SENTENZA N.302
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, terzo comma, 11, 12 e 13 del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2 intitolato: <Modifiche alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente nuove norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive>, promosso con ricorso del Presidente della Giunta regionale della Toscana, notificato il 25 gennaio 1988, depositato in cancelleria il 26 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 1988.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi l'Avv. Alberto Predieri per la Regione Toscana e l'Avv. dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto
l. - L'immediata fissazione dell'udienza per il dibattimento delle questioni di costituzionalità sollevate dal ricorso di cui in epigrafe induce a considerare assorbita la richiesta formulata dalla Regione Toscana affinchè questa Corte sospenda cautelarmente l'efficacia del decreto legge impugnato (d.l. 12 gennaio 1988, n. 2), in quanto ritenuto produttivo di effetti gravemente pregiudizievoli nei confronti dell'esercizio delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni, in conseguenza di un uso del decreto stesso che si assume come macroscopicamente illegittimo. Ciò preclude a questa Corte di esaminare ogni altra questione relativa a tale richiesta, a cominciare dalla sua stessa ammissibilità.
2.-La ricorrente prospetta, innanzitutto, una questione di costituzionalità dell'intero decreto-legge, nel senso che quest'ultimo, a suo giudizio, sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 77 Cost. e, in connessione con ciò, per violazione del principio di separazione dei poteri, quale delineato nella vigente Costituzione. La censura é motivata con il duplice rilievo che, nel caso, mancherebbero del tutto i presupposti costituzionali dell'urgenza e della necessita del provvedimento e che la continua violazione del divieto di reiterare la presentazione di decreti-legge non convertiti, deducibile dall'art. 77 Cost., produrrebbe una lesione delle competenze che quest'ultimo articolo assicura alle Camere, laddove riserva ad esse il potere di <regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti>.
Così come proposta e nei limiti di cui si dirà ora, la questione é inammissibile.
Con giurisprudenza costante e da tempo consolidata (v. ad es., sentt. nn. 111 del 1972, 13 e 151 del 1974, 307 del 1983, 151 del 1986, nonchè ordd. nn. 81 del 1984, 164 del 1988), questa Corte ha affermato che nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale la regione, agendo a tutela di una propria competenza che si assume violata, può impugnare le leggi dello Stato (o quelle di altre regioni) soltanto ove deduca che queste siano lesive di una propria sfera di competenza costituzionalmente garantita.
Poichè, dunque, il suo interesse a ricorrere é qualificato dalla finalità di ripristinare l'integrità di una propria competenza, che si assume illegittimamente lesa, la regione non può validamente prospettare nel proprio ricorso la violazione di qualsivoglia norma costituzionale, ma può soltanto invocare quelle disposizioni della Costituzione la cui violazione comporta per ciò stesso la lesione di una propria competenza costituzionalmente garantita.
Sebbene in via di principio non può escludersi che una lesione delle attribuzioni regionali possa conseguire dalla violazione di precetti costituzionali collocati al di fuori del titolo quinto della Costituzione (v. ad es., sent. n. 32 del 1960, e da ultimo, sentt. nn. 64 e 183 del 1987), sta di fatto che nel caso di specie é la stessa ricorrente a prospettare la questione di legittimità costituzionale relativa all'intero decreto-legge sul presupposto che quest'ultimo, contravvenendo ai requisiti dell'urgenza e necessita e al divieto di reiterazione dei decreti non convertiti, apparirebbe lesivo delle competenze che la Costituzione riserva al Parlamento. Sotto tale profilo, non si puo dunque dubitare della mancanza di interesse della Regione ricorrente in relazione alle questioni ora considerate, che vanno pertanto dichiarate inammissibili.
Occorre precisare, comunque, che il giudizio di inammissibilità relativo alla questione del preteso contrasto dell'intero decreto- legge nei confronti dell'art. 77 Cost. non può pregiudicare l'esame dell'ammissibilità della distinta questione riguardante l'art. 12, u.c., dello stesso decreto-legge, che e impugnato dalla ricorrente per l'asserita violazione del combinato disposto formato dagli artt. 117, 118 e 77 Cost. (v. infra al punto 6.1 della motivazione), poichè in quest'ultimo caso la norma invocata come paramentro costituzionale é sostanzialmente diversa da quella relativa alla questione appena considerata.
Sulla base delle argomentazioni ricordate a sostegno dell'inammissibilità della questione implicante i profili relativi al l'art. 77 Cost., l'eccezione proposta dalla ricorrente, affinchè questa Corte sollevi di fronte a se stessa la questione di costituzionalità dell'intero decreto-legge per violazione dell'art. 77 della Costituzione, va dichiarata consequenzialmente inammissibile per difetto di rilevanza.
3.-La Regione Toscana dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 2 del 1988, il quale dispone che con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro per il coordinamento della protezione civile, sono determinati gli accertamenti da compiere al fine della redazione della certificazione attestante l'idoneità statica delle opere eseguite nelle zone sismiche (di cui all'art. 35, terzo comma, lett. b, l. 28 febbraio 1985, n. 47). Secondo la ricorrente, tale norma, regolando ipotesi rientranti nel concetto di vigilanza, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 12 lett. a del d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8 e dalla tabella contenuta nell'allegato <A> del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, che hanno trasferito alle regioni le funzioni di vigilanza sulle costruzioni, nonchè i relativi uffici.
La questione non é fondata.
La censura proposta nei confronti dell'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 2 del 1988 si basa sull'erronea presupposizione che gli accertamenti ivi previsti attengano a una funzione di vigilanza.
In realtà, la disposizione impugnata si riferisce alla determinazione degli accertamenti tecnici che i periti devono compiere al fine di attestare l'idoneità statica delle costruzioni nelle zone sismiche attraverso la certificazione da allegare alla domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria, di cui all'art. 35 della legge n. 47 del 1985. Si tratta, più precisamente, di una disposizione che prevede la fissazione delle norme e delle procedure tecniche da applicare nei predetti accertamenti, le quali si connettono a competenze sicuramente spettanti allo Stato (art. 81, primo comma, lett. b, d.P.R. n. 616 del 1977) e che, comunque, esigono una determinazione uniforme e valida per tutte le zone sismiche presenti nel territorio nazionale. Poichè, pertanto, la norma impugnata riguarda attività che esulano da funzioni di vigilanza e che sono collegate a competenze sicuramente spettanti allo Stato, non sussiste la minima violazione delle disposizioni costituzionali invocate dalla ricorrente.
4.-Un'ulteriore censura é proposta dalla Regione Toscana nei confronti dell'art. 11 del decreto-legge impugnato, il quale dispone che, agli effetti dell'inserimento nella tabella allegata alla legge n. 47 del 1985 (che prevede la misura dell'oblazione da versare per il condono in relazione a varie tipologie di costruzioni abusive), si considerano conformi agli strumenti urbanistici vigenti anche le opere conformi a strumenti adottati (ma non, o non ancora, approvati dalla regione) entro la data del 2 ottobre 1986 (che é il giorno in cui é stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il secondo decreto-legge della catena dei decreti reiterati, che per la prima volta ha posto una disposizione identica a quella impugnata).
Questa disposizione é censurata sotto un triplice profilo: a) per violazione del principio di ragionevolezza, per il fatto che essa si distaccherebbe, senza adeguata giustificazione, dalla comune concezione dei piani regolatori generali come atti a fattispecie complessa, alla cui formazione concorrono tanto il comune quanto, in posizione di supremazia, la regione; b) per violazione dell'art. 3 Cost., per il fatto che la stessa norma tratta egualmente situazioni diseguali, come quella di chi ha costruito (senza concessione o autorizzazione) in conformità con i piani regolarmente approvati e chi ha costruito (senza concessione o autorizzazione) in conformità a un atto, quale il piano adottato dal comune, che non e ancora giunto al termine del suo iter formativo, culminante nell'approvazione regionale; c) per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, seppure al fine della determinazione della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono, la disposizione impugnata escluderebbe la rilevanza dell'esercizio della funzione amministrativa riconosciuta in materia alle regioni.
4.1-Le prime due censure (elencate sub a e b) sollevano in realtà il medesimo problema, prospettandolo, in un caso, come (irragionevole) deroga della disposizione impugnata nei confronti di una norma-principio, e pertanto in termini obiettivi, e, nell'altro caso, come (illegittima) parificazione del trattamento giuridico di posizioni eterogenee, e pertanto in termini soggettivi. In ambo i casi, comunque, ciò che si assume violato e l'art. 3 Cost., nel suo duplice significato di norma-parametro generale della arbitrarietà o non ragionevolezza delle scelte legislative e di norma altrettanto generale posta a garanzia del principio di parità di trattamento fra i cittadini.
Così poste, le censure sono inammissibili.
Come si é precedentemente ricordato ad analogo riguardo (punto 2 della motivazione), é giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte che nei giudizi di costituzionalità sollevati in via principale le regioni non possono validamente prospettare questioni che assumono la violazione di norme-parametro non incidenti sulla ripartizione o sull'esercizio di competenze costituzionalmente garantite alle regioni. Poichè in ipotesi si prospetta la violazione di una disposizione costituzionale, l'art. 3, che stabilisce un principio generale e un criterio di legislazione la cui trasgressione non comporta, di per se, la lesione di competenze regionali, le relative questioni vanno dichiarate inammissibili.
4.2 - Infondata é, invece, la censura rivolta all'art. 11 del decreto impugnato sotto il profilo della violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
La Regione ricorrente prospetta il dubbio che, stabilendo di considerare conformi agli strumenti urbanistici vigenti le opere che alla data del 2 ottobre 1986 lo erano soltanto rispetto agli strumenti adottati dal comune e non (ancora) approvati dalla regione, l'art. 11 rende irrilevante, seppure ai soli fini del condono, la funzione amministrativa garantita in materia alle regioni: quella di dare forma definitiva, con la propria approvazione (ed eventuale modificazione), al piano regolatore generale. In realtà, tale dubbio non ha alcun fondamento, poichè la norma impugnata, lungi dall'incidere sulla competenza regionale di approvazione dei piani regolatori o lungi dal produrre un'irrilevanza degli effetti dei piani stessi, quali risultano approvati dalla regione, nei confronti delle opere abusive suscettibili di condono, assume semplicemente l'ipotesi di conformità a un piano non ancora definitivo (al pari di quella rispetto al piano definitivo) come criterio di determinazione della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono.
In altre parole, il legislatore, stretto dall'alternativa di considerare le costruzioni abusive rispettose dei piani adottati dai comuni come non conformi agli strumenti urbanistici vigenti (tipologia n. 1 della tabella allegata alla l. n. 47 del 1985) o, all'opposto, come conformi agli stessi (tipologia n. 2), beninteso ai limitati fini della determinazione del quantum dell'oblazione, ha scelto la seconda soluzione, ritenendo evidentemente che il rispetto delle prescrizioni del piano adottato dal comune e non (ancora) approvato dalla regione fosse più prossimo alla tipologia della conformità agli strumenti urbanistici che a quella della non conformità agli stessi. Nel far ciò, comunque, il legislatore statale ha assunto una fattispecie giuridica relativa a prescrizioni comunali, peraltro inserita in un più ampio procedimento coinvolgente anche funzioni regionali, come termine di riferimento per l'esercizio di una competenza sicuramente statale, e precisamente quella riguardante la fissazione della misura dell'oblazione da versare per ottenere il condono. E' chiaro che un comportamento del genere non può implicare alcuna lesione di competenze regionali, qualunque sia la corretta ricostruzione giuridica del procedimento di formazione del piano regolatore generale.
5. - Oggetto di impugnazione da parte della Regione ricorrente é anche l'art. 12 del decreto-legge n. 2 del 1988.
Una prima serie di censure riguarda i due commi iniziali del predetto articolo, i quali sono diretti a modificare l'art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, stabilendo: a) che il parere favorevole ivi previsto al fine del rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, spettante, a norma del ricordato art. 32, alle <amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso>, é attribuito al <Ministero per i beni culturali e ambientali>; b) che, qualora il predetto parere riguardi aree sottoposte a vincolo successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva, esso si intende reso in senso favorevole (anzichè in senso negativo, come prescrive il citato art. 32), decorso il termine di centottanta giorni dalla presentazione della istanza, a meno che <l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo> non notifichi, entro lo stesso termine, un parere negativo specificamente motivato sulle sopravvenute esigenze paesaggistico-ambientali contrarie alla conservazione dell'opera abusiva.
Questa nuova disciplina viene impugnata dalla Regione Toscana sotto un triplice profilo.
Innanzitutto si prospetta una violazione dell'art. 9, secondo comma, Cost., il quale tutela il paesaggio e il patrimonio storico della Nazione come valori primari e inderogabili, poichè le disposizioni oggetto della presente impugnazione sono volte a stabilire, a giudizio della ricorrente, un trattamento di favore per gli abusivisti, il quale arreca un grave pregiudizio agli interessi paesaggistici, ambientali, storici e artistici.
In secondo luogo, le stesse norme sono sospettate di incostituzionalità dalla ricorrente in quanto ritenute viziate di eccesso di potere legislativo o di irragionevolezza (art. 3 Cost.), sia perchè contenenti una disciplina illogica e incoerente rispetto ai valori costituzionali da tutelare, sia perchè dirette a ripristinare in forma di atto legislativo il contenuto di circo lari già ritenute illegittime, con sentenza definitiva, dal giudice amministrativo.
Infine, sempre a giudizio della ricorrente, l'art. 12, primo e secondo comma, appare in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., che conferiscono alle regioni competenze legislative e amministrative in materia di urbanistica e di tutela delle bellezze naturali, in quanto: a) sottrarrebbe del tutto alle regioni stesse il potere di esprimere il parere favorevole, cui l'art. 32 l. n. 47 del 1985 condiziona il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria per le opere abusive costruite in aree soggette a vincolo paesaggistico-ambientale; b) violerebbe il principio cooperativo, quale previsto dalla sentenza n. 151 del 1986 di questa Corte, sia nel sottrarre il predetto parere alle regioni, sia nel trasformare l'eventuale mancata formulazione dello stesso in silenzio-assenso.
5.1 -Per i motivi già esposti in precedenza, le censure rivolte dalla Regione ricorrente all'art. 12, primo e secondo comma, per l'asserita violazione degli artt. 3 e 9 Cost., non sono ammissibili.
Tali censure, infatti, involgono profili di costituzionalità non comportanti, di per se stessi, una qualche incisione delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni. Ciò vale non solo per le violazioni relative all'art. 3 Cost., sulle quali si é in precedenza motivato in riferimento ad una diversa censura (supra, punto 4.1), ma anche per quelle relative all'art. 9 della Costituzione. Essendo, infatti, la tutela del paesaggio un valore primario e un obiettivo costituzionale alla cui attuazione concorrono, nei limiti delle rispettive competenze, sia lo Stato sia le regioni e gli altri enti locali territoriali, l'eventuale violazione può essere validamente oggetto di un ricorso regionale per illegittimità costituzionale soltanto in connessione a eventuali lesioni dell'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta tutela.
5.2-Indubbiamente ammissibili sono, invece, le censure proposte dalla Regione ricorrente verso l'art. 12, commi primo e secondo, del d.l. n. 2 del 1988 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, in quanto risulterebbero violate le competenze riservate alle regioni in materia di urbanistica e di tutela delle bellezze naturali.
Nell'attribuire al Ministro per i beni culturali e ambientali il parere prescritto dall'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985, come condizione per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni esistenti nelle aree soggette a vincolo paesaggistico ambientale e nel prevedere che, per le aree sottoposte a vincolo successivamente alla ultimazione delle opere abusive, la mancata formulazione del predetto parere nel termine di centottanta giorni dalla domanda deve intendersi come se quel parere fosse stato dato in senso favorevole, l'art. 12, primo e secondo comma, del decreto impugnato mira a introdurre una modificazione radicale nel sistema previsto dall'art. 32 della legge n. 47 del 1985. Quest'ultimo stabilisce, infatti, che il predetto parere deve esser dato dalle <amministrazioni preposte alla tutela del vincolo> paesaggistico e che la mancata formulazione dello stesso nel termine di centottanta giorni dalla domanda va interpretata come silenzio- rifiuto. Più in particolare, poichè per amministrazione istituzionalmente preposta alla tutela del vincolo ambientale deve intendersi l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1947, cioé la regione (art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977), le disposizioni oggetto della presente impugnazione, per un verso, mirano a sottrarre alla regione e ad attribuire allo Stato il parere necessario per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria e, per un altro, tendono a trasformare da silenzio-rifiuto in silenzio-assenso la mancata prestazione del parere stesso.
Per l'uno e per l'altro degli aspetti ora menzionati, l'art. 12, primo e secondo comma, del d.l. n. 2 del 1988, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo.
Come questa Corte ha affermato in altra circostanza (sent. n. 151 del 1986), la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali é affidata, secondo la nostra Costituzione, a un sistema di intervento pubblico basato su un concorso di competenze statali con quelle regionali. Nell'attuazione legislativa di questo principio si é perseguito un equilibrio di volta in volta diverso delle anzidette componenti pubbliche concorrenti alla tutela del paesaggio: più favorevole alle regioni nell'originaria versione dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977; più attento, nelle innovazioni introdotte con la legge 8 agosto 1985 n. 431, a garantire un autonomo potere del Ministro per i beni culturali e ambientali a difesa dei vincoli posti a protezione delle bellezze naturali. In ogni caso, qualunque sia l'equilibrio che il legislatore, nel suo discrezionale apprezzamento, intende stabilire fra le competenze dello Stato e quelle delle regioni, resta fermo, per esso, il vincolo costituzionale in base al quale deve esser fatto salvo, come ha precisato la sentenza prima citata, il principio di un'equilibrata concorrenza e cooperazione fra le une e le altre competenze in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio.
L'art. 12, primo e secondo comma, del d.l. n. 2 del 1988, contravviene a questo principio quando attribuisce al Ministro per i beni culturali e ambientali il potere di prestare il parere di cui all'art. 32, primo comma, della legge n. 47 del 1985 trasformando in silenzio-assenso la mancata prestazione dello stesso in relazione alle costruzioni situate in aree sottoposte a vincolo paesaggistico successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva. In ambo i casi, infatti, la disciplina posta in essere finisce per estromettere del tutto (art. 12, primo comma) o per relegare in una posizione assolutamente secondaria (art. 12, secondo comma) le competenze regionali in relazione a momenti di particolare importanza della disciplina prevista per la protezione delle bellezze naturali, violando cosi il principio costituzionale di concorrenza e di cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella tutela del paesaggio.
E ciò vale tanto di più, se si tiene presente che lo stesso art. 12, secondo comma, suppone una corretta interpretazione del sistema vigente quando, riconoscendo alla regione il potere (in verità illegittimo e irrazionale) di superare il silenzio-assenso ministeriale con un proprio parere contrario specificamente motivato, la identifica come l'autorità istituzionalmente preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. Tuttavia, occorre sottolineare, finche quest'ultima premessa resta ferma e finche, quindi, il sistema legislativo posto a tutela del valore primario del paesaggio riconosce nella regione quell'autorità, il rapporto di concorrenza fra le competenze statali e le competenze regionali, se vuole essere coerente e ragionevolmente collegato alle finalità del sistema cui inerisce, non può non ispirarsi alla regola posta da questa Corte (sent. n. 151 del 1986): che, nell'ambito dei principi cooperativistici che ne in formano i rapporti, le competenze statali vanno esercitate solo in caso di mancato esercizio di quelle regionali o solo in quanto ciò sia reso necessario per il raggiungimento dei fini essenziali della tutela.
Anche per questo motivo, nella parte ora considerata il ricorso va senz'altro accolto.
6.-Ulteriori dubbi di costituzionalità sono sollevati dalla Regione ricorrente nei confronti dell'art. 12, u.c., del d.l. n. 2 del 1988, laddove si dispone che <per le istanze di parere di cui al comma primo (dello stesso articolo) proposte prima dell'entrata in vigore del presente decreto, il termine di centottanta giorni stabilito dall'art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto>. Secondo la ricorrente, tale disposizione appare in contrasto con la Costituzione sotto un duplice profilo: a) per violazione dell'art. 9 Cost., in quanto lo spostamento della decorrenza del termine dal momento della domanda a quello dell'entrata in vigore del decreto appare illogico e incoerente rispetto alla tutela del valore primario della protezione del paesaggio; b) per violazione degli artt. 117, 118 e 77 Cost., in quanto la norma impugnata appare lesiva delle competenze amministrative attribuite in materia alle Regioni, o, piu precisamente, in quanto il continuo spostamento del termine per la presentazione delle domande determinato dalla reiterazione di decreti non convertiti, vanifica gli eventuali pareri negativi espressi dalle Regioni anche attraverso il semplice decorso del termine (silenzio-rifiuto).
6.1 - Nei confronti della prima censura, l'Avvocatura dello Stato solleva eccezioni di inammissibilità. Se, per i motivi già espressi in precedenza (punto 5.1), non può sussistere alcun dubbio sulla fondatezza dell'eccezione in relazione alle censure prospettate per l'asserita violazione dell'art. 9 Cost., la conclusione é opposta con riguardo ai profili di costituzionalità attinenti al combinato disposto formato dagli artt. 117, 118 e 77 della Costituzione.
Si é precedentemente ricordato (punto 2 della motivazione) come questa Corte, nel limitare i motivi di ricorso validamente prospettabili dalle regioni nel giudizio di costituzionalità in via principale, non li circoscrive alle violazioni delle sole norme costituzionali che ripartiscono le competenze fra Stato e regioni, ma li estende anche a quelle relative a disposizioni della Costituzione diverse dalle precedenti che possono comunque comportare, nella loro attuazione, un'incisione o un pregiudizio delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni. Nel caso di specie é astrattamente concepibile che, in presenza di una disposizione, come quella impugnata, che sposta alla data d'inizio della vigenza del decreto-legge la decorrenza del termine delle istanze di parere proposte prima dell'entrata in vigore del decreto stesso, la reiterazione del decreto, a prescindere dalla mancata conversione dello stesso, possa costituire un fattore autonomo di pregiudizio delle competenze spettanti alle regioni in ordine alla formulazione del suddetto parere. Per tale motivo, la suddetta questione di costituzionalità va dichiarata ammissibile.
6.2-Anche se le disposizioni contenute nell'ultimo comma dell'art. 12 fanno sistema con i commi precedenti dello stesso articolo, sussiste, rispetto ad esso, un autonomo motivo di illegittimità, per violazione delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni, che appare collegato al fatto della insistita reiterazione del decreto impugnato.
In via di principio, la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali, tanto più gravi allorchè gli effetti sorti in base al decreto reiterato sono praticamente irreversibili (come, ad esempio, quando incidono sulla libertà personale dei cittadini) o allorchè gli stessi effetti sono fatti salvi, nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti.
Di fronte a questa esigenza la Corte esprime l'auspicio che si ponga rapidamente mano alle riforme più opportune, perchè non venga svuotato il significato dei precetti contenuti nell'art. 77 della Costituzione. Nello stesso tempo, tuttavia, non può esimersi, come nel presente giudizio, dal rilevare le violazioni della Costituzione dovute alla reiterazione dei decreti.
Occorre sottolineare, innanzitutto, che il significato dell'art. 12, u. c., del d.l. n. 2 del 1988, si precisa in quanto rientra in un sistema di reiterazioni, in base al quale la disposizione impugnata é stata riprodotta per cinque volte consecutivamente.
In questo lasso di tempo il continuo spostamento del termine di decorrenza per le istanze di parere, conseguente all'illegittima reiterazione dei decreti, ha prodotto un'indubbia interferenza sulle competenze amministrative regionali, nel senso che ne ha impedito il dovuto dispiegamento, pur legittimo in astratto a causa del venir meno sin dall'inizio degli effetti provvisori del decreto dopo la mancata conversione. In altre parole, dalla reiterazione del decreto-legge é derivata la produzione dello svuotamento sostanziale degli artt. 117 e 118 Cost., nell'attuazione loro data dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, in base ai quali, come si é precedentemente ricordato, spetta alle regioni rendere il parere (favorevole) prescritto come condizione per il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria (art. 32, primo comma, legge n. 47 del 1985).
Per questi profili, pertanto, il ricorso va accolto.
7.-Un'ultima questione é stata prospettata dalla Regione ricorrente avverso l'art. 13, primo comma, del d.l. n. 2 del 1988, il quale attribuisce al Ministro dei lavori pubblici, sentiti il Ministro per i beni culturali e ambientali e il Ministro dell'ambiente, il potere di stabilire, sulla base delle risultanze delle indagini finalizzate al rilevamento della consistenza e delle caratteristiche del fenomeno dell'abusivismo, criteri e indirizzi per il coordinamento delle politiche di risanamento delle zone interessate dall'abusivismo. Questa disposizione e impugnata per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto incoerente e incompatibile con le competenze ivi garantite alle regioni.
La questione non é fondata.
In realtà, il potere disciplinato dalla disposizione oggetto della presente censura rientra fra le competenze che gli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dall'art. 81, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, riservano allo Stato allorchè gli riconoscono il potere di fissare le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, con particolare riferimento alla tutela ambientale ed ecologica, nonchè alla difesa del suolo. Tuttavia, la Corte non può esimersi dal rilevare, innanzitutto, che, considerata la vastità e la molteplicità degli interessi coinvolti, che peraltro giustifica l'attribuzione allo Stato del potere in questione, va auspicata una più ampia partecipazione delle componenti governative nella fase di concertazione e di decisione degli indirizzi previsti dall'articolo impugnato. Inoltre, la compresenza nell'esercizio del predetto potere di interessi infrazionabili e di interessi localizzabili, che peraltro giustifica la definizione della competenza statale considerata in termini di indirizzo, induce ad auspicare la previsione di momenti di collaborazione tra Stato e regioni, secondo il paradigma cooperativistico, più volte sottolineato da questa Corte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 12, commi primo, secondo e terzo del d. l. n. 2 del 1988;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del d. l. 12 gennaio 1988, n. 2, sollevata, in riferimento all'art. 77 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del predetto decreto-legge, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, terzo comma, 11 e 13, primo comma, del predetto decreto-legge, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Toscana con il ricorso di cui in epigrafe;
dichiara inammissibile l'eccezione di legittimità costituzionale dell'intero d.l. n. 2 del 1988, sollevata incidentalmente dalla Regione Toscana, in riferimento all'art. 77 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/03/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Antonio BALDASSARRE, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 10 Marzo 1988.