infine, la pronuncia richiesta non comporterebbe alcun pregiudizio per il bilancio dello Stato, ma, al contrario, una riduzione degli impegni di spesa relativi agli aspetti pensionistici, oltre al vantaggio, in termini di efficienza della pubblica amministrazione, derivante dalla permanenza in servizio di personale di elevata qualificazione ed esperienza.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte deve verificare se l'art. 1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni, in legge n. 37 del 1990, nella parte in cui limita ai soli dirigenti civili dello Stato, con esclusione dei dirigenti degli enti di cui alla legge n. 70 del 1975, la facoltà di essere trattenuti in servizio oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età e fino al settantesimo, allo scopo di conseguire il diritto al massimo trattamento pensionistico, violi l'art. 3 della Costituzione, perchè creerebbe una irragionevole discriminazione tra due categorie di dirigenti, equiparate in via generale in base all'art. 2 della legge n. 72 del 1985 per il trattamento giuridico ed economico, ed, in particolare, con il direttore generale dell'E.N.P.A.I.A. per il quale trovano applicazione le norme vigenti per i dirigenti, tra cui quelle che prevedono il limite massimo di sessantacinque anni per la permanenza in servizio.

 

2. - La questione non è fondata.

 

La legge 20 marzo 1975, n. 70, contiene una particolare disciplina per la dirigenza generale degli enti pubblici (art. 20) rispetto a quella dei dirigenti (art. 18) per quanto riguarda la nomina, il trattamento economico ed il rapporto di impiego. Per il direttore generale il rapporto è a tempo determinato; la sua durata è prevista in anni cinque con possibilità di rinnovo. L'art. 5, ultima parte, della detta legge stabilisce che la scelta del direttore generale può avvenire tra i funzionari dell'ente e che l'assunzione è fatta con contratto a tempo determinato. La stessa disciplina è prevista per il direttore generale dell'E.N.P.A.I.A dall'art.1 del regolamento dell'Ente approvato nella seduta del 28 settembre 1978.

 

La rinnovazione dell'incarico ovviamente è affidata alla discrezionalità dell'Ente.

 

2.1-Dalla richiamata disciplina normativa e regolamentare si deduce che quello di direttore generale è piuttosto un incarico di durata limitata nel tempo (cinque anni), con facoltà dell'ente di non rinnovarlo fin dalla scadenza del primo quinquennio.

 

La invocata estensione della disciplina legislativa del rapporto dei dirigenti sia se appartenenti al cosiddetto parastato che all'amministrazione statale e che riguarda rapporti a tempo indeterminato, trova un serio ostacolo nella temporaneità dell'incarico del direttore generale degli enti suddetti, limitato a cinque anni con rinnovo affidato alla discrezionalità dell'Ente.

 

2.2-Nè ai fini dell'assimilazione integrale tra le due categorie rileva la situazione del ricorrente, il cui incarico di direttore generale sembra essere stato più volte rinnovato in modo tale che l'ultimo rinnovo importa il superamento del limite di età dei sessantacinque anni. La situazione peculiare del ricorrente non può essere assunta a regola generale valida per tutti i direttori generali degli enti del parastato.

 

3. -Ma anche a considerare i direttori generali come appartenenti alla più vasta categoria dei dirigenti del parastato, non si può estendere ad essi la disciplina dettata dalla disposizione censurata per i soli dirigenti civili dello Stato.

 

Come più volte affermato da questa Corte (sent. n. 440 del 1991; ordd. nn. 96, 170, 193 del 1992), la regola generale per tutti i pubblici dipendenti rimane quella del collocamento a riposo a sessantacinque anni di età nonostante le varie deroghe apportate per singole categorie. La loro previsione è affidata alla discrezionalità del legislatore a seguito e per effetto dell'apprezzamento delle ragioni che la legittimano e la fondano e che si concretizzano in esigenze differenti per le varie categorie di pubblici dipendenti. Tra esse la necessità di non privarsi di particolari esperienze e capacità che assicurano il buon andamento dell'amministrazione statale. L'esercizio del relativo potere del legislatore, siccome sorretto da ragionevoli motivi, non costituisce un mero arbitrio e si sottrae, quindi, al sindacato di legittimità costituzionale.

 

3.1 - Nè la deroga può essere estesa ad altre categorie di dirigenti con sentenza cosiddetta additiva. La norma invocata non è dotata di una forza espansiva tale da rendere logicamente possibile e necessitata una sua automatica applicazione anche ad altre categorie di dirigenti oltre quelli dello Stato, proprio perchè concreta l'esercizio di un potere discrezionale del legislatore (sent. n. 491 del 1991). A1 suddetto fine non è rilevante la dedotta equiparazione dei dirigenti del parastato ai dirigenti dello Stato per il trattamento giuridico ed economico.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, comma quarto-quinquies, del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate, nonchè in materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 37, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal T.A.R. del Lazio con la ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/07/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Francesco GRECO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 27/07/92.