Sentenza n. 142 del 1972

 CONSULTA ONLINE 

 

 SENTENZA N. 142

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia d’agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici), promossi con ricorsi proposti dalle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Umbria, notificati rispettivamente il 16, 17 e 20 marzo 1972, depositati in cancelleria il 22, 24 e 29 successivi ed iscritti ai nn. 49, 50 e 52 del registro ricorsi 1972.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1972 il Giudice relatore Costantino Mortati;

uditi l'avv. Francesco Galgano, per la Regione Emilia-Romagna, gli avvocati Feliciano Benvenuti e Leopoldo Elia, per la Regione Lombardia, gli avvocati Aldo Piras e Guido Cervati, per la Regione Umbria, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

  1. - Con tre ricorsi, notificati rispettivamente il 16, 17 e il 20 marzo 1972, i Presidenti delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia ed Umbria, rispettivamente rappresentati e difesi dagli avvocati Viola e Galgano, Lorenzoni, Benvenuti ed Elia, Piras e Cervati, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, riguardante il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative in materia d’agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici.

Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, ed ha concluso per la reiezione degli anzidetti ricorsi.

  1. - Le tre Regioni sostengono che la struttura del decreto delegato, con l'indicazione esemplificativa delle materie e sub-materie trasferite e tassativa di quelle escluse, sarebbe in contrasto con la ratio della legge di delegazione 16 maggio 1970, n. 281, ed in particolare con l'art. 17 lettere a) e b); che, comunque, l'esclusione dall'area del trasferimento di varie funzioni statali in materia d’agricoltura e foreste sarebbe lesiva della competenza regionale nella materia stessa (artt. 117 e 118 Cost.) della quale, ai sensi della citata legge di delega, si sarebbe dovuto prevedere il passaggio per settori organici. Nel mantenimento della titolarità delle predette competenze allo Stato si avrebbe, invece, un ritaglio della materia, escluso dai principi direttivi della delega, con conseguente violazione dell'art. 76 della Costituzione.
  2. - La Regione Umbria inoltre, richiamando anche l'ordine del giorno approvato dal Senato il 18 dicembre 1970, costituente, a suo parere, atto normativo "e determinativo d’indirizzo politico afferente alla costituzione materiale", dopo aver rilevato che il legislatore delegato si é sottratto all'obbligo di definire positivamente le materie trasferite, censura in genere l'intero decreto (ed in particolare l'art. 1 nella sua connessione con i successivi artt. 2 e 4). Questo, a suo dire, rifacendosi all'errato criterio di partizione costituito dall'interesse nazionale, sarebbe espressione dell'intento di frantumare la possibilità di un'azione organica delle Regioni in agricoltura, ponendole, per di più, di fronte ad un'organizzazione (basata sugli enti pubblici, sugli enti di sviluppo pluriregionali e sugli enti locali) destinata a rimanere ancora per lungo tempo immutata.

Al contrario, il sistema previsto dall'art. 17 era quello del trasferimento alle Regioni dell'intera materia, senza distinzione di sub-materie, restando riservata allo Stato soltanto una funzione di coordinamento e di indirizzo con riferimento ai fini ed alle procedure della programmazione nazionale e degli impegni derivanti dalle Comunità sopranazionali.

L'esigenza di configurare l'oggetto del trasferimento per materia e non per singole competenze, funzioni e servizi, la necessità di considerare la materia trasferita più che come oggetto di competenze, come un interesse ed un compito unitario da soddisfare e da assolvere, erano frutto di un'interpretazione rigorosamente conforme alla Costituzione, dovendosi ritenere assolutamente valida la considerazione che gli atti normativi ricordati avevano posto regole e principi facenti parte integrante della costituzione materiale e delle disposizioni di cui agli artt. 5, 115, 117, 118 della Costituzione, variamente contraddette dal decreto impugnato.

  1. - In relazione all'impugnazione del decreto di trasferimento nel suo complesso, l'Avvocatura dello Stato osserva che, a ben guardare, le Regioni rivendicano "poteri impliciti" per tutto ciò che abbia comunque attinenza o connessione con la materia dell'agricoltura. Una simile impostazione, peraltro, sarebbe in contrasto con il disegno costituzionale del rapporto tra Stato e Regioni, perché essa riguarda i rapporti tra Stati negli ordinamenti federali e perché in ogni caso la relativa teoria fu elaborata per ampliare e non già per restringere i poteri dello Stato centrale. Il criterio oggettivo, invece, sarebbe l'unico valido per la discriminazione della competenza fra i due enti, come costantemente ritenuto dalla Corte costituzionale, e, sulla base di detto criterio, il decreto delegato apparirebbe perfettamente in linea con la legge di delega, sotto il profilo giuridico, e con l'ordine del giorno del Senato, sotto un profilo politico peraltro non valutabile in questa sede. Tali considerazioni sarebbero idonee a respingere anche l'impugnazione dell'art. 1, nella sua connessione con i successivi artt. 2 e 4, basata essa pure su una concezione finalistica della autonomia regionale.
  2. - Il secondo comma dell'art. 2, che mantiene ferma la competenza degli organi dello Stato in ordine a enti pubblici a carattere nazionale o pluriregionale operanti in materia agricola, compresi gli enti di sviluppo, fino al riordinamento degli enti stessi con legge dello Stato, viene impugnato dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria. L'Emilia-Romagna si duole soprattutto che sia stata mantenuta ferma la competenza degli organi statali in ordine agli enti di sviluppo, poiché la loro specifica natura, quale risulta dalla legge 2 giugno 1961, n. 454, renderebbe ingiustificata la riserva formulata dalla disposizione impugnata.

L'Umbria poi pone in rilievo la circostanza che tale disposizione procrastina a tempo indeterminato il trasferimento delle funzioni.

Secondo l'Avvocatura la censura delle Regioni non poggia su alcuna valida motivazione, disponendo la norma il mantenimento allo Stato della competenza in ordine a enti pubblici a carattere nazionale o pluriregionale, necessario fino a quando una futura legge statale non disponga la regionalizzazione di tali enti.

  1. - La Regione Umbria censura l'art. 3 del decreto presidenziale di trasferimento, osservando che la disposizione attua un riordinamento ed una redistribuzione dei poteri in ordine agli enti locali non aderente all'VIII disposizione transitoria e finale della Costituzione e non prevista dalla legge di delegazione. La norma, per di più, non individuerebbe le materie di interesse esclusivamente locale, quando sarebbe stato più congruo, ai sensi del terzo comma dell'art. 118 della Costituzione, conferire alla Regione il potere di riordinare l'assetto delle materie agricole spettanti agli enti territoriali minori, salva la possibilità dell'intervento di successive leggi quali previste dall'art. 118, primo comma, della Costituzione.
  2. - Ancora la Regione Umbria impugna l'art. 4 del decreto presidenziale, nel suo complesso, perché non sarebbe rientrato nei poteri del legislatore delegato determinare le funzioni riservate allo Stato in parti di materie e sub-materie ritagliate all'interno della materia trasferita. L'illegittimità discenderebbe da un errato apprezzamento del contenuto e dei limiti dei poteri da esercitare. Secondo la Regione non si trattava di emanare una legge-quadro o una legge cornice, per ripartire tra Regione e Stato funzioni e competenze all'interno delle materie indicate dall'art. 117 della Costituzione, ma di trasferire tutte le attribuzioni amministrative dello Stato relative alle materie di competenza regionale alle Regioni.
  3. - Più in particolare la Regione Umbria censura la lett. a) dell'art. 4 che lascia ferma la competenza degli organi statali in ordine ai rapporti internazionali e con la Comunità economica europea, osservando che una simile disposizione potrebbe anche essere considerata pleonastica. Se peraltro essa dovesse incidere su attribuzioni, attualmente od in futuro spettanti alla Regione, la riserva dello Stato dovrebbe essere considerata illegittima.
  4. - Analoghi motivi inducono la Regione Umbria a impugnare la lett. b) dell'art. 4 che lascia ferma la competenza statale in ordine all'applicazione dei regolamenti, delle direttive e degli altri atti della C.E.E.

L'Emilia-Romagna, a sua volta, rileva che le esigenze di carattere unitario sarebbero state salvaguardate dall'art. 17, lett a) della legge di delegazione solo con la funzione di indirizzo e coordinamento e non con la possibilità di riservare allo Stato settori della materia agricola. La Regione Lombardia aggiunge poi che la disposizione impugnata sarebbe in contraddizione anche con l'art. 1 del decreto oggetto del giudizio, nonché con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.

  1. - Relativamente alle lett. a) e b) dell'art. 4, l'Avvocatura replica che la ritenzione della competenza in ordine alla applicazione degli atti della C.E.E. attiene alla posizione di sovranità dello Stato quale soggetto di rapporti internazionali. D'altra parte la riserva allo Stato delle sole funzioni di indirizzo e coordinamento non sarebbe sufficiente ad assicurare il corretto svolgimento della politica agricola dell'Italia. La lettera b) sarebbe pertanto in necessaria correlazione con la lett. a).
  2. - La lett. c) dell'art. 4 che riserva allo Stato la ricerca, la sperimentazione scientifica di interesse nazionale nelle materie di agricoltura e foreste, caccia e pesca nelle acque interne ed il coordinamento delle stesse su tutto il territorio nazionale viene impugnata dalla Regione Umbria. La norma infatti sarebbe espressione di un metodo di riappropriazione da parte dello Stato della materia regionale.

La Regione lascia intendere di non voler escludere la competenza dello Stato in materia di ricerca e di sperimentazione agraria, ma di considerare illegittima la riaffermazione di questa competenza come oggetto di riserva, anche in ragione della estrema labilità della determinazione che se ne é data con riferimento al criterio dell'interesse nazionale.

L'Avvocatura dello Stato, dopo aver sottolineato che non é esclusa la possibilità di ricerca e di sperimentazione nell'ambito delle singole Regioni, osserva che tale attività scientifica svolta a livello nazionale si identifica in un servizio statuale esplicato nell'interesse dell'intera agricoltura. Tale servizio non potrebbe essere svolto dalle Regioni, sia per la stessa natura delle funzioni sperimentali, sia perché sarebbero inevitabili reiterazioni di attrezzature, di servizi e di programmi, con evidente dispersione di mezzi e probabile compromissione dei risultati.

  1. - La lett. d) dell'art. 4, che prevede la competenza amministrativa dello Stato in materia di esportazione ed importazione di bestiame d'allevamento e riproduzione, piante e semi di provenienza estera, commercio internazionale di prodotti agricoli e zootecnici, rilascio di certificati fitopatologici per il commercio con l'estero e simili, viene impugnata dalla Regione Lombardia in relazione alla legge 16 maggio 1970, n. 281, in quanto conferisce allo Stato funzioni di amministrazione attiva, laddove la legge di delegazione riserverebbe allo Stato solo funzioni di indirizzo e coordinamento, anche per le esigenze di carattere comunitario.

Anche la Regione Umbria impugna la lett. d) dell'art. 4 insieme alla lett. e) (competenza dello Stato in ordine alla tenuta dei registri di varietà e dei libri genealogici) per motivi analoghi a quelli esposti, in relazione alla lett. a) del medesimo art. 4.

A sua volta, l'Avvocatura nega che il commercio internazionale di prodotti agricoli e gli interventi fitosanitari rientrino nella materia dell'agricoltura, come del resto si rileva da recenti discipline dei settori sementiero e viticolo, corrispondenti a direttive comunitarie. Eguali considerazioni vengono poi svolte per i registri di varietà e di libri genealogici (art. 4 lett. e) per i quali si aggiunge che incontestabile sarebbe la loro necessaria unicità in tutto il territorio nazionale.

  1. - Con la lett. f) dell'art. 4 viene riservata allo Stato la classificazione e la declassificazione dei territori in comprensori di bonifica integrale o montana e la determinazione dei bacini montani e zone depresse, quando ricadano nel territorio di due o più Regioni, l'approvazione dei piani generali di bonifica e dei programmi di sistemazione dei bacini montani e delle zone depresse sempre se ricadenti nel territorio di due o più Regioni, infine le opere pubbliche di interesse nazionale o interregionale. La disposizione viene impugnata dalle tre Regioni.

Secondo la Lombardia essa attribuirebbe allo Stato la funzione di arbitro in eventuali conflitti tra Regioni, in sede di esercizio di potestà amministrativa, in contrasto con il dettato costituzionale. Da un lato infatti i territori ricadenti in due o più Regioni non formerebbero un'unità di carattere giuridico anche quando abbiano esigenze analoghe. Dall'altro, eventuali conflitti tra Regioni potrebbero essere appianati con intese tra queste, ovvero venir risolti dalla Corte costituzionale o dal Parlamento. Nella parte relativa alle opere pubbliche la disposizione non definirebbe quali opere siano di interesse nazionale o interregionale, dando luogo a future inevitabili controversie. Vi sarebbe pertanto contrasto con gli artt. 117, 118, 127 e 135 della Costituzione, nonché con l'art. 17 lett. a) della legge n. 281 del 1970.

A sua volta l'Umbria osserva che, se deve ritenersi illegittimo il ricorso all'interesse nazionale come elemento di determinazione di sub - materie, a fortiori deve ritenersi illegittima la riserva di competenza a favore dello Stato di ogni parte di materia che presenti aspetti di interesse interregionale, mentre l'Emilia-Romagna aggiunge che, a coordinare le iniziative nel caso di opere interessanti più Regioni, sarebbero sufficienti le intese fra le medesime.

  1. - Quanto alla lett. f) dell'art. 4, l'Avvocatura replica sostenendo che gli interventi dello Stato relativi a zone depresse ricadenti in due o più Regioni troverebbero una razionale e plausibile giustificazione, considerando che si tratta di attività in buona parte inquadrabili nei programmi della Cassa per il Mezzogiorno o delle leggi sulle aree depresse del Centro nord, o costituenti progettazione od esecuzione di opere secondo le direttive del programma economico nazionale.

Ciò posto, non sarebbe neppure sostenibile che i conflitti tra Regioni possano comporsi attraverso l'esplicazione, da parte dello Stato, della funzione d'indirizzo e di coordinamento, in quanto la stessa presuppone sempre funzioni e competenze proprie delle Regioni e non competenze e funzioni che, per il loro carattere ultraregionale, non possono configurarsi come attribuzioni delle Regioni.

In definitiva, gli interessi interregionali, travalicando l'ambito delle singole Regioni, sono concettualmente e giuridicamente sullo stesso piano degli interessi nazionali: realtà questa che non può essere superata da costruzioni giuridiche che, quali le "intese interregionali", sono al di fuori della Costituzione, e non si comprende neppure in quali forme di atti giuridici dovrebbero estrinsecarsi.

  1. - Le tre Regioni impugnano le lett. g) ed h) dell'art. 4, relative alla sistemazione idro-geologica, alla conservazione del suolo e agli interventi per la protezione della natura riservati allo Stato, salvi gli interventi regionali non contrastanti. L'Emilia-Romagna ribadisce che le disposizioni illegittimamente attribuirebbero allo Stato interventi al di fuori della funzione di indirizzo e coordinamento. Per la Lombardia le norme impugnate sarebbero in contraddizione con le lett. h) ed n) dell'art. 1; l'Umbria aggiunge che nelle disposizioni si é data artificiale unitarietà ad una materia variamente disciplinata nella vigente legislazione e che dovrebbe in via primaria spettare alla Regione per la duplice attribuzione fattale dell'agricoltura e dell'urbanistica. In ordine a questa censura, l'Avvocatura sostiene che la materia di cui trattasi non é oggettivamente agricole e che essa potrebbe essere ritenuta tale solo sotto un profilo finalistico, peraltro da ritenersi giuridicamente non corretto per le considerazioni già esposte.
  2. - La lett. i) dell'art. 4 prevede la competenza amministrativa dello Stato relativamente all'ordinamento del credito agrario, degli istituti che lo esercitano ed ai limiti massimi dei tassi praticabili. La norma viene impugnata dalle Regioni Lombardia ed Umbria. La Lombardia, dopo aver posto in rilievo che essa sarebbe in contraddizione con l'art. 1 len. m), esprime il dubbio che riservi allo Stato anche competenze in ordine al fondo bancario di garanzia (legge 27 ottobre 1966, n. 910, art. 56). In questo caso la disposizione impugnata sarebbe evidentemente incostituzionale.

L'Umbria, da parte sua, rileva che il credito agrario ha sempre avuto una speciale fisionomia e, non potendosi immaginare una politica agraria che si attui senza disporre delle leve di manovra del credito agrario, l'esigenza dell'organicità della attribuzione imporrebbe il passaggio alle Regioni della materia.

Da parte sua l'Avvocatura, dopo aver negato che esista una contraddizione tra l'art. 1 lett. m) e la disposizione in esame, sostiene che l'ordinamento del credito agrario é materia bancaria di esclusiva prerogativa dello Stato. Per quanto riguarda la determinazione dei tassi, lo Stato si é riservato, nell'ambito dei predetti poteri di vigilanza, di fissare i massimi; le Regioni potranno, se lo riterranno opportuno in relazione alle necessità locali, stabilire tassi differenziati anche irrisori, entro i predetti massimi, "per agevolare così l'accesso al credito agrario", come previsto dall'art. 1 lett. m).

  1. - In ordine alla lett. D, censurata dalla Regione Umbria, questa osserva che non sarebbe giustificato il mantenimento del demanio armentizio fra le competenze degli organi statali, dato che esso é stato sempre caratterizzato e ordinato per Regioni.

Ancor più grave sarebbe la lesione dell'autonomia regionale perpetrata dalla seconda parte della lett. 1) dell'art. 4 in connessione alla disposizione di cui all'art. 1, ultimo comma". Con le norme che si impugnano, - di tutta la materia che va sotto l'espressione di comodo " usi civici " (ma che comprende istituti e discipline varie dell'intero territorio) viene affidato alle Regioni solo il promuovimento delle azioni di alcune operazioni, restringendosi la portata della stessa minima disposizione indicante il potere trasferito, cioé il capoverso dell'art. 37 della legge 16 giugno 1927 (comprendente anche le operazioni di liquidazione e integrato con la successiva legge del 1930, n. 1078 per la proposizione di gravami). Inoltre di tutta l'altra materia amministrativa vengono trasferite solo le attribuzioni di cui agli artt. 13 e 14 e forse neppure interamente quelle di cui agli articoli che seguono fino all'art. 23. Vengono fra l'altro riservate allo Stato persino le procedure di liquidazioni d'usi su terre private, tutte le funzioni amministrative previste dagli artt. 1 a 11 e dagli artt. 24 in poi, comprendendosi persino quelle circa le promiscuità intercomunali, le nomine ai vari uffici, il controllo sulle disponibilità dei beni, fino al vincolo sulle somme ricevute da alienazioni e affrancazioni".

L'Avvocatura osserva che la materia degli usi civici e dei demani collettivi é estranea a quella dell'agricoltura e foreste (come nettamente si rileva dagli statuti delle Regioni a autonomia speciale), ancorché esistano interessi agricoli connessi ed esigenze locali, inerenti alla sollecita conclusione delle operazioni demaniali, che vengono soddisfatti dall'ultimo comma dell'art. 1. Resta però fondamentale l'esigenza di una generale disciplina nazionale, sia perché la materia in questione incide sul diritto di proprietà, sia per la tutela di interessi pubblici connessi. Diversamente opinando occorrerebbe abolire la funzione giurisdizionale dei commissari liquidatori degli usi civici che si sono rivelati un prezioso strumento per il soddisfacimento delle necessità già rilevate.

  1. - La lett. m) dell'art. 4, relativa alla competenza dello Stato in ordine alla regolazione del mercato agricolo nel quadro della programmazione nazionale ed agli interventi a favore degli organismi previsti dai regolamenti C.E.E., viene impugnata dalle Regioni Lombardia ed Umbria. Secondo la Lombardia la norma invaderebbe le competenze regionali in materia di agricoltura ancorché si richiami alla programmazione nazionale ed agli obblighi internazionali. L'espansione della programmazione nazionale e degli obblighi internazionali condurrebbe ad annullare le competenze regionali. L'Umbria, a sua volta, ritiene ingiustificato che, nella specie, si sia deciso a favore della competenza dello Stato.
  2. - Per gli stessi motivi appena enunciati la Regione Umbria impugna le lett. n) ed o) dell'art. 4 relative alle competenze statali in ordine alla repressione delle frodi agrarie ed alla alimentazione.
  3. - Quanto alle lett. m), n) ed o) dell'art. 4, l'Avvocatura oppone che gli interventi per la regolazione del mercato agricolo presentano aspetti e implicazioni molteplici, alcuni dei quali di carattere locale, altri, come le opere pubbliche di interesse nazionale e interregionale, di competenza statuale.

Analoghe considerazioni vengono svolte in relazione alla competenza in materia di repressione di frodi e di alimentazione che, per di più, non rientrerebbero nella materia agricola.

  1. - Secondo la Lombardia sarebbe illegittima, per contrasto con la legge di delegazione, anche la lett. q) dell'art. 4 (competenza dello Stato in ordine alle ricerche di mercato, a studi inerenti a problemi agricoli e forestali di interesse nazionale ed internazionale) che inoltre verrebbe a contraddire l'art. 1, lett. r), del decreto in esame.
  2. - Anche l'Umbria impugna la lett. q) insieme alla lett. r) (competenza dello Stato in ordine alla programmazione agricola nazionale e alle connesse attività di ricerche e studio) che, a suo dire, sarebbero espressione ulteriore del metodo di riappropriazione dello Stato della materia regionale. Nega, al proposito, che esista una programmazione agricola distinta dalla programmazione economica nazionale.
  3. - Relativamente alle lett. q) ed r) dell'art. 4, la difesa dello Stato contrasta all'impugnativa rilevando che si tratta di attività di interesse nazionale o interregionale. Nega che si sia inteso dare una autonoma rilevanza ad una programmazione agricola nazionale avulsa dalla programmazione economica. Osserva che la tesi opposta é fondata sull'erroneo presupposto che l'interesse nazionale sia soltanto limite della materia, non scriminante della materia.

In realtà, esso costituisce limite della materia allorché questa riguardi attività che si svolgono all'interno della Regione. Ma se si tratta di attività interregionale, o pluriregionale, l'interesse nazionale si incorpora nel limite territoriale e diventa spartiacque alla materia, nel senso che alla Regione resta precluso di provvedere, con effetti che si proiettino fuori del suo territorio.

  1. - La lett. s) relativa alla competenza dello Stato in ordine ai parchi nazionali é impugnata dall'Emilia-Romagna, perché prevederebbe interventi al di fuori dell'indirizzo e del coordinamento. La Regione Umbria, che pure censura la norma, nega che nella specie ricorra un interesse nazionale, essendo le Regioni enti di dimensioni tali da provvedere da sole o d'intesa con le altre Regioni alla tutela dei parchi.

In ordine a questa censura l'Avvocatura viceversa sostiene l'esistenza di un interesse nazionale alla istituzione e alla conservazione dei parchi. Dopo aver rilevato che é già stato predisposto un disegno di legge-quadro in materia, aggiunge che proprio per l'esistenza dell'anzidetto interesse al parco nazionale si contrappone un parco regionale che non travalica - l'ambito di una singola Regione.

  1. - La Regione Emilia-Romagna impugna la lett. t) dell'art. 4, relativa alla competenza dello Stato in ordine al reclutamento, addestramento, inquadramento del corpo forestale dello Stato, perché, a suo dire, in contrasto con gli articoli 117, 118 della Costituzione e con l'art. 11, quinto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, che trasferisce al patrimonio indisponibile delle Regioni le foreste.

Anche l'ultimo comma dell'art. 11, che dispone la dipendenza funzionale dalle Regioni del corpo forestale dello Stato, viene censurato dalla Regione Emilia-Romagna per motivi analoghi a quelli appena enunciati.

La Regione Lombardia, a sua volta rileva che l'intera titolarità regionale delle competenze amministrative relative alle foreste comporterebbe la necessità per la Regione di avere un corpo forestale ad essa collegato anche sotto il profilo organico.

Secondo l'Avvocatura le competenze dello Stato sul corpo forestale si giustificano in relazione alla necessità di tener ferme le attribuzioni di un corpo para-militare che svolge anche funzioni di polizia giudiziaria.

  1. - Il terzo comma dell'art. 8 che prevede l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento anche in ordine alla classificazione di comprensori di bonifica montana e zone depresse, nonché ai criteri generali di bonifica e dei programmi di sistemazione dei bacini montani e delle zone depresse, viene impugnato dalla Regione Lombardia, che rileva una contraddizione della disposizione impugnata con gli artt. 1 lett. a) e 4 lett. f). Osserva inoltre che la funzione di indirizzo é strumentale a quella di coordinamento e che nella specie non può esservi coordinamento poiché l'attività in oggetto si esaurisce nell'ambito delle singole Regioni.

A dire della difesa dello Stato, la legittimità del terzo comma dell'art. 8 deriverebbe dalla circostanza che la norma riguarda infrastrutture nell'ambito regionale. Lo Stato si sarebbe riservato il potere di dare direttive. attraverso i suoi organi di programmazione, per un coordinato esercizio delle funzioni di competenza regionale.

  1. - L'art. 10, contenente la disciplina transitoria dei procedimenti amministrativi in itinere che comportino spese, é parimenti impugnato dalla Regione Lombardia, che rileva una violazione dell'art. 119, secondo comma, della Costituzione, in quanto non avrebbe senso attribuire alle Regioni tributi propri e quote di tributi ercourier newi in relazione ai bisogni delle Regioni per spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali, se per queste stesse spese si prevede una riserva, sia pure temporanea, a favore dello Stato. Sarebbe anche violato l'art. 18 della legge n. 281 del 1970, perché non sarebbe stato determinato il trasferimento dei mezzi per far fronte alle spese impegnate o in corso di erogazione, già deliberate dallo Stato. L'articolo infine disporrebbe il permanere non definito né definibile alle competenze statali di funzioni e provvedimenti amministrativi spettanti alla competenza regionale.

Per l'Avvocatura, la censura in ordine all'art. 10 sarebbe infondata perché la norma impugnata obbedirebbe al criterio generale della perpetuatio che é valido sia per la giurisdizione che per l'amministrazione. D'altra parte, le norme di contabilità di Stato - su cui la Regione non ha alcuna competenza - impediscono che possa non darsi luogo, a carico del bilancio dello Stato, a spese già impegnate.

  1. - L'art. 13, che prevede la delega alla Regione di alcune materie, é impugnato dalla Regione Lombardia, la quale, da un lato, lamenta che la formulazione dei programmi regionali di intervento e la vigilanza sulla tenuta dei libri genealogici sono tutte materie rientranti nella formula "agricoltura" di competenza amministrativa primaria delle Regioni. Osserva, dall'altro, che la delega permette agli organi ministeriali di impartire direttive "che certamente saranno così precise da assomigliare a circolari".
  2. - La Lombardia ancora impugna gli artt. da 15 a 19 nella parte in cui non prevedono che il trasferimento degli uffici e del personale avvenga contestualmente al trasferimento delle funzioni. Per di più queste norme (ed in particolare il comma settimo dell'art. 15, l'ultimo comma dell'art. 16, il penultimo ed ultimo comma dell'art. 17 e l'intero art. 18) porrebbero principi non essenziali all'ordinamento del pubblico impiego con invasione di competenza regionale nella materia relativa all'ordinamento degli uffici ed al trattamento economico del personale.

Tali censure vengono definite palesemente infondate dalla difesa dello Stato.

Infatti il decreto prevederebbe anche il trasferimento del personale, nel contingente indicato nelle tabelle.

Quanto, poi, al trattamento economico del personale trasferito, le prescrizioni indicate nel decreto avrebbero valore transitorio, e sarebbero comunque dirette a tutelare i diritti quesiti degli impiegati, in attuazione dei precetti costituzionali di eguaglianza e di buon andamento della P.A. (artt. 3, 97 Cost.).

  1. - Infine la Regione Emilia-Romagna impugna i capitoli 1502 e 5471 di cui all'art. 19 che, a suo avviso, dovevano essere soppressi, trattandosi di spese concernenti materie di interesse regionale.

Di tale censura l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilità, sia per difetto di interesse della Regione, sia perché relativa al merito del testo di legge.

  1. - Con memorie successivamente depositate, le tre Regioni hanno illustrato i motivi di impugnazione precedentemente esposti.

La Regione Umbria, richiamandosi anche alla sent. n. 39 del 1971 della Corte costituzionale e al disposto dell'art. 97 Cost., ribadisce le censure mosse al decreto di trasferimento nel suo complesso, osservando che attribuire alle Regioni la materia dell'agricoltura significa conferire alle Regioni l'amministrazione dell'agricoltura, così come si é andata conformando attraverso la precedente legislazione; equivale cioé ad assegnare alle Regioni tutti i poteri necessari per amministrare l'agricoltura.

In ordine all'art. 2, secondo comma, l'Emilia-Romagna nega che in tema di enti di sviluppo sia necessaria una legge dello Stato per determinare le zone di intervento, essendo invece sufficiente, ai sensi dell'art. 31, quarto comma, della legge 2 giugno 1961, n. 454, un provvedimento amministrativo la cui emanazione spetterebbe alle Regioni. Le Regioni, poi, potrebbero provvedere d'intesa fra di loro per regolare e comporre eventuali conflitti. In ogni caso, però, nulla avrebbe potuto autorizzare il legislatore delegato a riservare allo Stato quel dato settore di materia.

In relazione all'art. 4 lett. a) e b), la Regione Umbria osserva che le disposizioni, invece di prevedere la semplice funzione di indirizzo e coordinamento, contengono una vera appropriazione di funzioni amministrative attive da parte dello Stato, tale, al limite, da far venir meno qualsiasi competenza regionale in materia di agricoltura.

Quanto all'art. 4, lett. b), l'Emilia-Romagna assume che occorre distinguere tra formazione del vincolo internazionale o comunitario, di indubbia competenza statale, ed attuazione del vincolo stesso che sarebbe di competenza regionale, quando incida su materie che, come l'agricoltura, rientrano nella competenza integrale delle Regioni.

Tale distinzione é recepita anche dalla difesa della Regione Lombardia che, con ampie e diffuse argomentazioni, sottolinea come la riserva allo Stato dell'applicazione degli atti C.E.E. potrebbe condurre ad uno svuotamento delle competenze regionali in materia di agricoltura. Del resto la stessa Corte di giustizia della Comunità europea, in una recente sentenza, ha definito di rilievo inerente esclusivamente al sistema costituzionale degli Stati-membri il modo in cui venga assegnata alla competenza di organismi interni l'esecuzione degli obblighi contratti in sede comunitaria. Anche se in alcune occasioni la Corte costituzionale ha stabilito che gli obblighi internazionali possono condizionare il modus procedendi della Regione (sent. nn. 49 del 1963 e 120 del 1969), tali obblighi non potrebbero mai comportare il trasferimento allo Stato di competenze amministrative di spettanza regionale.

Secondo l'Umbria, con l'art. 4 lett. c) si sarebbe realizzata una nuova forma di eccesso di delega: mentre infatti si dovevano indicare le funzioni riservate, in loro luogo si é affermato l'interesse nazionale come criterio direttivo di ulteriore attività amministrativa rivolta al riparto delle funzioni, quasi che il legislatore delegato potesse, a sua volta, delegare l'Amministrazione attiva a procedere in concreto al riparto.

Dopo avere illustrato i motivi di censura già dedotti in ordine alle lett. d) ed e) dell'art. 4, l'Umbria, relativamente alla lett. f), sottolinea l'illegittimità del sostituire l'iniziativa e l'intervento dell'Amministrazione centrale alla competenza delle Regioni interessate.

In ordine allo stesso art. 4, lett. f), l'Emilia-Romagna replica alle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato sottolineando che l'esecuzione del programma economico nazionale non é affatto sottratta alle Regioni, giacché "le esigenze di carattere unitario anche con riferimento agli obiettivi del programma economico nazionale" avrebbero dovuto essere soddisfatte, secondo la legge di delegazione, soltanto con le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività delle Regioni.

Relativamente alle lett. g) ed s) dell'art. 4, la Regione Emilia-Romagna ribadisce trattarsi di materia ricompresa nell'agricoltura e foreste, di integrale competenza regionale, anche in considerazione dell'art. 117 della Costituzione che attribuisce alle Regioni tanto l'agricoltura quanto l'urbanistica. Il che sarebbe implicitamente ammesso dalla stessa norma impugnata che dichiara "salvi gli interventi regionali non contrastanti con quelli dello Stato". L'attribuzione (riservata alla amministrazione centrale) sarebbe comunque illegittima, essendosi conferita allo Stato una possibilità di intervento diversa da quella unicamente ammessa di indirizzo e coordinamento.

Anche secondo l'Umbria, in ordine alle lett. g) ed h), il legislatore delegato avrebbe operato per sottrazione di competenze e non per coordinamento, in contrasto con i principi contenuti nella legge di delegazione.

Particolarmente grave sarebbe, secondo l'Umbria, il vizio inficiante la lett. i) dell'art. 4, poiché si sarebbe dovuto trasferire alle Regioni il potere di riordinare il credito nella sua fase attuativa: quella delle destinazioni e distribuzioni. Senza tale competenza le Regioni non potrebbero svolgere alcuna politica agricola.

In relazione alla lett. l) dell'art. 4, la Regione Umbria compie un'attenta disamina della disciplina relativa agli usi civici, dopo aver richiamato la sent. n. 87 del 1963 della Corte costituzionale per ribadire la necessità di una disciplina regionale nella materia stessa, mentre la disposizione impugnata prevederebbe illegittimamente il solo trasferimento alle Regioni del potere di promuovere e sollecitare la verifica e sistemazione dei beni di uso civico.

Quanto agli artt. 4, lett. t), e 11, ultimo comma, la Regione Emilia-Romagna osserva che l'Avvocatura dello Stato implicitamente ammette che il corpo forestale dello Stato riguarda materia di competenza oggettivamente regionale. Sottolinea anche che la polizia locale rurale é, ai sensi dell'art. 117 Cost., materia di esclusiva competenza regionale.

Infine, relativamente ai capitoli 1502 e 5471 dell'art. 19, la Regione Emilia-Romagna oppone alle considerazioni svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri l'eccesso di delega che vizierebbe la disposizione impugnata rispetto all'art. 18 della legge n. 281 del 1970.

 

Considerato in diritto

 

  1. - I tre ricorsi indicati in epigrafe propongono questioni in gran parte identiche e pertanto i relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza pubblica, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
  2. - Le censure rivolte a molte disposizioni del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, con cui sono state trasferite alle Regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, riguardano per la più gran parte la riserva disposta a favore dello Stato di settori che si assumono rientranti nella materia stessa e pertanto da affidare alla competenza regionale, e ciò in contrasto con gli artt. 117 e 118 nonché con l'art. 76 Cost., per l'incorsa inosservanza dei principi contenuti nell'art. 17 della legge di delega 16 maggio 1970, n. 281. Si censurano poi le disposizioni le quali hanno ad oggetto o la delegazione alle Regioni di materie che non sono da considerare di competenza statale residua, oppure il mancato trasferimento del personale statale in contemporaneità al passaggio degli uffici, o l'invasione della competenza regionale da parte di disposizioni concernenti il trattamento del personale trasferito, o infine l'affidamento allo Stato, in via transitoria, di provvedimenti amministrativi che abbiano importato precedenti assunzioni di impegni nel bilancio statale.
  3. - Per potere valutare la fondatezza dei cennati motivi di impugnativa occorre determinare l'esatta portata dell'art. 17 della legge di delegazione, della quale si assume la violazione da parte dei provvedimenti denunziati. Non appare dubbio che detto articolo, come risulta dalla sua dizione letterale e dal richiamo da esso fatto all'VIII disposizione transitoria, ha disposto il trasferimento alle Regioni solo di quelle funzioni amministrative che, per una parte, risultino inerenti alle materie elencate nell'art. 117 Cost., e siano contenute nel limite degli interessi connessi alle esigenze delle singole Regioni senza travalicare in quelli propri dello Stato e di altre Regioni, e, per l'altra parte, esercitate all'atto del trasferimento, da organi centrali o periferici dello Stato. Sicché dovevano rimanere fuori dell'obbligo del trasferimento tanto le competenze non rientranti nella materia, obiettivamente considerata, quanto le altre che, se pure ad essa riconducibili, riguardassero interessi trascendenti la sfera regionale, e infine quelle estranee alla competenza dell'organizzazione diretta, centrale o periferica, dello Stato.

É solo nell'ambito delle materie in tali limiti suscettibili di trasferimento che l'art. 17, mentre, ha da un lato voluto tutelare le esigenze di carattere unitario attribuendo allo Stato la funzione di indirizzare e di coordinare l'attività amministrativa oggetto del trasferimento tutte le volte che essa lo richiedesse, ha poi, dall'altro, curato di assicurare, per quanto possibile, l'organicità nell'esercizio della medesima, assegnando alla Regione, a titolo di delegazione, compiti statali quando essi venissero a costituire un residuo rispetto a quelli prevalenti oggetto del trasferimento.

Risulta perciò chiaro che l'art. 17 nel richiedere che il passaggio di attribuzioni dovesse avvenire per "settori organici di materie" non ha inteso, né avrebbe potuto, influire sulla determinazione delle materie stesse, ed anzi, prevedendo la delegabilità di competenze statali "residue", ha dato per ammessa la possibilità di una non perfetta coincidenza della parte trasferibile con quella argomentabile da una generica loro qualificazione.

  1. - Passando ora all'analisi, alla stregua dei principi enunciati, delle singole censure fatte valere, é da escludere la fondatezza di quella rivolta avverso l'art. 2, secondo comma, che, in via transitoria e cioé "fino a quando non si procederà al loro riordinamento", affida allo Stato ogni competenza in ordine agli enti pubblici in agricoltura a carattere nazionale o pluriregionale. L'Emilia-Romagna e l'Umbria fanno rilevare che il rinvio a tempo indeterminato del riordinamento che avrebbe dovuto regionalizzare gli enti di cui si tratta costituirebbe inadempimento della delega ex art. 17 citato, secondo cui si sarebbe dovuto, entro il biennio ivi previsto, adottare ogni specie di provvedimento necessario ad investire le Regioni della pienezza delle loro funzioni.

A contestare l'esattezza di tali asserzioni basta richiamarsi a quanto si é detto sull'esclusione dell'obbligo del trasferimento delle funzioni non esercitate dallo Stato, sicché nessun fondamento può riconoscersi all'invocato rispetto del termine del biennio, trattandosi di settori di attività ai quali esso non si riferisce.

Egualmente infondata é poi la censura mossa all'art. 3 che si limita a riprodurre il disposto dell'VIII disp. trans. e finale della Costituzione.

  1. - Non suscettibili di trasferimento devono considerarsi anche quelle materie che non possono ricondursi al settore dell'agricoltura. Settore che, per la sua complessità e disorganicità, appare di non agevole delimitazione. Ad essa non si può pervenire avendo riguardo al fatto dell'attribuzione dei compiti affidati al Ministero dell'agricoltura, poiché ad essa si é a volte provveduto per considerazioni di opportunità politica che hanno condotto ad accentrare nel medesimo una serie di funzioni che solo in via generica e senza un nesso diretto possono farsi rientrare nella cura degli interessi connessi ai prodotti del suolo. É chiaro invece che a quest'ultima specie di interessi occorre aver riguardo per la determinazione dell'ambito della materia dell'agricoltura di cui l'art. 117 ha disposto il trasferimento. Da tale premessa é facile argomentare l'assoluta estraneità ad essa dell'oggetto considerato alla lettera i) dell'art. 4 relativo all'ordinamento del credito agrario, che, come settore particolare di un'attività più generale, comprensiva di ogni specie di operazione bancaria, si deve uniformare alla regolamentazione ad essa indirizzata. Ciò può risultare comprovato, oltre che dal confronto con gli Statuti speciali, i quali, quando attribuiscono competenze riguardanti il credito, lo fanno differenziandole da quelle dell'agricoltura, anche dai lavori preparatori della Costituzione dai quali risulta che la proposta che era stata formulata di attribuire competenza in materia di credito alle Regioni a statuto ordinario teneva distinta quest'ultima da quella dell'agricoltura. Proposta che venne respinta nella considerazione che la disciplina del credito non potesse avvenire altrimenti che a livello nazionale per la stretta correlazione con l'intera politica economica e monetaria. Al che può aggiungersi anche il rilievo che gli aspetti privatistici dell'attività creditizia la rendono incompatibile con l'intervento delle Regioni. Un'ulteriore riprova dell'esattezza delle precedenti considerazioni può trarsi dalle stesse deduzioni di parte che, per rivendicare alle Regioni la materia del credito, fanno ricorso ad un criterio finalistico che dovrebbe presiedere alla ripartizione delle competenze, e così condurre ad assegnare agli enti regionali quelle fra esse che, pur non proprie dell'agricoltura, vi dovrebbero essere ricondotte perché strumentali alle altre, e quindi necessarie all'integrale soddisfazione di tutti gli interessi in essa convergenti. La Corte ha già statuito in senso contrario con la sentenza n. 20 del 1970, secondo cui la determinazione della materia regionale deve farsi in modo obiettivo senza riferimento al risultato da conseguire, cioé senza riguardo all'influenza che su essa può derivare dall'esercizio di poteri appartenenti a sfere diverse.

Può ammettersi che sussista un indubbio interesse di queste ultime all'incremento di misure creditizie corrispondenti alle esigenze di sviluppo e di potenziamento della produzione agricola, ma esso deve ritenersi sufficientemente soddisfatto con gli interventi loro consentiti dalla lettera m) dell'art. 1, indirizzati allo scopo di agevolare l'accesso al credito (ivi compresi i rapporti con gli istituti di credito), effettuabili con l'erogazione di sussidi in conto capitale, con il concorso nel pagamento degli interessi, cui fa riferimento l'art. 35 della legge 27 ottobre 1966, n. 910, e simili.

Ugualmente estranea alle competenze delle Regioni, perché trascendente l'ambito della materia dell'agricoltura, é quella dell'alimentazione di cui alla lettera o) dell'art. 4, che la Regione Umbria ha impugnato, senza tuttavia addurre alcun motivo a sostegno.

  1. - Esulante dalla materia dell'agricoltura deve considerarsi anche quella riguardante i parchi nazionali, per i quali la lettera s) dispone una riserva a favore dello Stato, impugnata dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria. Infatti la formazione di tali parchi vuole soddisfare l'interesse di conservare integro, preservandolo dal pericolo di alterazione o di manomissione, un insieme paesistico dotato di una sua organicità e caratterizzato da valori estetici, scientifici, ecologici di raro pregio, quali possono presentarsi anche in confronto a territori privi di vegetazione o comunque, pur quando questa sussista, destinata a rimanere esclusa da quelle utilizzazioni produttive che costituiscono l'oggetto specifico dell'attività agricola.
  2. - Un motivo analogo al precedente può essere invocato per giustificare la riserva statale riguardante il reclutamento e l'addestramento del corpo forestale e le scuole istituite a tale scopo considerate dalla lettera t). Si tratta infatti di una attività attinente alla formazione culturale e professionale di un personale destinato all'assunzione di funzioni richiedenti una particolare specializzazione tecnica, non dissimile da quella che si richiede per l'esercizio di numerose professioni e perciò rientrante nel campo proprio dell'istruzione.

Considerazioni diverse sono da sospettare in ordine all'altra parte della stessa lettera t) che pure essa esclude dal trasferimento alle Regioni quanto attiene all'inquadramento del predetto personale forestale. Come risulta dalla correlazione con l'art. 11, ultimo comma, le Amministrazioni regionali dispongono del personale predetto limitatamente all'impiego del medesimo, il che importa l'attribuzione alle stesse della titolarità di tutti i poteri di supremazia speciale necessari ad assicurare la piena utilizzazione di tale personale e la fedele attuazione delle direttive di politica forestale nel quadro di quella nazionale.

Contrariamente a quanto sostengono le tre Regioni ricorrenti, l'affidamento allo Stato dello stato giuridico degli appartenenti al corpo forestale trova fondamento nella natura delle funzioni ad esso assegnate che comprendono la polizia forestale, cioé una attività che sfugge alle Regioni (cui l'art. 117 conferisce poteri solo per la polizia locale urbana e rurale) ed altresì un'altra serie di compiti pure essi di esclusiva o prevalente competenza statale, come la difesa del suolo, la protezione dell'ambiente naturale, nonché dei parchi nazionali, la lotta contro gli incendi.

  1. - Altre norme limitative della competenza regionale si riferiscono alla disciplina di materie che pur rientrando nell'agricoltura toccano gli interessi di più Regioni. Questo si verifica per l'ipotesi di cui alla lettera f), riguardante la classificazione dei comprensori di bonifica, la determinazione di bacini montani e delle zone depresse, o l'approvazione dei piani generali di bonifica o di sistemazione di detti bacini o zone, in quanto ricadano nel territorio di due o più Regioni. Quest'ultima circostanza conduce ad escludere che possa riconoscersi ad ognuna delle Regioni cointeressate quella pienezza di poteri in materia di bonifica che l'art. 1, lettera h), riconosce allorché le opere non sorpassino l'ambito territoriale di ciascuna. Nell'ipotesi contraria l'intervento dello Stato appare necessitato dal difetto nell'attuale diritto positivo degli strumenti organizzatori idonei a rendere possibile la compartecipazione di più Regioni nelle deliberazioni da prendere per la gestione degli interessi comuni e per la regolamentazione dei correlativi obblighi e responsabilità. Né a superare tale situazione potrebbe utilmente farsi ricorso, come le difese sostengono, all'elevamento di conflitti di attribuzione, poiché essi presuppongono una determinazione di distinta sfera di competenza che invece fa difetto.

Può convenirsi nell'auspicio che intervengano provvedimenti legislativi in tale direzione, essendo esatto quello che le difese delle Regioni fanno valere circa la convenienza di una disciplina dei rapporti interregionali, in considerazione della non corrispondenza a volte riscontrabile tra la configurazione data dall'art. 131 ai nuclei regionali, sulla base di dati storico-statistici, e quella che sono venuti ad assumere sotto l'aspetto socio-economico.

Ma, fino a quando non si sarà addivenuto a tale regolamentazione, non potrà prescindersi dall'intervento dello Stato, sicché per ora le esigenze delle Regioni devono ritenersi sufficientemente soddisfatte dall'obbligo della previa intesa con le medesime, prescritto dalla disposizione in esame.

  1. - Considerazioni non diverse, sotto l'aspetto del difetto di un'apposita disciplina, necessaria ad ottenere che la soddisfazione degli interessi connessi all'esercizio di un'attività affidata alla Regione venga in ogni caso assicurata, possono invocarsi nei riguardi dell'impugnativa che si rivolge alla lettera b) dell'art. 4 relativa all'applicazione di atti della Comunità economica europea (alla quale può accostarsi l'altra che attiene agli interventi a favore degli organismi associativi di produttori agricoli previsti da regolamenti della CEE, di cui alla successiva lettera m). Occorre innanzitutto precisare che la censura é ammissibile solo con riferimento agli interventi sulle strutture agricole, rimanendo estranea alla sfera regionale, secondo sarà appresso chiarito, quelli relativi tanto alla politica dei prezzi e dei mercati quanto al commercio dei prodotti agricoli ivi considerati.

A sostegno della impugnativa non é sufficiente richiamarsi all'art. 189, terzo comma, del Trattato di Roma istitutivo della Comunità, che fa rinvio agli ordinamenti interni degli Stati partecipanti per la disciplina del concreto esercizio delle attività necessarie all'adempimento degli impegni da essi assunti; ciò perché ogni distribuzione dei poteri di applicazione delle norme comunitarie che si effettui a favore di enti minori diversi dallo Stato contraente (che assume la responsabilità del buon adempimento di fronte alla Comunità) presuppone il possesso da parte del medesimo degli strumenti idonei a realizzare tale adempimento anche di fronte all'inerzia della Regione che fosse investita della competenza dell'attuazione. Strumenti di tal genere fanno difetto nel nostro ordinamento, e ad essi non potrebbe supplirsi con il potere di indirizzo di cui all'articolo 17 della legge di delegazione poiché alla inottemperanza ad esso non si potrebbe in alcun modo porre riparo, non riuscendo allo Stato sostituirsi nell'esercizio della competenza una volta effettuato il suo trasferimento. Pertanto, fino a quando tale situazione non venga modificata con il ricorso alle forme a ciò necessarie, il solo mezzo utilizzabile per fare concorrere le Regioni all'attuazione dei regolamenti comunitari é quello della delegazione di poteri in materia di strutture agrarie, che appunto offre il rimedio della sostituibilità del delegante in caso di inadempimento del delegato.

  1. - Un altro gruppo di riserve a favore dello Stato stabilite dall'art. 4 riguarda materie che, mentre attengono alla agricoltura in modo solo marginale, in quanto interferiscono su settori ad essa non riconducibili, trascendono le stesse possibilità di azione consentite alla Regione, e non possono venire congruamente regolate se non sulla base di interventi che ubbidiscano ad una visione unitaria, che altresì possano giovarsi di strumenti corrispondenti all'ampiezza che devono assumere ove vogliano riuscire efficienti, ed infine siano suscettibili di estendere i loro effetti con eguale efficacia su tutto lo Stato. Per tali materie é l'esigenza del rispetto dell'interesse nazionale quale prevista dall'art. 117 che giustifica la sottrazione, totale o parziale, della loro disciplina all'autonomia regionale, nella sfera legislativa come in quella amministrativa. In questa categoria devono farsi rientrare le fattispecie previste dalle lettere g) e h) dell'art. 4 riguardanti la sistemazione idrogeologica, la conservazione del suolo, la protezione della natura. Esse infatti esigono interventi di difesa dell'ambiente a prevenzione di ogni specie di danni provenienti da eventi, naturali o da opera dell'uomo, atti a comprometterne l'integrità, ed esigono un'attività continuativa e sistematica, esplicantesi con gli interventi più vari spesso sorpassanti i singoli ambiti territoriali. Non é contraddittorio, come assumono le tre Regioni ricorrenti, che le disposizioni denunciate, mentre dispongono la riserva a favore dello Stato, impongono poi, da un lato, che l'esercizio dei suoi poteri venga preceduto dall'audizione del parere delle Regioni interessate, e, dall'altro, fanno salvi gli interventi di queste ultime, in quanto non contrastanti con quelli statali; Infatti la norma impugnata, così disponendo, mentre garantisce lo svolgimento di una politica nazionale ecologica, che non potrebbe riuscire proficua se non poggiasse sulla base di un'organica programmazione valevole per l'intero territorio nazionale, lascia poi all'autonomia delle Regioni margini. sufficienti alla tutela di quella parte dell'ambiente più strettamente connesso agli interessi dell'agricoltura e foreste e contenuta entro il territorio di ognuna.
  2. - Considerazioni non diverse sono da far valere, e perciò conducono ad escludere la fondatezza delle censure mosse dai ricorsi della Lombardia e dell'Umbria, nei riguardi della lettera d) che considera il settore del commercio internazionale di piante, di semi, di bestiame o materiale seminale, o in generale di prodotti agricoli o zootecnici, un'attività cioé evidentemente sorpassante la capacità di azione delle Regioni. Ciò può dirsi anche nei confronti del commercio delle sementi poiché, pur se si dovesse ritenere che il limite sussista anche quando esso non riguardi l'importazione e l'esportazione, varrebbero vincoli discendenti da regolamenti della Comunità economica europea, pel cui rispetto, come é stato chiarito, si rende necessario sottrarre la materia alla disponibilità delle Regioni.
  3. - In ordine al commercio all'interno dello Stato le lettere m) e q) dell'art. 4, che riguardano, la prima, gli interventi per la regolazione del mercato agricolo e la seconda le ricerche ed informazioni di mercato, la disciplina disposta deve essere messa in correlazione con l'art. 1, lettera r), risultando da essa una ripartizione di competenza che appare razionale. Infatti, mentre sono trasferite alle Regioni le ricerche ed informazioni di mercato, le attività promozionali, gli studi e le iniziative di divulgazione inerenti a problemi agricoli e forestali, é riservato allo Stato un complesso di altre attività rispetto alle quali le Regioni non potrebbero vantare alcuna pretesa. Ciò appare chiaro nei confronti degli interventi che si esplicano con la realizzazione, a totale carico dello Stato, di impianti di interesse nazionale per la raccolta, conservazione, lavorazione, trasformazione e vendita di prodotti agricoli o zootecnici, al fine di regolarne la immissione sul mercato, nonché la conservazione di scorte. É chiaro infatti che una politica del mercato agricolo, strettamente legata al quadro della programmazione nazionale, cui la stessa disposizione si richiama, non si renderebbe possibile senza una direzione unitaria e senza il sussidio di quei dispositivi tecnici necessari a renderla congrua ai fini da perseguire, mentre gli interessi della Regione riescono salvaguardati dall'obbligo dell'audizione del loro parere in ordine agli impianti da istituire. Di fronte a questa ovvia esigenza la difesa attrice nessun'altra obiezione ha opposto se non l'asserito difetto, fino ad oggi, di una siffatta politica: una circostanza cioé irrilevante sotto l'aspetto della legittimità costituzionale, cui é qui da limitare l'esame.

A parte altri interventi connessi all'osservanza di regolamenti della Comunità economica europea di cui si é detto (ed a parte anche i marchi e le denominazioni tipiche di prodotti agricoli, pei quali non sembra sia stata formulata esplicita impugnativa), é da osservare, in ordine a quelli che la stessa lettera m) prevede con la generica formulazione della "regolazione del mercato agricolo" che essi, se interpretati in correlazione con il ricordato art. 1, lettera r), rimangono circoscritti dal fine della tutela d'interessi ultraregionali, e come tali giustamente sottratti al trasferimento.

Connessa alla materia del commercio é quella di cui alla lettera n) relativa alla repressione delle frodi nelle sostanze ad uso agrario o di prodotti agrari. Materia che, pel fatto di richiedere, da una parte, un complesso di istituti specializzati di controllo, e dall'altra un apparato di prevenzione e di repressione, di competenza degli organi statali della polizia giudiziaria e della magistratura, si sottrae agli interventi regionali.

  1. - Infondato appare anche il motivo del ricorso proposto dall'Umbria che denuncia la invalidità della lettera c). Infatti sembra chiaro che la ricerca e la sperimentazione scientifica ed il coordinamento metodologico delle medesime quando siano estese, come ivi é previsto, a tutto il territorio nazionale non possono essere sottratte allo Stato, che solo dispone degli ingenti mezzi richiesti e solo può dare vita agli enti o istituti indirizzati a detti fini, differenziandoli per grandi settori, in modo da assicurare la necessaria specializzazione nonché il coordinamento dei compiti ad essi assegnati. Ciò che risulta confermato dalla legge 27 ottobre 1966, n. 910 (secondo piano verde), che alla sperimentazione dedica l'art. 2 e ivi prevede la istituzione di un comitato nazionale di sperimentazione agraria.

Con più forte ragione poi devono considerarsi estranee alle Regioni quelle attività di ricerche e di studio connesse alla programmazione agricola nazionale, cui ha riguardo la lettera r) dell'articolo in esame, le quali non potrebbero essere sottratte agli organi centrali, sia pure con il necessario concorso della Regione alla predisposizione del programma stesso.

Certamente siffatta riserva statale non preclude in alcun modo le iniziative di sperimentazione e di ricerca da parte delle singole Regioni, effettuabili anche - quando ciò si renda possibile - con l'utilizzazione degli istituti statali; così come non esclude l'eventuale delega statale a favore delle medesime di compiti per i quali si palesassero utili iniziative di decentramento.

La stessa garanzia d'uniformtià sta alla base del disposto della successiva lettera e) riguardante la tenuta dei registri di varietà e dei libri genealogici, quando la unicità sia richiesta per tutto il territorio nazionale.

  1. - La Regione Umbria impugna anche l'art. 4, lettera 1), che riserva allo Stato il demanio armentizio ed una parte della materia degli usi civici. Per quanto riguarda il demanio armentizio (denominazione che é assunta a qualificare il regime dei "tratturi" di Puglia e delle "trazzere" di Sicilia, quali trovano disciplina nel r.d. delegato 30 dicembre 1923, n. 3244, e nei Regolamenti nn. 2801 del 1927 e 1706 del 1936) si potrebbe osservare come, mancando ogni interesse all'impugnativa della ricorrente Regione Umbria, per il fatto che essa non annovera nel suo territorio beni di tale natura, né presumibilmente possa costituirne in futuro, se ne dovrebbe dichiarare la inammissibilità. Ma, a prescindere da ciò, le norme richiamate, nel disporre la conservazione, la alienazione o la trasformazione in strade rotabili delle dette vie di comunicazione (e anche la legittimazione dei possessi abusivi delle aree dell'antico demanio) hanno a loro oggetto un insieme di interessi di cui quelli dell'industria armentizia costituiscono solo un settore, non isolabile dagli altri. i
  2. - Nei confronti della materia degli usi civici, risulta dalla correlazione fra la lettera 1) dell'art. 4 ed il precedente art. 1, u.c., una ripartizione di competenza operata fra Stato e Regione nel senso di mantenere al primo quel complesso di attribuzioni di cui alla legge 16 giugno 1927, n. 1766, che o rivestono carattere giurisdizionale (e perché tali pertinenti solo allo Stato) o che, pur avendo indole amministrativa, attengono a rapporti i quali, per la interferenza presentata di aspetti privatistici, esulano dalla competenza regionale. Rientrano in tale categoria i procedimenti per l'accertamento dei diritti di promiscuo godimento delle terre, per la determinazione delle porzioni di terreno da conferire in compenso della liquidazione degli usi civici, per la legittimazione del possesso degli altri terreni sui quali sono stati effettuati sostanziali migliorie con correlativa fissazione del canone enfiteutico a carico del legittimato, e infine per lo scioglimento delle promiscuità. Ed invece si dispone il trasferimento alle Regioni di tutti quei compiti di più evidente indole pubblicistica, come sono (oltre al controllo ed alla vigilanza sulla gestione dei terreni comunali e sugli enti di amministrazione dei beni di uso civico, ed altresì all'approvazione degli Statuti delle associazioni agrarie) quelli connessi all'interesse alla rapida definizione delle operazioni di sistemazione dei beni di uso civico, e gli altri, ancora più rilevanti, del conseguimento del massimo incremento della produzione. Finalità che si realizzano mediante le attività previste dal citato art. 1, e cioé con l'approntamento dei piani di trasformazione e sistemazione fondiaria che devono precedere l'assegnazione delle quote, e soprattutto con la ripartizione dei terreni utilizzabili per la cultura agraria di cui all'art. 13 della legge n. 1766 citata, e con l'assegnazione dei terreni a tale cultura, oppure al bosco o al pascolo (in quanto non se ne autorizzi la vendita ai sensi dell'art. 12) secondo i criteri di contemperamento dei diversi bisogni della popolazione, giusta il disposto del successivo art. 14.
  3. - La censura che la Regione Lombardia muove al terzo comma dell'art. 8 del decreto in esame, fondata sul rilievo che le materie ivi considerate sono riconosciute proprie delle Regioni, appare manifestamente infondata. Infatti non é da accogliere l'interpretazione dell'art. 17 secondo cui il potere di indirizzo, da porre in funzione del coordinamento, sarebbe esercitabile solo rispetto ad attività produttive di effetti al di là del territorio regionale. Invece, come già si é detto, la tutela di interessi unitari voluta assicurare da detto articolo ricorre proprio in confronto a competenze che, pur non riflettendosi su altre Regioni, non potrebbero essere rilasciate all'assoluta discrezionalità dell'ente che ne é titolare senza danno per l'intera collettività nazionale.
  4. - La Regione Lombardia impugna anche l'art. 10 perché, stabilendo una riserva sia pure temporanea a favore dello Stato, contrasterebbe in particolare con l'art. 119 Cost. oltreché con l'art. 18 legge n. 281. La doglianza non appare fondata, poiché, per quanto riguarda i provvedimenti già in corso di definizione, pei quali era stato assunto il relativo impegno di spesa a carico del bilancio statale prima del trasferimento alle Regioni, sembra che la disposizione si informi al principio della conservazione delle competenze già validamente in corso di espletamento per singoli atti, nonché dell'integrità degli stanziamenti di bilancio per tutto l'esercizio finanziario in corso. Ciò, contrariamente a quanto si assume, non contrasta con l'art. 119 Cost. poiché non viene in nessun modo contestato il diritto della Regione alla attribuzione di tributi propri o di quote di tributi ercourier newi, e neppure con l'art. 18 della legge finanziaria poiché questo stabilisce che la soppressione o riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione dei vari ministeri avvenga con effetto dall'inizio dell'esercizio finanziario successivo alla data di entrata in vigore dei decreti di trasferimento, e quindi lascia del tutto impregiudicata la sorte degli stanziamenti afferenti al precedente bilancio, che, salvo statuizione che espressamente disponga in contrario, seguono la sorte stabilita dalla legge sulla contabilità generale dello Stato. Per quanto poi attiene alla parte dell'art. 101 riguardante le spese pluriennali per le quali la prima annualità era stata messa a carico di esercizi finanziari anteriori al trasferimento, é da ritenere che nessuna lesione da ciò provenga all'interesse delle Regioni alle quali va il beneficio delle erogazioni per tutto il periodo predisposto per lo scaglionamento della spesa. Anche per l'ultima parte dell'art. 10, che fino a tutto il 1973 mantiene allo Stato la definizione dei provvedimenti finanziati con somme mantenute in conto residui, sono da far valere esigenze di carattere contabile, e d'altra parte essa espressamente prevede il trasferimento delle somme non ancora impegnate alla data predetta al "fondo" per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo, di cui all'art. 9 legge finanziaria.
  5. - Un ultimo motivo di impugnativa proposto dalla Regione lombarda si rivolge agli artt. da 15 a 19, tutti ritenuti contrastanti con l'art. 17 legge n. 281 e con l'VIII disposizione transitoria, nella considerazione che, in primo luogo, avrebbero previsto il trasferimento degli uffici statali periferici senza che ad esso si accompagnasse il contemporaneo passaggio del personale addettovi, ed inoltre disposto in materia di ordinamento degli uffici e di trattamento economico del personale trasferito alle Regioni, in contrasto anche con quanto stabilito dalla Corte nella sentenza n. 40 del 1972.

La prima censura trova una smentita nello stesso testo impugnato, poiché da esso e dalle tabelle allegate, le quali fissano il contingente del personale che cessa di far parte dei ruoli statali, risulta la contemporaneità del duplice trasferimento.

Anche la seconda é da rigettare poiché le norme impugnate si limitano o a fissare le modalità del passaggio del personale (artt. 15 e 16), oppure pongono principi diretti a tutelare diritti quesiti, quali sono quelli relativi al trattamento di missione allorché si dispongano trasferimenti di sede (comma settimo art. 15, u.c. art. 16, art. 17) o al mantenimento delle posizioni economiche e di carriera già godute (art. 18). Nessun elemento in contrario può desumersi dalla invocata sentenza n. 40 che ebbe a dichiarare l'invalidità dell'art. 67 legge n. 62 del 1953 nella parte in cui imponeva il rispetto di semplici norme statali, mentre nella specie, come si é detto, l'obbligo riguarda l'osservanza di principi. Ciò sembra potersi affermare anche nei confronti dell'ultimo comma dell'art. 18 che, in via transitoria, fino ad un anno dall'entrata in vigore delle leggi istitutive dei ruoli regionali, dispone che la metà dei posti disponibili, dopo effettuato l'inquadramento nelle singole qualifiche dei ruoli, siano conferiti mediante trasferimento sulla base di concorsi riservati al personale di uguale qualifica e di ruoli corrispondenti, già trasferiti ad altra Regione. Infatti tale disposizione viene incontro a quelle esigenze di assestamento in relazione ad esigenze personali o familiari dei funzionari, tanto più apprezzabili quando si tenga presente l'automaticità del passaggio alle Regioni del personale addetto agli uffici periferici dello Stato aventi sede nel loro territorio, che viene a privare gli appartenenti ad esso della possibilità dei trasferimenti che erano prima effettuabili, data l'unicità del ruolo statale di cui facevano parte.

  1. - La Regione Emilia-Romagna lamenta che l'art. 19 del decreto impugnato, nel determinare le variazioni da apportare agli stati di previsione del Ministero interessato in virtù del trasferimento alle Regioni, abbia disposto la riduzione degli stanziamenti dei capitoli nn. 1502 e 5471, mentre, afferendo questi a spese collegate a materie di esclusiva competenza regionale, si sarebbe dovuto disporre la loro soppressione. Per quanto riguarda il capitolo 5471 la censura deve considerarsi assorbita da quanto si é precedentemente statuito circa la validità della riserva allo Stato di cui alla lettera d) dell'articolo 4, della regolamentazione dell'immissione sul mercato di prodotti zootecnici. Infatti la riduzione dello stanziamento trova fondamento nella ripartizione che si verifica fra la detta competenza statale e l'altra trasferita alle Regioni per l'art. 1, lettera b).

Quanto poi al capitolo 1502, che riguarda i compensi per i componenti le commissioni le quali intervengono nel procedimento per l'assegnazione delle terre incolte ai contadini, di cui all'art. 12 della legge 18 aprile 1950, n. 199, é da osservare che trattasi di materia affidata allo Stato in ogni sua parte, nei riguardi della quale nessuna impugnativa é stata proposta.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte con i ricorsi di cui in epigrafe, concernenti gli artt. 2, secondo comma; 3; 4, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), 1), m), n), o), q), r), s), t); 10; 11; 13; 15; 16; 17; 18; 19, cap. nn. 1502 e 5471, del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 11, contenente disposizioni sul trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici, in riferimento agli artt. 117, 118, 119, 127, 135 e VIII disposizione transitoria della Costituzione, nonché in relazione agli artt. 17 e 18 della legge 16 maggio 1970, n. 281, ed in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Costantino MORTATI

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1972.