SENTENZA N. 450
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 44, ultimo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra), e dell'art. 40, terzo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) promossi con tre ordinanze emesse dalla Corte dei conti iscritte rispettivamente ai nn. 410, 422 e 423 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 23 e 25, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa il 22 novembre 1990 (R.O. n. 410) la Corte dei conti - Sez. I Giurisdizionale per le pensioni di guerra - sul ricorso proposto da Maria Lozito, vedova dell' ex militare Giacomo Bassi, avverso il Ministero del Tesoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, dell'art. 44, ultimo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra), nella parte in cui nega alla vedova il trattamento pensionistico di guerra se il matrimonio è durato meno di un anno e non sia nata prole.
Nota l'ordinanza che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 123 del 1990, ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, dell'art. 81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n.1092 (T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nonché dell'art. 6, sesto comma, della legge 22 novembre 1962, n.1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) e dell'art. 10, settimo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699 (Disciplina dell'Ente "Fondo trattamento quiescenza e assegni straordinari al personale del lotto"), nella parte in cui tali norme precludono alle vedove il diritto di conseguire il trattamento pensionistico quando il matrimonio sia durato meno di due anni.
Non sembra dubbio al Collegio che i principi desumibili da questa sentenza possano essere estesi anche alle richiamate norme dell'ordinamento pensionistico di guerra, nelle quali non è dato rinvenire una ratio diversa da quella insita nelle disposizioni che sono state caducate col citato giudizio di legittimità costituzionale.
Anche nella pensionistica per causa bellica la limitazione di cui si discute sarebbe riposta, infatti, nel volersi evitare iniziative maliziose e fraudolente per l'erario; tuttavia, il mero decorso del tempo - fissato in un anno - per il riconoscimento del diritto, con un irrazionale collegamento unicamente ad accadimenti futuri ed imprevedibili, sarebbe discriminatorio ex art. 3 della Costituzione, con negativa incidenza anche sui valori inerenti alla compagine familiare, protetti dai successivi artt. 29 e 31.
Ricordano, in proposito, i remittenti che è riconosciuto il diritto a pensione in favore dei soggetti assimilati, in presenza di procura alle nozze, ovvero per avvenute pubblicazioni matrimoniali, come nel punto specifico riconosciuto dalla Corte costituzionale; ed ancora, in caso di accertata e documentata convivenza preesistente. Ed osserva il Collegio che l'ordinamento vigente mentre nei casi enunciati privilegia la presunzione di un futuro matrimonio, al contrario, ed è la situazione odierna, per l'ipotesi di nozze successive, discrimina la donna che abbia effettivamente contratto sposalizio, sia pure successivamente alla data in cui sono state contratte le ferite o malattie, per il solo fatto che esso ha avuto una durata inferiore ad un anno senza che sia nata prole.
Con altre due ordinanze, emesse rispettivamente dalla Sezione III giurisdizionale per le pensioni di guerra il 6 dicembre 1990 (R.O. n. 422 del 1991) nel giudizio proposto da Rina Ricci Mingani e dalla Sezione IV giurisdizionale per le pensioni di guerra il 2 gennaio 1991 (R.O. n. 423 del 1991) nel giudizio proposto da Maria Danile, è stata sollevata, in riferimento al solo art. 3 della Costituzione, analoga questione di legittimità del già menzionato art. 44, ultimo comma, della legge 18 marzo 1968 n. 313, nonché (ord. n. 422) dell'art. 40, terzo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico della norme in materia di pensioni di guerra).
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze concernono identica questione: i relativi giudizi vanno riuniti per formare oggetto di un'unica pronuncia.
2.1 - L'art. 44, ultimo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra) e l'art. 40, terzo comma, del successivo d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) stabiliscono che il coniuge superstite ha diritto alla pensione di guerra quando il matrimonio, avvenuto successivamente alla data in cui sono state contratte dal dante causa le ferite o malattie, sia durato in assenza di prole non meno di un anno.
2.2 - I giudici a quibus ravvisano confliggenti con gli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione le disposizioni indicate poiché inerenti a un rapporto - quello coniugale - non sottoponibile, in ordine alla pensione, a limitazioni temporali.
3. - La questione è fondata.
La Corte ha avuto già modo, recentemente, di riconoscere ed affermare che nella sfera personale di chi siasi risolto al matrimonio non possa, e non debba di conseguenza, sfavorevolmente incidere alcunché di estraneo, al di fuori cioè di quelle sole regole, anche limitative, proprie dell'istituto: il relativo vincolo, cui tra l'altro si riconnettono valori costituzionalmente protetti, è, e deve rimanere, frutto di una libera scelta autoresponsabile, attenendo ai diritti intrinseci ed essenziali della persona umana e alle sue fondamentali istanze. Esso si sottrae, dunque, ad ogni forma di condizionamento indiretto ancorché eventualmente imposto, in origine, dall'ordinamento.
Così, ricorda la Corte, sono state già espunte dall'ordinamento medesime disposizioni di stato, nell'ambito delle subordinazioni militari, che avevano introdotto remore alla libera determinazione alle nozze (sent. n.73 del 1987); così ancora, normativa contigua a quella ora in esame - durata nel tempo - influente sulla regolamentazione pensionistica sia nell'area dell'impiego pubblico che in quella del settore privato (sent. n.123 del 1990 e sent. n.189 del 1991).
Né in contrario sembra validamente opponibile la differente natura, certamente esistente, della pensione per causa bellica rispetto a trattamenti a contenuto eminentemente previdenziale.
Si è infatti posto in luce più sopra che possibili condizionamenti trascendono la specificità dell'istituto pensionistico, assumendo una negativa connotazione nell'ordinamento positivo in generale.
D'altra parte, la normazione del settore riconosce, per talune specifiche ipotesi, diverse dall'attuale ma che tuttavia dimostrano il favor legislativo nell'area, il diritto a pensione addirittura per soggetti che non avessero potuto contrarre - a causa degli eventi di guerra - il matrimonio: l'antecedente procura alle nozze, l'accertata precedente convivenza, ovvero - come introdotto da questa stessa Corte con sentenza n. 5 del 1986 - le intervenute pubblicazioni matrimoniali.
Sicché, come è autorevolmente riconosciuto anche in dottrina, i contenuti pensionistici in discorso non vanno ristretti all'ambito di un mero presupposto assicurativo, restando anche positivamente affermato, invece, che il relativo trattamento costituisce atto "di solidarietà da parte dello Stato" (art. 1 d.P.R. n. 915 cit.) nei confronti dei soggetti cui viene corrisposto; tant'è che, tra l'altro, su di esso viene, poi, negativamente a incidere un nuovo matrimonio (artt. 42 e 70 del d.P.R. n. 915).
Conclusivamente perciò, le disposizioni in esame si rivelano - nel quadro proprio del vincolo di coniugio - in contrasto con i parametri costituzionali invocati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, ultimo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra) e dell'art. 40, terzo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) nella parte in cui non consentono al coniuge superstite di fruire della pensione di guerra quando il matrimonio, avvenuto successivamente alla data in cui sono state contratte le ferite o malattie dalle quali è derivata la morte del militare o del civile, sia durato, senza che sia nata prole ancorché postuma, meno di un anno.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1991.