Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande
Sezione), 17 febbraio 2009
C-465/07, M.e N. Elgafaji – Staatssecretaris van Justitie
Nel procedimento C-465/07,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai
sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Raad
van State (Paesi Bassi) con decisione 12 ottobre
2007, pervenuta in cancelleria il 17 ottobre 2007, nella causa
Meki Elgafaji,
Noor Elgafaji,
contro
Staatssecretaris van Justitie,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai
sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas,
K. Lenaerts e M. Ilešič,
presidenti di Sezione, dai sigg. G. Arestis,
A. Borg Barthet, J. Malenovský, U. Lõhmus e
L. Bay Larsen (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore
principale
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 luglio 2008,
considerate le osservazioni presentate:
– per
il sig. e la sig.ra Elgafaji,
dall’avv. A. Hekman, advocaat;
– per
il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re C. Wissels e C. ten Dam, in qualità di agenti;
– per
il governo belga, dalle sig.re C. Pochet e L. Van den Broeck,
in qualità di agenti;
– per
il governo ellenico, dalle sig.re M. Michelogiannaki, T. Papadopoulou
e G. Papagianni, in qualità di agenti;
– per
il governo francese, dal sig. J‑C. Niollet, in qualità di agente;
– per
il governo italiano, dal sig. R. Adam, in
qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello
Stato;
– per
il governo finlandese, dal sig. J. Heliskoski,
in qualità di agente;
– per
il governo svedese, dalle sig.re S. Johannesson e C. Meyer‑Seitz,
in qualità di agenti;
– per
il governo del Regno Unito, dalla sig.ra V. Jackson, in qualità di
agente, assistita dal sig. S. Wordsworth, barrister;
– per
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9
settembre 2008,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte
sull’interpretazione dell’art. 15, lett. c), della direttiva del
Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a
cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in
prosieguo: la «direttiva»), in combinato disposto con l’art. 2,
lett. e), di questa stessa direttiva.
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito
di una controversia tra il sig. e la sig.ra Elgafaji
(in prosieguo: i «coniugi Elgafaji»), entrambi
cittadini iracheni, e lo Staatssecretaris van Justitie in merito al rigetto
da parte di quest’ultimo delle loro domande dirette al rilascio di un permesso
di soggiorno temporaneo nei Paesi Bassi.
Contesto normativo
3
«Nessuno può essere sottoposto alla
tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
La normativa comunitaria
4 Ai sensi del primo ‘considerando’ della direttiva:
«Una politica comune nel settore dell’asilo, che
preveda un regime europeo comune in materia di asilo, costituisce uno degli
elementi fondamentali dell’obiettivo dell’Unione europea relativo
all’istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia
aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione
nella Comunità».
5 Il sesto ‘considerando’ della direttiva è così
formulato:
«Lo scopo principale della presente direttiva è
quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri
comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di
protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di
prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri».
6 Il decimo ‘considerando’ della direttiva precisa
quanto segue:
«La
presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi
riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea [proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364,
pag. 1)]. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della
dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo
e dei familiari al loro seguito».
7 I ‘considerando’ ventiquattresimo ‑
ventiseiesimo della direttiva hanno il seguente tenore:
«(24) Inoltre occorre
stabilire le norme minime per la definizione e gli elementi essenziali della
protezione sussidiaria. La protezione sussidiaria dovrebbe avere carattere
complementare e supplementare rispetto alla protezione dei rifugiati sancit[a] dalla Convenzione di Ginevra [relativa allo
status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951].
(25) È
necessario introdurre i criteri per l’attribuzione, alle persone richiedenti
protezione internazionale, della qualifica di beneficiari della protezione
sussidiaria. Tali criteri dovrebbero essere elaborati sulla base degli obblighi
internazionali derivanti da atti internazionali in materia di diritti dell’uomo
e sulla base della prassi seguita negli Stati membri.
(26) I
rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione
di un paese di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi
come danno grave».
8 L’art. 1 della direttiva così dispone:
«La presente direttiva stabilisce norme minime
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di
rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta».
9 Ai sensi dell’art. 2, lett. c), e)
e g), della direttiva, si considerano come:
«(…)
c) “rifugiato”:
cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere
perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o
appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui
ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi
della protezione di detto paese (…)
(…)
e) “persona
ammissibile alla protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide
che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti
sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine,
o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva
precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire
un grave danno come definito all’articolo 15 (…) e il quale non può o, a causa
di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;
(…)
g) “domanda
di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta ad uno Stato
membro da parte di un cittadino di un paese terzo o di un apolide di cui si può
ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione
sussidiaria (…)»
10 Ai sensi dell’art. 4, nn. 1, 3
e 4, della direttiva, contenuto nel capo II della stessa, intitolato
«Valutazione delle domande di protezione internazionale»:
– gli
Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre tutti
gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale;
– l’esame
della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base
individuale e prevede la valutazione di vari elementi che riguardano il paese
d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda e le
circostanze personali del richiedente, e
– il
fatto che un richiedente abbia già subìto danni gravi o minacce dirette di
siffatti danni costituisce un serio indizio del rischio effettivo di subire
danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali danni gravi
non si ripeteranno.
11 L’art. 8, n. 1, contenuto nel detto
capo II, dispone quanto segue:
«Nell’ambito dell’esame della domanda di protezione
internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non
necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese
d’origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non
corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal
richiedente che si stabilisca in quella parte del paese».
12 L’art. 15 della direttiva, contenuto nel
capo V della stessa, intitolato «Requisiti per poter beneficiare della
protezione sussidiaria», così dispone sotto il titolo «Danno grave»:
«Sono
considerati danni gravi:
a) la
condanna a morte o all’esecuzione; o
b) la
tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del
richiedente nel suo paese di origine; o
c) la
minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante
dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o
internazionale».
13 L’art. 18 della direttiva prevede che gli Stati
membri riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un
paese terzo ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria in
conformità dei capi II e V.
La normativa nazionale
14 L’art. 29, n. 1, lett. b) e d),
della legge olandese sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenwet
2000; in prosieguo: la «Vw 2000») così dispone:
«Un permesso di soggiorno temporaneo, ai sensi
dell’art. 28, può essere concesso allo straniero
(…)
b) che
ha fornito fondati motivi per ritenere che, in caso di espulsione, correrebbe
un rischio effettivo di essere sottoposto a tortura, ovvero a pene o a
trattamenti inumani o degradanti;
(…)
d) il
cui ritorno nel paese di origine, a giudizio del Ministro, sarebbe una misura
di particolare gravità in considerazione della situazione generale nel paese in
questione».
15
«Ai
sensi dell’art. 29, n. 1, lett. b), della [Vw 2000],
può essere concesso un permesso di soggiorno se lo straniero ha dimostrato in
modo sufficiente che ha fondati motivi per ritenere che, in caso di espulsione,
correrebbe un rischio effettivo di essere sottoposto a tortura, ovvero a pene o
a trattamenti inumani o degradanti.
Tale disposizione deriva dall’art. 3 [della
CEDU]. Il rimpatrio di una persona in un paese dove essa corra il rischio
effettivo («real risk») di
essere sottoposto a un siffatto trattamento costituisce una violazione di tale
articolo. Ove la sussistenza del rischio sia stata o venga provata, in linea di
principio un permesso di soggiorno temporaneo (a titolo di asilo) deve essere
concesso.
(…)».
16 Nel decreto sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenbesluit 2000) è stato inserito un nuovo
art. 3.105 quater al fine di trasporre
esplicitamente, con effetto a partire dal 25 aprile 2008, l’art. 15,
lett. c), della direttiva.
Causa principale e
questioni pregiudiziali
17 In data 13 dicembre 2006, i coniugi Elgafaji hanno presentato ai Paesi Bassi domande di
permesso di soggiorno temporaneo, corredate di elementi diretti a provare il
rischio effettivo al quale sarebbero esposti in caso di espulsione verso il
loro paese d’origine, nella fattispecie l’Irak. A
sostegno delle proprie argomentazioni essi hanno invocato, in particolare,
circostanze relative alla loro situazione individuale.
18 Essi hanno segnatamente affermato che il sig. Elgafaji, musulmano di origine sciita, aveva lavorato
dall’agosto 2004 al settembre 2006 al servizio di un’impresa britannica che
garantisce la sicurezza del trasporto del personale dell’aeroporto verso la
cosiddetta zona «verde». Essi hanno fatto valere che lo zio del sig. Elgafaji, impiegato dalla stessa impresa, era stato ucciso
dalle milizie, come risulta dall’atto di decesso, che riferisce che la sua
morte è avvenuta a seguito di un attacco terroristico. Poco tempo più tardi,
una lettera con la minaccia di «morte ai collaboratori» sarebbe stata affissa
alla porta dell’abitazione che il sig. Elgafaji
divideva con la sig. Elgafaji, sua moglie
musulmana di rito sunnita.
19 Con decisioni del 20 dicembre 2006, il Minister voor Vreemdelingenzaken
en Integratie (Ministro per l’Immigrazione e
l’Integrazione; in prosieguo: il «Ministro»), competente fino al 22 febbraio
2007, quando lo Staatssecretaris van
Justitie è diventato competente per le questioni
relative all’immigrazione, ha negato la concessione del permesso di soggiorno
temporaneo ai coniugi Elgafaji. Egli ha in
particolare ritenuto che essi non avessero provato in modo sufficiente le
circostanze invocate e, pertanto, non avessero dimostrato il rischio effettivo
di minaccia grave e individuale alla quale essi asserivano di essere esposti
nel loro paese d’origine. Ne ha dedotto che la loro situazione non rientrasse
nella sfera di applicazione dell’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000.
20 Secondo il Ministro, l’onere della prova è identico
ai fini della protezione accordata dall’art. 15, lett. b), della
direttiva e ai fini di quella concessa in applicazione della lett. c) del
medesimo articolo. Le due disposizioni in oggetto, come l’art. 29,
n. 1, lett. b), della Vw 2000,
imporrebbero ai richiedenti di dimostrare in modo sufficiente l’effettività,
peculiare alla loro situazione individuale, del rischio di minaccia grave ed
individuale alla quale essi verrebbero esposti se dovessero essere rimpatriati
nel loro paese d’origine. Non avendo fornito tale prova nell’ambito
dell’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000,
i coniugi Elgafaji non potrebbero quindi avvalersi
utilmente dell’art. 15, lett. c), della direttiva.
21 In seguito al rigetto delle loro domande di permesso
di soggiorno temporaneo, i coniugi Elgafaji hanno
proposto un ricorso dinanzi al Rechtbank te’s‑Gravenhage, accolto da tale giudice.
22 Il giudice in questione ha dichiarato, in particolare,
che l’art. 15, lett. c), della direttiva, che fa riferimento alla
circostanza di un conflitto armato nel paese di origine del richiedente la
protezione, non richiede l’alto grado di individualizzazione della minaccia
richiesto dalla lett. b) dello stesso articolo e dall’art. 29,
n. 1, lett. b), della Vw 2000. Così,
la prova dell’esistenza di una minaccia individuale e grave a carico delle
persone che sollecitano la protezione potrebbe essere fornita più agevolmente
ai fini dell’art. 15, lett. c), della direttiva che non ai fini della
lett. b) dello stesso articolo.
23 Di conseguenza, il Rechtbank te’s‑Gravenhage ha annullato le decisioni del 20
dicembre 2006 di diniego della concessione del permesso di soggiorno temporaneo
ai coniugi Elgafaji, in quanto la prova richiesta ai
fini dell’art. 15, lett. c), della direttiva era stata uniformata a
quella richiesta ai fini dell’applicazione della lett. b) dello stesso
articolo, come ripreso all’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000.
24 Secondo tale giudice, il Ministro avrebbe dovuto verificare
l’esistenza di motivi per il rilascio ai coniugi Elgafaji
di un permesso di soggiorno temporaneo ai sensi dell’art. 29, n. 1,
lett. d), della Vw 2000 in ragione dei
gravi danni di cui all’art. 15, lett. c), della direttiva.
25 In sede di appello, il Raad
van State ha giudicato che le disposizioni pertinenti
della direttiva presentavano difficoltà interpretative. Inoltre, esso ha
affermato che in data 20 dicembre 2006, quando le controverse decisioni del
Ministro sono state adottate, l’art. 15, lett. c), della direttiva
non era stato recepito nella normativa dei Paesi Bassi.
26 Ciò premesso, il Raad van State ha deciso di sospendere il giudizio e di
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’art. 15, (…) lett. c), della direttiva (…) debba essere
interpretato nel senso che tale disposizione offre protezione esclusivamente in
una situazione contemplata anche dall’art. 3 della [CEDU],
nell’interpretazione ad esso attribuita dalla giurisprudenza della Corte
europea per i diritti dell’uomo, ovvero se la menzionata disposizione offra una
tutela sussidiaria o diversa da quella di cui all’art. 3 della [CEDU];
2) Qualora
l’art. 15, (…) lett. c), della direttiva offra una tutela sussidiaria
o diversa da quella di cui all’art. 3 della [CEDU], quali siano in tal
caso i criteri idonei a valutare se una persona che afferma di essere
ammissibile allo status di protezione sussidiaria corra un rischio effettivo di
minaccia grave ed individuale in conseguenza di violenza indiscriminata, ai
sensi dell’art. 15, (…) lett. c), in combinato disposto con
l’art. 2, (…) lett. e), della direttiva».
Sulle questioni
pregiudiziali
27 Preliminarmente, si deve constatare che il giudice
del rinvio desidera chiarimenti in merito alla protezione garantita
dall’art. 15, lett. c), della direttiva rispetto a quella assicurata
dall’art. 3 della CEDU come interpretato dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo nella sua giurisprudenza (v., in particolare, Corte eur. D. U., sentenza NA. c. Regno Unito del 17 luglio 2008, non ancora pubblicata nel
Recueil des arrêts et décisions,
§ 115‑117, nonché giurisprudenza ivi citata).
28 A tale proposito, occorre rilevare che, benché il
diritto fondamentale garantito dall’art. 3 della CEDU faccia parte dei
principi generali del diritto comunitario di cui
29 Le questioni sollevate, che occorre esaminare
congiuntamente, vertono quindi sull’interpretazione dell’art. 15,
lett. c), della direttiva, in combinato disposto con il suo art. 2,
lett. e).
30 A seguito di tali osservazioni preliminari e in
considerazione delle circostanze della causa principale, il giudice del rinvio chiede,
essenzialmente, se l’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato
disposto con il suo art. 2, lett. e), debba essere interpretato nel
senso che l’esistenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona
del richiedente la protezione sussidiaria sia subordinata alla condizione che
quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a
motivo di elementi peculiari della sua situazione. In caso di risposta
negativa, il detto giudice intende sapere sulla base di quale criterio si possa
ritenere dimostrata l’esistenza di una siffatta minaccia.
31 Per risolvere tali questioni occorre esaminare
comparativamente i tre tipi di «danni gravi» definiti all’art. 15 della
direttiva, che costituiscono le condizioni che devono essere soddisfatte perché
una persona possa essere considerata ammissibile alla protezione sussidiaria,
qualora sussistano, conformemente all’art. 2, lett. e), di tale
direttiva, fondati motivi di ritenere che il richiedente incorra in «un rischio
effettivo di subire un [tale] danno» nel caso di rientro nel paese interessato.
32 A tale proposito, si deve osservare che i termini
«la condanna a morte», «l’esecuzione» nonché «la tortura o altra forma di pena
o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente», impiegati
all’art. 15, lett. a) e b), della direttiva, riguardano situazioni in
cui il richiedente della protezione sussidiaria è esposto in modo specifico al
rischio di un danno di un tipo particolare.
33 Per contro, il danno definito all’art. 15,
lett. c), della direttiva, consistendo in una «minaccia grave e
individuale alla vita o alla persona» del richiedente, riguarda il rischio di
un danno più generale.
34 Infatti, viene considerata in modo più ampio una
«minaccia (…) alla vita o alla persona» di un civile, piuttosto che determinate
violenze. Inoltre, tale minaccia è inerente ad una situazione generale di
«conflitto armato interno o internazionale». Infine, la violenza in questione
all’origine della detta minaccia viene qualificata come «indiscriminata»,
termine che implica che essa possa estendersi ad alcune persone a prescindere
dalla loro situazione personale.
35 Ciò premesso, si deve intendere il termine
«individuale» nel senso che esso riguarda danni contro civili a prescindere
dalla loro identità, qualora il grado di violenza indiscriminata che
caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali
competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di
uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale
domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di
ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella
regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di
questi ultimi, un rischio effettivo di subire la minaccia grave di cui
all’art. 15, lett. c), della direttiva.
36 Tale
interpretazione, che può
assicurare una propria sfera di applicazione all’art. 15, lett. c), della
direttiva, non viene esclusa dal tenore letterale del suo ventiseiesimo
‘considerando’, secondo il quale «[i] rischi a cui è esposta in generale la
popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non
costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno
grave».
37 Infatti, anche se tale ‘considerando’ comporta che
la sola dichiarazione oggettiva di un rischio legato alla situazione generale
di un paese non è sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni
menzionate all’art. 15, lett. c), della direttiva sono soddisfatte in
capo ad una determinata persona, la sua formulazione fa salva, utilizzando il
termine «di norma», l’ipotesi di una situazione eccezionale, che sia
caratterizzata da un grado di rischio a tal punto elevato che sussisterebbero
fondati motivi di ritenere che tale persona subisca individualmente il rischio
in questione.
38 Il carattere eccezionale di tale situazione è
confermato anche dal fatto che la protezione in parola è sussidiaria e dal
sistema dell’art. 15 della direttiva, dato che i danni definiti alle
lett. a) e b) di tale articolo presuppongono una chiara misura di
individualizzazione. Anche se certamente è vero che elementi collettivi
svolgono un ruolo importante ai fini dell’applicazione dell’art. 15,
lett. c), della direttiva, nel senso che la persona interessata fa parte,
come altre persone, di una cerchia di potenziali vittime di una violenza
indiscriminata in caso di conflitto armato interno o internazionale, cionondimeno
tale disposizione deve formare oggetto di un’interpretazione sistematica
rispetto alle altre due situazioni ricomprese nel detto art. 15 della
direttiva e deve essere interpretata quindi in stretta relazione con tale
individualizzazione.
39 A tale proposito, si deve precisare che tanto più il
richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo
specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto
meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli
possa beneficiare della protezione sussidiaria.
40 Si deve inoltre aggiungere che, al momento
dell’esame individuale di una domanda di protezione sussidiaria, previsto
dall’art. 4, n. 3, della direttiva, si può, in particolare, tenere
conto:
– dell’estensione
geografica della situazione di violenza indiscriminata, nonché dell’effettiva
destinazione del richiedente in caso di ritorno nel paese interessato, come
risulta dall’art. 8, n. 1, della direttiva, e
– dell’esistenza,
se del caso, di un serio indizio di un rischio effettivo come quello menzionato
all’art. 4, n. 4, della direttiva, indizio in considerazione del
quale il requisito di una violenza indiscriminata richiesto per poter
beneficiare della protezione sussidiaria può essere meno elevato.
41 Infine, nella causa principale occorre osservare
che, anche se l’art. 15, lett. c), della direttiva è stato trasposto
esplicitamente nell’ordinamento giuridico nazionale solo dopo i fatti
all’origine della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio, spetta a
quest’ultimo cercare di procedere ad un’interpretazione del diritto nazionale,
in particolare dell’art. 29, n. 1, lett. b) e d), della Vw 2000, che sia conforme a tale direttiva.
42 Invero, secondo una giurisprudenza consolidata,
nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di
norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale chiamato a
interpretare tale diritto deve procedere per quanto più possibile alla luce
della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato
perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 294, terzo
comma, CE (v., in particolare, sentenze 13 novembre 1990,
causa C‑106/89, Marleasing,
Racc. pag. I‑4135, punto 8, e 24 giugno 2008,
causa C‑188/07, Commune de Mesquer, Racc. pag. I‑4501,
punto 84).
43 Tenuto
conto dell’insieme delle
considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni sollevate che
l’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato disposto con
l’art. 2, lett. e), della stessa direttiva, deve essere interpretato
nel senso che:
– l’esistenza
di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la
protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo
fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi
peculiari della sua situazione personale;
– l’esistenza
di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora
il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in
corso, valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata
una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai
quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un
livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile
rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione
correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un
rischio effettivo di subire la detta minaccia.
44 Occorre, infine, aggiungere che l’interpretazione
dell’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato disposto con il
suo art. 2, lett. e), che risulta dai punti che precedono, è
pienamente compatibile con
Sulle spese
45 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi,
L’art. 15,
lett. c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa
di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’art. 2,
lett. e), della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che:
– l’esistenza
di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la
protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca
la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari
della sua situazione personale;
– l’esistenza
di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata
qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto
armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata
presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato
membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda,
raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che
un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in
questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi,
un rischio effettivo di subire la detta minaccia.
(Seguono le firme)