SENTENZA N. 38
ANNO 1961
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 111 del T.U. delle leggi di p.s. 18 giugno 1931, dell'art. 662 Cod. pen. e dell'art. 197 del regolamento 6 maggio 1940, n. 635, per l'esecuzione del T.U. delle leggi di p.s., promosso con ordinanza emessa il 28 marzo 1960 dal Pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Fabiani Mario, Malvezzi Walter e Toffetti Carlo, iscritta al n. 48 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 21 maggio 1960.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1961 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi l'avv. Luciano Ventura, per il Fabiani, l'avv. Paolo Barile, per il Toffetti, e il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico dei signori Mario Fabiani, Walter Malvezzi e Carlo Toffetti, il Pretore di Firenze ha sollevato di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 111 del T.U. delle leggi di p.s. 18 giugno 1931 ("Non si può esercitare senza licenza del Questore l'arte tipografica, litografica, fotografica o un'altra qualunque arte di stampa o di riproduzione meccanica o chimica in molteplici esemplari"), dell'art. 197 del regolamento 6 maggio 1940, n. 635, per l'esecuzione del detto T.U., nonché dell'art. 662 Cod. pen. ad esclusione della parte nella quale impone, per l'esercizio delle arti sopraelencate, "l'osservanza delle prescrizioni di legge".
Queste norme tenderebbero a consentire la possibilità di limitazioni indiscriminate della manifestazione scritta del pensiero e, pertanto, violerebbero i precetti contenuti nel primo e nel secondo comma dell'art. 21 Cost. ("Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione - La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure").
L'ordinanza definisce ulteriormente la proposta questione di costituzionalità, rilevando, in primo luogo, che l'art. 197 del regolamento integra le norme degli artt. 111 del T.U. e 662 del Cod. pen., e affermando, in secondo luogo, che esercizio di un'arte non significa soltanto "esercizio mercenario e indiscriminato a favore di chicchessia", ma, altresì, "esercizio gratuito nel proprio interesse e in via non esclusivamente principale, ma anche accessoria".
Così definita, la questione di costituzionalità degli articoli citati sarebbe, oltre che pertinente, non manifestamente infondata. Non avrebbero peso, infatti, sostiene il Pretore di Firenze, due possibili obiezioni. La prima, che distingue tra manifestazione libera del pensiero e "formazione materiale dei mezzi di espressione del pensiero", essendo questa presupposto logico e naturale di quella, sicché ogni limitazione nell'uso dei mezzi si tradurrebbe in una limitazione della libertà di manifestare il proprio pensiero, tanto che il termine "stampa", adoperato nel primo comma dell'art. 21 della Costituzione, si dovrebbe intendere comprensivo non soltanto della "manifestazione del pensiero su stampati", ma anche dell'"attività materiale che permette la riproduzione del pensiero da manifestare". La seconda, che sorge dalla distinzione tra riconoscimento di un diritto e regolamento del suo esercizio, perché non potrebbe essere invocata in un caso come questo, nel quale quel regolamento comporta un potere discrezionale dell'Autorità di pubblica sicurezza praticamente illimitato.
L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 1960.
2. - Nel presente giudizio si sono costituite le parti private mediante deposito delle deduzioni il 10 giugno 1960, nelle quali fanno proprie le motivazioni e le conclusioni dell'ordinanza pretorile.
3. - E intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. L'atto d'intervento é stato depositato il 28 aprile 1960.
L'Avvocatura dello Stato eccepisce preliminarmente la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 197 del regolamento per l'esecuzione del T.U. delle leggi di p.s., perché si tratterebbe di un atto non avente forza di legge e sostiene che la questione di legittimità costituzionale debba essere limitata agli artt. 111 del T.U. e 662 del Cod. penale. Ma, pur in questi limiti, essa sarebbe infondata tanto nei confronti del primo, quanto del secondo comma dell'art. 21 della Costituzione.
Infatti, le "arti" delle quali si parla negli articoli impugnati vengono in considerazione come imprese che esplicano, su richiesta di terzi, un'attività, il cui esercizio può essere legittimamente sottoposto ad autorizzazione amministrativa senza che vengano violati i precetti dell'art. 21 della Costituzione.
L'Avvocatura ricorda che la Corte ha negato la possibilità di distinguere tra manifestazione e divulgazione del pensiero, ma qui non si tratterebbe di questa distinzione, bensì dell'altra, tra manifestazione del proprio pensiero e predisposizione dei mezzi di divulgazione del pensiero fatta in forma imprenditoriale da una terza persona. Chiunque, continua l'Avvocatura, potrebbe provvedere alla divulgazione del proprio pensiero coi mezzi tecnici della stampa, direttamente, senza bisogno di chiedere la licenza dell'Autorità di polizia.
La questione sarebbe egualmente infondata nei confronti del secondo comma dell'art. 21 della Costituzione, il quale riguarderebbe esclusivamente il contenuto della manifestazione del pensiero, e non già un'attività materiale qual'é l'esercizio dell'arte tipografica e delle arti affini: per questo esercizio, non già per la manifestazione del pensiero, le norme impugnate richiedono la licenza dell'Autorità di pubblica sicurezza.
4. - L'Avvocatura dello Stato ha anche depositato una memoria il 27 aprile 1961, nella quale si insiste segnatamente sul punto che la norma dell'art. 111 é una norma di contenuto assai più ampio di quel che non pensi il Pretore di Firenze: é, cioè, una norma con carattere e finalità generali che esclude per conseguenza un rapporto diretto con l'art. 21 della Costituzione. Non varrebbe a mutare questa natura, e a denunziare una ratio della norma come diretta a controllare la manifestazione del pensiero, l'inciso contenuto nella norma regolamentare pure impugnata, nel quale si parla di ogni mezzo "idoneo alla divulgazione del pensiero".
La finalità che la norma vuol soddisfare é una finalità di polizia di sicurezza nei confronti di arti che i mezzi moderni hanno reso pericolose o anche soltanto fastidiose ai terzi.
D'altra parte, la norma va posta in relazione con le altre, contenute negli articoli 8 e seguenti del T.U. di p.s., che regolano in via generale le autorizzazioni di polizia, le quali escluderebbero che si possa parlare di un potere discrezionale non adeguatamente circoscritto.
Infine, le differenze che corrono tra la vigente legge di p.s. e quella del 1889 (R. D. 30 giugno 1889, n. 6144), che richiedeva soltanto una preventiva dichiarazione all'Autorità di p.s. sarebbero giustificate dall'evoluzione della tecnica, dalle aumentate esigenze della produzione e dal modificarsi dei mezzi di espressione: nel che avrebbe convenuto la prima Commissione permanente del Senato, la quale, nella formulazione di un nuovo testo della legge di p.s., conservò l'art. 111 nel testo vigente, perché non lo ritenne in contraddizione con la libera manifestazione del pensiero (Atti Senato, seconda legislatura, nn. 15 A. e 400 A. del 1954).
5. - Nell'udienza del 10 maggio 1961, le difese delle parti costituite, segnatamente quella delle parti private, hanno svolto ampiamente le loro tesi e confermato le loro conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La questione di costituzionalità dell'art. 197 del regolamento 6 maggio 1940, n. 635, per l'esecuzione del T.U. delle leggi di p.s. deve essere dichiarata inammissibile. E appena il caso di osservare che si tratta di un atto privo di forza di legge e perciò non ricompreso tra quelli che l'art. 134 della Costituzione sottopone al controllo di legittimità costituzionale della Corte. Non vale a superare questo ostacolo l'osservazione, contenuta nell'ordinanza, giusta la quale "le norme incriminatrici" contenute negli artt. 111 del T.U. delle leggi di p.s. e 662 Cod. pen. Sarebbero "integrate" dalla norma regolamentare. Ammesso che codesta "integrazione" abbia avuto luogo, essa non é sufficiente per attrarre nell'ambito della competenza della Corte un atto che, per la sua natura, é escluso possa esservi attratto. Sarà competenza del giudice esaminare se la norma regolamentare si sia tenuta nei limiti della legge, e non abbia inteso, invece, sotto specie di "integrazione", aggiungere qualcosa alla norma dell'art. 111, modificandone o ampliandone la sfera di efficacia.
2. - Pertanto, la questione che la Corte deve esaminare, é soltanto quella se le norme degli artt. 111 T.U. di p.s. e 662 Cod. pen., sottoponendo ad autorizzazione l'esercizio dell'arte tipografica e delle arti affini a questa, violino i comma primo e secondo dell'art. 21 della Costituzione, secondo i quali tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, e la stampa non può essere - sottoposta ad autorizzazione o censura.
Ogni altra questione, segnatamente quella della preferenza che si dovrebbe accordare in questa materia ad altri sistemi meno rigorosi di quello attualmente in vigore e già applicati nel passato in Italia, resta estranea al presente giudizio, che deve essere limitato all'esame della legittimità costituzionale degli articoli impugnati.
Senonché, nei limiti così segnati, la questione non é fondata. I motivi di questa non fondatezza si trovano già nella giurisprudenza della Corte, la quale ha dichiarato l'illegittimità della norma contenuta nell'art. 113 della legge di p.s. (sent. n. 1 del 5 giugno 1956), perché i poteri concessi alla pubblica Amministrazione, nell'ipotesi prevista e regolata da quella norma, incidevano direttamente sulla libera manifestazione del pensiero, che poteva per conseguenza essere, di volta in volta, arbitrariamente consentita o impedita; ma ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell'art. 121 della medesima legge di p.s. (sent. n. 39 del 23 gennaio 1957) perché la norma di quest'articolo regolava l'esercizio di un mestiere, non già l'oggetto specifico del mestiere medesimo.
Non diversamente si presentano le cose nel caso presente. Oggetto dell'autorizzazione é non già la diffusione del proprio pensiero con i mezzi offerti dall'arte tipografica e dalle arti affini, ma l'esercizio di queste arti, delle quali é oggetto soltanto la riproduzione in numero illimitato di esemplari che contengano la manifestazione di un'opinione o di un pensiero quale si voglia.
3. - Non vale opporre a questa conclusione l'insussistenza, affermata nell'ordinanza pretorile, della distinzione tra manifestazione del pensiero e quella che la medesima ordinanza chiama "formazione materiale dei mezzi di espressione del pensiero". Per stretto che possa essere, in questo, come del resto in ogni altro caso, il rapporto tra mezzi di produzione di una cosa e la diffusione della cosa prodotta, esso, tuttavia, non può essere inteso in modo da condurre alla loro identificazione, e a una conseguente identica disciplina, come, invece, la Corte ritenne del diverso rapporto tra libertà del pensiero e libera manifestazione di esso.
Nemmeno può dirsi che il regime delle autorizzazioni di p.s. sia tale da consentire un potere discrezionale praticamente illimitato dell'Autorità di polizia: le norme contenute negli articoli 8 e seguenti del T.U. di p.s., interpretate, come devono essere interpretate, nel nuovo sistema delle pubbliche libertà e dei rimedi giurisdizionali assicurati dalla Costituzione, non consentono di configurare in questo caso un arbitrio che sfugga ai limiti che sono propri dell'intervento della p.s. nel campo della polizia di sicurezza, segnati dalla tutela della pubblica quiete e dalla prevenzione dei reati. Si tratta, perciò, di una discrezionalità limitata e controllata e per alcuni aspetti tecnica, come consente di ritenere il secondo comma dell'articolo impugnato, che fa riferimento ai locali nei quali quelle arti si esercitano.
Nemmeno esatto é il rilievo, avanzato del resto dubitativamente nell'ordinanza pretorile, secondo il quale il termine "stampa", quale é usato nel secondo comma dell'art. 21 della Costituzione, deve intendersi comprensivo non soltanto della manifestazione del pensiero a mezzo della stampa o su stampati, ma anche dell'"attività materiale che permette la riproduzione del pensiero da manifestare".
Il termine "stampa", nel significato più ristretto sopra indicato, é entrato da decenni nell'uso comune, é un nome tecnico, e come tale fu assunto nella norma costituzionale. Se occorresse conferma, si potrebbe fare riferimento all'art. 1 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, emanata dal medesimo legislatore costituente.
4. - Né, infine, é esatta l'interpretazione che il Pretore dà dell'espressione "esercizio di un'arte". Esercita un'arte (o una professione o un mestiere) colui che a un'attività si dedica in maniera professionale, abbia codesta attività a suo oggetto beni o servizi: non già chi, per adoperare i termini dell'ordinanza, esercita quest'arte gratuitamente nel proprio interesse ed in via non esclusivamente principale, ma anche accessoria. Ne consegue che sono fuori dell'ambito di efficacia delle norme dell'art. 111 p.s. e dell'art. 662 Cod. pen. le ipotesi di chi, persona fisica o ente, si serva direttamente di moderni mezzi di riproduzione meccanica per fini informativi o di propaganda, salva, s'intende, l'osservanza delle altre norme di legge, che regolano sotto altri riguardi, la materia.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 197 del regolamento 6 maggio 1940, n. 635, per l'esecuzione del T.U. delle leggi di p.s., dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza del Pretore di Firenze 28 marzo 1960, sulla legittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 111 del T.U. delle leggi di p.s. 18 giugno 1931 e dell'art. 662 Cod. pen., in riferimento al primo e secondo comma dell'art. 21 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1961.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 24 giugno 1961.