SENTENZA N. 52
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promosso con ordinanza emessa il 31 maggio 1965 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale a carico di Silvestri Elio ed altri, iscritta al n. 224 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1966.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 1 marzo 1967 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaele Bronzini, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico del signor Elio Silvestri il Tribunale di Ascoli Piceno ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, il quale sancisce, nel primo comma, che "chiunque, invitato dall'autorità di p.s. a comparire davanti ad essa, non si presenta nel termine prescritto, senza giustificato motivo, é punito con l'arresto fino a quindici giorni o con l'ammenda fino a lire 4.000". Secondo l'ordinanza il secondo comma dello stesso articolo chiarisce "la portata coattiva della disposizione", in quanto dà facoltà alla autorità di p.s. di "disporre l'accompagnamento, per mezzo della forza pubblica, della persona invitata a comparire e non presentatasi nel termine prescritto". Da qui il contrasto con l'art. 13, secondo comma, della Costituzione secondo il quale "non é ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
Secondo l'ordinanza non si potrebbero trovare "utili ragioni" del potere diretto conferito dalla norma impugnata. La necessità che il cittadino collabori con l'autorità sarebbe implicita nella coscienza civica e non avrebbe bisogno di forme coattive. D'altra parte, il sistema legislativo vigente sanziona penalmente il rifiuto del cittadino a comparire davanti all'autorità (a prescindere dal caso in esame), soltanto quando il cittadino rifiuti di ottemperare all'ordine di presentarsi davanti all'autorità giudiziaria per testimoniare; ma in questo caso le penalità previste dalla legge troverebbero fondamento nella violazione inerente al pubblico ufficio di testimone al quale non é dato ad alcun cittadino di sottrarsi. Nemmeno la disobbedienza dell'imputato all'ordine di comparizione emesso dall'autorità giudiziaria é sanzionato in alcun modo, tranne nel caso ricorrano determinate circostanze previste dalla legge che consentono l'accompagnamento coattivo. Infine non si potrebbe, sempre ad avviso del Tribunale di Ascoli Piceno, far ricorso all'art. 23 della Costituzione per l'inesistenza, nel caso in esame, delle esigenze di utilità sociale che ispirano questa norma costituzionale, quando pone come dovere civico una determinata prestazione personale o economica. L'invito a comparire, infatti, previsto dalla norma impugnata, non troverebbe riscontro in una situazione od esigenza obiettiva; non darebbe luogo a una prestazione che qualifichi colui che é tenuto a prestarla come pubblico ufficiale; ma avrebbe natura di atto di imperio dell'autorità sul cittadino, privato così di quella generale garanzia dei diritti di libertà personale costituita dall'intervento dell'autorità giudiziaria.
L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 29 gennaio 1966.
2. - Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 2 dicembre 1965 e una memoria il 16 febbraio 1967.
In primo luogo l'Avvocatura sostiene che nel giudizio a quo sarebbe rilevante soltanto la questione della norma contenuta nel primo comma dell'art. 15 del testo unico delle leggi di p.s., che prevede l'invito a comparire, soltanto questa questione potendosi porre in relazione col reato contestato all'imputato Elio Silvestri.
Circoscritta così la questione, essa dovrebbe essere dichiarata infondata. Vero é che ogni norma precettiva é in qualche modo limitativa della libertà personale, in quanto impone un determinato comportamento commissivo od omissivo, ma non si può dire che ogni limitazione della libertà personale possa essere ricondotta nell'ambito di efficacia dell'art. 13, che, giusta la giurisprudenza di questa Corte, prevede il divieto di forme di coercizione fisica della persona e di menomazioni della libertà morale che implichino un assoggettamento totale della persona all'altrui potere: tanto che la Corte avrebbe ritenuto insussistente la violazione della norma dell'art. 13 della Costituzione tutte le volte che si é trattato di limitazioni di moderata intensità ed estensione, che non assumono il carattere di una menomazione della libertà fisica o morale.
Il caso in esame, poi, troverebbe fondamento, contrariamente a quanto assume l'ordinanza, nell'art. 23 della Costituzione che, per scopi di utilità sociale, prevede la possibilità di imporre per legge prestazioni personali, trattandosi appunto di un dovere di collaborazione civica con gli organi preposti al mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini. Né si può temere che la norma impugnata possa conferire all'autorità di p.s. un potere assolutamente arbitrario ed indiscriminato; la Corte di cassazione avendo affermato la sindacabilità del provvedimento emanato in base alla norma impugnata.
L'Avvocatura respinge altresì l'argomento addotto dall'ordinanza secondo il quale, se é consentito non comparire davanti al giudice che abbia emesso ordine di comparizione, a maggior ragione dovrebbe essere lecito non ottemperare all'invito della autorità di pubblica sicurezza. Secondo l'Avvocatura tra le due situazioni vi sarebbe una differenza qualitativa, la comparizione dell'imputato essendo preordinata in vista dell'interrogatorio e della difesa dell'imputato, al quale é rimessa logicamente la facoltà di far valere le sue eventuali ragioni con la presenza personale; ed essendo, invece, l'invito a comparire un dovere civico inteso a rendere possibile l'attività dell'autorità di pubblica sicurezza mediante la collaborazione dei cittadini.
3. - L'Avvocatura, pur ritenendo, come s'é riferito, che la questione di legittimità costituzionale debba limitarsi al primo comma dell'art. 15 del T.U., esamina anche la questione di legittimità del secondo comma di questo articolo, ritenendola non fondata, in primo luogo perché l'invito senza possibilità dell'accompagnamento resterebbe in gran parte svuotato di efficacia impedendo all'autorità di p.s. di poter svolgere i suoi compiti, sia perché, giusta l'insegnamento della Cassazione, l'accompagnamento sarebbe una misura amministrativa che segue ad una ribellione del cittadino ad un ordine legalmente dato, sicché la momentanea restrizione della libertà personale deriverebbe sì da un apprezzamento discrezionale della pubblica sicurezza, ma da un apprezzamento conseguente ad un atto di volontà del cittadino in contrasto con gli interessi tutelati dalla norma dell'art. 15. La facoltà di cui si parla avrebbe perciò carattere meramente strumentale perché l'autorità di p.s. possa svolgere la sua funzione e costituirebbe un effetto dell'esecutorietà dell'ordine emanato dall'autorità di p.s. ai sensi dell'art. 5 del T.U. citato.
L'Avvocatura conclude, ricordando che dalla relazione della la Commissione permanente del Senato si ricava che la Commissione stessa ritenne opportuno conservare l'art. 15 inalterato, perché l'abolizione dell'accompagnamento coattivo avrebbe reso "frustraneo" l'invito a comparire.
4. - All'udienza pubblica del 1 marzo l'Avvocatura si é riportata agli scritti difensivi e alle conclusioni già prese.
Considerato in diritto
1. - La questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Ascoli Piceno deve intendersi limitata al primo comma dell'art. 15 del T.U. delle leggi di p.s., approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, che contiene la norma la quale commina a chi, invitato dall'autorità di p.s. a comparire davanti ad essa, non si presenti nel termine prescritto senza giustificato motivo, l'arresto fino a 15 giorni o l'ammenda fino a lire 4.000. Vero é che l'ordinanza fa in qualche punto riferimento anche al secondo comma dell'articolo citato, che prevede l'accompagnamento coattivo della persona invitata e non presentatasi nel termine stabilito, ma é un riferimento fatto al fine di dedurne l'illegittimità della norma del primo comma, per chiarirne, dice l'ordinanza stessa, "la portata coattiva", non già per sottoporre all'esame di questa Corte la relativa questione di costituzionalità. D'altra parte, in coerenza con i suoi precedenti, la Corte, per individuare esattamente la questione ad essa sottoposta, non può, in casi come questo, non fare riferimento all'imputazione che ha provocato il procedimento a quo, la quale, come risulta dagli atti, é appunto quella del reato di cui al primo comma dell'art. 15 citato, non essendosi il sig. Elio Silvestri presentato all'autorità di p.s., benché regolarmente invitato.
2. - La questione di costituzionalità, così individuata, é infondata. Non può infatti profilarsi in alcun modo un contrasto tra l'art. 13 della Costituzione, del quale più volte la Corte ha chiarito la portata (sentenze n. 2 del 14 giugno 1956, n. 11 del 19 giugno 1956, n. 27 del 20 aprile 1959, n. 49 del 9 luglio 1959, n. 12 del 15 marzo 1960, n. 45 del 21 giugno 1960, n. 30 del 22 marzo 1962, n. 72 del 24 maggio 1963, n. 23 del 4 marzo 1964 e n. 68 del 20 giugno 1964), e la norma impugnata, la quale si limita a sanzionare la disobbedienza a un ordine legittimo dell'autorità, come in altri numerosi casi previsti dall'ordinamento vigente e, in via generale, dall'art. 650 del Codice penale. Alla base della legittimità della norma impugnata c'é infatti il dovere del cittadino di collaborare con l'autorità di polizia per la prevenzione e la repressione dei reati, per la sicurezza e la pubblica tranquillità: dovere che, ove occorresse, trova la sua fonte, contrariamente a quanto pare ritenere l'ordinanza, nell'art. 23 della Costituzione, che consente di imporre prestazioni personali o patrimoniali in base alla legge.
Né si può dire che la facoltà riconosciuta alla autorità di p.s. possa tramutarsi in arbitrio, perché il provvedimento relativo, com'é costante giurisprudenza, non sfugge ai rimedi giurisdizionali, che impediscono l'esercizio di quella facoltà fuori dei casi che attengono ai fini che la polizia é autorizzata a perseguire, e in maniera non conforme al decoro e alla dignità del cittadino.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con l'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno, sulla legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'art. 15 del T.U. delle leggi di p.s., approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento all'art. 13 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 24 aprile 1967.