Sentenza n.51 del 1985

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SENTENZA N. 51

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma quinto, del codice penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 febbraio 1982 dal Pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Massari Maura, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 255 del 1982;

2) ordinanza emessa il 9 novembre 1982 dal Pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Ruggero Antonio ed altro, iscritta al n. 91 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 1983;

3) ordinanza emessa l'11 maggio 1983 dal Pretore di Cervignano del Friuli nel procedimento penale a carico di Pegan Claudio ed altro, iscritta al n. 854 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del 1984.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

udito l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di tre giudizi penali per reati edilizi il Pretore di Bologna, con ordinanza 17 febbraio 1982, il Pretore di Padova, con ordinanza del 9 novembre 1982, e il Pretore di Cervignano del Friuli con ordinanza dell'11 maggio 1983 hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 77 u.c. Cost., dell'art. 2, comma quinto c.p. - che sancisce l'applicabilità delle altre disposizioni dello stesso articolo, ivi compresi dunque il comma secondo concernente la retroattività dell’abolitio criminis e il comma terzo, concernente la retroattività delle disposizioni più favorevoli - anche nei casi "di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti" (cioé anche nell’ipotesi di abolitio criminis o di disposizione più favorevole contenuta in un decreto-legge siffatto).

I giudizi penali a quibus riguardavano:

a) quello davanti al Pretore di Bologna, a carico di Maura Massari, l'imputazione per il reato di cui all'art. 17, lett. b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10, (legge Bucalossi contenente norme sull'edificabilità dei suoli) per avere senza la prescritta concessione eseguito lavori inerenti a una costruzione mutandone la destinazione d'uso (reato accertato il 12 settembre 1981); quello davanti al Pretore di Padova, a carico di Antonio Ruggero e altro, l'imputazione per il reato di cui all'art. 41, lett. b) della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), per avere, senza la prescritta licenza o comunque in difformità da essa, eseguito lavori di modifica della destinazione d'uso di una costruzione (reato accertato nel 1975); quello davanti al Pretore di Cervignano del Friuli, a carico di Claudio e di Antonio Pegan, l'imputazione per il reato di cui all'art. 17, lett. b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10, per avere, senza la prescritta concessione, costruito due piccole autorimesse (reato accertato il 30 gennaio 1982).

Nei due primi processi i giudici a quibus hanno rilevato che, trattandosi di lavori di modifica della destinazione d'uso, veniva in applicazione, per effetto dell'art. 2, comma quinto c.p. impugnato, l'art. 7, comma primo del decreto-legge 20 novembre 1981, n. 663 (contenente norme per l'edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti), decreto-legge non convertito, che estendeva a tali lavori la disciplina dettata dall'art. 48 della legge 5 agosto 1978, n. 457, esclusiva, per gli interventi di manutenzione straordinaria, della necessità della concessione prevista dalla legge Bucalossi e, di riflesso, della configurabilità di un reato in caso di mancanza della detta concessione (un’ipotesi, dunque, di depenalizzazione, e quindi di abolitio criminis, almeno di natura particolare).

Nel terzo processo il giudice a quo ha rilevato che veniva in applicazione, per effetto dell'art. 2, comma quinto c.p. impugnato, l'art. 9 del decreto-legge 30 settembre 1982, n. 688 (contenente misure urgenti in materia di entrate fiscali), disposizione soppressa in sede di conversione (operata con la legge 27 novembre 1982, n. 873), e quindi da considerare come parte di decreto-legge non convertita, che, mentre ammetteva a sanatoria, mediante pagamento di una somma a titolo di oblazione, le opere edilizie realizzate entro il 31 luglio 1982 precedente in mancanza (o in difformità da essa), prevedeva l'estinzione dei reati, previsti dall'art. 17 della legge 28 gennaio l977, n. 10, posti in essere con le opere predette.

Le considerazioni svolte dai giudici a quibus, sostanzialmente conformi tra loro (o meglio quelle dei Pretori di Padova e di Cervignano del Friuli analoghe a quelle del Pretore di Bologna) possono così riassumersi:

1) la norma impugnata, la quale rispondeva a una ben precisa funzione nella disciplina della successione delle leggi nel tempo durante il vigore della legge 31 gennaio 1926, n. 100 secondo la quale il decreto non convertito cessava di aver vigore dal giorno della pubblicazione della notizia del diniego di conversione data dal Presidente della Camera denegante, e, in ogni altra ipotesi di mancata conversione, dalla scadenza dei due anni, ma in ogni caso ex nunc, dopo l'entrata in vigore dell'art. 77, ultimo comma, Cost., che stabilisce che il decreto non convertito perde efficacia dall'inizio, cioé cessa di avere vigore ex tunc, altro ruolo non assolve che quello di conservare una data efficacia al decreto non convertito, che, in obbedienza all'art. 77, ultimo comma, Cost., efficacia non dovrebbe avere affatto;

2) qualora volesse attribuirsi alla norma impugnata il ruolo di una regolazione legale, in riferimento all'ultima parte dell'ultimo comma dell'art. 77 Cost., dei rapporti sorti sulla base del decreto non convertito, anche tale ruolo sarebbe in contrasto con l'art. 77 Cost., che non ammette una regolazione dei detti rapporti preventiva, una volta per tutte, ma postula una regolazione legale in sede di conversione caso per caso;

3) la norma impugnata, considerata come attributiva di efficacia normativa definitiva al decreto-legge non convertito, finisce per conferire all'esecutivo un potere di normazione che l'art. 77, ultimo comma, Cost. ha inteso riservare al legislatore.

Nel giudizio davanti a questa Corte cui ha dato luogo l'ordinanza del Pretore di Bologna, mentre non si é costituita l'imputata, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale chiede che la questione sia dichiarata infondata sulla considerazione che la norma impugnata oggi assolve, in conformità all'art. 77, ultimo comma, Cost., il ruolo di regolazione legale dei rapporti sorti sulla base del decreto non convertito, regolazione legale che non é in contrasto col cennato precetto costituzionale per il fatto di essere posta preventivamente e una volta per tutte.

Nel giudizio davanti a questa Corte cui ha dato luogo l'ordinanza del Pretore di Padova, mentre non si sono costituiti gli imputati, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto dal contenuto identico a quello depositato nel giudizio davanti a questa Corte prima indicato.

Nel giudizio davanti a questa Corte cui ha dato luogo l'ordinanza del Pretore di Cervignano del Friuli, non vi é stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, né vi é stata costituzione degli imputati.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le tre ordinanze indicate in epigrafe si fa questione se l'art. 2, comma quinto, c.p. sia illegittimo per contrasto con l'art. 77, ultimo comma, Cost. in quanto sancisce l'applicabilità di tutte le disposizioni dettate con lo stesso art. 2 c.p. al caso di decreto-legge recante abolitio criminis o disposizione penale più favorevole (situazioni normative che qui, per comodità di motivazione, vengono indicate con l’espressione ellittica "norma penale favorevole") non convertito in legge per qualsiasi evento implicante mancata conversione o non convertito in parte qua nel caso di conversione con emendamenti (vicende normative che qui, per comodità di motivazione, vengono indicate con l'espressione ellittica "decreto-legge non convertito").

Tutte le ordinanze riguardano fatti commessi anteriormente all'inizio del vigore - anche se venuto meno - del "decreto-legge non convertito", cui esse si riferiscono (cioé fatti che qui, per comodità di motivazione, vengono indicati con l'espressione "fatti pregressi").

Con tutte le ordinanze la questione é così posta nei medesimi termini, e cioé con implicito ma univoco riferimento alle disposizioni contenute nei commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p., che sole riguardano "fatti pregressi", cioé fatti commessi prima dell'entrata in vigore della "norma penale favorevole", della quale sanciscono l'applicabilità ai fatti stessi: applicabilità che il comma quinto dell'art. 2 c.p. stabilisce anche per la norma contenuta in un "decreto-legge non convertito".

In tali termini - che ne segnano la rilevanza - la questione si presenta identica in tutte le ordinanze, sicché i relativi procedimenti possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - Si sostiene, in sostanza, con le ordinanze di rimessione che l'art. 2, comma quinto, c.p., attribuendo alla "norma penale favorevole" dettata con "decreto-legge non convertito" l'applicabilità ai "fatti pregressi" prevista dai commi secondo e terzo, si pone in contrasto con il precetto costituzionale contenuto nell'art. 77, ultimo comma, Cost., che regola in generale l'operatività del decreto-legge in modo diverso da quella della legge.

Secondo tale prospettazione, l'art. 2, comma quinto, c.p., ritenendo la detta norma idonea a prestarsi al fine di regolare in un certo modo la successione nel tempo di norme in materia penale, mentre era coerente con la disciplina delle fonti risultante dalla legge 31 gennaio 1926, n. 100 e dalla legge 8 giugno 1939, n. 860 - che considerava il decreto-legge come fonte produttiva di norme stabilmente acquisite a ogni effetto all'ordinamento, anche se temporalmente limitate nell'operatività al periodo dal giorno dell'entrata in vigore a quello in cui il decreto era da considerare "non convertito" (scadenza del termine per la presentazione alle Assemblee legislative, data di pubblicazione della notizia del diniego di conversione, scadenza del termine per la conversione) - non é più coerente con la disciplina delle fonti risultante dalla modificazione introdotta in parte qua dall'art. 77, ultimo comma, Cost.. Secondo la nuova disciplina costituzionale, infatti, il decreto legge, in quanto é privato di ogni effetto ex tunc in caso di mancata conversione, non produce in tal caso norme suscettive di tutti gli effetti previsti dall'art. 2, comma quinto, c.p., e in particolare di quelli che necessariamente si collegano a una successione fra norme nel tempo.

3. - La questione é fondata.

L'art. 2 c.p. prevede, con i commi secondo e terzo, un fenomeno di successione nel tempo fra norme, cioé un rapporto fra norme che, al momento dell'applicazione e ai fini dell'individuazione della norma applicabile, possano considerarsi in vigore ciascuna in un dato tratto del tempo precedente. E lo regola adottando una tecnica distributiva della competenza regolatrice fra le norme in successione atteggiata in modo speciale in ragione della materia, cioé stabilendo la retroattività - applicabilità ai fatti pregressi - della "norma penale favorevole".

La norma impugnata (comma quinto dell'art. 2 c.p.) prevede e regola allo stesso modo il fenomeno, cui dà luogo la norma successiva avente lo stesso contenuto ("norma penale favorevole") dettata con "decreto-legge non convertito". E ciò senza trovare ostacolo nella disciplina delle fonti anteriore alla Costituzione, che considerava - e quindi consentiva di considerare - la norma dettata con "decreto-legge non convertito" come norma in vigore nel tratto di tempo da una data iniziale a quella dell'evento implicante mancata conversione, e quindi come norma idonea a inserirsi in un fenomeno successorio quale quello suindicato.

Ma il comma terzo e ultimo dell'art. 77 Cost., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di alternatività sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la norma dettata con "decreto-legge non convertito" come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto; ed anzi, se interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto (privazione, per il "decreto - legge non convertito", di ogni effetto "fin dall'inizio"), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (inspirato - come appare anche dagli altri due commi dell'art. 77 Cost. - a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa) vieta di considerarla tale.

Indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un "decreto-legge non convertito" non ha dunque attitudine, alla stregua del terzo e ultimo comma dell'art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno "successorio", quale quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p.. Sicché la norma impugnata (comma quinto dello stesso art. 2 c.p.), ravvisando la ricorrenza di un fenomeno identico o analogo al primo e adottando il trattamento di questo (cioé rendendo applicabili le disposizioni suindicate) nel caso di sopravvenienza di una norma contenuta in un "decreto-legge non convertito", si pone in contrasto con l'art. 77, ultimo comma, Cost. e va pertanto dichiarata illegittima.

La conclusione - si ribadisce - deve intendersi formulata (secondo l'impostazione data alla questione di legittimità costituzionale) limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui ai commi secondo e terzo art. 2 c.p. al caso del "decreto-legge non convertito", e quindi alla sancita operatività della "norma penale favorevole", se in esso contenuta, relativamente ai "fatti pregressi". A questi soltanto, d'altronde, le cennate disposizioni si riferiscono, e in relazione a tali fatti soltanto é avvertita con particolare intensità l'esigenza di una visuale riduttiva degli effetti del decreto-legge, in quanto connessa a quella di impedire manovre governative "indirette", discriminatrici o mitigatrici del trattamento di fatti costituenti reato individuati o individuabili, destinate altrimenti al successo malgrado l'esito negativo del controllo parlamentare.

Non viene qui - com'é ovvio - in considerazione (sempre secondo la suddetta impostazione) alcun problema concernente l'operatività della "norma penale favorevole", introdotta con "decreto-legge", relativamente ai fatti commessi durante il vigore - anche se provvisorio - di esso.

4. - L'Avvocatura dello Stato, nei due giudizi nei quali é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha eccepito che la norma impugnata assolve, in conformità di una specifica previsione dello stesso art. 77, ultimo comma, Cost., il ruolo di regolazione legale dei rapporti sorti sulla base del decreto non convertito. Ciò in quanto il precetto costituzionale non vieterebbe, e anzi ammetterebbe, una regolazione legale posta, oltre che anteriormente alla stessa entrata in vigore della Costituzione, preventivamente rispetto all’emanazione dei decreti-legge e una volta per tutte.

Anzitutto la tesi manca di plausibilità, là dove é diretta a rappresentare una sorta di "pietrificazione", che sarebbe stata operata dal precetto costituzionale in parte qua, dell'art. 2, comma quinto, c.p. addirittura al fine di escludere in via generale la propria operatività rispetto al "decreto-legge non convertito" in materia penale: esclusione la quale, semmai, può configurarsi solo se e nella misura in cui l'art. 77, ultimo comma, Cost. sia suscettivo di venire in contrasto con altre norme o principi costituzionali.

Ma in ogni caso é fin troppo chiaro che ciò che vuole il precetto stesso, se interpretato secondo lo spirito di maggior rigore nel senso sopra indicato, é che la regolazione legale in argomento sia disposta dal Parlamento stesso in conformità a una valutazione specifica del caso nel contesto ordinamentale in cui esso attualmente si presenta: valutazione che mancherebbe se la regolazione potesse avvenire in via preventiva ed astratta.

5. - Potrebbe prospettarsi il problema se la dichiarazione d’illegittimità sia esclusa (o addirittura in limine preclusa) in relazione al principio della cosiddetta irretroattività della "norma penale sfavorevole" (con tale espressione ellittica qui viene indicata sia la norma incriminatrice che la norma penale più severa, alla quale per comune accezione il principio é esteso), riferito al risultato normativo (equiparabile a norma penale sfavorevole) derivante dalla pronuncia, tenuto anche conto che, nel caso, il risultato normativo é raggiunto tramite la rimozione di una disposizione volta a rendere operante un decreto-legge recante norma penale favorevole malgrado la mancata conversione.

Ciò tanto più che questa Corte ha ritenuto in generale la riferibilità del principio al risultato normativo derivante da una pronuncia d’illegittimità costituzionale al fine di pervenire alla dichiarazione d’inammissibilità della questione (sent. n. 62 del 1969, n. 26 del 1975, n. 85 del 1976, n. 42 del 1977, n. 91 del 1979, n. 108 del 1981; ord. n. 45 del 1982), anche se più recentemente, pur tenendo ferma la riferibilità in argomento, ha mostrato di respingere la conseguenza dell'inammissibilità della questione, nella misura in cui la conseguenza stessa possa condurre alla formazione di "zone franche" di legislazione, cioé di sacche normative esenti dal sindacato di costituzionalità (sentenza n. 148 del 1983).

Tuttavia, rispetto alla dichiarazione d’illegittimità di cui si tratta - concernente, come é opportuno ribadire, l'applicabilità, disposta dall'art. 2, comma quinto, in riferimento ai commi secondo e terzo c.p., della "norma penale favorevole" contenuta in un "decreto-legge non convertito" ai "fatti pregressi" - la risposta non potrebbe essere in ogni caso che negativa.

Affermato in varie sedi e a vari livelli (art. 8 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino proclamata dall'Assemblea nazionale francese il 26 agosto 1789; art. 2, comma primo, del nostro codice penale vigente; art. 25, comma secondo, della nostra Costituzione; art. 11, n. 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo proclamata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948; art. 7, n. 1, p.p., della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali conclusa il 4 novembre 1950), il principio in argomento si pone come superiore principio di civiltà (della stessa civiltà nella quale la nostra Costituzione s’inserisce).

Quanto al suo contenuto, il principio, identificandosi o collegandosi con quello della tendenziale libertà della persona dalla riprovazione e dalla repressione penali - riservate in definitiva alla legge ordinaria, ma pur sempre soltanto a questa, e non necessariamente finalizzate all'esclusiva protezione dei valori costituzionali e degli stessi valori di civiltà - appresta alla persona stessa una garanzia di copertura dalle (mediante l'attribuzione ad essa di una posizione d’indifferenza rispetto alle) vicende d’inasprimento della legislazione penale considerate nei loro effetti generali.

Attesa la sua particolare rilevanza, quale rivelata dalla sua posizione e dal suo contenuto, non può dunque escludersi senz'altro che il principio, oltre che rispetto a fenomeni normativi del tipo "successorio", trovi applicazione (come del resto ha ritenuto questa Corte con le pronunce sopra indicate) all'interno di (e/o in riferimento a) vicende del tipo di alternatività sincronica fra situazioni normative (quali sono o cui sono collegate sia la dichiarazione d’illegittimità costituzionale che la mancata conversione di un decreto-legge).

Almeno di ritenere che, nell'ambito delle vicende del secondo tipo, vi siano ragioni per negare tale applicazione, ovvero per negarne la necessità o anche soltanto l'utilità, qualora si tratti di vicenda cui sia comunque collegata la mancata conversione di un decreto-legge.

Ma indipendentemente da tale ultima radicale negazione - che qui pertanto non é necessario verificare - il principio di cui si tratta, se ritenuto riferibile a una vicenda normativa del tipo considerato, troverebbe applicazione in tal caso soltanto relativamente ai fatti commessi nel vigore - anche se poi caducato - della "norma penale favorevole" contenuta in un "decreto-legge non convertito" (cioé nell'orbita della vicenda di alternatività), fatti rispetto ai quali soltanto sorge, ai fini dell'applicabilità del principio stesso, il problema dell'operatività del risultato normativo in discorso, e rispetto ai quali soltanto tale risultato potrebbe equipararsi a una "norma penale sfavorevole"; non anche relativamente ai "fatti pregressi", in relazione ai quali soltanto é posta invece la presente questione di legittimità.

6. - Conclusivamente: va dichiarata l'illegittimità costituzionale del quinto comma dell'art. 2 c.p. in quanto rende applicabili i commi secondo e terzo al caso di mancata conversione per qualsiasi causa di un decreto-legge (recante "norma penale favorevole") e al caso di un decreto (avente analogo contenuto) convertito in legge con emendamenti che implichino mancata conversione in parte qua. il inteso, pertanto, che gli emendamenti (aggiuntivi o modificativi) introdotti dalle leggi di conversione e non implicanti una mancata conversione in parte qua, continuano a produrre gli effetti di cui al secondo e al terzo comma dell'art. 2 c.p., dato che ciò avviene in forza della stessa legge di conversione e non del decreto-legge. Ed é ovvio che spetta all'interprete, particolarmente in relazione all'ipotesi di conversione con emendamenti, accertare quale delle eventualità si sia verificata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma quinto, c.p. nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nei Commi secondo e terzo dello stesso art. 2 c.p..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 1985.

Leopoldo ELIA - Aldo CORASANITI

Depositata in cancelleria il 22 febbraio 1985.