Sentenza n.17 del 1980
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SENTENZA N.17

ANNO 1980

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI  Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 43 e 44 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), promosso dal Giudice conciliatore di Caltanissetta con cinque ordinanze emesse il 23 febbraio 1979 e con due altre emesse il 2 marzo successivo, nei procedimenti civili vertenti tra Amico Tommaso e Cardinale Teresa, Amato Emanuele e Longo Benito, Amato Emanuele e Speciale Giuseppe, Di Caro Maria Elena ed altra e Lo Bianco Michele, Di Caro Maria Elena ed altra e Gruttadauria Giuseppe, Gagliano Francesco e Ginevra Calogero, Lo Magno Dionisio e Calvagna Giuseppe ed altra, rispettivamente iscritte ai nn. 312, 345, 346, 347, 348, 349 e 350 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 175 del 27 giugno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - La questione di costituzionalità per violazione degli * artt. 24 e 25 Cost. coinvolge gli artt. 43 e 44 della legge 392/ 1978, il primo dei quali dispone che la domanda concernente controversie relative alla determinazione, all'accertamento e all'adeguamento del canone locatizio non può essere proposta pena la improcedibilità rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento se non è preceduta dalla domanda di conciliazione minuziosamente regolata nell'art. 44.

Nelle sette ordinanze dalla identica motivazione il giudice a quo considera che il tentativo obbligatorio di conciliazione viola l'art. 24 Cost. consentendo ad una delle parti di procrastinare nel tempo la definizione della controversia, e, distogliendo il cittadino dal giudice naturale e costringendolo a rivolgersi a un giudice privo di poteri decisori, offende l'art. 25 della Costituzione. Pone poi lo stesso Conciliatore in rilievo il contrasto delle norme impugnate con l'art. 79 della stessa legge che vieta la pattuizione di canoni superiori a quello legale e non manca di evidenziare che, indipendentemente dagli artt. 43 e 44, l'art. 46 della stessa legge, richiamando il testo < novellato > dell'art. 420 c.p.c., prevede che all'udienza di trattazione della causa di merito il giudice si renda promotore del tentativo di conciliazione, reiterabile, a sensi dell'art. 185 c.p.c., in ogni stato dell'istruzione.

Dal suo canto, l'Avvocatura generale dello Stato richiama la giurisprudenza della Corte sulla legittimità dell'esperimento, preventivo al giudizio, di procedimenti amministrativi, sottolinea la opportunità del tentativo obbligatorio di conciliazione, inteso quale espediente indirizzato a ridurre la litigiosità, e nega che il tentativo, a sperimentare il quale sono chiamati i giudici competenti per il merito, attenti al principio della precostituzione del giudice sancito dall'art. 25 Cost.; chiarisce, infine, che l'eventuale contrasto tra gli artt. 43 e 79 della legge è risolubile secondo i canoni dell'interpretazione delle leggi e non può assurgere ad oggetto di questione di costituzionalità.

2. - Sebbene il tentativo obbligatorio di conciliazione in esame sia strutturalmente diverso dal tentativo di conciliazione facoltativo previsto per il procedimento ordinario avanti il conciliatore (art. 320 c.p.c.) e dallo stesso tentativo obbligatorio di conciliazione previsto per i processi a rito speciale del lavoro (art. 420, comma primo, c.p.c., richiamato in subiecta materia dall'art. 46 legge 392/1978) e sia, sempre sul piano strutturale, affine, ma non identico (basta riflettere che il giudice può essere affiancato da due esperti, uno per ciascuna delle parti, che possono scegliersi anche nell'ambito delle organizzazioni di inquilini o proprietari) al tentativo di conciliazione non contenzioso disciplinato dagli artt. 321 e 322 c.p.c. e 68 e 69 c.p.c., ritiene la Corte che il procedimento disciplinato nell'art. 44 non sia tale da conferire ai competenti giudici singoli, che ne sono investiti, legittimazione a sollevare incidente di costituzionalità delle norme disciplinatrici di detto tentativo. Perchè tale presupposto si realizzi non basta che l'incidente sia sollevato dinanzi ad una autorità giurisdizionale, ma è necessario che tale iniziativa sia esplicata nel corso di un giudizio (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87). Sennonché è questa caratteristica ambientale che difetta nella presente specie, in cui il giudice non adotta alcun provvedimento, ma si limita ad esercitare attività mediatrice tra le parti affinché queste attingano la conciliazione che, se raggiunta, precluderà il giudizio, ne, ove il tentativo non giunga in porto, può affrontare l'esame del merito, del quale occorre ribadirlo non è investito. Così decidendo, non contraddice la Corte al non recente ma pur sempre valido orientamento, che la indusse a dire legittimato il giudice a sollevare questioni di costituzionalità nell'esercizio della giurisdizione volontaria (sent. 11 marzo 1958, n. 24) perchè questa attività sfocia, pur in difetto di necessario contrasto tra le parti, in un provvedimento, nel pronunciare il quale il giudice, pur non dando vita all'accertamento a tutti gli effetti, di cui all'articolo 2909 c.c., è soggetto soltanto alla legge; provvedimento, di cui invano si andrebbe in traccia nel tentativo di conciliazione, sia esso stragiudiziale o no, in cui (lo si ripete) il giudice si limita a mediare le contrapposte pretese (l'efficacia di titolo esecutivo deriva al verbale di raggiunta conciliazione automaticamente dalla legge), né compie attività istruttorie utilizzabili nel successivo giudizio di merito.

Non varrebbe obiettare che, ove si neghi al giudice investito del tentativo di conciliazione, di cui all'art. 44, la legittimazione a dubitare della conformità ai dettami costituzionali delle norme che lo disciplinano, queste mai potrebbero essere assoggettate al controllo di costituzionalità di questa Corte, perchè la stessa prospettazione del Conciliatore di Caltanissetta, a parte profili di eventuale contrasto degli artt. 46 e 47 con altre norme ordinarie, si appunta sulla qualifica di presupposto di procedibilità della domanda di merito, la cui sussistenza ogni giudice, investito di detta domanda, può, anzi deve, d'ufficio verificare in ogni stato e grado del processo, per inferirne, semprechè ritenga non manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 43 e 44, la improcedibilità della domanda.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità degli articoli 43 e 44 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost., dal Conciliatore di Caltanissetta con le sette ordinanze menzionate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/02/80.

Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo  VOLTERRA – Guido  ASTUTI – Michele  ROSSANO – Antonino  DE STEFANO – Leopoldo  ELIA – Guglielmo  ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto  BUCCIARELLI DUCCI – Alberto  MALAGUGINI – Livio  PALADIN – Arnaldo  MACCARONE – Antonio  LA PERGOLA – Virgilio  ANDRIOLI

Giovanni  VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 15/02/80.