SENTENZA N.232
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, di ratifica ed esecuzione del Trattato di Roma del 25 marzo 1957, promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1987 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra S.p.A. Fragd e l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, iscritta al n. 93 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1988;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri;
Udito l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - La S.p.A. FRAGD, dedita ad attività di trasformazione di prodotti agricoli in prodotti industriali destinati all'esportazione, adiva con atto del 13 maggio 1982 il Tribunale di Venezia, esponendo di aver effettuato nel periodo compreso tra il 7 e l'11 luglio 1980 quattro distinte esportazioni di glucosio in polvere (destrosio) ottenuto dalla trasformazione di mais e di aver corrisposto alla dogana di Rovigo importi compensativi monetari per complessive lire 2.878.280, ai sensi del regolamento CEE n. 1541/80 della Commissione del 19 giugno 1980.
L'attrice deduceva la illegittimità dei criteri di calcolo degli ICM fissati in detto regolamento, in quanto si faceva riferimento al prezzo di intervento del mais senza tener conto della restituzione alla produzione dell'amido di mais; chiedeva, pertanto, la condanna dell'Amministrazione finanziaria al rimborso di quanto versato in più del dovuto, che quantificava in lire 396.673.
L'Amministrazione convenuta riconosceva che effettivamente il criterio di calcolo degli ICM in questione era già stato riconosciuto illegittimo, con riferimento al regolamento n. 652/76, con sentenza della Corte di Giustizia del 15/10/1980, in causa 145/79; negava tuttavia il diritto al rimborso per altri motivi.
Il Tribunale adito, rilevato che i criteri di determinazione dell'ammontare degli ICM di cui al regolamento 1541/80 apparivano tali da far sembrare non privi di fondamento i rilievi della società attrice circa la loro illegittimità, con ordinanza del 24 novembre 1983 richiedeva in via pregiudiziale, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, la pronuncia della Corte di Giustizia sul seguente questito: "Se il Regolamento della Commissione CEE n. 1541/80 del 19/6/1980 sia valido per la parte in cui fissa gli importi compensativi monetari (ICM) per i prodotti oggetto delle esportazioni per cui è causa (glucosio in polvere o destrosio), contraddistinti sotto la voce doganale 17.02 B II a), in lire 29.612 per tonnellata, dato che nel calcolo di tali ICM si è fatto riferimento alla produzione dell'amido di mais, seguendo un criterio già oggetto di censura della Corte con sentenza 15/10/1980 resa nella causa 145/79".
La Corte di Giustizia, con sentenza del 22 maggio 1985, così dichiarava in dispositivo:
"Occorre constatare, analogamente a quanto già dichiarato dalla Corte nella sentenza 15/10/1980, che le norme del regolamento della Commissione n. 2140/79, come modificato dal regolamento della Commissione n. 1541/80, sono invalide nella parte in cui fissano gli importi compensativi monetari da applicarsi all'esportazione di glucosio in polvere (sottovoce n. 17.02 B II a) della tariffa doganale comune). La constatata invalidità delle norme del regolamento della Commissione n. 2140/79, come modificato dal regolamento della Commissione n. 1541/80, non consente di rimettere in discussione la riscossione o il pagamento degli importi compensativi monetari effettuati dalle autorità nazionali sulla base di tali norme per il periodo anteriore alla data della sentenza che accerta l'invalidità, ossia il 15/10/1980".
Riassunto il giudizio da parte della Società FRAGD, il Tribunale di Venezia ha sollevato, con ordinanza del 29 gennaio 1987 (pervenuta alla Corte il 4 marzo 1988), questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23, 24 e 41 della Costituzione, degli artt. 1 e 2 della legge 14/10/1957 n. 1203 (di ratifica ed esecuzione del Trattato di Roma del 25/3/1957), nella parte in cui, recependo nell'ordinamento interno l'art. 177 del Trattato - come interpretato dalla Corte di Giustizia -, attribuiscono a quest'ultima il potere di limitare nel tempo gli effetti delle pronunce pregiudiziali rese sulla validità di disposizioni regolamentari impositive di prestazioni patrimoniali, escludendo dagli effetti della dichiarazione di invalidità gli atti di esecuzione compiuti in epoca anteriore alla pronuncia anche se oggetto della stessa controversia del procedimento incidentato che ha dato origine al deferimento della questione pregiudiziale.
Premette il Tribunale remittente che alla pronuncia della Corte di Giustizia deve essere riconosciuta efficacia vincolante anche per quanto concerne la limitazione temporale degli effetti dell'invalidità, che non è scindibile dal contenuto della decisione poiché ne delimita espressamente l'ambito di operatività: il giudice nazionale non potrebbe considerare non apposta la limitazione, perché così operando verrebbe arbitrariamente a modificare la portata della statuizione invadendo l'ambito proprio di competenza riconosciuto alla Corte dal Trattato.
Anche il riferimento analogico effettuato dalla Corte, per motivare la propria decisione, ai poteri riconosciuti dall'art. 174, secondo comma, del Trattato, con riguardo ai procedimenti diretti ex art. 173, appare al giudice a quo rientrare nell'ambito delle attribuzioni della Corte.
Ciò premesso, afferma tuttavia il Tribunale remittente che la posizione soggettiva dell'operatore economico nei confronti dell'imposizione di una prestazione patrimoniale fondata su un regolamento comunitario illegittimo trova nell'ambito dell'ordinamento interno tutela nelle forme generali dell'azione di ripetizione di cui all'art. 2033 c.c., con la radicazione di una controversia che postula la questione pregiudiziale di validità dell'atto comunitario: pertanto, il concreto esercizio della difesa della sfera soggettiva del privato trova normativamente attuazione nel giudizio incidentale di cui al citato art. 177, lett. b, del Trattato CEE. Senonché, la disposizione, desumibile dal coordinamento degli artt. 174 e 177, che consente, secondo la Corte di Giustizia, di limitare con apprezzamento discrezionale gli effetti nel tempo della pronuncia dichiarativa della invalidità anche in danno degli operatori che alla questione abbiano dato impulso con la radicazione del processo incidentato, comporta in concreto la negazione della tutela giurisdizionale del singolo contro atti normativi di fonte comunitaria impositivi di prestazioni patrimoniali riconosciuti illegittimi.
Si privano così gli operatori della possibilità di agire utilmente in via giudiziaria nei riguardi di imposizioni illegittime, in contrasto con il precetto degli artt. 24 e 23 Cost., con ingiustificato ed irrazionale sacrificio anche della libertà di iniziativa economica privata.
2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o, in subordine, l'infondatezza della questione.
Richiamate le sentenze di questa Corte nn. 183/73 e 170/84, nella parte in cui affermano che la legge di esecuzione del Trattato possa sempre andar soggetta al sindacato della Corte stessa in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana, l'Avvocatura afferma che è da escludere che le violazioni sospettate dal giudice a quo possano comportare anche in astratto degli attentati a detti principi e diritti. La limitazione degli effetti dell'invalidità è stata infatti espressamente motivata in relazione ad esigenze fondamentali dell'ordinamento comunitario (applicazione uniforme del diritto comunitario nella intera Comunità) o comuni a detto ordinamento e a quelli nazionali (certezza del diritto). Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia i diritti fondamentali e i diritti inalienabili della persona umana costituiscono patrimonio irrinunciabile anche dell'ordinamento comunitario ed è, pertanto, ad avviso della Avvocatura, assai arduo ipotizzare che proprio la Corte interpreti il Trattato in modo da attentare a tali diritti.
La questione sarebbe, quindi, per tali motivi, innanzitutto inammissibile.
In subordine, essa, ad avviso dell'Avvocatura, si presenta priva di fondamento.
Ciò in primo luogo perché i due sistemi (ordinamento comunitario e ordinamento interno) sono configurati dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale come autonomi e distinti, ancorché coordinati, con la conseguenza che le norme costituzionali invocate non sono applicabili all'attività degli organi comunitari (sentt. nn. 98/65 e 183/73).
In secondo luogo, il Trattato CEE consente, attraverso la disposizione di cui all'art. 174, secondo comma, che l'atto regolamentare invalido sia ugualmente idoneo a produrre determinati effetti quando la Corte di Giustizia, sulla base di una valutazione comparativa dei vari interessi in gioco, statuisca eccezionalmente nel senso che il regolamento medesimo produca in parte i suoi effetti. La pronuncia della Corte di Giustizia che applica, anche nel giudizio ex art. 177, l'art. 174, secondo comma, pone quindi una disciplina sostanziale della fattispecie oggetto del regolamento dichiarato invalido: ciò in virtù dei poteri che il Trattato attribuisce alla Corte medesima e in conseguenza anche del carattere lato sensu normativo delle sue sentenze.
Ne consegue che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il riferimento all'art. 24 non è pertinente, neanche nei confronti di coloro che hanno promosso il processo incidentato.
Quanto alla denunciata violazione dell'art. 23 Cost., l'Avvocatura, ricordata la già citata sentenza di questa Corte n. 183/73 (secondo cui detta disposizione costituzionale "non è formalmente applicabile alle norme comunitarie'), rileva che tale giurisprudenza è applicabile anche nella specie, tenuto conto del contenuto normativo delle sentenze della Corte di Giustizia rese in base al combinato disposto degli artt. 174, secondo comma, e 177 del Trattato. Comunque, non potrebbe mai parlarsi di prestazioni imposte al di fuori della legge, visto che la legge è qui rappresentata dalle citate norme del Trattato che attribuiscono alla Corte il determinato potere in esame.
Circa, poi, l'invocato art. 41 Cost., la questione sarebbe inammissibile per insufficiente motivazione e comunque infondata, in quanto la sentenza della Corte di Giustizia mira a contemperare un conflitto di interessi, in vista di esigenze superiori.
Infine, l'Avvocatura rileva, in relazione a tutti i parametri invocati, che gli effetti pregiudizievoli denunciati dal giudice a quo derivano semmai dalla disposizione dell'art. 174, secondo comma, del Trattato, avverso la quale però l'ordinanza di rimessione non muove alcuna censura: ne deriverebbe un ulteriore ed assorbente motivo di inammissibilità della questione.
1. - Il Tribunale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 14 ottobre 1957 n. 1203, di esecuzione del Trattato di Roma, "per contrasto con gli artt. 23, 24 e 41 della Costituzione, nella parte in cui, recependo nell'ordinamento interno l'art. 177 del Trattato, attribuiscono alla Corte di Giustizia della C.E.E. il potere di limitare nel tempo gli effetti delle pronunce pregiudiziali, rese sulla validità di disposizioni regolamentari impositive di prestazioni patrimoniali, escludendo dagli effetti della dichiarazione di invalidità gli atti di esecuzione compiuti in epoca anteriore alla pronuncia, anche se oggetto della stessa controversia che ha dato origine al deferimento della questione pregiudiziale".
2. - L'art. 174, secondo comma, del Trattato C.E.E. dispone che quando, accogliendo un ricorso proposto ai sensi del precedente art. 173, "dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato", "per quanto concerne i regolamenti, la Corte di Giustizia ove lo reputi necessario precisa gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come definitivi".
La Corte stessa, qualificata interprete del Trattato, ha ritenuto con giurisprudenza consolidata di avvalersi del potere attribuitole dal citato art. 174, secondo comma, anche quando, pronunciandosi in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 177, primo comma, lett. b), dichiara l'invalidità di un regolamento su richiesta di una giurisdizione nazionale davanti alla quale sia stata sollevata la questione.
Tale applicazione si collega del resto all'effetto ultra partes che la Corte di Giustizia ha sostanzialmente riconosciuto scaturire da dette pronunce, di guisa che le sentenze vertenti sulla validità ex art. 177 vengono in pratica equiparate alle sentenze di annullamento ex art. 173 del Trattato C.E.E.
Questa Corte è pertanto chiamata a decidere se l'art. 177 del Trattato C.E.E., in quanto consente alla Corte di Giustizia di limitare la efficacia ex tunc della dichiarazione di invalidità di un regolamento comunitario fino al punto di renderla inoperante nel giudizio principale che ha provocato la pronuncia incidentale, non vulneri la garanzia del poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi assicurata dall'art. 24 della Costituzione.
Il giudice a quo ha fatto anche riferimento ad un possibile contrasto dell'art. 177 nei sensi sopra enunciati con gli artt. 23 e 41 della Costituzione; ma in ordine a tali parametri la motivazione è carente, e comunque il riferimento all'art. 24, che rappresenta il fulcro della censura, deve essere esaminato per primo.
3. - L'Avvocatura dello Stato prospetta un'eccezione di inammissibilità: a suo avviso, - fermo restando il permanere del sindacato di questa Corte ove una norma del Trattato C.E.E. venga sospettata di essere in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o di attentare ai diritti inalienabili della persona umana (cfr. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984), - sarebbe assai arduo ipotizzare che proprio la Corte di Giustizia possa interpretare ed applicare il Trattato in modo lesivo di detti principi e diritti, e comunque sarebbe da escludere "anche in astratto" che le violazioni denunciate dal giudice remittente possano comportare una lesione siffatta.
L'eccezione non può essere accolta.
3.1. - Vero è che l'ordinamento comunitario - come questa Corte ha riconosciuto nelle sentenze sopra ricordate ed in altre numerose - prevede un ampio ed efficace sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei singoli, di cui il ricorso incidentale alla Corte di Giustizia ex art. 177 del Trattato C.E.E. costituisce lo strumento più importante; ed è non meno vero che i diritti fondamentali desumibili dai principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri costituiscono, secondo la giurisprudenza della Corte delle Comunità europee, parte integrante ed essenziale dell'ordinamento comunitario. Ma ciò non significa che possa venir meno la competenza di questa Corte a verificare, attraverso il controllo di costituzionalità della legge di esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpretata ed applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana. In buona sostanza, quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che almeno in linea teorica generale non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell'ordinamento comunitario.
3.2. - Alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte non vi è poi dubbio che l'art. 24 della Costituzione enunci un principio fondamentale del nostro ordinamento. Valga per tutte richiamare la sentenza n. 18 del 1982, nella quale è testualmente affermato che il diritto alla tutela giurisdizionale, già annoverato fra quelli inviolabili dell'uomo, va ascritto "tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio". Ed ancora: "Il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti - strettamente connesso ed in parte coincidente con il diritto alla tutela giurisdizionale cui si è fatto dianzi riferimento - trova la sua base soprattutto nell'art. 24 della Costituzione".
3.3. - Ma l'eccezione non può essere accolta neppure sotto l' altro profilo prospettato dall'Avvocatura, vale a dire che il giudice remittente avrebbe dovuto impugnare gli artt. 1 e 2 della legge di esecuzione del Trattato C.E.E. in relazione all'art. 174, secondo comma, anziché all'art. 177 del Trattato stesso.
In realtà, è l'art. 174 che attribuisce alla Corte di Giustizia il potere di limitare gli effetti per il passato delle proprie decisioni di annullamento di regolamenti; ma il dubbio di costituzionalità riguarda l'esercizio di tale potere in sede di pronuncia in via pregiudiziale sulla validità di regolamenti ai sensi dell'art. 177, in quanto, come si è detto, la Corte stessa ha ritenuto applicabile anche in quella sede la citata disposizione dell'art. 174, secondo comma. Esattamente quindi il giudice a quo ha rivolto la propria censura all'art. 177 così come esso è interpretato ed applicato dalla Corte di Giustizia.
4. - Devesi a questo punto valutare se l'ipotesi configurata dal giudice remittente possa effettivamente integrare una violazione dell'art. 24 della Costituzione, in quanto venga ad incidere su quel principio supremo del nostro ordinamento costituzionale consistente, - come è affermato nella sentenza n. 18 del 1982 innanzi citata -, nell'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio.
Si è già detto che il sistema di tutela giurisdizionale previsto dall'ordinamento comunitario è pienamente valido ed adeguato. Infatti, oltre alle disposizioni contenute negli artt. 173 e seguenti in ordine ai ricorsi diretti alla Corte di Giustizia, proponibili non soltanto da uno Stato membro, dal Consiglio o dalla Commissione, ma anche da qualsiasi persona fisica o giuridica "contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente e individualmente", è proprio l'art. 177 del Trattato che garantisce al singolo una piena e completa tutela giurisdizionale. Esso, come è noto, consente alle giurisdizioni nazionali, o impone, se si tratta di giurisdizioni nazionali nella istanza più elevata, di rivolgersi alla Corte perché si pronunci in via pregiudiziale sull'interpretazione del Trattato o sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità, quando tale pronuncia appaia necessaria per la decisione della controversia di cui la giurisdizione nazionale è investita.
4.1. - Ma, - e qui sta l'essenza della questione sollevata dal giudice a quo -, la Corte di Giustizia ritiene con giurisprudenza costante che, anche quando dichiara in via pregiudiziale ex art 177 l'invalidità di un atto comunitario (generalmente un regolamento), essa possa, in forza della disposizione contenuta nell'art 174, secondo comma, precisare quali effetti della norma invalidata debbano essere considerati come definitivi. Tale interpretazione non suscita di per sé alcuna obiezione: essa può anzi essere ritenuta, - come è stato detto precedentemente -, la logica conseguenza dell'efficacia generale che la giurisprudenza della Corte è pervenuta sostanzialmente ad attribuire alle pronunce ex art. 177, quando esse dichiarano l'invalidità di un regolamento. Ove però la sentenza arrivi ad escludere dalla efficacia della dichiarazione di invalidità l'atto o gli atti stessi oggetto della controversia che ha provocato il ricorso pregiudiziale alla Corte da parte del giudice nazionale, non si può nascondere che sorgono gravi perplessità in ordine alla compatibilità con il contenuto essenziale del diritto alla tutela giurisdizionale della norma che consente una pronuncia siffatta.
Invero, una volta riconosciuta l'importanza del procedimento previsto dall'art 177 del Trattato ai fini della realizzazione di un compiuto sistema di tutela giurisdizionale a garanzia dei diritti dei singoli nell'ordinamento comunitario, non può non apparire in contraddizione con la natura stessa di una sentenza pregiudiziale, e con la relazione necessaria che intercorre fra giudizio incidentale e giudizio principale, l'ipotesi in cui la sentenza emanata nel giudizio incidentale non possa trovare applicazione nel giudizio incidentato che l'ha provocata.
4.2. - In sostanza, il diritto di ognuno ad avere per qualsiasi controversia un giudice e un giudizio verrebbe a svuotarsi dei suoi contenuti sostanziali se il giudice, il quale dubiti della legittimità di una norma che dovrebbe applicare, si veda rispondere dalla autorità giurisdizionale cui è tenuto a rivolgersi, che effettivamente la norma non è valida, ma che tale invalidità non ha effetto nella controversia oggetto del giudizio principale, che dovrebbe quindi essere deciso con l'applicazione di una norma riconosciuta illegittima.
Né, di fronte ad una possibile violazione di un principio fondamentale, potrebbero invocarsi, - come sostiene l'Avvocatura dello Stato -, le esigenze primarie dell'applicazione uniforme del diritto comunitario e della certezza del diritto. Una simile valutazione comparativa appare invero difficilmente configurabile, e si può inoltre rilevare che ambedue le esigenze invocate non risulterebbero affatto compromesse, ove, pur facendo salvi gli effetti pregressi del regolamento invalidato, si lasciasse inalterata l'efficacia della pronuncia nella controversia oggetto del giudizio principale ed anche in tutti quei giudizi già iniziati dinanzi alle giurisdizioni nazionali prima della data di emanazione della sentenza invalidante.
5. - Alla stregua delle suesposte argomentazioni, la questione dovrebbe ritenersi ammissibile; prima però di procedere oltre ad esaminarne l'eventuale fondatezza nei limiti e nei termini sopra precisati, questa Corte deve compiere due ulteriori verifiche, dalle quali emergono risultanze che la inducono a pervenire a diverse conclusioni.
In primo luogo occorre accertare se l'interpretazione dell'art 177 del Trattato C.E.E., nei sensi che danno luogo alle conseguenze contro cui si appuntano le censure del giudice remittente, costituisca effettivamente una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia. Ora, non può essere revocato in dubbio che l'estensione dei poteri previsti dall'art 174, secondo comma, alle pronunce ex art 177 sia ormai ius receptum, nel senso che, ferma restando anche per le sentenze declaratorie di invalidità di un regolamento ex art 177 la regola dell'efficacia ex tunc, la Corte di Giustizia ha ritenuto, in via eccezionale, di poter disporre la salvaguardia degli effetti già verificatisi ove lo richiedano gravi ragioni relative all'ordinamento comunitario.
Né in tali casi è sfuggito alla Corte stessa - nella sua sensibilità per la tutela dei diritti fondamentali della persona umana, - che sorgeva il problema di escludere da tale statuizione gli atti oggetto della controversia di cui al giudizio principale ed anche quelli per i quali fosse già stata promossa un'azione giudiziaria dinanzi ad un giudice nazionale secondo le disposizioni vigenti negli ordinamenti degli Stati membri. Ma su questo punto la Corte è pervenuta a conclusioni non univoche, sulla base di valutazioni di merito.
Infatti, seppur la sentenza 15 ottobre 1980 in causa 145/79, - che costituisce il presupposto della sentenza 22 maggio 1985 in causa 33/84 relativa alla controversia da cui è nata l'ordinanza di rimessione a questa Corte -, ha fatto salvi determinati effetti delle disposizioni regolamentari dichiarate invalide derivati da atti compiuti anteriormente, senza eccezioni per il giudizio principale e per i giudizi già iniziati, in altre sentenze, come la 8 aprile 1976 in causa 43/75, e la 15 gennaio 1986 in causa 41/84, siffatte eccezioni sono state espressamente stabilite.
Si può dunque unicamente dedurre che la Corte di Giustizia riconosce la peculiare posizione del giudizio principale rispetto alla pronuncia incidentale, ma ammette in linea di principio che anch'esso possa rimanere escluso dall'efficacia di una declaratoria di invalidità quando venga stabilito che essa non abbia effetto per gli atti pregressi.
6. - In secondo luogo si deve verificare l'effettiva portata della pronuncia incidentale della Corte di Giustizia rispetto al giudizio principale pendente dinanzi al giudice a quo: su questo punto un'attenta lettura della sentenza 22 maggio 1985 conduce a conclusioni determinanti ai fini della decisione.
Il Tribunale di Venezia, - come è stato ampiamente detto in narrativa -, aveva sottoposto alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: "Se il regolamento della Commissione C.E.E. n. 1541/80 del 19 giugno 1980 sia valido per la parte in cui fissa gli importi compensativi monetari per i prodotti oggetto delle esportazioni per cui è causa... seguendo un criterio già oggetto di censura della Corte con sentenza 15 ottobre 1980 resa nella causa 145/79".
Dal dispositivo della sentenza emessa dalla Corte risulta con assoluta chiarezza che l'invalidità della parte del regolamento in contestazione era stata accertata già dalla sentenza 15 ottobre 1980 nella causa 145/79, di guisa che la sentenza 22 maggio 1985 si è limitata a constatare l'invalidità già dichiarata e a ribadire, per ciò che attiene agli effetti, quanto disposto dalla precedente sentenza.
Queste risultanze sono ulteriormente confermate e chiarite dai punti 18 e 19 della motivazione. La Corte ha infatti rilevato che un'eventuale eccezione alla limitazione dell'efficacia nel passato della declaratoria di invalidità in favore "della parte che ha intentato l'azione dinanzi al giudice nazionale ovvero di qualunque altro operatore economico che abbia agito in maniera analoga prima della declaratoria di invalidità" sarebbe priva di interesse nella controversia. "Quest'ultima è stata infatti instaurata dinanzi al giudice nazionale il 13 maggio 1982, quindi successivamente alla dichiarazione implicita di invalidità delle norme considerate nella questione pregiudiziale".
Considerazioni sostanzialmente identiche valgono per la questione sottoposta a questa Corte. Infatti ove se ne riconoscesse la fondatezza, nel senso cioè di ritenere l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art 24 della Costituzione della legge n. 1203 del 1957 nella parte in cui dando esecuzione all'art 177 del Trattato C.E.E. consente alla Corte di Giustizia di escludere gli atti oggetto del giudizio principale dagli effetti di una propria sentenza incidentale che dichiara l'invalidità di un regolamento, una siffatta pronuncia non potrebbe trovare alcuna applicazione nella controversia che deve essere decisa dal giudice a quo. Invero è stata una precedente sentenza (la 15 ottobre 1980 in causa 145/79) a dichiarare la invalidità della parte del regolamento in discussione, mentre la sentenza pronunciata in seguito alla richiesta di detto giudice si è limitata a constatare la declaratoria di invalidità già intervenuta.
In definitiva emerge che la controversia di cui è investito il giudice a quo non è quella che ha provocato la declaratoria d'invalidità del regolamento contestato; non si pone, pertanto, con essa nella relazione necessaria che intercorre fra giudizio principale e giudizio incidentale. Per di più - come ha rilevato la Corte di Giustizia - la controversia è stata instaurata davanti al giudice nazionale oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza stessa.
7. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Venezia deve pertanto essere dichiarata inammissibile per irrilevanza; il che vale ovviamente in relazione a tutti i parametri invocati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 14 ottobre 1957 n. 1203, nella parte in cui hanno dato esecuzione all'art 177 del Trattato di Roma, sollevata dal Tribunale di Venezia con l'ordinanza in epigrafe indicata, in riferimento agli artt. 23, 24 e 41 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 1989.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 21 aprile 1989.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Mauro FERRI, REDATTORE