SENTENZA N. 109
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente:
Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nel procedimento vertente tra C. P. srl e ANAS spa, con ordinanza del 28 ottobre 2024, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visti gli atti di costituzione di C. P. srl e di ANAS spa;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
uditi gli avvocati Lorenzo Lentini e Roberto Eustachio Sisto per C. P. srl, l’avvocato Francesco Mandalari e l’avvocata Maria Pacifico per ANAS spa;
deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2025.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza del 28 ottobre 2024, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2024, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a loro volta in combinato disposto con gli artt. 8 CEDU e 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui «non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva, conseguente all’ammissione al controllo giudiziario, perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ai sensi dell’art. 91, co[mma] 5, cod. antimafia».
Il TAR Calabria riferisce di essere chiamato a decidere della domanda proposta dalla C. P. srl di annullamento, previa sospensione cautelare, della risoluzione del contratto di appalto pubblico di lavori, disposta dalla ANAS spa il 1° agosto 2024, ai sensi dell’art. 108, «co[mma 1]» (recte: comma 2, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). In particolare, l’appaltante aveva risolto il contratto in esito al riscontro di una delle cause di “esclusione automatica” dell’appaltatore dalle procedure di evidenza pubblica previste dall’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, individuata, nella specie, nel sopravvenire dell’efficacia dell’informazione interdittiva antimafia del 26 febbraio 2020 (divenuta definitiva in esito alla sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 15 aprile 2024, n. 3390), che aveva colpito l’appaltatore già prima della gara.
Il rimettente espone in punto di fatto che:
− la ricorrente aveva ottenuto l’aggiudicazione del contratto in virtù della sospensione degli effetti del provvedimento interdittivo derivante − secondo quanto previsto dal censurato art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia − dalla sua ammissione al controllo giudiziario cosiddetto volontario con decreto del 15 luglio 2021 del Tribunale ordinario di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione;
− il 7 giugno 2024, anteriormente alla scadenza della misura di prevenzione, stabilita per il 15 luglio 2024, l’impresa aveva presentato al Prefetto di Reggio Calabria «istanza per la permanenza nella white list»;
− la definizione di tale procedimento di aggiornamento dell’informazione interdittiva era stata sollecitata anche dalla stessa committente;
− in esito alla scadenza del termine di durata della misura di prevenzione, appurato il difetto di riscontro della predetta istanza di riesame da parte della prefettura, la stazione appaltante aveva preso atto che il provvedimento interdittivo aveva iniziato nuovamente a produrre effetti e aveva di conseguenza disposto, dapprima, l’interruzione dei lavori e, di seguito, con il provvedimento impugnato, la risoluzione dell’appalto;
− con il primo e principale motivo di ricorso, l’appaltatrice aveva lamentato l’illegittimità della decisione risolutoria per violazione degli artt. 34-bis, 92 e 94-bis cod. antimafia, sostenendo che la sospensione dell’efficacia dell’informazione prefettizia prevista dalla prima disposizione dovesse ritenersi estesa sino alla definizione da parte del prefetto del procedimento di riesame dell’interdittiva;
− nel corso del giudizio, da un lato, l’operatore economico aveva depositato il decreto del Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, del 13 settembre 2024, con cui era stata dichiarata la cessazione del controllo giudiziario per decorrenza del termine massimo di durata e accertata l’assenza di presupposti per l’applicazione di ulteriori misure ablative e, dall’altro lato, l’appaltante aveva prodotto il preavviso di interdittiva comunicato dalla prefettura alla società l’11 luglio 2024, ai sensi dell’art. 92, comma 2-bis, cod. antimafia;
− con ordinanza 11 ottobre 2024, n. 213, resa all’esito della camera di consiglio del 9 ottobre 2024, lo stesso Collegio rimettente, ritenuto insussistente il fumus boni iuris sui motivi di ricorso, ha comunque accolto in via provvisoria la domanda cautelare sul presupposto del rilievo di ufficio della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, posta a fondamento del primo motivo, riservando le motivazioni sulla rilevanza e non manifesta infondatezza a un separato provvedimento. Ha, inoltre, disposto la prosecuzione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio da fissare all’esito della pronuncia di questa Corte.
1.1.− L’ordinanza di rimessione si preoccupa, innanzitutto, di escludere la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata.
Anzitutto, il dato testuale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia – secondo cui «[i]l provvedimento che dispone […] il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende […] gli effetti» dell’informazione interdittiva stabiliti dall’art. 94 cod. antimafia – sancirebbe la durata della sospensione per il solo tempo di vigenza della misura di prevenzione, senza possibilità di sua protrazione per via esegetica.
In tal senso si sarebbe orientata univocamente la giurisprudenza amministrativa, la quale evidenzierebbe anche il difetto di una norma che espressamente preveda la permanenza degli effetti sospensivi dell’interdittiva oltre la cessazione del controllo giudiziario.
Nello stesso senso deporrebbe poi la diversità tra i due istituti − per presupposti e finalità − posta in luce («anche sul versante delle conseguenti refluenze processuali, a seguito delle […] decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 7 e 8 del 2023») dagli stessi giudici amministrativi, i quali hanno quindi escluso che l’esito positivo del controllo giudiziario comporti, di per sé, il superamento del giudizio di pericolo di infiltrazione mafiosa posto a base dell’interdittiva. Piuttosto, dei risultati ottenuti con il controllo, il prefetto dovrebbe tener conto ai fini dell’aggiornamento della misura interdittiva, ma con l’importante precisazione che tale giudizio non è vincolato da quei risultati, che non costituiscono una presunzione assoluta di avvenuta bonifica (si cita Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 16 giugno 2022, n. 4912).
1.1.1.− Tuttavia, proprio con riguardo al mancato raccordo legislativo tra la durata del controllo e il procedimento di aggiornamento, al cui esito potrebbe essere emessa una informazione liberatoria, il TAR Calabria pone in luce le maggiori criticità fattuali.
In punto di tempistica, per un verso, si rammenta che il procedimento di aggiornamento si caratterizza per una istruttoria impegnativa e con tempi lunghi, poiché tesa alla verifica dell’incidenza delle sopravvenienze sul pericolo di infiltrazione posto a fondamento dell’interdittiva; e, per altro verso, si dà conto della non condivisa prassi delle prefetture di ritenere necessaria per tale decisione la relazione conclusiva del controllore, prassi che implicherebbe un ulteriore allungamento dei tempi della rivalutazione. Infatti, nel difetto di pregiudizialità dell’esito del controllo giudiziario sul riesame prefettizio, questo potrebbe basarsi anche sulle relazioni provvisorie dell’ausiliario del giudice della prevenzione o sulle circostanze sopravvenute durante la misura poste in evidenza dall’impresa con l’istanza di aggiornamento.
In punto di effetti, si dà conto della impossibilità di neutralizzare con efficacia ex tunc le conseguenze negative prodotte dalla reviviscenza dell’interdittiva, nel periodo ricompreso tra la scadenza del controllo e la decisione prefettizia di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia. E ciò qualunque sia l’esito dell’aggiornamento poiché, nel caso di adozione di una informazione liberatoria, questa ha effetti ex nunc; mentre, nel caso di emanazione di una nuova interdittiva seguita dalla sua eventuale sospensione giurisdizionale in via cautelare, questa sì opererebbe in via retroattiva, ma non sino a coprire anche il lasso temporale antecedente al nuovo provvedimento interdittivo.
1.2.− Tanto premesso, il giudice a quo si dedica a prospettare le ragioni della non manifesta infondatezza.
1.2.1.− In primo luogo, il previsto limite del congelamento degli effetti interdittivi sino alla cessazione del controllo giudiziario, e non anche sino alla definizione del procedimento di aggiornamento, contrasterebbe con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. per trattamento disomogeneo di situazioni identiche.
L’imprenditore assoggettato alla originaria interdittiva (confermata in via definitiva dal giudicato amministrativo), in esito alla pur favorevole conclusione del controllo giudiziario, non avrebbe alcuno strumento per paralizzarli e, di conseguenza, perderebbe la capacità sia di stipulare i contratti pubblici, per sopravvenuto difetto dei requisiti di moralità, sia di eseguire quelli già stipulati, per l’obbligo di risoluzione previsto in capo alle stazioni appaltanti. In particolare, l’operatore non potrebbe ricorrere al giudice amministrativo (sino alla determinazione prefettizia di aggiornamento) né potrebbe richiedere al giudice della prevenzione una nuova ammissione al controllo giudiziario, il cui presupposto processuale è la pendenza dell’impugnazione giurisdizionale dell’interdittiva, nella specie ormai definita con giudicato sfavorevole. Inoltre, come già illustrato, l’impresa non avrebbe modo di ottenere la cancellazione retroattiva di tali effetti pregiudizievoli.
Diversamente, l’incapacità a contrarre e a eseguire gli appalti pubblici non colpirebbe l’impresa che sia destinataria di un provvedimento interdittivo, ma ne abbia ottenuto la sospensione giurisdizionale (con effetti ex tunc) e, neppure, l’impresa che, destinataria di una interdittiva non sospesa per il rigetto della istanza cautelare, sia stata ammessa al controllo giudiziario. In quest’ultimo caso, infatti, il sopraggiungere della misura di prevenzione consentirebbe – secondo l’orientamento maggioritario da tempo formatosi nella giurisprudenza amministrativa nella vigenza del precedente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) − all’operatore economico non soltanto di proseguire nell’esecuzione dei contratti pubblici stipulati, ma addirittura − secondo quanto attualmente previsto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici) – di permanere tra i partecipanti alla procedura di evidenza pubblica.
Dunque, la prima impresa avrebbe un trattamento normativo deteriore rispetto alle altre due.
1.2.2.− In secondo luogo, la descritta carenza di rimedi giurisdizionali costituirebbe violazione degli artt. 24, 111, primo e secondo comma, e 113 Cost. per compromissione del diritto di difesa e della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi davanti agli organi di giurisdizione amministrativa.
1.2.3.− Ancora, il difetto di strumenti difensivi, ad avviso del giudice a quo, vulnererebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, a loro volta in combinato disposto con gli artt. 8 della stessa Convenzione e 1 Prot. addiz. CEDU.
In particolare, alla persona titolare o interessata alla gestione dell’impresa sarebbe negato il diritto a un ricorso effettivo per far valere, in tempi ragionevoli e preferibilmente con carattere preventivo, i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, nella specie, quelli al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’art. 8 CEDU, e alla tutela dei beni privati e della proprietà, garantito dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
1.2.4.− Lamenta, inoltre, il TAR Calabria che la limitazione temporale del congelamento degli effetti dell’interdittiva previsto dall’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 sarebbe contraria al principio di buon andamento, di cui all’art. 97, secondo comma, Cost. in uno con il principio di ragionevolezza.
Il ripristino dell’efficacia dell’interdittiva al momento della cessazione del controllo giudiziario con esito positivo, ma prima della definizione da parte del prefetto del riesame dell’attuale pericolo di condizionamento mafioso, frustrerebbe la finalità «dinamica» di tale misura di prevenzione, individuata nella bonifica dell’impresa da situazioni di agevolazione occasionale della criminalità organizzata.
In proposito, il rimettente evidenzia che proprio tale obiettivo giustifica la sospensione dell’incapacità che consegue all’interdittiva: infatti, questo meccanismo consente all’impresa lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, compresa quella contrattuale con l’amministrazione, nella forma “assistita” come mezzo per superare la riscontrata contaminazione.
In senso inverso, la nuova decorrenza degli effetti interdittivi al termine del “periodo monitorato” impedirebbe all’impresa di consolidare gli effetti dell’attuato percorso di risanamento e, piuttosto, l’esporrebbe a quei pregiudizi che il controllo giudiziario aveva inteso scongiurare.
Si assisterebbe a un «vero e proprio corto circuito normativo»: nelle situazioni meno gravi di permeabilità alla criminalità, ritenute emendabili, da un lato, si concede all’imprenditore di proseguire l’attività con la “supervisione giudiziale”, dall’altro, si consente, al termine di tale monitoraggio, l’automatico riprodursi dell’interdizione. Ciò senza attendere che il prefetto verifichi, nell’ambito del procedimento di aggiornamento dell’interdittiva, l’eventuale incidenza positiva della misura di prevenzione sul pericolo di condizionamento mafioso in origine riscontrato, il quale, peraltro, è già stato considerato dal giudice della prevenzione, al momento dell’ammissione dell’impresa al controllo, di natura solo occasionale.
L’irragionevolezza della complessiva disciplina sarebbe lampante proprio ove il riesame prefettizio si concluda in senso favorevole, grazie ai risultati della misura bonificante. In tal caso, gli effetti interdittivi riespansi tra il termine del controllo e l’emanazione dell’informazione liberatoria darebbero luogo a conseguenze negative ineliminabili. Tanto, «con buona pace del principio di buon andamento della P.A.».
L’ordinanza di rimessione, denunciando l’irragionevolezza manifesta della disciplina censurata, richiama i caratteri dell’informazione interdittiva e la funzione del procedimento di suo riesame: il provvedimento prefettizio, quale strumento di anticipata difesa della legalità rispetto al grave fenomeno mafioso, effettuerebbe una valutazione di natura «storico/statica» degli elementi di contaminazione e, per tale ragione, avrebbe validità temporalmente limitata a un anno (art. 86, comma 2, cod. antimafia). Di conseguenza, decorso tale periodo, ne è richiesto l’aggiornamento, d’ufficio o su istanza di parte (art. 91, comma 5, cod. antimafia). Il carattere provvisorio della misura e la necessaria verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a suo fondamento, tramite il procedimento di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia, contempererebbero gli effetti negativi sulla libertà di impresa, come rimarcato dalla sentenza n. 57 del 2020 di questa Corte.
1.2.5.− Il giudice a quo denuncia, altresì, la «vistosa trasgressione» dell’art. 97 Cost., in relazione ai princìpi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa: la riespansione dell’efficacia del provvedimento interdittivo nei confronti del contraente privato imporrebbe alle stazioni appaltanti di procedere alla solerte sostituzione dell’appaltatore, con conseguenti ritardi e aggravio di costi nella esecuzione del contratto.
1.2.6.− Specularmente, nella prospettiva dell’appaltatore, il TAR Calabria ritiene che la vigente formulazione dell’art. 34-bis cod. antimafia arrechi un ingiustificato e non necessario sacrificio al diritto al lavoro e al libero esercizio dell’attività di impresa, tutelati dagli artt. 4 e 41 Cost.
L’inibizione dei rapporti con la pubblica amministrazione e delle attività private sottoposte a regime autorizzatorio che conseguono al ripristino dell’informazione interdittiva comprometterebbero, infatti, la capacità economico-produttiva dell’impresa e la forza lavoro ivi impiegata.
1.2.7.− Ancora, il mancato coordinamento tra controllo giudiziario e procedimento di riesame determinerebbe una manifesta sproporzione rispetto «allo scopo di massima anticipazione della tutela dell’economia sana dalle incrostazioni criminali che permea il sistema della documentazione antimafia».
Tale fine, secondo il rimettente, avrebbe potuto essere perseguito con soluzioni meno radicali per l’imprenditore. In via esemplificativa, l’ordinanza prospetta la modulazione della riespansione degli effetti interdittivi in termini graduali (in ipotesi, prevedendone l’operatività nei confronti della sola capacità a contrarre con la pubblica amministrazione o, piuttosto, nei confronti delle sole attività soggette a regime autorizzatorio) ovvero in termini meno afflittivi (ad esempio, con la prorogatio del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di riesame o con l’apposizione di una condizione risolutiva agli effetti provvisoriamente consentiti derivanti dai provvedimenti ampliativi o dai contratti pubblici, analogamente a quanto previsto dall’art. 92, comma 3, cod. antimafia).
1.2.8.− Infine, lo stesso difetto di proporzionalità violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, quanto all’ingerenza dell’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni.
In particolare, vi sarebbe una lesione del rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza della Corte EDU, in quanto la disciplina censurata imporrebbe un onere eccessivo alla proprietà privata, non strettamente necessario all’utile soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito.
1.3.− In punto di rilevanza, il giudice amministrativo assume che le sollevate questioni di legittimità costituzionale siano strumentali alla definizione del giudizio al suo esame.
L’impugnato provvedimento di risoluzione contrattuale, comminata ai sensi dell’art. 108, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, per sopraggiunto difetto di capacità a contrarre con la pubblica amministrazione, si fonderebbe sulla sola reviviscenza degli effetti dell’interdittiva alla scadenza del termine di durata del controllo giudiziario, secondo quanto previsto dal censurato art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia.
Pertanto, ove la disposizione venisse dichiarata costituzionalmente illegittima nei termini prospettati e, dunque, si riconoscesse il congelamento dell’efficacia dell’interdittiva sino alla definizione del procedimento di suo aggiornamento, il provvedimento impugnato sarebbe travolto dal venir meno del relativo fondamento normativo.
1.4.− Il TAR rimettente conclude affermando la sussistenza delle condizioni per l’invocata pronuncia additiva: posta l’insuperabilità in via esegetica del sospetto di illegittimità costituzionale prospettato, l’unica soluzione che consentirebbe di rimediarvi sarebbe la protrazione temporale della sospensione dell’efficacia dell’interdittiva prevista dalla norma sottoposta a scrutinio, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
2.− Si è costituita in giudizio la società ricorrente nel giudizio principale, C. P. srl, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia negli stessi termini auspicati dal rimettente.
L’appaltatrice, dopo aver ricostruito i fatti, ha illustrato, condiviso e sostenuto le argomentazioni spese dall’atto di rimessione.
In particolare, per rafforzare le argomentazioni del giudice a quo, la parte: a) sottolinea che l’impresa interessata dalla nuova decorrenza dell’efficacia dell’interdittiva, a seguito della conclusione del percorso di bonifica del controllo giudiziario, risulterebbe «abbandonata» all’operare dei relativi effetti pregiudizievoli, in attesa della definizione del procedimento di aggiornamento prefettizio; b) lamenta che il mancato coordinamento tra la definizione di quest’ultimo e il termine del controllo giudiziario sarebbe irragionevole negazione dell’effetto virtuoso della bonifica dai condizionamenti mafiosi che la misura di prevenzione giudiziaria mirerebbe a realizzare e che la rivalutazione prefettizia dovrebbe poter acclarare.
3.− Si è altresì costituita in giudizio l’ANAS spa, la quale ha chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e, in subordine, non fondate.
3.1.− Anzitutto, la parte ha arricchito il quadro degli accadimenti fattuali e processuali che hanno interessato il giudizio principale, deducendo: a) che il 25 ottobre 2024, in esito al procedimento di aggiornamento, la Prefettura di Reggio Calabria ha adottato un nuovo provvedimento interdittivo nei confronti della ricorrente; b) di aver proposto appello avverso l’ordinanza che aveva concesso la sospensione cautelare della risoluzione contrattuale, sull’assunto della sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento della stessa a fronte della nuova interdizione; c) che il Consiglio di Stato aveva respinto tale impugnazione cautelare con la motivazione secondo cui il nuovo provvedimento si riferiva a «“presupposti sopravvenuti e, come tali, da ritenere ininfluenti rispetto agli atti sospesi dal primo giudice”»; d) che, in virtù della nuova interdizione, con atto dell’11 dicembre 2024, essa appaltante aveva nuovamente risolto il contratto di appalto; e), infine, che la C. P. srl ha impugnato la nuova informazione interdittiva e gli atti conseguenti, ma lo stesso TAR rimettente, questa volta, ha rigettato la relativa istanza cautelare.
3.2.− Tanto premesso, in via preliminare, la parte ha eccepito il difetto del presupposto della rilevanza: sotto due diversi profili, il sopraggiunto provvedimento interdittivo escluderebbe che l’invocata pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, possa incidere concretamente sul giudizio a quo.
Infatti, per un verso, la nuova interdizione impedirebbe alla società ricorrente, in via definitiva, la ricostituzione del rapporto contrattuale e, dunque, determinerebbe la sopravvenuta carenza di interesse alla impugnazione della prima risoluzione, comminata il 1° agosto 2024.
Per altro verso, l’eventuale estensione da parte di questa Corte della sospensione degli effetti interdittivi, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento, non potrebbe operare nel contenzioso tra le parti, posto che quel procedimento risulta ormai definito dal suddetto secondo atto interdittivo.
3.3.− Inoltre, l’ANAS spa ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate perché la pronuncia additiva richiesta invaderebbe l’ambito della discrezionalità riservata al legislatore. Nell’ordinamento non sussisterebbero, a suo dire, le condizioni per l’automatico raccordo tra la fase finale del controllo giudiziario e il procedimento di aggiornamento dell’interdittiva.
Tanto, per la duplice ragione − evidenziata dallo stesso rimettente − dell’assenza di pregiudizialità tra l’esito del controllo e il procedimento di aggiornamento ex art. 91, comma 5, cod. antimafia, e della distinzione tra la valutazione del prefetto posta alla base dell’interdittiva e la valutazione del giudice ordinario nell’ammissione alla misura di assistenza dell’impresa.
3.4.– Nel merito, la difesa della appaltante ha resistito alle singole questioni.
3.4.1.– Quanto alla prospettata violazione del principio di uguaglianza, l’atto difensivo assume che l’impresa avrebbe già beneficiato degli strumenti di tutela di cui dispongono le altre imprese con le quali viene operato il raffronto, avendo, a sua volta, sia esperito il ricorso giurisdizionale verso la informazione interdittiva, sia ottenuto l’ammissione al controllo giudiziario.
Inoltre, rispetto alla problematica inerente ai tempi della definizione del procedimento di aggiornamento, si ricorda che il privato potrebbe anticipare il momento di presentazione della relativa istanza o azionare il ricorso giurisdizionale verso il silenzio inadempimento.
3.4.2.– Per le stesse ragioni, l’imprenditore non potrebbe dirsi privo di mezzi di tutela, sicché sarebbero complessivamente prive di fondamento anche le doglianze di contrasto con gli artt. 24, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 13 CEDU.
3.4.3.– L’appaltante contesta, altresì, le censure di violazione dell’art. 97 Cost.
In primo luogo, il richiesto allungamento della sospensione dell’interdittiva consentirebbe all’appaltatore di approfittare dell’inerzia dell’autorità amministrativa rispetto al riesame, omettendo a sua volta di attivare gli strumenti a sua disposizione per reagire al silenzio del prefetto, al fine di mantenere i rapporti contrattuali in corso. Inoltre, si trascurerebbe la circostanza che il giudizio meritorio espresso dal giudice della prevenzione con l’ammissione al controllo giudiziario perderebbe di attualità al momento della scadenza di tale misura.
In secondo luogo, i timori per gli aggravi temporali ed economici, che conseguirebbero alla interruzione dell’esecuzione dei contratti pubblici, sarebbero recessivi rispetto alla protezione dell’attività amministrativa e della corretta concorrenza tra le imprese dai condizionamenti di soggetti interessati da tentativi di infiltrazione mafiosa.
3.4.4.– Insussistente sarebbe anche l’asserita lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU: piuttosto, si ravviserebbe un «“giusto equilibrio”» tra il sacrificio imposto alla proprietà privata e l’interesse generale della comunità, nella specie individuabile in plurimi interessi di rango costituzionale, costituiti dal buon andamento, dal corretto utilizzo delle risorse pubbliche, dallo svolgimento leale e corretto della concorrenza e dal principio di legalità sostanziale.
3.4.5.– In ultimo, l’ANAS spa sostiene la non fondatezza della censura di violazione dell’art. 41 Cost.
Questa Corte, con la sentenza n. 57 del 2020, avrebbe già «riconosc[iuto] la legittimità della compressione del diritto garantito all’art. 41 Cost., alla luce dalla perniciosità del fenomeno mafioso».
4.– In vista dell’udienza pubblica, la C. P. srl ha depositato una memoria illustrativa con la quale ha controdedotto all’eccezione di difetto di rilevanza spiegata dalla ANAS spa.
La società – premesso di avere ottenuto, a seguito dell’impugnazione della interdittiva emessa nel 2024 e della seconda risoluzione contrattuale, una nuova ammissione al controllo giudiziario con decreto del Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, del 7 marzo 2025, n. 15 – ha sostenuto la persistenza del suo interesse tanto alla decisione della domanda di annullamento della prima risoluzione da parte del giudice amministrativo quanto alla pronuncia di questa Corte.
Infatti, in primo luogo, per effetto dell’eventuale annullamento della nuova interdizione (o comunque in conseguenza della ottenuta sospensione dei suoi effetti per la sopraggiunta ammissione al controllo giudiziario), l’ambìto mantenimento del rapporto contrattuale sarebbe possibile a condizione che il giudice a quo annulli la prima risoluzione, fondata sulla disposizione censurata.
In secondo luogo, la riammissione al controllo giudiziario riaprirebbe l’arco temporale nel quale la invocata pronuncia additiva potrebbe operare.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.
Considerato in diritto
1.− Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dubita, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, in combinato disposto con gli artt. 8 della stessa Convenzione e 1 Prot. addiz. CEDU, della legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, nella parte in cui non dispone che la sospensione degli effetti dell’interdittiva antimafia − prevista in esito all’ammissione al controllo giudiziario e per tutta la sua durata − «perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento [del provvedimento interdittivo] ex art. 91, co[mma] 5, cod. antimafia».
Le questioni sono sollevate nel giudizio di impugnazione, proposto da una impresa aggiudicataria di un contratto di appalto pubblico di lavori, della risoluzione comminata dalla stazione appaltante, ai sensi dell’art. 108, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 50 del 2016, a seguito della constatazione della intervenuta scadenza del controllo giudiziario, cui l’impresa era stata ammessa, e del conseguente venir meno della sospensione degli effetti della informazione interdittiva (di cui l’appaltatrice era già destinataria, prima della procedura di gara), nonché della mancata definizione da parte del prefetto del procedimento di riesame dell’informazione stessa.
1.1.− Il giudice a quo lamenta l’illegittimità costituzionale della norma negativa per nove profili, suddivisibili in tre gruppi.
Il primo gruppo di questioni è accomunato dalla denunciata situazione in cui verserebbe l’operatore economico che ha portato a termine la misura di prevenzione del controllo giudiziario ed è destinatario della riviviscenza degli effetti dell’interdittiva: egli non avrebbe rimedi giurisdizionali né per avversarli nell’immediato né per neutralizzarli retroattivamente.
Tale situazione darebbe, pertanto, luogo al contrasto con: a) l’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di uguaglianza, per trattamento deteriore di tale operatore rispetto alle imprese che sono per la prima volta colpite dal provvedimento interdittivo e che ne possono ottenere la sospensione con decisione cautelare del giudice amministrativo o con ammissione al controllo giudiziario; b) gli artt. 24, 111, commi primo e secondo, e 113 Cost. per compromissione del diritto di difesa, in specie nei confronti della pubblica amministrazione; c) l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, in combinato disposto con gli artt. 8 della stessa Convenzione e 1 Prot. addiz. CEDU, per pregiudizio al diritto a un ricorso effettivo definibile in tempi ragionevoli, a tutela del diritto al rispetto della vita privata e del diritto di proprietà.
Con un secondo gruppo di questioni, il giudice a quo lamenta la violazione del principio di proporzionalità per diversi aspetti e in combinazione con altri parametri e, in particolare: a) per l’incongruità, rispetto allo scopo della difesa della legalità perseguito con l’interdittiva, del pieno ripristino della sua efficacia alla chiusura del controllo; b) per l’ingiustificato sacrificio del diritto al lavoro e del libero esercizio dell’attività di impresa (artt. 4 e 41 Cost.), stante la compromissione irrimediabile della capacità economico-produttiva dell’impresa e, di conseguenza, della forza lavoro ivi impiegata; c) per la vistosa violazione dei principi di efficienza ed economicità (riconducibili all’art. 97 Cost.) dell’attività contrattuale dell’amministrazione, obbligata alla rapida sostituzione dell’appaltatore, con conseguenti ritardi e aggravio di costi nell’esecuzione del contratto; d) per l’ingerenza sproporzionata dell’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
In terzo luogo, il TAR Calabria lamenta la violazione dei princìpi di ragionevolezza e buon andamento, perché la funzione bonificante, perseguita con la misura del controllo giudiziario, sarebbe frustrata dalla riespansione degli effetti dell’interdittiva senza che si attenda la verifica da parte del prefetto dell’incidenza degli eventuali risultati favorevoli sulla attualità del fenomeno di infiltrazione mafiosa: infatti, la riespansa efficacia, da un lato, impedirebbe all’impresa di consolidare i risultati del compiuto percorso proficuo di risanamento e, dall’altro, darebbe luogo a conseguenze negative insuperabili, pur nell’ipotesi di successiva emanazione da parte del prefetto dell’informazione liberatoria (anche per l’esito positivo del controllo giudiziario).
2.− In via preliminare, occorre soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dall’ANAS spa.
2.1.− Anzitutto, l’appaltante eccepisce il difetto di rilevanza delle questioni, in quanto, in esito al procedimento di aggiornamento, la società appaltatrice è stata attinta da un nuovo provvedimento interdittivo: quest’ultimo, per un verso, le precluderebbe in via definitiva la prosecuzione del rapporto contrattuale e, dunque, implicherebbe la sopravvenuta carenza del suo interesse all’annullamento giurisdizionale della originaria risoluzione del contratto; per altro verso, segnerebbe la fine del periodo temporale nell’ambito del quale dovrebbe operare l’estensione della sospensione dell’interdizione richiesta a questa Corte («[sino alla]definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co[mma] 5, cod. antimafia»), con conseguente ininfluenza della eventuale pronuncia additiva sul giudizio a quo.
L’eccezione va disattesa.
La nuova interdizione − sebbene sia del 25 ottobre 2024 e, dunque, di data antecedente al deposito dell’ordinanza di rimessione del 28 ottobre 2024 – costituisce, invero, una mera sopravvenienza di fatto, ininfluente sulla rilevanza delle questioni.
Da un lato, infatti, le parti non hanno dedotto nella sede propria del giudizio a quo l’asserita carenza di interesse all’annullamento per il sopraggiungere della nuova informazione interdittiva, sicché essa è rimasta estranea al relativo thema decidendum.
Dall’altro lato, deve considerarsi che il nuovo provvedimento prefettizio, se pure antecedente all’ordinanza di rimessione, è successivo all’ordinanza dell’11 ottobre 2024 con cui il giudice amministrativo, concedendo in via interinale la tutela cautelare proprio sul presupposto dell’esistenza dei dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, si è riservato di sollevarli con separato provvedimento. Dunque, l’accadimento in parola «benché intervenut[o] prima del deposito formale dell’ordinanza di rimessione è […] successiv[o] alla decisione di sospendere il giudizio e sollevare le questioni di legittimità costituzionale» (sentenza n. 120 del 2024, in relazione al requisito della persistente pendenza della controversia innanzi al giudice rimettente).
2.2.− Con una seconda eccezione, la stessa parte ha sostenuto l’inammissibilità delle questioni sollevate perché sarebbe richiesta una pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato, con invasione dell’ambito delle scelte riservate al legislatore.
In particolare, si chiederebbe la protrazione della sospensione dell’efficacia dell’interdittiva sino alla decisione prefettizia sull’aggiornamento della stessa, sebbene nell’ordinamento non sussistano, in assunto, le condizioni per l’automatico raccordo tra la fase finale del controllo giudiziario e il procedimento di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
Anche questa eccezione non è fondata.
Il rimettente, dopo aver delineato caratteristiche e funzioni del controllo giudiziario volontario e dell’aggiornamento dell’informazione interdittiva, ha individuato il loro punto di contatto nella circostanza per la quale dall’esito favorevole del primo scaturisce l’obbligo di avvio del secondo, che potrebbe definirsi, anche a causa del percorso controllato, con una informazione liberatoria. Nel descritto contesto, il TAR Calabria stigmatizza la mancata previsione della sospensione degli effetti dell’interdittiva sino all’esito del riesame e formula la richiesta di una pronuncia additiva che ritiene coerente con le rationes dei due istituti.
Ove dovesse riscontrarsi il denunciato vulnus ai diritti e ai princìpi costituzionali evocati, spetterà a questa Corte individuare lo strumento idoneo per porvi rimedio sulla base di «“precisi punti di riferimento” e soluzioni “già esistenti”» (ex multis, sentenze n. 69 del 2025, n. 62 del 2022, n. 63 del 2021 e n. 224 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 222 del 2018 e n. 236 del 2016).
3.− L’esame del merito richiede una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inseriscono le questioni sollevate, limitatamente agli aspetti essenziali per la decisione: il controllo giudiziario volontario nel suo rapporto con l’informazione interdittiva.
3.1.− Il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis cod. antimafia è una misura di prevenzione giudiziaria patrimoniale, introdotta con l’art. 11, comma 1, della legge 17 ottobre 2017, n. 161 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate). Tale misura è applicabile dal giudice della prevenzione d’ufficio o a domanda dell’operatore economico e inquadrabile nella più recente tendenza della legislazione a fornire una risposta preventiva ai fenomeni di infiltrazione criminale nell’economia secondo misure graduali, con la valorizzata possibilità per le fattispecie meno gravi di intervenire, anziché con “l’ablazione”, con il “salvataggio” della realtà aziendale contaminata, tramite la sottoposizione della stessa a diversificati interventi di “bonifica”. In particolare, con il controllo giudiziario, l’imprenditore non è espropriato dell’azienda (come nel sequestro e nella confisca) né temporaneamente spossessato della sua gestione (come nell’amministrazione giudiziaria), ma è soggetto a un programma vigilato e assistito dallo Stato, finalizzato al suo recupero alla legalità. Ciò alla condizione che l’impresa, seppur interessata dal pericolo concreto di infiltrazione mafiosa, manifesti un adeguato margine di autonomia rispetto alle consorterie criminali.
Pertanto, da un lato, la misura può essere disposta solo se l’agevolazione a persone pericolose (individuate dall’art. 34, comma 1, cod. antimafia) sia «occasionale» (art. 34-bis, comma 1, cod. antimafia), secondo un riscontro che la giurisprudenza intende non soltanto come riferito allo «stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto [teso] a comprendere e prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 settembre-19 novembre 2019, n. 46898). In altri termini, il giudice è chiamato a esprimere un favorevole giudizio prognostico riguardo al fatto che l’impresa possa riallinearsi con il contesto economico sano, seguendo il percorso assistito.
Dall’altro lato, all’imprenditore è lasciata la gestione dell’attività sotto le prescrizioni e la sorveglianza − di varia tipologia e per un periodo ricompreso tra uno e tre anni (art. 34-bis, comma 2, cod. antimafia) − del tribunale della prevenzione.
Nella specifica ipotesi in cui la misura sia attivata a domanda dell’operatore economico (art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia), essa consiste – oltre che in obblighi e divieti rivolti all’imprenditore − nella vigilanza da parte di un giudice delegato dal tribunale con l’ausilio di un «amministratore giudiziario» (di seguito, anche: controllore giudiziario), che esplica una puntuale attività di controllo sull’impresa (art. 34-bis, comma 3, cod. antimafia).
Il legislatore ha previsto, quale condizione affinché possa essere richiesta l’ammissione al controllo giudiziario volontario, che l’imprenditore richiedente sia destinatario di una informazione interdittiva emessa ai sensi dell’art. 84, comma 4, cod. antimafia (e, dunque, di una interdittiva adottata in esito alla valutazione discrezionale del prefetto della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa), la quale sia stata impugnata dinanzi al giudice amministrativo (art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia).
Con tale previsione il legislatore ha stabilito un inedito collegamento tra la prevenzione giudiziaria e la prevenzione amministrativa relative all’impresa attinta solo occasionalmente da fenomeni di infiltrazione mafiosa, ma di tale collegamento ha espressamente disciplinato solo due aspetti: 1) a monte, la necessità procedurale che il tribunale, nel determinarsi sulla misura, senta il prefetto che ha adottato l’interdittiva; 2) a valle, la sospensione degli effetti dell’interdittiva come conseguenza dell’ammissione dell’imprenditore al controllo giudiziario.
In particolare, il primo periodo del censurato art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, prevede che il provvedimento che dispone il controllo giudiziario sospende gli effetti dell’informazione interdittiva, stabiliti dall’art. 94 cod. antimafia. Quanto a questi, è noto che il provvedimento prefettizio – in ragione della sua natura cautelare e preventiva in funzione di difesa della legalità dalla penetrazione della criminalità organizzata nell’economia (sentenze n. 101 del 2023, n. 180 del 2022, n. 178 del 2021 e n. 57 del 2020) – determina l’incapacità (parziale e tendenzialmente temporanea) dell’imprenditore a intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione (ancora sentenze n. 101 del 2023, n. 118 del 2022 e n. 178 del 2021, che richiamano Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3), derivando dal riscontro del tentativo di infiltrazione mafiosa il divieto di stipulare ed eseguire i contratti pubblici, di conseguire e mantenere le concessioni di beni pubblici, contributi, finanziamenti, mutui agevolati ed erogazioni (artt. 91, commi 1 e 1-bis, e 94, comma 1, cod. antimafia) nonché, secondo la corrente giurisprudenza amministrativa, alla luce del disposto dell’art. 89-bis cod. antimafia, l’impedimento a ottenere e mantenere i titoli autorizzatori e abilitativi necessari per lo svolgimento di attività imprenditoriali anche nei confronti dei privati.
Solo in un secondo momento, con gli artt. 47, comma 1, e 49, comma 1, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose», convertito, con modificazioni, nella legge 29 dicembre 2021, n. 233, il legislatore ha arricchito il quadro di correlazione tra la prevenzione amministrativa e la prevenzione giudiziaria, prescrivendo la comunicazione alla prefettura del decreto di ammissione ai fini dell’aggiornamento della banca dati unica della documentazione antimafia e disponendo il coordinamento del controllo giudiziario con le misure amministrative di prevenzione collaborativa, adottabili dal prefetto, introdotte con lo stesso art. 49, comma 1.
In particolare, secondo l’inserito art. 94-bis cod. antimafia, se il prefetto riscontra che l’impresa è interessata da «tentativi di infiltrazione mafiosa […] riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale», in luogo dell’informazione interdittiva, emette un provvedimento che prescrive all’operatore una serie di misure di tipo organizzativo e/o comunicativo, per un periodo variabile dai sei ai dodici mesi, con possibile nomina di uno o più esperti con funzioni di supporto per l’attuazione delle prescrizioni disposte. Nello specifico, il comma 3 di tale articolo regola il rapporto tra la vigilanza prescrittiva adottata dal prefetto e quella applicata dal giudice della prevenzione, stabilendo che le misure collaborative cessano se il tribunale della prevenzione dispone il controllo giudiziario (nella forma della vigilanza con la nomina del controllore giudiziario). Ciò perché le prime hanno il medesimo presupposto (l’agevolazione occasionale), analogo contenuto (gestione imprenditoriale guidata e monitorata con diverse modalità) e «identità di funzione» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 13 febbraio 2023, n. 7) rispetto al secondo.
Nonostante l’intervento legislativo del 2021, è rimasta scarna la disciplina dell’istituto del controllo, quanto al coordinamento con la valutazione infiltrativa prefettizia e al suo vaglio da parte del giudice amministrativo, e ciò ha creato diversi dubbi esegetici che interessano sia la fase genetica sia lo sviluppo del controllo giudiziario, molti dei quali risolti dalla giurisprudenza ordinaria e amministrativa.
Tra gli aspetti chiariti − per quanto ancora di stretto rilievo ai fini della presente decisione − vi è, anzitutto, la diversità della valutazione espressa dal prefetto (e del suo sindacato da parte del giudice amministrativo) rispetto al “fuoco” della valutazione del giudice della prevenzione: la prima − preordinata alla adozione della interdittiva quale reazione ordinamentale alle minacce della criminalità − è esclusivamente di tipo “statico” (o retrospettivo), quale diagnosi di un fenomeno di rischio infiltrativo già perpetratosi; mentre la seconda – funzionale all’ammissione del richiedente a una misura di bonifica − è di natura eminentemente “dinamica”, perché prognosi delle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha, o meno, di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano (si veda, per tutte, nella giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, ad. plen., n. 7 del 2023 e, nella giurisprudenza ordinaria, ancora Cass., sez. un. pen., n. 46898 del 2019).
Da tale inquadramento delle due diverse valutazioni sono state tratte talune conseguenze sul loro rapporto diacronico.
Per un verso, le pronunce più recenti hanno escluso che il giudicato amministrativo di rigetto dell’impugnazione dell’interdittiva faccia venire meno il controllo giudiziario, perché è ritenuta perdurante l’esigenza di risanare l’impresa. Si è affermato, infatti, che “la conferma” giurisdizionale dell’interdizione prefettizia e, dunque, l’accertamento in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso, renda massima l’esigenza di risanamento (ancora, Cons. Stato, ad. plen., n. 7 del 2023) o, comunque, che essa sia «coerente proprio con la [precedente] ritenuta necessità di applicare la misura del controllo giudiziario» (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 11 dicembre 2024-11 febbraio 2025, n. 5514).
Nel verso opposto, è ritenuto ininfluente il sopraggiungere della definizione positiva del controllo giudiziario sul sindacato del giudice amministrativo sulla interdittiva: infatti, il buon esito della misura preventiva giudiziaria costituisce un post factum rispetto al provvedimento prefettizio impugnato, di cui va verificata la legittimità tenendo conto delle condizioni di fatto e di diritto sussistenti al momento in cui è stato emesso (da ultimo, tra le tante, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 29 aprile 2025, n. 3635).
Pur nella delineata distinzione dei giudizi della prevenzione amministrativa e giudiziaria, con la conseguente esclusione dell’incidenza diretta dell’esito dell’uno sull’altro, sussistono delle ovvie interferenze che hanno origine ora nel disposto dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia, ora nella “temporaneità” dell’interdizione.
Quanto al primo profilo, è pacifico nella giurisprudenza amministrativa − come correttamente sostenuto dal rimettente − che dalla lettera della disposizione censurata, secondo cui il «provvedimento che dispone […] il controllo giudiziario […] sospende […] gli effetti» dell’informazione interdittiva, si ricava anche la norma secondo cui la chiusura del controllo (a prescindere dall’esito) determina la cessazione dell’effetto sospensivo della interdittiva che dal primo era conseguito (da ultimo, ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 marzo 2024, n. 2515).
Quanto al secondo aspetto, l’esito positivo della misura preventiva giudiziaria può avere un riflesso nello “sviluppo” dell’efficacia dell’interdittiva.
In proposito, infatti, occorre ricordare che – come questa Corte ha avuto modo di rimarcare nel segnare il limite della ragionevolezza della grave limitazione della libertà di impresa che deriva dalla adozione dell’informazione interdittiva in nome della difesa della legalità – la misura prefettizia ha carattere provvisorio: l’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che l’informativa antimafia abbia una validità limitata di dodici mesi, previsione da intendere (al contrario che nel caso della informazione liberatoria) non già come perdita automatica dell’efficacia dell’interdizione, ma nel senso che «alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva» (sentenza n. 57 del 2020). In altri termini, la provvisorietà, tesa a «scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile» (ancora, sentenza n. 57 del 2020) per l’impresa interdetta, è garantita dall’art. 91, comma 5, ultimo periodo, cod. antimafia, a mente del quale «[i]l prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa».
Il venir meno di tali «circostanze rilevanti», secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, non deriva dal mero trascorrere del tempo, ma dal sopraggiungere di elementi diversi, oppure contrari, idonei a escludere la portata sintomatica di quelli posti alla base del giudizio infiltrativo dell’emessa interdittiva – o perché ne smentiscono tale valenza, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo (tra le tante, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 18 agosto 2020, n. 5088; in termini analoghi, ancora, sezione terza, sentenze 30 ottobre 2023, n. 9343, e 7 gennaio 2022, n. 57).
Ebbene, tra i fatti positivi idonei a superare la pregressa valutazione infiltrativa vi è proprio l’esito favorevole del controllo giudiziario e la giurisprudenza non ha mancato di puntualizzarne le implicazioni procedimentali e decisorie.
Sotto il profilo procedimentale, tale sopravvenienza genera l’obbligo dell’organo amministrativo di procedere all’aggiornamento dell’informazione interdittiva previsto dall’art. 91, comma 5, cod. antimafia (ex multis, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 10 marzo 2025, n. 1937 e 23 dicembre 2024, n. 10340), obbligo che, se inadempiuto, rende operante l’azione avverso il silenzio, di cui agli artt. 31 e 117 dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Sotto il profilo della determinazione prefettizia di riesame, il prefetto non può ignorare gli esiti del controllo, dovendo puntualmente valutare (con onere motivazionale rinforzato) se il compiuto percorso abbia dato luogo, o meno, alla recisione dei rapporti con le organizzazioni criminali e, dunque, se i risultati della misura costituiscano effettivamente una di quelle sopravvenienze rilevanti ai fini dell’aggiornamento. Per contro, è escluso che l’esito positivo del controllo giudiziario vincoli il successivo giudizio di riesame, posto che la valutazione del controllore e del tribunale non costituisce un giudicato di accertamento né una presunzione assoluta di avvenuta bonifica (tra le tante, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 31 luglio 2024, n. 6880 e 16 giugno 2022, n. 4912).
L’istituto dell’aggiornamento − nell’indiscussa discrezionalità della sua definizione con l’emissione di una informazione liberatoria o, piuttosto, di una informazione interdittiva − è stato pertanto qualificato, sia dal giudice amministrativo che dal giudice ordinario, come punto «di interazione» o «raccordo» tra gli istituti in esame (Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sentenza 15 ottobre 2024, n. 790; Cons. Stato, sez. sesta, n. 2515 del 2024; Cass., n. 5514 del 2025).
Pur rinvenuto il collegamento tra gli istituti, alcune pronunce amministrative (da ultimo, sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, n. 1937 del 2025), al pari dell’ordinanza di rimessione, e la dottrina hanno evidenziato le problematiche che derivano dal mancato allineamento, nella complessiva disciplina, tra il tempo della definizione del controllo e il tempo di definizione del riesame dell’interdittiva.
La decisione sull’aggiornamento, infatti, in ragione della complessa istruttoria e del carico di lavoro delle prefetture, giunge ordinariamente a distanza di tempo dalla conclusione del controllo giudiziario, pur se – come nella fattispecie all’esame del giudice a quo – l’imprenditore o l’amministrazione interessata abbiano presentato istanza di riesame in un momento antecedente alla conclusione del controllo sulla base delle relazioni provvisorie del controllore giudiziario.
Tale sfasamento − come sottolineato dal rimettente – ha quale conseguenza che l’informazione liberatoria, emessa dal prefetto in sede di aggiornamento dell’interdittiva all’esito positivo del controllo, operando ex nunc, non cancella gli effetti interdittivi riespansi dopo il controllo.
All’espresso fine di colmare questo “iato temporale”, nell’attuale XIX Legislatura, è stata presentata la proposta di legge (Modifica all’articolo 34-bis del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di controllo giudiziario delle aziende – A.C. n. 1405) volta all’introduzione, nell’art. 34-bis cod. antimafia, del comma 7-bis, secondo cui «[i]n caso di esito positivo del controllo, il prefetto procede d’ufficio al riesame della posizione del soggetto controllato. Il riesame ha una durata massima di sei mesi, prorogabili di ulteriori sei mesi. Nel corso del riesame si mantiene la sospensione degli effetti di cui all’articolo 94».
4.− Tutto quanto sopra premesso, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. – per irragionevolezza della disciplina e sproporzionata compressione dell’iniziativa economica privata – sono fondate.
4.1.− Come si è visto, con il controllo a domanda dell’imprenditore, il legislatore ha collegato la prevenzione giudiziaria con quella amministrativa per dare coordinata risposta al tentativo di infiltrazione della criminalità di tipo marginale, ma è evidente che non ragionevolmente ha mancato di “chiudere il cerchio” e determinato un incongruo sacrificio della libertà di impresa.
4.1.1.− Tassello fondamentale dell’«apprezzabile finalità [del controllo giudiziario] di contemperare le esigenze di difesa sociale e di tutela della concorrenza con l’interesse alla continuità aziendale» (sentenza n. 180 del 2022) è senza dubbio la sospensione degli effetti dell’interdittiva di cui quell’operatore economico è destinatario, in quanto essa costituisce il mezzo indispensabile per consentirgli di espletare in concreto l’iter di gestione vigilata preordinato alla bonifica: infatti, solo per effetto del congelamento dell’interdizione, l’operatore riacquista provvisoriamente la capacità di intrattenere i rapporti con la pubblica amministrazione e di svolgere le attività economiche sottoposte al suo preventivo assenso. Senza tale strumento, dunque, l’ordinamento indicherebbe “il percorso di recupero, ma non fornirebbe le gambe per percorrerlo”.
L’essenziale strumentalità del meccanismo sospensivo rispetto alla finalità del controllo è stata, d’altro canto, di recente ribadita dal legislatore del terzo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023), che ne ha esteso l’ambito applicativo.
Il d.lgs. n. 36 del 2023 ha sancito il superamento dell’orientamento giurisprudenziale che riteneva che la sospensione de qua, sopraggiunta nel corso della procedura di evidenza pubblica, non operasse retroattivamente e, pertanto, non apportasse deroghe all’obbligo per le stazioni appaltanti di escludere dalla competizione il partecipante interdetto (art. 80, comma 2, del previgente cod. contratti pubblici e art. 94, comma 2, del vigente cod. contratti pubblici) o all’impedimento dell’aggiudicazione in suo favore (art. 32, comma 7, del previgente cod. contratti pubblici e art. 17, comma 5, del vigente cod. contratti pubblici) e di stipula del contratto (art. 94, comma 1, cod. antimafia), in rigorosa applicazione del principio della necessaria continuità del possesso dei requisiti in capo agli aspiranti contraenti con la pubblica amministrazione in tutte le fasi della gara.
Infatti, l’art. 94, comma 2, ultimo periodo, del vigente cod. contratti pubblici dispone l’inoperatività della causa di esclusione per l’accertamento prefettizio del tentativo di infiltrazione mafiosa «se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario». È così sancito l’effetto “salvifico” dell’ottenuto controllo sulla procedura di evidenza pubblica, perché il concorrente “controllato” è ritenuto ex lege affidabile, nonché meritevole di occasioni contrattuali che lo conducano alla bonifica.
Ancora al favor per lo scopo della misura di cui all’art. 34-bis, comma 6, cod. antimafia, va ricondotto anche il ricordato recente orientamento giurisprudenziale che esclude che il giudicato amministrativo di rigetto dell’impugnazione dell’interdittiva comporti l’interruzione della gestione imprenditoriale controllata e, di conseguenza, il venir meno del “beneficio sospensivo”.
4.1.2.− Rispetto alla valorizzata ratio del controllo giudiziario è, invece, palesemente dissonante e afflittivo per l’impresa il meccanismo − ben descritto dal giudice a quo − che segue alla sua conclusione pur a fronte degli acclarati risultati positivi.
Da un lato, infatti, alla chiusura della misura giudiziaria corrisponde l’automatica riespansione degli effetti interdittivi con le conseguenti ripercussioni negative, prime tra tutte quelle su gare e contratti pubblici in corso − senza che, secondo coerenza logica, si attenda l’apprezzamento degli esiti del controllo giudiziario volontario nella valutazione di aggiornamento della misura amministrativa, cui la disciplina l’ha collegato. Anche ad avviso di questa Corte, è proprio l’aggiornamento dell’informazione dell’interdittiva ex art. 91, comma 5, cod. antimafia il “nodo di collegamento” tra i due sistemi preventivi, trattandosi del momento in cui l’ordinamento richiede di riscontrare se gli esiti del consentito percorso, letti nella visione complessiva che il prefetto ha dell’imprenditore, abbiano prodotto l’effettivo superamento del pericolo di infiltrazione originariamente rilevato, in modo da «scongiurare [anche in questo specifico caso] il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile» (sentenza n. 57 del 2020).
Dall’altro lato, con risultati paradossali, le perdite che discendono dalla nuova paralisi dell’attività imprenditoriale non possono essere eliminate retroattivamente anche se l’esito del procedimento di riesame sia favorevole per decisione amministrativa o giudiziale: infatti, non solo – come si è visto – l’eventuale emanazione da parte del prefetto dell’informazione liberatoria all’esito dell’aggiornamento, e proprio in ragione dei risultati della misura della vigilanza prescrittiva, opera ex nunc; ma anche l’eventuale annullamento giurisdizionale dell’informazione interdittiva emessa all’esito dell’aggiornamento (al pari della sospensione cautelare che può precederlo) retroagisce al momento della adozione del provvedimento, ma non copre anche il periodo anteriore, che va dalla definizione del controllo alla impugnata interdizione.
Alla luce di questi rilievi, deve concludersi per la irragionevolezza e contraddittorietà del sistema nel suo complesso, il quale: 1) istituisce una misura innovativa e in essa investe con l’obiettivo di recupero delle imprese alla legalità tramite la prosecuzione dell’attività aziendale; 2) consente di ammettere l’imprenditore, in esito al riconoscimento di specifiche potenzialità, a un apposito percorso di risanamento di durata compresa tra uno e tre anni, che ha un costo non solo per il privato, ma anche per l’amministrazione della giustizia; 3) ma, di contro, pur nell’ipotesi di chiusura positiva della misura, non impedisce l’immediato rioperare degli effetti interdittivi, nelle more della doverosa rivalutazione prefettizia sulla persistenza o sul superamento del condizionamento mafioso, superamento che si auspica determinato dal compiuto risanamento controllato.
Ancora, va rimarcato che la riespansione di questi effetti rischia di vanificare i risultati conseguiti con l’attività monitorata: il ripristino delle incapacità non solo può condurre a una crisi economica irreversibile dell’impresa, ma può anche determinare un possibile riavvicinamento dell’operatore economico in difficoltà alla criminalità, da cui l’intervento statale mirava a separarlo.
4.2.− Restano assorbite le ulteriori questioni.
4.3.− Riscontrato il vulnus, deve individuarsi la soluzione per porvi rimedio.
La soluzione indicata dal rimettente, di protrazione della sospensione dell’interdittiva sino al suo riesame, risulta a “rime adeguate”, con la precisazione che la invocata protrazione della sospensione può essere riconosciuta solo in caso di chiusura del controllo con esito favorevole.
Anzitutto, infatti, l’addizione è coerente con lo scopo legislativo di consentire, tramite la continuità aziendale monitorata, il salvataggio delle imprese nonché con la logica del sistema nel suo complesso di verificare, tramite il giudizio prefettizio di aggiornamento dell’interdittiva, che il diligente percorso controllato abbia effettivamente eliso il rischio infiltrativo.
L’aggancio temporale tra il momento della chiusura della misura preventiva e il momento dell’aggiornamento della situazione infiltrativa trova nell’ordinamento − diversamente da quanto asserito dall’ANAS spa − «“precisi punti di riferimento” e “soluzioni già esistenti”» (tra le altre, sentenze n. 69 del 2025, n. 62 del 2022, n. 63 del 2021 e n. 224 del 2020).
La continuità temporale è stata, infatti, prevista dal legislatore nelle misure di prevenzione collaborativa, di cui si sono viste le notevoli similitudini con il controllo giudiziario: per esse, l’art. 94-bis, comma 4, cod. antimafia, fa coincidere il termine di scadenza del periodo vigilato con il riesame della situazione infiltrativa, inferendo dal venir meno di questa, per effetto del buon esito della misura amministrativa preventiva, il rilascio di una informazione antimafia liberatoria. In tale caso, dunque, l’ordinamento non consente alcuno “iato temporale” pregiudizievole.
5.− In conclusione, va dichiarata l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui non prevede che la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva derivante dall’ammissione al controllo giudiziario si protrae, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo di cui all’art. 91, comma 5, cod. antimafia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2025
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