Sentenza n. 198/2000

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SENTENZA N. 198

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente 

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI   

- Cesare RUPERTO  

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Annibale MARINI  

- Franco BILE   

- Giovanni Maria FLICK   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1998 dal Pretore di Modena nel procedimento civile tra Igbinobaro Grace Igbiniken e il Prefetto di Modena, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

 1. Ñ Una cittadina extracomunitaria proponeva, ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), un reclamo tardivo avverso il decreto prefettizio di espulsione, sostenendo che la copia notificatale, contrariamente a quanto previsto da tale disposizione, non era accompagnata dalla traduzione in una lingua a lei nota. Circostanza, questa, che le aveva impedito di conoscere nel suo esatto contenuto il provvedimento, e di proporre tempestivo reclamo. L’opponente chiedeva quindi di essere rimessa in termini, e il Pretore di Modena ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità del citato art. 13, nella parte in cui non consente il reclamo tardivo, allorché il destinatario non abbia potuto rispettare il termine di legge per caso fortuito, forza maggiore o, come nella specie, per l’omessa traduzione del provvedimento stesso in una lingua conosciuta dal destinatario.

 In proposito il giudice a quo osserva che i termini perentori, ai sensi dell’art. 153 del codice di procedura civile, non sono prorogabili e che nella vicenda al suo esame non è possibile la rimessione in termini, poiché nel sistema del processo civile essa è prevista dall’art. 184-bis del codice di rito soltanto per le decadenze incolpevoli che si verificano all’interno della singola fase processuale.

 Nel motivare sulla rilevanza, il Pretore riconosce che l’opponente aveva diritto alla notifica del provvedimento espulsivo corredato dalla traduzione in lingua inglese e sostiene che la norma oggetto di censura violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione, poiché rende eccessivamente difficoltosa la tutela dei diritti del cittadino extracomunitario, precludendogli la possibilità del reclamo anche quando il mancato rispetto del termine non implichi colpa.

 2. Ñ Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso per l’infondatezza della questione, affermando che il rimettente avrebbe potuto superare in via interpretativa i dubbi di costituzionalità. La difesa del Governo ricorda che la remissione in termini per errore scusabile costituisce "principio generalissimo" e soggiunge che la decadenza non si verifica quando l’atto non sia compiuto legittimamente: nel caso di specie, la mancata traduzione avrebbe pertanto impedito il decorso del termine per l’impugnativa.

Considerato in diritto

 1. Ñ Il Pretore di Modena dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del decreto legislativo n. 286 del 1998, nella parte in cui non consentirebbe l’opposizione tardiva avverso il decreto prefettizio di espulsione dello straniero quando questi non abbia avuto conoscenza, senza colpa, del suo esatto contenuto.

 2. Ñ La questione non è fondata.

In base alla prospettazione del rimettente, il termine di cinque giorni, fissato per il reclamo dal citato art. 13, comma 8, si consumerebbe anche nel caso in cui il decreto di espulsione non sia portato a conoscenza dell’interessato ovvero gli sia comunicato in modo non intelligibile, perché - come si verifica nella vicenda de qua - privo di traduzione.

 Così interpretata, la norma lederebbe l’art. 24 della Costituzione. Ma questa lettura della disciplina, dalla quale muove il rimettente, non è l’unica consentita.

 Al riguardo si deve premettere che l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 286 dispone che "allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti". Anche allo straniero deve quindi essere riconosciuto il pieno esercizio del diritto di difesa, sancito dall’art. 24 della Costituzione e tutelato altresì dal Patto internazionale sui diritti civili e politici stipulato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, ove all’art. 13 si stabilisce che "uno straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato parte del presente Patto non può esserne espulso se non in base a una decisione presa in conformità della legge e, salvo che vi si oppongano imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la possibilità di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione, di sottoporre il proprio caso all’esame dell’autorità competente, o di una o più persone specificamente designate da detta autorità, e di farsi rappresentare innanzi ad esse a tal fine". Principio analogo è poi ribadito nell’art. 1 del Protocollo n. 7 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98.

 E’ da considerare, altresì, che il diritto a un riesame del provvedimento di espulsione, con piena garanzia del diritto di difesa, spetta non soltanto agli stranieri che soggiornano legittimamente in Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio nazionale, come testimonia la lettera dell’art. 13, comma 8, del decreto legislativo n. 286 del 1998, ov’è ripresa la formula, contenuta nell’art. 2, comma 1, dello straniero "comunque presente [...] nel territorio dello Stato".

 Il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero presuppone, dunque, che qualsiasi atto proveniente dalla pubblica amministrazione, diretto a incidere sulla sua sfera giuridica, sia concretamente conoscibile. Ciò vuol dire, con specifico riferimento al decreto di espulsione, che questo deve essere redatto anche nella lingua del destinatario ovvero, se non sia possibile, in una di quelle lingue che - per essere le più diffuse - si possano ritenere probabilmente più accessibili dal destinatario. A tali principi si è del resto conformato il legislatore, statuendo, all’art. 13, comma 7, che "il decreto di espulsione [...] nonché ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola".

 3. Lo straniero (anche irregolarmente soggiornante) gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana, fra i quali quello di difesa, il cui esercizio effettivo implica che il destinatario di un provvedimento, variamente restrittivo della libertà di autodeterminazione, sia messo in grado di comprenderne il contenuto e il significato.

 Ora, va ricordato il principio - che si rinviene nel sistema e ispira le singole disposizioni positive - secondo cui ogni qual volta la legge fissa un termine perentorio, prevedendone la decorrenza dal compimento di un determinato atto, è necessario che quest’ultimo sia effettivamente compiuto, non contenga vizi e sia portato a conoscenza di colui che è onerato dal rispetto di esso.

  La traduzione del decreto di espulsione è dunque preordinata ad assicurare la sua effettiva conoscibilità; e questa è presupposto essenziale per l’esercizio del diritto di difesa, di cui gode anche lo straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale.

 4. — Ciò premesso, è devoluta alla giurisdizione di merito la valutazione se nella vicenda in esame possa considerarsi conseguito lo scopo dell’atto, che è quello di consentire al destinatario il pieno esercizio del diritto di difesa: ciò postula che il provvedimento di espulsione sia materialmente portato a conoscenza dell’interessato, o gli sia comunicato con modalità che ne garantiscano in concreto la conoscibilità. Sarà il giudice a quo, in particolare, a valutare se l’omessa traduzione impedisca, ai sensi dell’art. 13, comma 7, il decorso del termine perentorio di cinque giorni per l’impugnazione, o se l’espellendo, malgrado la mancanza di traduzione, abbia comunque avuto tempestiva conoscenza del provvedimento, secondo quanto dimostrato, in ipotesi, dalla pubblica amministrazione.

 Risulta chiaro da quanto si è detto che l’art. 13, comma 8, non deve essere letto necessariamente nel senso proposto dal rimettente. Infatti, l’esigenza primaria di non vanificare il diritto di azione fa sì che nell’ipotesi di ignoranza senza colpa del provvedimento di espulsione - in particolare per l’inosservanza dell’obbligo di traduzione dell’atto - debba ritenersi non decorso il termine: possibilità interpretativa, questa, che non è esclusa dal tenore letterale della disposizione in esame. Onde non vi è lesione degli artt. 24 e 113 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, con riferimento agli articoli 24 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Modena con l’ordinanza in epigrafe.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente e Redattore

Depositata in cancelleria il 16 giugno 2000.